studi superiori / 1273 studi storici
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Paolo Rosso
Le università
nell’Italia medievale
Cultura, società e politica (secoli xii-xv)
C
1a edizione, aprile 2021
© copyright 2021 by Carocci editore S.p.A., Roma Realizzazione editoriale: Fregi e Majuscole, Torino
Finito di stampare nell’aprile 2021
da Grafiche VD srl, Città di Castello (PG)
isbn 978-88-290-0507-9 Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633)
Senza regolare autorizzazione, è vietato riprodurre questo volume anche parzialmente e con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche per uso interno
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Introduzione 11
1. Le origini delle università 23
1.1. Nascita e sviluppi di un nuovo sistema scolastico 23 1.2. L’affermazione delle scholae di diritto a Bologna 29 1.3. Verso le nationes e le universitates degli studenti 35 2. Autorità e legittimazione delle università 43 2.1. I primi sistemi normativi e la precisazione del concetto
di studium generale 43
2.2. Le università al crocevia di poteri pubblici locali e
uni-versali (xiii-metà xiv secolo) 53
2.3. Vocazioni universalistiche e dimensioni regionali (metà xiv-xv secolo) 67
3. L’organizzazione dell’insegnamento 79
3.1. Metodi didattici e sistemi di valutazione delle conoscenze 79
3.2. Il “fluido” curriculum delle artes 88
3.3. La scienza medica 95
3.4. Il diritto 100
3.5. La teologia, tra studium generale e scuole conventuali 106 3.6. Inerzie e innovazioni: la poliforme ricezione
dell’U-manesimo 112
le università nell’italia medievale
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4. L’università del libro, il libro dell’università 121 4.1. La nascita di un’editoria universitaria 121 4.2. L’importanza della correttezza: il sistema dell’exemplar
e della pecia 124
4.3. Biblioteche private e “pubbliche” 132
4.4. La stampa e l’università 137
5. Maestri 141
5.1. Il doctor tra didattica e professione 141
5.2. I collegi dottorali 146
5.3. Il prestigio delle discipline e dei maestri 152 5.4. Dalla preminenza culturale a quella sociale: il sapere
co-me eleco-mento nobilitante 160
6. Studenti 167
6.1. Matricole e nationes 167
6.2. Il popolamento universitario e le sue fonti 175 6.3. Fisionomia sociale dello scholaris 184
6.4. Una comunità in movimento 194
6.5. Dimensioni regionali e internazionali delle peregrina
tiones academicae 201
7. Lo Studio e i poteri 209
7.1. Il finanziamento pubblico dello Studio 209 7.2. Protezionismo scolastico e controllo sul reclutamento
dei docenti 221
7.3. Lo Studio come strumento di governo 233 7.4. Gli universitari al servizio dello Stato 238 7.5. Lo Studio e le istituzioni ecclesiastiche 248
indice
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7.6. Il chierico agli studia: l’importanza del “capitale
sco-lastico” 253
8. L’università come fenomeno urbano 261
8.1. Studio e città: una relazione complessa e ambivalente 261 8.2. Identità e alterità di un “corpo estraneo” 272 8.3. L’università nello spazio fisico e simbolico-religioso
del-la città 279
8.4. I collegi studenteschi: ospitalità, educazione, didattica
e distinzione sociale 288
Bibliografia 297
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Tutte le università – poco più di una decina – in attività alla fine del Quattrocento in Italia sono attualmente importanti atenei: a queste longeve istituzioni che il Medioevo ci ha lasciato si sono poi affiancate quelle via via fondate in età moderna e contemporanea, molto spesso rievocando esperienze o conati istitutivi più risalenti, sino a colmare gradatamente gli “spazi bianchi” lasciati nella geografia universitaria dei secoli xii-xv.
