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RELAZIONE PER IL CONSEGUIMENTO DELLA LAUREA SPECIALISTICA IN INGEGNERIA

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F

ACOLTÀ DI

I

NGEGNERIA

RELAZIONE PER IL CONSEGUIMENTO DELLA LAUREA SPECIALISTICA IN INGEGNERIA

MECCANICA

“Progettazione di una gruetta con struttura in materiale composito per impieghi nautici”

RELATORI IL CANDIDATO

_________________________ ___________________

Prof. Ing. Marco Beghini Andrea Verdigi

Dipartimento di Ingegneria Meccanica Nucleare e della Produzione

_________________________

Dott. Ing. Giuseppe Manfredi

IGM di Oyelami & C. S.a.s

______________________

Prof. Ing. Leonardo Bertini

Dipartimento di Ingegneria Meccanica Nucleare e della Produzione

Anno Accademico 2008-2009

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INDICE

Sommario ed Abstract ... 3

1 - Introduzione ... 4

2 - Indagine preliminare di mercato ... 4

3 - Descrizione del lavoro svolto e sviluppo del progetto... 6

4 - Conclusioni e possibili sviluppi ... 57

5 - Allegati ... 59

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Sommario

Il presente documento tratta la progettazione di una gruetta (davit) con struttura in materiale composito per impieghi nautici. Tale macchina è destinata ad essere installata su imbarcazioni di lusso quali Yacht e Super Yacht per le operazioni di alaggio e varo di tender, gommoni, moto d’acqua ed altri natanti simili che spesso si trovano a bordo nave. L’idea di sviluppare un progetto costruttivo impiegando materiali compositi è nata sia dalle esigenze sempre più stringenti da parte dei costruttori navali di limitare i pesi delle apparecchiature installate a bordo, sia dall’esigenza commerciale di creare un prodotto con caratteristiche “innovative” rispetto a quelli già presenti sul mercato. Nel seguito del documento sarà descritto l’iter progettuale della macchina, dall’indagine di mercato alle principali scelte costruttive, soffermandosi in particolar modo sugli aspetti legati all’impiego di materiale composito.

Il lavoro descritto è stato prevalentemente svolto presso l’azienda “

IGM di Oyelami & C. S.a.s.

Progettazione, studio, consulenza e vendita di macchine ed impianti

con sede a Viareggio in via F.D.

Guerrazzi N°41, che ha decennale esperienza, fra l’altro, nei settori del sollevamento e della nautica.

Abstract

The present document is about the design of a davit with composite material structures for nautical use. This machine is destined to be installed on luxury boats such as Yacht and Super Yacht for hauling and launching tenders, motorized inflatable dinghies, jets ski and other similar craft that often are on board. The idea of work out a constructive plan using composite materials is born by the more and more tightened requirements of naval constructors to limit the weight of the devices installed on board and by the trade requirement to create a product with innovative features in comparison with those already on the market. The sequel of document will describe the davit’s planning procedure, from the market investigation to the main constructive choices, and in particular way, the aspects on the use of composite materials.

The described work has been developed at the business “

IGM di Oyelami & C. S.a.s.

Progettazione, studio, consulenza e vendita di macchine ed impianti

situated in Viareggio, F.D. Guerrazzi street N°41, which has high experience in lifting and nautical application.

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1 - Introduzione

Il lavoro svolto per la progettazione della gruetta in oggetto ha avuto inizio con un’indagine di mercato con lo scopo di visionare le macchine già presenti sul mercato. Dopo tale indagine è stata redatta la specifica tecnica sulla base della quale si è proceduto al dimensionamento dei gruppi funzionali e strutturali della macchina. Contemporaneamente a ciò è stata eseguita la relazione di calcolo utilizzando anche, dove necessario e vantaggioso, il metodo degli elementi finiti. Sono stati inoltre eseguiti i disegni di tutti i gruppi della macchina e dei principali elementi strutturali quali i componenti realizzati in materiale composito.

2 - Indagine di mercato preliminare

Durante la prima fase del lavoro è stata svolta un’indagine di mercato con lo scopo di analizzare i vari prodotti già esistenti sul mercato e soprattutto le loro caratteristiche tecnico-costruttive. Tale indagine è stata effettuata prevalentemente via web visitando i siti delle ditte costruttrici di questo tipo di macchine. Nell’analizzare i vari prodotti trovati si è posta particolare attenzione ad alcune caratteristiche quali la tipologia costruttiva (gruette telescopiche, pieghevoli ecc.), alla

“taglia” (dimensioni, portata, sbraccio massimo del carico, angolo di brandeggio ecc.), ai materiali impiegati e soprattutto al loro peso complessivo.

Le gruette di nostro interesse trovate in rete sono generalmente di tipo telescopico, a singolo o a doppio sfilo con portate variabili da 300 kg a 1.500 kg e sbraccio variabile circa da 2.500 mm a 4.500 mm. La maggior parte di queste gruette sono realizzate in acciaio inox verniciato o lucidato, ad eccezione di poche macchine (le più prestazionali) in cui viene impiegato alluminio. Il sollevamento viene esercitato tramite argano o molto più frequentemente tramite cilindro oleodinamico traente con un sistema di pulegge “taglia rovescia”. Per quanto riguarda i pesi di queste macchine si può dire, “empiricamente” e statisticamente, che essi hanno un valore pari a circa il 90 % della loro portata, valore che scende a circa il 70 % per le gruette in alluminio. Ciò vuol dire che una gruetta della portata di 1.000 kg ne pesa circa 900 kg, circa 700 kg se in alluminio. Per dare un idea del campo di applicazione e delle tipologie di macchine qui descritte, si riportano di seguito alcune immagini (tratte dal web) di gruette attualmente commercializzate.

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Fig. 1 – gruetta da fly

Fig. 2 – gruetta da fly

Fig. 3 – gruetta da fly

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3 - Descrizione del lavoro svolto e sviluppo del progetto 3.1 - Scelte preliminari di progetto

All’inizio del lavoro tramite la stesura della specifica è stata scelta la “taglia” della macchina da progettare basandoci oltre che sull’indagine di mercato anche sulle indicazioni fornite da clienti dell’azienda e sull’esperienza della stessa nel settore della nautica. Infatti i tender posizionati sui ponti alti (fly) di yacht di media grandezza hanno una massa attorno agli 800 kg e dimensioni di ingombro limitate (circa 2x4 m) e le gruette destinate alla loro movimentazione sono inoltre generalmente posizionate con l’asse di rotazione vicino ai margini dei ponti (pavesate).

Considerando ciò, si è deciso di progettare una macchina della portata di 1.000 kg con uno sbraccio dall’asse di rotazione pari a 3.500 mm. Si è pensato infatti che una gruetta di questa taglia possa “coprire” una buona fetta di mercato.

