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è la pace di cui, a sua volta, si fece araldo il nostro padre san Francesco

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Academic year: 2021

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BONAVENTURA DA BAGNOREGIO (1221-1274)

BONAVENTURA DA BAGNOREGIO,Breviloquium, Prologo: «Poiché la teologia è un discorso (sermo) su Dio e sul primo principio, e poiché essa, come scienza e dottrina altissima risolve ogni cosa in Dio come nel primo e sommo principio, per questo motivo nel determinare le ragioni (in assignatione rationum) di tutto ciò che è contenuto da cima a fondo in questo opuscolo o trattatello, mi sono sforzato di trarre sempre il fondamento di ogni dimostrazione (rationem sumere) dal principio primo, così da poter mostrare che la verità della sacra Scrittura è da Dio, è su Dio, è secondo Dio e ha Dio come fine (a Deo, de Deo, secundum Deum et propter Deum) e far sì che questa scienza correttamente appaia essere una, e ordinata, e propriamente meritevole del nome di teologia».

BONAVENTURA DA BAGNOREGIO, Itinerario della mente in Dio, Prologo, 1,:

«Invoco, in principio alle mie considerazioni, il Primo principio (in principio primum principium): da Lui, padre della luce, discende ogni luce del nostro spirito:

da Lui proviene ogni più bel dono, ogni regalo perfetto (Giac., 1, 17). Invoco l’eterno Padre, nel nome del Figlio suo, il Signore nostro Gesù Cristo: voglia Egli, per intercessione di Maria, la vergine santissima, la madre di Cristo, nostro Dio e nostro Signore, e per l’intercessione di San Francesco, nostra guida e nostro padre, rendere luminosi gli occhi del nostro spirito (Ef 1,17) e dirigere i nostri passi sulla via di quella pace che trascende ogni nostra comprensione (Lc 1,79; Fil 4,7). È la pace che il Signore nostro Gesù Cristo portò come lieto annunzio e donò al mondo;

è la pace di cui, a sua volta, si fece araldo il nostro padre san Francesco. (2) Sull’esempio del beatissimo padre Francesco, anch’io, peccatore –che, del tutto indegno, prendo il suo stesso posto, come settimo ministro dopo la sua morte, nel sevizio generale dei fratianch’io andavo cercando con avido spirito questa pace.

Perciò, trentatrè anni dopo la morte di Francesco, nel tempo in cui se ne commemorava la ricorrenza, mi ero per divina ispirazione ritirato sul monte della Verna, luogo tranquillo, dove avrei potuto saziare l’amorosa ricerca della pace interiore. Ed ecco: in quel ritiro, mentre andavo discutendo dentro di me alcuni metodi con i quali la nostra mente può salire a Dio, mi si fece innanzi, fra le altre considerazioni, questo prodigio che proprio lassù era accaduto a san Francesco (dum mente tractarem aliquas mentales ascensiones in Deum, inter alia occurrit illud miraculum): la visione (visio) in cui gli apparve un Serafino alato, in forma di crocefisso. Meditando su tal prodigio, immediatamente intuii come quella visione ci mette davanti agli occhi lo stadio finale della contemplazione, il traguardo che il Padre aveva raggiunto e la strada per la quale vi si arriva. (3) Ecco infatti: le sei ali del Serafino (cfr. Is 6,1-4) si possono a buon diritto identificare con i sei stadi (sospensiones), in cui l’anima, passando di luce in luce, viene preparata, come di scalino in scalino o di tappa in tappa, a raggiungere la pace, che essa poi attinge con

le estasi, di cui la sapienza cristiana inebria la mente. La strada poi è solo questa: un amore ardentissimo per il crocefisso (…) Uno, poi, non è per niente preparato alla contemplazione delle realtà divine, che fa pervenire il nostro spirito all’estasi, se non la desidera intensamente; se non è anche lui come Daniele, che la Scrittura chiama

‘uomo di desiderio’ (Dan 9,23). Ebbene, due sono i mezzi che fanno sprigionare in noi questo desiderio: il grido della preghiera che erompe ruggendo dal fremito del cuore; e la speculazione che con il suo splendore mette la mente di fronte alla Luce, con la massima immediatezza e intensità (Desideria autem in nobis inflammantur dupliciter, scilicet per clamorem orationis, quae rugire facit a gemitu cordis, et per fulgorem speculationis, qua mens ad radios lucis directissime et intensissime se convertit).