La storiografia ha da tempo sottolineato i caratteri di novità espres-si dal fenomeno univerespres-sitario rispetto all’organizzazione, al espres-sistema didattico e al piano delle discipline vigenti nelle maggiori scuole dei secoli precedenti. Anche i privilegi e le protezioni assegnati alle univer sitates di maestri e di studenti dagli interventi del potere politico e di
quello religioso sono componenti caratteristiche del sistema universi-tario che «non si riallacciano ad alcuna tradizione classica o orientale e non si sono ispirate ad alcun modello antico che esse continuino o rin-novino» (Stelling-Michaud, 1974, p. 156), sebbene, come avrò modo di rimarcare più volte, tali novitates convissero con rilevanti caratteri di
continuità rispetto ai metodi e ai contenuti didattici adottati nelle scuo-le urbane che operavano in diverse realtà cittadine richiamando, quan-do rette da maestri di fama, studenti anche da località lontane. Queste ultime scuole rappresentarono un importante terreno di coltura per la maturazione di un’esperienza universitaria, ma non furono sufficienti da sole per innescarla: per questo occorreva la convergenza in un siste-ma di scholae di un gruppo di docenti piuttosto stabile, dedicato allo
studio e alla trasmissione, con metodiche sempre più omogenee, di un canone di insegnamenti esteso a diversi ambiti del sapere e strutturato su un curriculum uniforme. Nelle università italiane, in particolare, il
consolidamento spontaneo di una sensibilità associativa trovò la sua
le università nell’italia medievale
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definizione istituzionale tra gli scolari, che si ispirarono – tuttavia con ampi margini di adattamento a specifiche situazioni, come vedremo – all’orientamento organizzativo messo a punto nell’incunabolo delle
universitates scholarium, cioè nell’Università di Bologna, che iniziò a
lasciare traccia di sé negli ultimi decenni del xii secolo.
Questo volume ripercorre la storia delle università italiane con uno sguardo il più possibile ampio e inclusivo dei diversi piani interessati. La dimensione istituzionale degli studia è stata ricostruita muovendo
dalle radici e dai presupposti del fenomeno universitario, presto regola-to da una propria normativa statutaria, per passare alle fondazioni che, nei secoli xiii-xv, hanno interessato, con differente fortuna, una parte consistente della penisola (cfr. capp. 1-2). Le caratteristiche della didat-tica e delle discipline impartite, le relazioni dello Studio generale con le realtà scolastiche non universitarie, gli strumenti impiegati nell’inse-gnamento sono stati analizzati con un’attenzione rivolta in particolare al sistema di produzione e di approvvigionamento di manoscritti e, più tardi, di libri a stampa (cfr. capp. 3-4). Il percorso lungo questi due assi tematici è imprescindibile per comprendere la dimensione sociale degli universitari, il cui posizionamento nella società bassomedievale è stato qui tracciato sottolineando la specificità cetuale derivata loro dai pri-vilegi di cui beneficiarono – che si sommavano spesso a quelli connessi alla loro piuttosto frequente condizione nobiliare – e, insieme, le logi-che e le ragioni sottostanti alla forte mobilità di doctores e di scholares
(cfr. capp. 5-6). Il piano politico affiora dai rapporti tra le università e i centri di potere, sia quelli ecclesiastici (il papato e la Chiesa cit-tadina) sia quelli laici (città, signorie, principati, impero), variamente interessati a promuovere queste prestigiose strutture di insegnamen-to superiore e a impiegare gli uomini di cultura formatisi negli studia
all’interno dei quadri amministrativi e degli assetti di governo nonché in tutti i contesti dove i saperi universitari in ambito giuridico, medico o filosofico-teologico potevano essere un valido sostegno al loro agire politico (cfr. cap. 7). Nella “verticalità” delle relazioni dello Studio con i centri di potere, l’orizzonte cittadino fu quello in cui principalmente si realizzò la complessa intersezione tra le caratteristiche “internazio-nali” del mondo universitario, costituito da dinamici uomini di cultu-ra in gcultu-ran parte forestieri, e le altre componenti della società urbana. Le corrispondenze e i raffronti tra le due real tà, così vicine eppure così lontane, produssero differenti sperimentazioni istituzionali, sociali e culturali che costituiscono un importante osservatorio per cogliere il
introduzione
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mosso quadro delle forme assunte dall’integrazione e dal radicamento cittadino dell’universitario e, insieme, la precoce definizione di mo-delli identitari che lo distinsero dagli altri gruppi della società urbana bassomedievale (cfr. cap. 8).