Contemporaneamente alla taglia della macchina si sono definite le caratteristiche fondamentali da conferire al prodotto finale. La prima caratteristica è la leggerezza. Tali macchine, come detto, vengono spesso installate sui ponti superiori delle imbarcazioni e cioè la dove la massa della gruetta influisce in modo maggiore sia sulle proprietà inerziali legate soprattutto al moto di rollio della nave, sia in particolar modo sulla resistenza e sulla deformazione delle sovrastrutture del natante che per motivi di leggerezza e di design sono spesso molto sollecitate. Da questi motivi, in particolar modo il secondo, si intuisce facilmente la grande importanza che riveste il peso della macchina in questo tipo di applicazione. Oltre alla leggerezza sono state individuate altre due proprietà di fondamentale importanza soprattutto dal punto di vista commerciale. La prima è la necessità di introdurre sul mercato un prodotto con caratteristiche di innovazione rispetto alle gruette normalmente commercializzate. Infatti un marchio che si va a proporre per la prima volta su un mercato in cui operano già altri costruttori conosciuti ed affermati, può aumentare la propria probabilità di emergere offrendo al cliente un prodotto nuovo e di caratteristiche superiori rispetto ai prodotti standard commercializzati dalle ditte concorrenti. L’altra proprietà di fondamentale rilevanza commerciale è l’aspetto estetico della gruetta la quale come detto deve essere installata in un ambiente in cui il lusso e la bellezza sono spesso le prime proprietà che vengono valutate per la scelta di un prodotto.

Dopo essersi posti i suddetti obiettivi si è passati alla definizione di massima della gruetta scegliendo quindi la tipologia costruttiva, il sistema di sollevamento, il tipo di attuatori ed i materiali da impiegare. Per quanto riguarda la tipologia costruttiva, viste le contenute dimensioni dell’oggetto si è deciso di utilizzare un braccio telescopico a singolo sfilo (due elementi scorrevoli uno dentro l’altro) dotato di movimento di brandeggio e collegato ad una ralla motorizzata per la rotazione dell’intera gruetta. Riguardo al sistema di sollevamento si è optato per l’adozione di un argano (winch). La scelta di questo tipo di sistema rispetto ad esempio ad un cilindro traente è stata dettata principalmente da fattori dimensionali quali ad esempio la corsa gancio, gli ingombri,

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la disposizione di montaggio ecc. Gli attuatori di moto impiegati sulla macchina sono stati scelti dopo aver deciso il tipo di energia con cui alimentare la gruetta. Fra le energie a disposizione e cioè elettrica od idraulica (oleodinamica), si è scelto dopo una breve comparazione la seconda.

Infatti tale tipo di alimentazione comporta l’impiego di attuatori con ottimi rapporti peso/ingombri e peso/prestazioni ed inoltre essendo i movimenti di sfilo e di brandeggio del braccio generalmente realizzati tramite cilindri oleodinamici, il fatto di impiegare anche per gli attuatori rotanti l’energia idraulica permette di avere un solo tipo di alimentazione per gli azionamenti “di potenza” della gruetta. Ovviamente a bordo macchina è presente anche l’alimentazione elettrica per il funzionamento dei dispositivi di comando e controllo che sono per ovvi vantaggi di tipo elettrico e/o elettronico.

L’ultima fra le scelte preliminari di progetto, ma forse la più importante, è stata quella sui materiali da impiegare nei vari componenti della macchina. Per questo si è cercata una soluzione che potesse racchiudere in se il maggior numero di caratteristiche sopra menzionate. Da queste esigenze è scaturita la decisione di impiegare materiale composito per la realizzazione di alcune parti strutturali della macchina. Questa scelta trova giustificazione nel fatto che questo materiale ad alte prestazioni specifiche comporta una notevole riduzione di peso a parità di caratteristiche tecniche. Nell’ambito dei materiali compositi rinforzati con fibre si è scelto a livello generale di utilizzare compositi con fibre di carbonio a matrice epossidica. Tale scelta è stata fatta considerando le elevate caratteristiche meccaniche di questo tipo di materiale e la sua ormai larga diffusione, fatto che rende disponibili molte informazioni tecniche sulle sue applicazioni, sulla tecnologia costruttiva, sui pregi ed i difetti nei vari settori ecc. L’impiego di questo tipo di materiale produrrebbe inoltre “l’innovazione” sopra citata, cioè lo “step” successivo rispetto alle attuali gruette in alluminio od acciaio inox. Il carbonio (qui inteso come materiale composito) potrebbe inoltre contribuire, se ben realizzato, all’aspetto estetico della macchina grazie alla sua particolare apparenza che gli da un senso di materiale “Hi Tech” spesso molto apprezzato dagli utenti. Inoltre questo materiale è oramai pesantemente utilizzato nella nautica per la realizzazione di molti altri elementi anche estremamente importanti e costosi come ad esempio gli alberi (alti anche 60-70 m) delle più prestigiose e/o prestazionali imbarcazioni a vela. Per legittimare tale scelta soprattutto da un punto di vista economico, essa deve essere valutata nel contesto di installazione e d’uso previsto per questo tipo di oggetto. Come accennato infatti nell’introduzione, questa gruetta è stata progettata per il mercato della nautica prevedendo la sua installazione su imbarcazioni di lusso (yacht e super yacht) le quali una volta completate ed allestite hanno un costo di decine di milioni di euro (circa di un milione di euro per metro di lunghezza dello scafo). Si può facilmente comprendere che a differenza di una normale applicazione industriale (ad esempio l’impiego su una nave cargo o altra imbarcazione da lavoro) in cui conta l’affidabilità, la sicurezza, la durata e soprattutto l’economia di acquisto e manutenzione; in questo caso oltre come detto alla riduzione dei pesi, rivestono un ruolo fondamentale l’aspetto estetico e le caratteristiche “di

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innovazione” del prodotto. Questi ultimi due aspetti che in un normale contesto industriale sarebbero razionalmente subordinati alle caratteristiche meccaniche ed al costo della macchina, sono quelli che, in questa specifica applicazione, possono determinare o meno il successo commerciale dell’oggetto, superando spesso per importanza le caratteristiche funzionali del prodotto e gli aspetti economici della fornitura.

Questo fatto può essere spiegato soltanto considerando il gran lusso che si può trovare a bordo di queste barche e quindi anche la propensione ed il vanto da parte degli armatori ad avere a bordo l’oggetto “migliore” che si traduce spesso in “più bello” o “alla moda”. Per tali motivi il costo del prodotto, se pur sempre molto importante, è in questo caso subordinato alle caratteristiche sopra citate.

Una volta eseguite queste scelte preliminari di indirizzo costruttivo, si è passati alla progettazione di dettaglio della macchina, le cui soluzioni tecniche saranno descritte nelle pagine seguenti.

3.2 - Suddivisione in gruppi funzionali della macchina

La gruetta completa così come è stata ideata è composta da una parte strutturale e da meccanismi. Come detto si è optato per l’utilizzo di un argano come sistema di sollevamento del carico. La macchina completa comprende perciò un argano di sollevamento che per le ragioni in seguito esposte è stato progettato “ad hoc” per questo tipo di macchina. Per tale motivo la sua descrizione verrà esposta in un paragrafo separato visto che potrebbe anche costituire una macchina autonoma a se stante.