Ibid., I,1: «Essere beato significa solo questo: fruire del Sommo Bene. Il Sommo Bene è una realtà che ci trascende; perciò nessuno può attingere alla beatitudine se non si eleva al di sopra di se stesso, certo non fisicamente, ma con lo slancio del cuore (Cum beatitudo nihil aliud sit, quam summi boni fruitio; et summum bonum sit supra nos: nullus potest effici beatus, nisi supra semetipsum ascendat, non ascensu corporali, sed cordiali). D’altra parte noi non possiamo elevarci al di sopra di noi stessi, se non in forza di una virtù che ci eleva».

Ibid., I,2: «Partiamo da questa considerazione: per noi uomini, nella nostra situazione di fatto, la realtà stessa dell’universo è scala per salire a Dio. Difatti, tra le cose, alcune sono un’impronta (vestigium) di Dio, altre ne sono una immagine (imago) dato che alcune sono di natura corporea e altre sono di natura spirituale;

alcune sono al di fuori di noi e altre sono dentro di noi. (…) Occorre prima di tutto che passiamo per la via retta, cioè che passiamo attraverso le sue (di Dio) impronte, contenute nelle realtà corporee, temporali, che si trovano fuori di noi. Occorre poi che penetriamo nella verità di Dio, cioè che ci ritiriamo nell’interno della nostra mente, la quale è immagine perenne e spirituale di Dio e si trova dentro di noi.

Occorre, al fine, che il nostro cuore gioisca per la scoperta di Dio e nell’umile adorazione della sua Maestà; cioè occorre che trascendiamo fino alla realtà eterna, puramente spirituale, che è al di sopra di noi. Allora potremo fissare lo sguardo nel Primo Principio».

Ibid. I, 3: «Queste tre tappe (…) rispecchiano i tre modi in cui le cose esistono:

come realtà materiali, come realtà intellettuali, come idee eterne nella mente creatrice (…). (I,4) Nelle tre tappe, di cui stiamo parlando, la nostra anima si presenta a noi principalmente sotto tre aspetti: come anima sensibile, quando si rivolge alle realtà corporee, al di fuori di sé; come spirito, quando si rivolge a riflettere su se stessa, restando dentro di sé; come mente, quando si volge alle realtà che sono al di sopra di lei. (…) (I, 5) Tuttavia, ognuno di questi modi di salire a Dio

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si sdoppia, a secondo che noi ci prospettiamo Dio come Primo Principio o come Fine Ultimo».

Ibid., I, 10 [primo stadio]: «Nella prima fase, quella in cui osserva le cose intellettualmente, (la mente) riscontra nelle cose peso, numero e misura (…). Queste caratteristiche delle cose sono come impronte da cui la mente si sente sollecitata ad innalzarsi fino alla potenza, alla sapienza, alla bontà immense di Colui che le ha create. Nella seconda fase, quella in cui osserva le cose dal punto di vista della fede, il nostro pensiero si sofferma a considerare il fatto che esse hanno un’origine, uno svolgimento ed un fine (…). Nella terza fase, quella in cui indaga con la ragione, il nostro pensiero vede che, tra le cose, alcune possiedono solo l’esistenza; altre possiedono esistenza e vita, altre infine, possiedono esistenza, vita e intelligenza.

(…) Deduce così che esistono alcune realtà immutabili e incorruttibili».

Ibid., II, 1 [secondo stadio]: «È possibile contemplare Dio non solo attraverso le creature, che sono, per così dire, le sue impronte, ma proprio dentro le creature (…).

(I, 4) Per mezzo dell’apprendimento nella nostra anima penetra tutto il mondo sensibile (…) (I,5) L’apprendimento, se l’oggetto appreso è conveniente, produce diletto. (…) (I,26) All’apprendimento ed al diletto segue il giudizio (…). Il giudizio valuta anche perché quella determinata cosa ci procura diletto».