Queste diverse dimensioni sono state qui considerate in un con-testo geografico “nazionale”, connotato dal caratteristico stigma im-presso dall’aggregazione della componente studentesca nell’impianto delle università italiane: sebbene non tradotta in un rigido modello comune, questa omogeneità istituzionale rappresentò un collante tra le esperienze universitarie attive nella penisola che non troviamo sul piano politico, connotato da composite frammentazioni di poteri, par-ticolarità e sperimentazioni istituzionali. Non sono poi da dimenticare le peculiarità espresse dalle università italiane sul piano scientifico, in cui possiamo riconoscere chiare propensioni per lo studio del diritto e della medicina e un importante e caratteristico sviluppo del curriculum
delle artes liberales (cfr. cap. 3). L’osservazione del fenomeno
universi-tario a sud delle Alpi è ulteriormente giustificata dal processo di adat-tamento degli studia generalia della penisola al mutare delle condizioni
politiche e sociali, che nei secoli xiii-xv si snodò lungo linee comples-sivamente uniformi. Tale campitura omogenea trova inoltre la sua ori-gine nel bisogno basilare di garantire una trasferibilità fluida di uomini (magistri e scolari), saperi e metodi di insegnamento tra le sedi, aspetto
che impone allo storico delle università di adottare una sorta di “visio-ne strabica”, utile per osservare la coesistenza di doctores e di scholares
con le realtà sociali e culturali del mondo urbano senza perdere di vista il tessuto «di collegamenti umani, di personali relazioni di servizio, di contiguità culturali e ideologiche […] che ha un suo obbligato punto di passaggio nello Studio, ma trascende ormai l’orizzonte cittadino» (Bortolami, 2001b, p. 15).
Il rilievo assunto dagli studia italiani nella storia delle università nel
Medioevo è noto da tempo: venne ad esempio riconosciuto in tutta la sua ampiezza nel saggio The Universities of Europe in the Middle Ages
di Hastings Rashdall, opera che costituisce ancora un punto fermo per le ricerche in questo ambito, pubblicata nel 1895 a Oxford e riedita nel 1936, con un aggiornamento bibliografico e un accurato repertorio di note, da Frederick M. Powicke e Alfred B. Emden (Rashdall, 1936). Ma quale “Italia” venne interessata delle università? Ad eccezione del-l’“anomalia” duecentesca rappresentata dallo Studio regio di Napoli, fu principalmente quella delle regioni centro-settentrionali,
costella-le università nell’italia medievacostella-le
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te di dinamiche città rette da un sistema di governo comunale capace di realizzare politiche scolastiche rivolte a tutti i gradi di istruzione. Questa distribuzione non mutò con il passaggio dei centri universitari sotto il controllo di regimi personali, propensi a mantenere la tradizio-nale funzione ricoperta dalla città nel sistema amministrativo: i “vuo-ti” nella mappa delle università italiane vennero in parte colmati solo nel pieno Quattrocento, con l’apertura di studia generalia nelle regioni
meno urbanizzate, quelle del Meridione e delle aree pedemontane. Malgrado la profonda vocazione all’“universalità” connaturata nel concetto stesso di studium generale e l’altissima mobilità di magistri
e di studenti, le fondazioni universitarie italiane sono state per secoli principalmente concepite e studiate dagli storici come singole entità. Già in età medievale la storiografia si rivolse allo studio di specifiche università con scritti di varia natura (medaglioni biografici, cronache, orazioni, preamboli di statuti e altro), composti non raramente dagli stessi componenti dello studium, e questo orientamento venne
man-tenuto nel Cinquecento, sebbene all’interno di una più consapevole produzione storiografica, anch’essa originata in molti casi in seno alle stesse università. L’erudizione dei secoli xvii-xviii, perlopiù munici-palistica e permeata di spirito controriformistico, si caratterizzò per la tensione ad attribuire un ruolo preminente all’episcopato nella fon-dazione dello studium locale, tema che continuò ad appassionare i
di-battiti sorti intorno alla genesi dell’università fra Otto e Novecento. In queste controversie si fronteggiarono storici ed eruditi divisi da in-clinazioni ideologiche e confessionali che trovarono il loro punto di massimo attrito intorno alla natura ecclesiastica o laica dell’università, posizioni sostenute, nel primo caso, con la ricerca di elementi di per-sistenza istituzionale delle nascenti universitates rispetto alle attività
delle scuole ecclesiastiche – principalmente quelle cattedrali – e, nel secondo caso, mediante il consolidamento della lettura delle origini di queste istituzioni come espressione spontanea e autonoma di istanze culturali laiche.