Il resto della gru è sostanzialmente suddiviso fra braccio telescopico e colonna portante collegata ad una ralla per la rotazione. Il braccio telescopico è a sua volta suddiviso nel braccio principale (in seguito semplicemente braccio) e nell’allunga scorrevole (in seguito sfilo o sbraccio). Sui vari elementi sono posizionati gli attuatori che ne realizzano i movimenti. Tali gruppi funzionali verranno descritti nei paragrafi successivi.

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3.3 - Argano (winch) da sollevamento da 9.810 kN (1.000 kg)

In questo paragrafo come detto sarà descritto il progetto dell’argano ideato appositamente per questa macchina (gruetta) e le scelte che hanno portato al risultato finale. Per prima cosa si è cercato fra i prodotti commercializzati da diverse ditte del settore (Brevini, Dinamic Oil ecc.) un argano che potesse rispondere ai nostri requisiti tecnici. Tali prodotti purtroppo, essendo pensati per un impiego industriale, presentano delle caratteristiche non accettabili per questa applicazione. In primo luogo la maggior parte dei prodotti della portata voluta (10 kN) ha una massa superiore ai 50 kg. Avendo come obiettivo la minimizzazione dei pesi, questo valore è secondo noi eccessivo in quanto considerando la portata della macchina vorremmo un prodotto con una massa attorno ai 40 kg. Inoltre questi argani sono generalmente abbastanza ingombranti il che influisce ovviamente sull’ingombro della macchina finita e quindi sull’impatto estetico della stessa. Dopo aver quindi scartato alcuni prodotti per le ragioni suddette è rimasta una sola macchina (fra quelle analizzate) che fosse nei limiti di peso e di ingombro voluti. Questa unità ha però una velocità di sollevamento (con un tratto di fune) di circa 20 m/min cioè circa 4 volte superiore alla velocità voluta. Questo deriva molto probabilmente dal fatto che dette macchine vengono comunemente impiegate su gru navali, autogru ecc. dove si impiegano generalmente 2, 4 o più tratti di fune con l’utilizzo di bozzelli, pulegge di rinvio ed ancoraggio della fune ad un capo fisso. Nella nostra applicazione invece le corse gancio sono sempre limitate (~ 6-8 m) e viene generalmente adottato il sollevamento a tiro diretto (vedere anche le immagini nel cap.2) che permette di eliminare l’utilizzo del bozzello che oltre ad essere una parte meccanica in più, può presentare l’inconveniente della rotazione del carico e del conseguente intreccio o sfregamento dei tratti di fune, fatto non da escludere se si considera i movimenti di rollio della barca e le possibili raffiche di vento che possono investire il carico (tender, gommoni ecc.) ed indurlo in rotazione durante il sollevamento.

Alla fine delle precedenti considerazioni si è così deciso di progettare un winch appositamente per questa gruetta e comunque installabile anche su altre macchine simili. Il risultato finale di detta progettazione è rappresentato nelle seguenti figure.

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fig.4 – Winch da sollevamento (per ragioni di visibilità non è rappresentato il carter di protezione)

Fig.5 - Winch da sollevamento (lato opposto)

La scelta costruttiva più importante per l’ideazione della macchina è stata quella relativa al sistema di trasmissione da impiegare. Gli argani analizzati in precedenza impiegano generalmente un sistema di riduzione epicicloidale sistemato all’interno del tamburo di sollevamento con rapporti di trasmissione di circa 5:1. Nel nostro caso vista la bassa velocità di sollevamento ~ 5 m/min tale rapporto risulta troppo piccolo. L’altro problema è che per limitare gli ingombri e la

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coppia di sollevamento sul tamburo si è cercato di ridurre il più possibile il diametro di quest’ultimo cosicché risulta impossibile realizzare un sistema epicicloidale all’interno dello stesso.

L’utilizzo di diametri di avvolgimento ridotti è reso possibile dall’impiego di funi tessili rinforzate (spectra) che non risentono dei problemi causati da eccessiva curvatura come avviene invece sulle funi metalliche soggette per questo a problemi di affaticamento. Si è così optato per una trasmissione a vite senza fine posizionata a fianco del tamburo. Anche per questo particolare si è dapprima cercato fra le ditte specializzate dei prodotti commerciali già pronti. Purtroppo anche in questo caso detti riduttori a vite sono sempre risultati troppo pesanti e spesso anche eccessivamente ingombranti. Partendo perciò da una coppia vite-ruota trovata a catalogo, si è dimensionato il sistema di trasmissione completo da installare sul winch. La coppia vite-ruota è composta da una vite a 3 principi e da una ruota di 35 denti di modulo 4,5 ed ha quindi un rapporto di trasmissione pari a 11,67, rapporto che unitamente al ridotto diametro del tamburo ed alla bassa velocità di rotazione del motore (idraulico) permette di ottenere la velocità di sollevamento cercata. Detto sottogruppo di trasmissione è composto da un blocco in alluminio lavorato (1) all’interno del quale viene posizionata la vite senza fine (2) supportata da due cuscinetti a rulli conici (3) fra loro contrapposti e disposti ad “O”.

Fig.6 – Sistema di trasmissione. Indicazione dei principali componenti citati nel testo

L’alluminio impiegato per questo particolare e per molti altri particolari della macchina appartiene alla serie 6082 con stato fisico T6. Gli elementi di lega di questa serie (6000) sono alluminio, magnesio e silicio che conferiscono al materiale la possibilità di subire trattamenti termici e

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raggiungere così delle elevate caratteristiche meccaniche che unitamente alla buona resistenza agli agenti atmosferici e chimici lo rendono particolarmente adatto per impieghi strutturali. Il vantaggio di utilizzare leghe di alluminio anziché acciaio, laddove non ci siano problemi legati alla rigidezza od alla resistenza (soprattutto a fatica) del materiale, risulta evidente se si pensa al risparmio di peso che ne consegue.

Ritornando al gruppo di trasmissione, il blocco sopra detto è dotato di un estremità alla quale viene applicata una flangia di accoppiamento (4) per poter interfacciare il motore ed il freno di sollevamento che verranno descritti in seguito. La flangia (4) ha anche la funzione di compattare delle molle a tazza disposte “in parallelo” (subiscono tutte la medesima deformazione) che a loro volta impongono il precarico necessario ai cuscinetti conici contrapposti (3).