Ibid., III, 1 [terzo stadio]: «D’ora in poi, e siamo alla terza tappa, rientriamo nell’intimità della casa, lasciandoci la porta alle spalle. (…) La tua anima ama se stessa con amore intensissimo. Ora, come potrebbe amarsi, se non si conoscesse?

D’altra parte non potrebbe conoscersi se non avesse presente il ricordo di se stessa (…). Osservando questo procedimento, tu verifichi che la tua anima è dotata di tre facoltà: memoria, intelletto e volontà».

Ibid., IV, 1 [quarto stadio]: «Ci tocca ora contemplare il Primo Principio non più risalendo da noi stessi a Lui, ma proprio restando in noi stessi. (…) Bisogna insomma che la nostra anima, immagine di Dio, venga dall’alto rivestita delle tre virtù teologali le quali la purificano, la illuminano e la rendono perfetta».

Ibid., V, 1 [quinto stadio]: «Come abbiamo già detto, a noi è dato contemplare Dio non solo nelle realtà che sono fuori di noi e dentro di noi, ma anche in quelle che sono al di sopra di noi. Fuori di noi, lo contempliamo nelle sue orme; dentro di noi, lo contempliamo nella sua immagine; al di sopra di noi, lo contempliamo quando scopriamo quella Luce della verità eterna che è impressa come un sigillo nella nostra mente. (V, 3) Se dunque vuoi contemplare le realtà invisibili di Dio e, precisamente, l’Unità della sua essenza, prima di tutto fissa lo sguardo nell’Essere in se stesso. Vedrai, allora, come l’essere in se stesso deve per forza esistere: non si

può pensare che non è, dato che il purissimo essere comporta la totale esclusione del non-essere».

Ibid., VI, 1 [sesto stadio]: «Dopo aver considerato gli attributi che si riferiscono all’essenza di Dio, il nostro spirito deve ora fissare lo sguardo nella contemplazione della Trinità beatissima (…) (VI, 2) Il bene per definizione è tale che comunica se stesso agli altri; perciò il Sommo Bene è tale che comunica se stesso agli altri in maniera somma. (…) Ma il Sommo Bene non potrebbe donare in maniera somma tutto se stesso se non producesse per donarsi una realtà attuale e consustanziale a se stesso, un’ipostasi della stessa eccellenza di colui che la produce».

Ibid., VII, 1 [l’estasi]: «In questi sei stadi, l’anima dapprima contempla Dio attraverso le sue impronte e nelle sue impronte, diffuse nelle realtà sensibili che sono al di fuori di lei. Poi lo contempla attraverso la sua immagine e nella sua immagine, che è impressa dentro di lei. Finalmente lo contempla, in una realtà a lei superiore, attraverso quella Luce divina che risponde sopra di noi e che rende l’anima una similitudine di Dio. (…) L’anima giunge così a questo sesto stadio (…) vede e contempla quelle realtà che non hanno alcun riscontro nel mondo creato e che eccedono totalmente la potenza indagatrice del nostro intelletto. Le resta un ultimo passo: trascendere, mediante la contemplazione di queste realtà, e oltrepassare non solo l’angusto panorama del mondo sensibile, ma perfino se stessa.

(…) (VII, 4) Affinchè però questo passaggio sia perfetto, è necessario che qui ogni attività intellettuale venga sospesa e che l’anima si trasfonda e si trasformi completamente in Dio con la pura fiamma dell’amore. È questa la dolcezza mistica e segretissima; nessuno la conosce se non chi la riceve; nessuno la riceve, se non chi la desidera; nessuno la desidera, se non chi è infiammato fin nelle midolla del fuoco dello Spirito Santo (…) (VII, 7) Se poi ti domandi come avviene una simile esperienza, chiedilo alla grazia non alla dottrina; all’ardore del desiderio non al calcolo della ragione; alla preghiera ed alla supplica, non allo studio. Chiedilo allo Sposo, non al maestro; a Dio, non all’uomo; alla tenebra, non alla chiarità; non alla luce, ma al fuoco: è il fuoco che ti infiamma tutto e tutto ti trasfonde in Dio, con l’esuberanza del pio affetto e con l’ardentissima fiamma dell’amore. Dio è questo fuoco».

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