La predilezione per la ripresa e l’arricchimento del corredo di “miti di fondazione” degli studia, in buona parte risalenti all’età medievale
e costruiti intorno a presunti fattori di continuità con le grandi scuole del passato (cfr. par. 2.1), venne superata nella seconda parte dell’Ot-tocento dagli storici positivisti, impegnati a curare edizioni di fonti e a tracciare profili biobibliografici ancora oggi importantissimi per lo studio dei ceti intellettuali. Le stesure di storie di istituzioni
univer-introduzione
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sitarie avviate dalla fine del xix secolo poterono giovarsi dell’ancora vigorosa attività di pubblicazione di documenti, ora provenienti an-che dall’Archivio Apostolico Vaticano, aperto agli studiosi nel 1881 da papa Leone xiii: il frutto maggiore di questa temperie culturale sono gli splendidi volumi del Chartularium Universitatis Parisiensis, curati
da Heinrich Denifle ed Émile Chatelain (Denifle, Chatelain, 1889-97). La forte attenzione per le origini dei fenomeni – al centro di tante questioni della ricerca storica, più attratta dalle fasi aurorali che dai de-clini – continuò nella prima parte del Novecento a connotare la storio-grafia universitaria, che, abbandonata definitivamente la propensione per la ricerca di lontani miti fondativi dei singoli Studi, si volse a consi-derare soprattutto gli elementi di novità introdotti nel sistema scolasti-co e culturale. Le multiformi letture del fenomeno non hanno offerto risposte del tutto soddisfacenti: ricordo la fortunata interpretazione, condotta sul versante della storia intellettuale, di Herbert Grundmann (1974), che ritenne le pulsioni alla conoscenza e l’interesse scientifico (l’amor scientiae) i principali fattori del sorgere delle università; altri
approcci considerarono la presenza di favorevoli circostanze politiche, sociali o economiche, in particolare la storiografia di orientamento marxista ha riconosciuto nelle università medievali gli esiti della volon-tà dei centri di potere di istituire scuole di alto livello per la formazione e il consolidamento delle classi dominanti, siano esse di governo laico o ecclesiastico (Arnaldi, 1974). Negli ultimi decenni del xx secolo gli studi si sono gradatamente spostati dall’osservazione della latenza e dell’incubazione delle istituzioni universitarie verso l’analisi dei loro sviluppi nel tempo, osservati senza costringerli, in chiave teleologica, all’interno di rigide categorie concettuali di valutazione come quelle di “crescita”, “declino” o “modernità”, derivate dalle linee assunte dal fe-nomeno nella sua fase genetica. Il problema della “nascita” dell’univer-sità continua tuttavia a riproporsi, in particolare nelle occasioni in cui è necessario definire una data di riferimento, peraltro spesso incerta, richiesta soprattutto dalle celebrazioni degli anniversari fondativi che, dalla fine dell’Ottocento, nessun ateneo europeo ha voluto mancare (Dhondt, 2016; cfr. par. 2.1).