Fig.7 – Sistema di trasmissione. Indicazione dei principali componenti citati nel testo

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Al di sopra del blocco viene posizionato un componente (5) che costituisce in un sol pezzo le due portate per i cuscinetti a rulli a botte (6 e 7) che sostengono la ruota dentata (8) montata su di un albero (9) tramite profilo scanalato. Il pezzo che funge da portata dei cuscinetti è realizzato anch’esso in alluminio e viene montato sul blocco vite tramite 6 viti prigioniere mordenti sul pezzo stesso. Il tutto viene poi montato sul telaio dove avviene il serraggio del tutto tramite dadi in presa sui prigionieri stessi. La bulloneria impiegata sulla macchina è tutta in acciaio inox classe A4 (AISI 316) con carico di snervamento uguale o superiore a 450 Mpa. La vite senza fine e la ruota dentata per ovvi motivi di resistenza (soprattutto a fatica) sono invece in acciaio 39 NiCrMo3 bonificato.

Quest’ultimi due componenti si trovano completamente racchiusi nelle loro “scatole” e risultano quindi sufficientemente protetti dagli agenti atmosferici e quindi dalla corrosione. Vista la bassa velocità di rotazione ed il servizio fortemente intermittente della macchina che escludono elevati incrementi di temperatura, la lubrificazione dell’ingranaggio viene fatta tramite applicazione di grasso al montaggio ed eventualmente tramite aggiunte dello stesso durante i normali interventi di manutenzione ordinaria eseguita da personale qualificato. L’albero di trasmissione scanalato (9), come quasi tutti gli assi ed elementi simili impiegati nell’argano e nella la gruetta, è costituito in acciaio inox 17-4 PH (Precipitation Hardening). Questo materiale generalmente adoperato nella nautica e facilmente reperibile sotto forma di barre ha una buona resistenza alla corrosione ed agli agenti atmosferici inoltre, a differenza dei “tradizionali” acciai inox, ha delle elevate caratteristiche meccaniche (a scapito della duttilità), spesso superiori a molti acciai da bonifica. Queste caratteristiche di resistenza alla corrosione ed in particolare l’elevato limite di fatica lo rendono adatto per la realizzazione di componenti quali assi ed alberi soggetti a carichi ciclici e che devono operare in ambiente “aggressivo” quale può essere quello marino.

Tornando alla descrizione, la ruota dentata poggia (fa battuta) da un lato su uno spallamento ricavato sull’albero scanalato mentre dall’altro è trattenuta tramite un distanziale dal cuscinetto (6) fissato assialmente tramite un elemento di bloccaggio serrato sull’albero (9) con una vite. Il tutto viene poi fissato assialmente sulla scatola (5) tramite quest’ultimo cuscinetto (6) che poggia da un lato su una battuta ricavata sulla relativa portata e viene bloccato sul lato opposto da un tappo (10) fissato tramite viti alla portata stessa. Si costituisce così il riferimento assiale di tutto il gruppo e del tamburo di avvolgimento della fune che è a sua volta fissato all’albero scanalato come verrà di seguito descritto. Il tamburo di avvolgimento della fune (11) è realizzato in alluminio (6082) tramite un tubo a cui sono saldate due “testate” per il suo collegamento agli altri componenti. Le sue dimensioni sono come accennato molto ridotte in quanto ha una lunghezza utile di circa 200 mm ed un diametro di base di 134 mm. Sul tamburo si avvolgono due strati di fune per una quantità utile di circa 10 m escluso le spire che devono sempre rimanere avvolte su di esso per ragioni di sicurezza (in questo caso 3 spire cioè una in più di quelle previste dalle normative). La fune impiegata è come detto di tipo tessile rinforzata con kevlar (spectra) ed ha un

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diametro di 14 mm tale da avere un coefficiente di sicurezza sulla rottura pari ad almeno 7 come previsto dalla direttiva macchine.

Fig.8 – Gruppo Tamburo. Indicazione dei principali componenti citati nel testo

Fig.9 – Gruppo Tamburo. Indicazione dei principali componenti citati nel testo

Uno dei capi della fune viene fissato al gruppo tamburo tramite due piastrine di fermo (12) che trattengono la stessa per attrito. Il tamburo è dotato all’estremità di due flange che evitano la fuoriuscita laterale della fune. Per collegare il tamburo (in alluminio) all’albero di trasmissione (9)

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(tramite profilo scanalato) è stato necessario impiegare un “mozzo o flangia di interfaccia” in materiale tale da garantire una sufficiente resistenza soprattutto nella zona “intagliata” del profilo scanalato. Le caratteristiche meccaniche dell’alluminio descritto (6082) anche se buone, non sono sufficienti in zone di concentrazione di tensione soprattutto in presenza di fatica. Siamo così ricorsi ad un altro tipo di acciaio usualmente adoperato nella nautica e cioè un acciaio inox Duplex in questo caso un 2205. Questo materiale ha buona resistenza alla corrosione e buone caratteristiche meccaniche superiori ai normali inox. Inoltre mantiene un’ottima duttilità e soprattutto ha buone caratteristiche di saldabilità.

La realizzazione della flangia (13) (che funge da mozzo per il tamburo) è stata fatta in modo che svolgesse oltre quella detta anche altre due funzioni. La prima è quella banale di servire da paratia di estremità al tamburo avvolgitore per evitare la fuoriuscita della fune, la seconda è quella di costituire, insieme ad un apposito gruppo che verrà descritto in seguito, un elemento del sistema di arresto di emergenza. Questo componente (13) ha perciò la forma di un disco la cui parte centrale viene accoppiata con una testata del tamburo mentre al centro ha un boccolotto dotato di profilo scanalato femmina per il montaggio sull’albero di trasmissione (9) citato in precedenza.

Detta flangia viene fissata al tamburo mediante viti serrate in modo da trasmettere il momento torcente di sollevamento mediante attrito fra le superfici a contatto. In caso di perdita accidentale (ed eccezionale) del serraggio le viti sono comunque in grado di trasmettere detta coppia anche per taglio in modo da evitare la caduta del carico. Sulla parte esterna della flangia è ricavata (con una normale fresatura) una “dentatura” sulla quale si impegna un apposito asse fisso che arresta la rotazione del tamburo (nel senso della discesa del carico) in caso, come detto, di emergenza. Il mozzo scanalato viene poi fissato assialmente sull’albero di trasmissione tramite un elemento di estremità che serra, mediante una vite, il mozzo contro uno dei due cuscinetti (7) che a sua volta fa battuta sullo spallamento ricavato sull’albero (9).

Dall’altro lato del tamburo è presente una seconda flangia (14) che ha la sola funzione di fare da mozzo per il tamburo. Questa flangia fissata al tamburo sempre con collegamenti filettati porta al centro un boccolotto nel quale è ricavato un foro per l’alloggiamento di un asse (15) per l’appoggio del gruppo tamburo dal lato opposto all’albero di trasmissione. L’accoppiamento fra flangia e asse è fatto tramite un foro conico sfruttando il serraggio assiale dell’asse nella sua sede, eseguito nel medesimo modo descritto in precedenza per il mozzo scanalato. Cautelativamente per assicurare l’asse contro la rotazione in caso di perdita accidentale del serraggio è stata inserita una linguetta fra flangia ed asse. Questa flangia è stata realizzata come per la precedente in acciaio Duplex 2205 mente l’asse è in acciaio 17-4 PH.

Sull’asse appena citato è montato il terzo cuscinetto (16) che appoggia in una sede ricavata sul telaio della macchina dalla parte opposta al gruppo di trasmissione dove sono posizionati gli altri due cuscinetti.

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Fig.10 – Indicazione dei principali componenti citati nel testo

La scelta di impiegare tre cuscinetti è scaturita dall’esigenza di avere due cuscinetti ai lati della ruota dentata nella scatola di trasmissione per fare in modo da avere un montaggio preciso della ruota rispetto alla vite e per evitare eccessivi spostamenti e rotazioni della stessa rispetto alla vite in seguito all’inflessione di tutto il gruppo tamburo (albero di trasmissione, tamburo ed asse dal lato opposto) durante l’applicazione del carico. Il terzo cuscinetto è poi praticamente obbligatorio per non far lavorare il tamburo a sbalzo. Purtroppo date le ridotte dimensioni del sistema non è stato possibile inserire un giunto (elastico, a denti ecc.) in modo da compensare eventuali disallineamenti fra i tre cuscinetti, anche perche i giunti presenti in commercio di piccole dimensioni non sono capaci di trasmettere il momento torcente dovuto al sollevamento. Per risolvere quindi il problema del disallineamento, il supporto (17) del terzo cuscinetto è realizzato in modo da poter essere montato con un gioco rilevante sul telaio portante (18). Questo fa si che il supporto mediante il suo libero movimento al montaggio adatti la sua posizione all’asse di rotazione imposto da i primi due cuscinetti (6 e 7). I tre cuscinetti impiegati sono del tipo a rulli a botte orientabili sia per l’elevata capacità di carico richiesta (per limitare gli ingombri) sia proprio per compensare a sua volta un eventuale disallineamento. Inoltre la scatola della trasmissione e la zona del telaio dove viene montato il supporto del terzo cuscinetto vengono lavorate, dopo il loro premontaggio tramite appositi riferimenti di posizione fra i vari componenti, sfruttando un unico posizionamento sull’alesatrice in modo da ridurre al minimo gli errori di allineamento.

All’estremità dell’asse del tamburo è montata una piccola puleggia dentata che per mezzo di una cinghia di trasmissione sincrona trasmette la rotazione del tamburo ad una seconda puleggia impegnata sull’asse di un finecorsa elettromeccanico registrabile che ha il compito di fermare la

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macchina quando vengono raggiunti i limiti inferiori e superiori del sollevamento ( in termini di corsa gancio). Questi finecorsa normalmente impiegati negli apparecchi di sollevamento hanno al loro interno un meccanismo di riduzione del moto collegato a delle camme rotanti che vanno a contatto, al termine della loro corsa angolare, con degli interruttori che interrompono l’alimentazione della macchina. Il finecorsa va scelto con un rapporto di riduzione interno tale che l’intera corsa di sollevamento faccia fare alle camme una rotazione inferiore all’angolo giro. Se ciò non sia possibile si deve intervenire sulle pulegge di trasmissione modificandone il rapporto di trasmissione.

Come accennato nel testo tutti i gruppi descritti vengono montati su un telaio portante che costituisce anche l’interfaccia di montaggio del winch sulla gruetta o su altro apparecchio di sollevamento.

Fig.11 – Telaio argano da sollevamento

Il telaio è realizzato tramite profili tubolari quadri sui quali sono saldate delle lamiere, opportunamente irrigidite tramite nervature, alle quali superfici sono accoppiati con i necessari riferimenti di posizione i vari organi della macchina fissati tramite collegamenti filettati o bullonati.

Al telaio sono saldati 4 “piedini” forati trasversalmente tramite i quali mediante l’utilizzo di perni, il telaio viene fissato ad un controtelaio od elementi simili solidali alla gruetta. L’utilizzo di perni trasversali e di un controtelaio anziché l’impiego diretto di viti o bulloni è dettato dalla necessità di installare sulla macchina un dispositivo di limitazione della portata per ovvie ragioni di sicurezza.

Questo dispositivo è realizzato mediante perni estensimetrici (celle di carico sensibili al taglio) impegnati nei fori dei piedi del telaio che inviano i segnali di misura ad un unità che li amplifica ed

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eventualmente li elabora (somme, sottrazioni ecc.) in modo da ricavare il carico agente sulla macchina. La limitazione del carico viene fatta da normativa in un range che varia fra il 100% ed il 110% del carico nominale, cioè con una tolleranza massima del 10%. In questo caso il sistema arresta la macchina al superamento (nel caso più sfavorevole) degli 11 KN (1.100 kg). Va sottolineata la notevole risoluzione di questi strumenti di misura che può facilmente raggiungere il valore di 1/10000 del carico nominale. In questo caso ovviamente è sufficiente anche una risoluzione di 1/100 del carico nominale (10 kg). Il sistema ha ovviamente bisogno di un’operazione di taratura al montaggio eseguita tramite pesi campione od apposita strumentazione elettronica.

In particolare il sistema impiegato sfrutta due perni estensimetrici alloggiati nei fori “anteriori” (in direzione del tiro della fune) che hanno la funzione di “sentire “ il carico, mentre altri due perni non estensimetrici sono impegnati nei due fori posteriori asolati nella direzione di misura in modo da non costituire un vincolo per lo stesso grado di libertà. I perni posteriori in pratica si oppongono al momento ribaltante esercitato dalla fune sull’argano, ma non al suo scorrimento nella direzione di misura dei perni estensimetrici.

Come accennato in precedenza l’argano è dotato di un sistema di arresto di emergenza che quando innestato blocca o impedisce la discesa del carico.

Fig.12 – Dispositivo di arresto di sicurezza/emergenza

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Detto sistema è per ovvie ragioni di sicurezza di tipo negativo, ciò vuol dire che l’arresto è sempre innestato e viene sbloccato (lasciando il tamburo libero di ruotare) soltanto durante le manovre di sollevamento. Questo gruppo è costituito da un supporto (19), che costituisce l’interfaccia di collegamento con il telaio portante della macchina (18), sul quale può scorrere mediante boccole a strisciamento un asse (20) che si va ad innestare nella “dentatura” circonferenziale della flangia (13) collegata al tamburo avvolgitore (11) impedendone la rotazione nel senso di discesa del carico. L’asse è normalmente tenuto a contatto con la flangia (13) mediante una molla elicoidale montata con precarico. Il disinnesto dell’asse avviene tramite due minicilindri (21) (cosi chiamati commercialmente dalla ditta produttrice) a semplice effetto con ritorno a molla che quando messi in pressione disinnestano l’asse tramite un elemento di collegamento. Il gruppo è dotato di un microinterruttore che viene premuto quando finisce la corsa di disinnesto il quale da quindi il consenso all’avvio del sollevamento, in modo così da non poter mettere in rotazione il tamburo (tramite il motore) con l’arresto innestato ed evitare quindi eventuali danni alla macchina.