Il persistente interesse storiografico per le origini degli studia legò
saldamente la storia delle università agli studi medievistici, legame che si allentò con l’apertura dello sguardo ai secoli più vicini portato dagli storici dell’età moderna e contemporanea. Anche questo cam-po di studi è stato interessato a fondo dall’impeto della cosiddetta
le università nell’italia medievale
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“rivoluzione storiografica” che attraversò gli studi storici novecente-schi: il tradizionale interesse per la storia istituzionale – ambito che, richiedendo competenze scientifiche nella storia del diritto, spiega la forte presenza dei cultori di questa disciplina tra gli storici delle uni-versità – venne così affiancato in tutta Europa da nuovi indirizzi di ricerca, anche influenzati, come spesso accade nello studio del passa-to, dalle trasformazioni in atto nella società contemporanea, che si possono cogliere, ad esempio, negli studi intorno allo studente e al
medieval student power fioriti dagli ultimi decenni del secolo scorso
(Cobban, 1971; Brizzi, Pini, 1988). La varietà dei temi storiografici re-lativi alle università del Medioevo e del Rinascimento posti all’atten-zione degli studiosi, e in parte sviluppati nei decenni seguenti, affiora dall’articolato quadro presentato dallo storico svizzero Sven Stelling-Michaud all’xi Congrès international des sciences historiques, tenu-tosi a Stoccolma nel 1960 (Stelling- Michaud, 1974). Iniziarono così a essere studiati, con metodi e approcci storiografici nuovi, l’apporto delle università allo sviluppo della cultura e delle discipline, la rete di relazioni degli studia e i loro rapporti con i centri di potere, la
sto-ria della mentalità, della religiosità e della vita matesto-riale, economica e artistico-letteraria di studenti e dottori (Sitran Rea, 1996). Lo Studio divenne uno degli spazi dove analizzare i cambiamenti in atto nei se-coli bassomedievali, di cui fu catalizzatore e, insieme, elaboratore: la storia delle università venne esplorata con ricerche a crocevia di molte-plici discipline, che hanno fatto di questo ambito di studi un «cavallo balzano» della storiografia, secondo la fortunata definizione di Giro-lamo Arnaldi (1982, p. 82).
Negli ultimi decenni la ricerca ha posto in risalto l’importanza del-lo studio delle università “minori”, dal quale sono emersi importanti elementi di sperimentazione istituzionale, e ha avviato indagini sulle “frontiere” del sistema di istruzione, quelle che separavano le scholae
universitarie dagli insegnamenti impartiti pubblicamente nelle scuo-le di livello superiore – confini, come vedremo, altamente permeabi-li – e dagpermeabi-li studia generalia degli ordini mendicanti. Lo scavo erudito
indirizzato alla singola biografia è stato poi allargato a tratteggiare un quadro corale di storia degli uomini di cultura attivi in specifici con-testi sociali e politici (gli intellectuels legoffiani: cfr. par. 5.1), con un
ampio ricorso ad analisi di lunga durata, estese ben oltre la demarca-zione posta convenzionalmente tra l’età medievale e quella moderna. Gli affondi nella storia sociale, realizzati, quando possibile, anche
ri-introduzione
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correndo a metodi e orientamenti quantitativi, costituiscono uno dei più importanti e proficui tronconi delle attuali ricerche di storia delle università: queste analisi consentono di integrare i fondamentali stu-di delle dottrine perché «le idee hanno solo i piestu-di degli uomini per camminare; perché gli incontri e le situazioni esistenziali costituiscono la trama concreta alla quale si aggrappa, per salire in alto, il fiore del pensiero» (Padovani, 2014, p. 203).
Dagli anni Sessanta del xx secolo l’istituzione o la rivitalizzazione delle attività degli Istituti, delle Commissioni e dei Centri per la storia delle università hanno consentito la promozione di collane editoriali e di riviste in molti casi di grande rilievo, come quelle avviate, ormai mezzo secolo fa, dal Centro per la storia dell’Università di Padova (i “Contributi alla storia dell’Università di Padova”, le “Fonti per la storia dell’Università di Padova” e i “Quaderni per la storia dell’Università di Padova”). Accanto a questi centri di studio – risalenti, nel caso di Bolo-gna e di Padova, all’inizio del Novecento – è attivo dal 1997 il Centro in teruni versitario per la storia delle università italiane (cisui), che fun-ge da stimolo e da collettore degli indirizzi scientifici e metodologici seguiti dalla ricerca italiana; contestualmente alla fondazione di questo istituto ha preso avvio la prestigiosa rivista “Annali di storia delle uni-versità italiane”, strumento fondamentale anche per l’aggiornamento bibliografico. Lo sviluppo di ricerche concentrate sulla ricostruzione delle vicende istituzionali, culturali, sociali, economiche e politiche dei singoli atenei italiani ed europei ha costituito le premesse per gettare più sicuri sguardi d’insieme sulle vicende degli studia generalia. La