Fig.13 – Dispositivo di arresto di sicurezza/emergenza montato sull’argano e finecorsa rotativo

Per quanto riguarda il motore di sollevamento, esso come detto è di tipo idraulico di cilindrata tale da avere una significativa riserva di coppia per il sollevamento (comprendendo sia la coppia nominale, sia quella di spunto), così da poter avere pressioni di lavoro non troppo elevate (< 160 bar). Pressioni di lavoro contenute permettono sia di utilizzare tubazioni oleodinamiche

“standard” con un buon margine di sicurezza sulla pressione ammissibile di esercizio e su quella limite di scoppio della tubazione stessa, sia, al di sotto di 210 bar, di utilizzare componenti oleodinamici (valvole, distributori ecc.) costruiti in alluminio con un relativo risparmio di peso.

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L’albero di uscita del motore si innesta in un freno a dischi multipli in bagno d’olio ad azione negativa, il cui albero di uscita viene collegato tramite un apposito boccolotto alla vite senza fine (2). Il motore ed il freno sono fissati al blocco (1) tramite la flangia di interfaccia (4). Il freno ha una coppia frenante uguale o superiore a 2 volte la coppia nominale di sollevamento e per ragioni di sicurezza è, come detto, di tipo negativo. La sua apertura è comandata direttamente dalla pressione agente sul motore tramite un collegamento oleodinamico fra i due.

Sul telaio è inoltre montato un sistema “premifune” che ha il compito di pressare leggermente la fune sul tamburo avvolgitore in modo tale da non causarne lo “smatassamento” in seguito ad una brusca diminuzione del tiro sulla stessa.

Fig.14 – Dispositivo premifune

Questo sistema è realizzato molto semplicemente tramite un supporto oscillante sul quale è fissata una barretta in materiale plastico (teflon o simili) che va a contatto (strisciante) con la fune.

La pressione della barra sulla fune è garantita da due molle torsionali agenti sull’asse di rotazione del supporto e capaci da imprimere un carico di contatto sulla fune dell’ordine di grandezza del chilogrammo, carico modesto ma sufficiente per la funzione svolta e tale da non provocare danneggiamento alla fune in seguito allo strisciamento barra-fune.

L’intera macchina è infine protetta da un carter in materiale plastico o composito che ha il compito principale di evitare (nei limiti del possibile) i contatti involontari fra le parti del corpo e le parti in rotazione della macchina durante ad esempio gli interventi di manutenzione. Oltre alla funzione di sicurezza detta il carter ha la funzione accessoria di coprire alla vista la macchina stessa e costituisce quindi un elemento di design del winch. Questo componente avendo funzione di sicurezza deve essere dotato di microinterruttori o sistemi simili che garantiscano l’immediato arresto della macchina quand’esso venga rimosso.

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Il peso complessivo del winch (fune esclusa) è di circa 38 kg. Detto peso risulta accettabile considerando che oltre alle caratteristiche volute (velocità di sollevamento, ingombri ecc.) non riscontrate sugli argani commerciali, sono presenti l’arresto di emergenza, il dispositivo premifune ed il fine corsa elettromeccanico.

Per quanto riguarda le verifiche complete della macchina si rimanda alla relazione di calcolo allegata. Si accenna di seguito (brevemente) ad alcune verifiche esemplificative. Tali verifiche sono state eseguite dove possibile tramite l’impiego delle classiche procedure di verifica con l’ausilio di fogli di calcolo elettronici (Mathcad ed Excel). Dove il calcolo manuale risulta molto complesso oppure fattibile ma spese di forti semplificazioni del modello con conseguenti approssimazioni dei risultati, si è ricorsi al calcolo mediante il metodo degli elementi finiti (FEM). Le analisi FEM sono state svolte mediante il software Straus7 mentre i modelli geometrici sono stati creati mediante i software CAD Me10 (Co Create) e ProEngeneer WildFire 3.

Le principali verifiche svolte sulla macchina sono state la verifica statica secondo il metodo delle tensioni ammissibili, la verifica a fatica e dove necessario la verifica di stabilità. Per quanto riguarda i carichi considerati nelle verifiche, essi sono stati calcolati considerando i coefficienti maggiorativi prescritte dalle norme sugli apparecchi di sollevamento. Detti coefficienti in particolare M e ψ dipendono rispettivamente dalla classe di appartenenza della macchina (che definisce il ciclo previsto di lavoro) e dalla velocità di sollevamento (che definisce le sollecitazioni inerziali all’avvio del sollevamento). In questo particolare caso considerando il contesto di utilizzo della macchina si è però utilizzato, per la sola verifica statica, un coefficiente di maggiorazione complessivo pari a 1,5 molto maggiore del prodotto M x ψ (1,02 x 1,15) = 1,173 che si dovrebbe applicare secondo le normative. Ciò è stato fatto per considerare sia eventuali movimenti di rollio della nave durante il sollevamento (in particolare nella fase di distacco del natante movimentato dall’acqua), sia l’effetto “ventosa” di risucchio che si verifica quando si cerca di staccare dall’acqua un corpo con superficie liscia e regolare. Questo calcolo risulta volutamente cautelativo in quanto la presenza del limitatore di carico, che permette un sovraccarico massimo del 10%, impedisce o blocca il sollevamento prima che si raggiunga il carico relativo al coefficiente di maggiorazione utilizzato. A titolo esemplificativo si riportano alcune immagini relative alle verifiche FEM dei principali componenti della macchina. Si illustrano alcuni modelli e soluzioni relative al dente della ruota dentata (8), al tamburo avvolgitore (11), alla modellazione di una filettatura femmina in un massello di alluminio (per il serraggio di viti o prigionieri) e la modellazione della dentatura elicoidale della vite senza fine (è modellato un solo principio). Per l’analisi dettagliata si rimanda alla relazione di calcolo del winch allegata al documento.

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Fig.15 – Dente della ruota dentata (8) – modellazione con elementi “brick”

Fig.16 – Dente della ruota dentata (8) – dettaglio della “mesh”

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Fig.17 – Dente della ruota dentata (8) – mappa delle tensioni

Fig.18 – Tamburo avvolgitore (11) – modellazione con elementi “plate” e “beam”

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Fig.19 – Tamburo avvolgitore (11) – mappa delle tensioni

Fig.20 – Tamburo avvolgitore (11) – tiro sulla fune modellata con elementi “asta”. L’attrito ed il contatto della fune sul tamburo è stato modellato tramite elementi “point contact” con relativa analisi non lineare

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Fig.21 – Analisi della filettatura (vite in acciaio e madrevite in alluminio) – modellazione. Il contatto fra le superfici è modellato tramite “point contact”.

Fig.22 – Analisi della filettatura (vite in acciaio e madrevite in alluminio) – Mappa delle tensioni. Si notano i filetti più sollecitati e la piccola porzione di materiale plasticizzato sul fondo del filetto.

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Fig.23 – Vite senza fine – modellazione di un principio con elementi “brick”

Fig.24 – Vite senza fine – dettaglio della “mesh” sul raccordo di piede.