ste-sura di una vera storia unitaria e complessiva delle università italiane, di lungo periodo e di ampio respiro, vide la luce nel 2007 con i tre vo-lumi della Storia delle Università in Italia, risultato della
collaborazio-ne di un centinaio di studiosi di varia formaziocollaborazio-ne, dato che evidenzia la varietà degli indirizzi storiografici rappresentati (Brizzi, Del Negro, Romano, 2007). La storia delle istituzioni universitarie europee era già stata affrontata negli anni Novanta nelle due ampie opere collettive
Le università dell’Europa (Brizzi, Verger, 1990-95) e A History of the University in Europe (per l’età medievale: De Ridder-Symoens, 1992a),
nelle quali vennero percorse analisi comparate dell’organizzazione dell’insegnamento superiore, senza affastellare casi di studio locali ma con l’attenzione volta tanto alle peculiarità quanto ai caratteri comu-ni. Questi studi rappresentano un riuscito tentativo di percorrere un approccio globale alla storia delle università, seguendo i molti rivoli
le università nell’italia medievale
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tematici possibili, tra cui l’analisi del reclutamento, delle pratiche so-ciali e degli habitus propri di coloro che, durante la formazione negli studia, acquisirono caratteri che li distinsero chiaramente dagli altri
corpi della società.
Gli studi “locali” non sono naturalmente cessati: ogni storia di una istituzione universitaria è storia a sé, ricca di eccezioni, di varianti, di differenti opzioni dinanzi alle contingenze che hanno concorso a sa-gomare con precisione identità difficili da inserire in una modellizza-zione di fenomeni. Le elaborazioni più riuscite di storia di una singola università hanno portato una grande quantità di nuovi dati e tagli di ricerca: all’indispensabile indagine del profilo istituzionale e del si-stema didattico sono state aggiunte analisi di storia della storiografia universitaria, degli spazi urbani dedicati all’insegnamento, della pro-duzione libraria, dei collegi studenteschi e delle altre soluzioni di acco-glienza, delle espressioni iconografiche della vita dello studium. Questi
e altri temi hanno percorso la recente Storia dell’Università di Pavia
(Mantovani, 2012-17), riuscito frutto delle potenti spinte, anche eco-nomiche, date alla ricerca dalle celebrazioni di anniversari fondativi, le quali, a breve, offriranno certamente ulteriori risultati per gli studia
di Padova e di Napoli, prossimi a ricordare gli otto secoli trascorsi, nel primo caso, dalla prima secessio di studenti e maestri da Bologna verso
la città veneta (1222-2022) e, nel secondo, dalla volontà fondativa del sovrano Federico ii (1224-2024): due chiari esempi, tra spontanee mi-grazioni e atti calati “dall’alto”, della varietà delle “origini” delle antiche università.
Le nuove istanze di ricerca hanno richiesto agli storici delle univer-sità di rivolgersi a diversificate tipologie di fonti, su cui torneremo nelle pagine che seguono: ricordo qui le principali fonti ufficiali, costituite dagli statuti e dagli atti delle università, dei collegi, delle nationes, dai
rotoli degli insegnamenti, dagli atti di laurea, dai privilegi concessi agli
studia, dalle delibere e dalle decisioni delle autorità universitarie, dalle
matricole, dalle suppliche. Questa documentazione, via via più corpo-sa dal xiv secolo, deve essere arricchita con la legislazione scolastica messa a punto nei centri vicini o integrati nello Studio, come quella degli ordini mendicanti, i cui frati furono docenti e studenti attivissi-mi nelle facoltà di teologia. Per l’età medievale non è possibile parlare di un archivio universitario accentrato: la produzione e la conserva-zione di documenti avevano infatti luogo nelle diverse istituzioni che concorrevano al funzionamento dello studium generale. Sono quindi
introduzione
19
importantissimi gli archivi della curia vescovile e dei poteri pubblici (comuni e principati), delle universitates, delle nationes, dei collegi dei
dottori, dei collegia per studenti o degli altri enti che ebbero un ruolo
nella vita dell’università, come i depositi archivistici delle confrater-nite o del clero regolare, in particolare quelli dei conventi degli ordini mendicanti. Lo stesso studio dei luoghi e delle modalità di redazione e custodia di tale documentazione può risultare di grande interesse perché gli archivi rispecchiano la sorte dell’istituzione che li produsse: il graduale dissolvimento delle libertates acquisite dagli studenti delle
università più antiche, ad esempio, si coglie con evidenza nel generale declino delle attività di segreteria delle universitates scholarium, sempre
più esautorate dalle fasi di stesura dei ruoli dei professori e degli inse-gnamenti da attivare nonché dalla tenuta della matricola universitaria. Oltre alle fonti di natura istituzionale e amministrativa, lo storico delle università può indagare anche le tracce lasciate dalle esperienze di vita e dagli scambi economici degli universitari, testimoniate so-prattutto dalla documentazione notarile, e gli scritti, in massima parte raccolti dagli stessi studenti nei loro quaderni di studio, generati dalle pratiche di insegnamento e di apprendimento, come le dispute univer-sitarie (disputationes), gli appunti presi dagli studenti durante le
lezio-ni (reportationes) – in cui troviamo anche interessanti notizie
extra-scolastiche sulla vita quotidiana degli scholares e dei maestri –, i testi
curriculari, i commentari, i consilia e gli altri prodotti della didattica; a
questi si aggiungono gli inventari di biblioteche di professori, di collegi e di altre istituzioni. Il lascito della concreta esistenza dell’università nello spazio materiale e sociale della città è stato colto con profitto da analisi, di taglio fortemente interdisciplinare, condotte nell’universo degli oggetti materiali legati alla vita studentesca, tra cui edifici, spazi sepolcrali, insegne, e delle manifestazioni letterarie e artistiche, quali orazioni e prediche accademiche, storiografia universitaria, espressioni teatrali e musicali, tutte fonti ricche di elementi di rappresentazione di identità (un vasto campionario di tipologie di fonti è raccolto in De Boer, Füssel, Schuh, 2018).
La progressiva apertura delle dimensioni indagate emersa da que-ste rapide linee di storiografia universitaria si accompagnò a una va-rietà altrettanto ampia di possibili periodizzazioni che possono essere adottate. Nella storia delle università non troviamo infatti nette linee di faglia né nuovi tempi “presenti” che si sostituiscono a “passati”, se-condo la comune operazione di divisione dei fenomeni che gli storici
le università nell’italia medievale
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compiono nelle loro analisi: neppure il Trecento, secolo noto per le sue “crisi”, rappresenta uno snodo storiografico significativo, sebbene i drammatici eventi che lo hanno attraversato abbiano certamente inci-so in profondità sulla tenuta degli studia generalia (Pio, Parmeggiani,
2016). Sono semmai individuabili differenti criteri periodizzanti per la multiforme varietà di assi tematici (istituzionali, didattici e discipli-nari, sociali, politici) che concorrono alla storia universitaria. Ognu-no di essi ha diversi e peculiari ritmi di continuità e di cambiamento che, come è stato fatto nel presente studio, possono essere assunti quali criteri per «découper l’histoire en tranches» (“tagliare la storia a fet-te”), come recita il titolo di uno degli ultimi scritti di Jacques Le Goff (2014). L’osservazione della dimensione sociale delle università met-te in luce un generale consolidamento del prestigio e del radicamento nella società cittadina del doctor nel corso del Trecento; il piano
isti-tuzionale, fortemente condizionato da quello politico, è connotato da diversi ritmi e fasi di sperimentazione, con esiti anche molto diversi, mentre quello culturale e didattico – non considerando le “eccentri-che” figure di eccezionale statura intellettuale – resta maggiormente stabile e omogeneo, iniziando a conoscere una diffusa trasformazio-ne trasformazio-nel pieno Quattrocento, con il lento e disuguale ingresso trasformazio-nelle aule universitarie dell’Umanesimo, i cui indirizzi culturali si posero in dia-logo serrato, talvolta anche in aperta conflittualità, con il tradizionale sistema di discipline e i metodi della scolastica. Anche la vita materiale e la mentalità degli universitari, connesse entrambe a bisogni primor-diali, si mantennero fortemente inerziali nei secoli qui analizzati.