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Fig.25 – Vite senza fine – mappa delle tensioni

Fig.26 – Vite senza fine – mappa delle tensioni sulla sezione più sollecitata del principio

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3.4 - Gruetta da sollevamento da 9.810 kN (1.000 kg)

In questo paragrafo si procede alla descrizione della gruetta (davit) oggetto principale del lavoro svolto. Come detto in precedenza per la realizzazione della macchina si è pensato, per diversi motivi, all’utilizzo di materiale composito. Le ragioni principali che hanno spinto verso questa scelta sono principalmente due. La prima è quella di riuscire a contenere il più possibile i pesi, la seconda è quella di realizzare un oggetto “nuovo” e “innovativo” non ancora presente sul mercato, che introduca quell’evoluzione di prodotto che possa diversificarlo dagli altri e quindi renderlo competitivo e richiesto sul mercato. Come già fortemente evidenziato l’utilizzo di questo tipo di materiale (molto costoso rispetto ai normali materiali metallici) è reso possibile ed è giustificato dal contesto di utilizzo a cui il prodotto è destinato.

In questo caso però, vista l’applicazione su un apparecchio di sollevamento destinato a lavorare in ambiente marino, l’utilizzo di questo materiale comporta anche altri vantaggi. Uno è quello di non risentire (sotto certe condizioni) dei problemi legati alla fatica quindi poter avere una vita delle strutture estremamente lunga rispetto ad analoghe strutture metalliche, un altro vantaggio è quello di non essere soggetto alla corrosione ed agli attacchi degli agenti atmosferici. Ciò è conveniente sia perché non sono necessarie tutte le precauzioni di protezione delle normali strutture sia perché si eliminano gli eventuali interventi di manutenzione sulle stesse dovuti a problemi di corrosione o deterioramento del materiale.

Fig.27 – Modello 3D della gruetta (carterature non visualizzate)

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La gruetta in oggetto è composta da tre elementi strutturali in composito (in seguito nominato anche “carbonio” inteso come materiale composito) collegati fra loro ed agli attuatori di moto tramite elementi metallici generalmente in alluminio (6082-T6) o acciaio 17-4 PH. I tre elementi sono costituiti da un braccio tubolare basculante (dotato di moto di brandeggio) all’interno del quale scorre un secondo elemento tubolare per eseguire il movimento di sbraccio o di “sfilo” cioè l’allungamento del braccio telescopico così costituito. Il braccio basculante è collegato ad un terzo elemento che ha il compito di distanziare da terra (intesa come ponte della nave) il braccio telescopico e di trasferire i carichi (specialmente la torsione) alla ralla di collegamento con la nave.

3.4.1 - Braccio Telescopico

La parte iniziale del lavoro ha avuto come oggetto la progettazione del braccio telescopico a singolo sfilo. Le principali problematiche riscontrate nel dimensionamento sono state quelle riguardanti i collegamenti di forza dei vari elementi, lo studio del sistema di scorrimento dei due elementi in carbonio costituenti il braccio telescopico ed il posizionamento degli attuatori di movimento.

Per quanto riguarda i collegamenti fra i vari elementi sono state prese in considerazione tre diverse soluzioni. La prima è quella di collegare le parti in carbonio agli altri elementi sfruttando un sistema composto da due flange metalliche sui due lati del laminato (tipo un sandwich) serrate tramite collegamenti bullonati in modo da stringere in mezzo l’elemento in composito.

Fig.28 – Tipologia di collegamento tramite flange bullonate

Questo sistema ha il vantaggio di essere relativamente semplice e permette di trasferire carichi di notevole entità per attrito fra le superfici. Inoltre il serraggio delle flange sul composito impone uno stato di compressione nel senso dello spessore del laminato che impedisce la delaminazione dello stesso sui bordi liberi come ad esempio i contorni dei fori necessari al montaggio delle flange. Gli svantaggi sono sia di tipo estetico in quanto la presenza di componenti metalliche può

“rompere” la continuità e la “linea” dell’elemento in carbonio, sia di tipo strutturale in quanto per adoperare detto sistema è necessario eseguire dei fori nel laminato andando quindi a creare una discontinuità nel materiale e quindi una zona di concentrazione di tensione. La seconda soluzione

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presa in esame è stata quella di impiegare inserti metallici “affogati” nel laminato in modo poi da sfruttarli come zone di collegamento, applicazione dei carichi ecc. Questa soluzione, vantaggiosa dal punto di vista estetico in quanto gli inserti vengono completamente “affogati” negli strati del laminato, presenta alcuni “pesanti” svantaggi. Uno è di tipo tecnologico in quanto il posizionamento degli inserti comporta un notevole aggravio di lavoro nella costruzione del pezzo in quanto le varie lamine devono essere opportunamente sagomate ed avvolte su di esso, cosa che complica considerevolmente la laminazione rispetto alla realizzazione di un tubo “liscio” senza

“discontinuità”. Un’altro svantaggio di tipo tecnico consiste nel fatto che per ricoprire l’inserto e

“raccordarlo” al resto del laminato si introducono delle discontinuità interne fra le varie lamine con il pericolo che si vengano a creare delle zone in cui possano nascere fenomeni di delaminazione interna con relativo danneggiamento del pezzo.

Fig.29 – Utilizzo degli inserti incorporati nella laminazione

Inoltre questo sistema risulta di difficile calcolo sia con metodi “manuali” sia tramite modellazione al calcolatore. Ciò rende estremamente difficile stimare l’effettivo comportamento del materiale in queste zone e quindi non è possibile valutare, se non in modo fortemente approssimato, la resistenza del pezzo in prossimità degli inserti. In aggiunta si deve considerare che essendo questa la prima macchina della sua tipologia progettata in seno all’azienda utilizzando questo tipo di materiale, non si hanno a disposizione riscontri pratici osservabili ad esempio su precedenti applicazioni, quindi la strada del calcolo teorico risulta almeno per il momento l’unica percorribile.

La terza soluzione è quella dell’incollaggio fra le parti metalliche e le strutture in composito.

Questa operazione viene generalmente eseguita utilizzando adesivi epossidici (spesso anche caricati con fibre di vetro) sottoposti ad un ciclo termico di indurimento. Questa soluzione ha il vantaggio di non dover forare il carbonio quindi di evitare eventuali zone di concentrazione delle tensioni. D’altra parte gli svantaggi sono connessi alla necessità di dover preparare accuratamente le superfici da incollare, cioè è necessario avere una data rugosità superficiale (per la presa dell’adesivo), le superfici a contatto devono essere sgrassate e possibilmente le parti devono essere rastremate in modo da ottimizzare il comportamento meccanico del giunto stesso ecc. Un

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altro svantaggio è dovuto all’ovvia impossibilità di smontare il giunto senza danneggiare il manufatto. Inoltre anche in questo caso il calcolo del componente è influenzato da fattori difficilmente valutabili con buona precisione (specialmente se non si hanno a disposizione dei significativi riscontri pratici). Questi fattori sono sostanzialmente legati sia al pericolo di delaminazione fra gli strati di composito a contatto con la colla e gli strati più interni, sia all’incertezza sulle proprietà meccaniche del giunto realizzato in quanto esse possono essere fortemente influenzate dalla modalità e dall’accuratezza con cui viene eseguito il collegamento.