I diversi “ritmi” della storia universitaria non permettono, in questo ambito di studio più che in altri, di definire un dettagliato portolano per tracciare con sicurezza la rotta nella calma, spesso solo apparente, della continuità dei fenomeni o nella più frenetica navigazione tra gli snodi storiografici. La dimensione della trasformazione inizia a inte-ressare nel suo complesso il mondo delle università nella piena età mo-derna, quando vennero a completa maturazione fenomeni da tempo in atto, come la forte diminutio delle autonomie studentesche – una
svol-ta in questo senso fu la sostituzione del rettore degli studenti con un membro della componente dottorale – e la sopravvivenza con un ruolo puramente simbolico della figura del vescovo-cancelliere dello Studio, ancora chiamato per tutta l’età moderna a partecipare al cerimoniale della collazione dei gradi accademici ma svuotato di reale capacità di azione. Anche il “vocabolario” universitario si aprì ad aree semantiche
introduzione
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nuove: l’uso del medievale termine “università” si consolidò nei secoli successivi, ma perse l’originale significato di societas di studenti (uni versitas scholarium) per assumere quello moderno di istituzione
sco-lastica, cioè di università degli studi (universitas studiorum). I piani di
frattura nella storia delle università del xvi secolo interessarono anche le discipline, i testi delle autorità e l’impianto didattico: l’omogeneità dei saperi impartiti dalle cattedre universitarie, che era risultata deter-minante per la definizione di una cultura europea, si incrinò definiti-vamente sotto i colpi della dilagante Riforma e seguì la disgregazione dell’unità cristiana su cui si fondava la stessa nozione universalistica di studium generale. La polarizzazione confessionale e politica incise
pesantemente sulla circolazione di studenti e di maestri verso la “cat-tolica” Italia, con effetti ulteriormente aggravati dalle disposizioni del Concilio di Trento (1545-63), che segnarono il decisivo divaricamento delle università nelle due confessioni con l’emanazione, nel novembre 1564, della bolla In sacrosancta da parte del pontefice Pio iv, con la
quale si impose la professione di fede cattolica a coloro che esercita-vano l’insegnamento o aspiraesercita-vano ai gradi accademici. Le università, sempre più confessionali e specializzate, conobbero un processo di inevitabile regionalizzazione, favorito anche dalla formazione degli Stati nazionali, e tale indirizzo proseguì con maggiore evidenza nel Seicento, quando l’esclusivo privilegio di erogare l’alta formazione, da secoli assegnato agli studia, venne eroso dalle nuove alternative di
istruzione offerte dai collegi gesuitici e dai seminari istituiti dal Con-cilio tridentino.
Uno sguardo prospettico ipnotizzato dalla ricerca di elementi di persistenza e di cambiamento può certo portare a non riconoscere nelle università la loro natura di specifico “oggetto” storiografico, pro-dotto di una precisa temperie e funzionale a essa. In questo volume si è tentato di non osservare la storia delle università attraverso le lenti interpretative della modernità, è tuttavia difficile negare la percezione di una certa “aria di casa” nell’idea di universitas di uomini di cultura:
qualsiasi orientamento istituzionale l’abbia ispirata (cfr. par. 1.3), l’u-niversità del Medioevo, così come quella contemporanea, era costitui-ta da magistri e studenti che volontariamente aderivano,
formalizzan-do questo atto attraverso l’iscrizione nella matricula, a una istituzione
organizzata secondo regole condivise. Questo avvenne – e anche qui le connessioni con il presente sono forti – in un contesto di grande mobilità fisica, culturale e sociale, nonché in una dimensione di
tran-le università nell’italia medievatran-le
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sitorietà, connaturata alla condizione dello studente, chiamato a un inevitabile cambio di stato che poteva realizzarsi con il conseguimento dei gradi accademici – passaggio che, «così come il bruco compie il suo destino assumendo la natura di farfalla» (Romano, 2000, p. 5), lo avrebbe reso a sua volta un potenziale magister – o con l’interruzione
degli studi una volta acquisita la formazione universitaria ritenuta suf-ficiente per avviarsi lungo personali itinera professionali ed esistenziali.