Infatti la resistenza del collegamento può essere fortemente influenzata come detto dalla preparazione (chimica e meccanica) delle superfici, dalla formazione di bolle d’aria intrappolate nell’adesivo, dal suo spessore ecc.

Dopo aver così analizzato i principali pregi e difetti delle tipologie di giunzione si è deciso di impiegare la prima soluzione con flange bullonate. Tale scelta sembra infatti dare le maggiori garanzie di sicurezza dato che è quella, fra le tre analizzate, che permette di eseguire calcoli di verifica con miglior approssimazione. Come detto i vantaggi offerti sono dovuti sia alla capacità di trasmettere notevoli carichi per attrito fra le superfici sia alla intrinseca opposizione alla delaminazione sui bordi liberi. Purtroppo come detto per impiegare questo sistema è necessario forare il composito rompendo quindi la continuità del materiale e generando zone di concentrazione di tensione. Per risolvere o comunque mitigare questo effetto negativo si potrebbe realizzare un giunto misto e cioè impiegando sia i collegamenti bullonati sia l’adesivo fra le superfici a contatto. Questa modalità di giunto è ovviamente realizzabile solo la dove non ci siano problemi legati al montaggio e allo smontaggio di parti della macchina. L’incollaggio, eventualmente realizzato anche su una sola superficie rende solidale il composito alla piastra metallica creando un effetto di smorzamento dei picchi di tensione nelle zone di intaglio. Un altro importante problema da tener presente nell’accoppiamento fra carbonio e metallo è la corrosione galvanica che può essere critica soprattutto nei casi, quale è il nostro, in cui si impiega l’alluminio.

La scelta di impiegare l’allumino per gran parte del “piastrame” di collegamento è chiaramente legata all’esigenza di limitare le masse in gioco. Per risolvere questo problema è dunque necessario “isolare” i due materiali. Le parti in alluminio devono essere quindi preventivamente anodizzate in modo tale da creare uno strato permanente di ossido sulla sua superficie che protegga il materiale sottostante riducendo drasticamente le correnti galvaniche attraverso i due materiali a contatto. Per lo stesso motivo unito al fatto di lavorare in ambiente marino la bulloneria impiegata deve essere in acciaio inox (generalmente AISI 316). Un altro sistema per risolvere il problema consiste nell’isolare le parti tramite l’impiego di specifici prodotti isolanti e sigillanti a base di gomma.

Passando alla descrizione del sistema di scorrimento per il movimento relativo degli elementi tubolari costituenti il braccio telescopico si può dire che esso è legato alla forma geometrica delle sezioni del braccio e dello sfilo. Per quanto riguarda quest’ultime all’inizio si era orientati verso

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sezioni rettangolari raccordate sugli spigoli. Analizzando però questo tipo di sezione soggetta al carico nelle zone di contatto fra braccio e sfilo si è potuto notare una forte tendenza alla flessione locale che induce elevate tensioni e deformazioni. Si è cosi modificato la sezione andando a sostituire i raccordi con degli smussi e sfruttando gli stessi come zone di trasmissione del carico fra i due elementi scorrevoli. La forma della sezione risultante risente così di una sorta di “rigidezza di forma” data dagli smussi sui quali è possibile scaricare le azioni di contatto limitando tensioni e deformazioni.

Fig.30 – Sezione del braccio principale

Il sistema di scorrimento pensato prende ispirazione dai tradizionali bracci telescopici in cui i vari elementi (generalmente in acciaio) scorrono su appositi pattini. Nel nostro caso particolare il problema principale è costituito dal non poter far scorrere gli elementi in carbonio direttamente su pattini a strisciamento a causa del pericolo di danneggiamento superficiale (sfibramento) del laminato dovuto ai ripetuti sfregamenti nelle zone di contatto. Per risolvere il problema si è all’inizio cercato di sostituire il sistema ad attrito radente con un sistema ad attrito volvente valutando l’utilizzo di rulli o di serie di rulli eventualmente ricoperti con materiali “teneri” per diminuire le pressioni locali di contatto “hertziano” in modo così da evitare lo sfregamento e quindi il danneggiamento del materiale. Questo sistema con elementi volventi avrebbe anche il vantaggio di un coefficiente di attrito relativamente basso. Purtroppo però le limitate dimensioni degli elementi tubolari scorrevoli non permettono un agevole dimensionamento di un sistema del genere. Infatti la distanza fra le due zone di contatto sui due elementi del braccio è di circa 20 mm e risulta insufficiente per l’installazione ed il collegamento di elementi volventi adeguati a trasmettere i carichi in gioco. Infatti utilizzando ad esempio rulli di piccolo diametro le tensioni di contatto e le tensioni locali risulterebbero eccessive, mentre impiegando una serie di rulli insorgerebbe il problema di avere il contatto uniformemente distribuito sugli stessi. In definitiva tale sistema se ben concettualmente corretto risulta di difficile e relativamente complessa realizzazione a causa come detto dei limitati spazi a disposizione. Si è così rivalutata l’ipotesi dello

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strisciamento pensando di interporre fra pattini e laminato un elemento di protezione capace di resistere all’usura durante i movimenti sotto carico. Si è deciso perciò di impiegare degli elementi sotto forma di strisce sottili (1-2 mm di spessore) ricavate da lastre commerciali GLYCODUR, realizzate con gli stessi materiali “antifrizione” con cui sono fatte le classiche boccole a strisciamento appartenenti alla stessa famiglia di prodotti. Questi elementi oltre che fare al caso nostro per problemi di ingombro, garantiscono un ottimo (basso) coefficiente di attrito e sono disponibili sia nella tipologia da lubrificare (al montaggio tramite grasso) sia nella tipologia autolubrificante per il funzionamento a secco. Inoltre il coefficiente di attrito rimane costante se non addirittura diminuisce all’aumentare della pressione di contatto e quindi del carico. Il sistema è quindi così pensato: all’estremità anteriore del braccio principale sono fissati tramite incollaggio o bullonatura quattro pattini di cui i due inferiori (soggetti al carico) sono fissi mentre i due superiori facenti la sola funzione di guida dell’elemento di sfilo sono registrabili in modo tale da poter attuare il recupero dei giochi fra i due elementi scorrevoli. Sull’elemento di sfilo a sua volta sono riportate tramite incollaggio le suddette strisce antifrizione per tutta la lunghezza interessata dallo sfregamento, sia nella parte superiore che in quella inferiore del tubolare.

Fig.31 – Sezione del braccio principale e dello sfilo nella zona dei pattini a strisciamento

Per quanto riguarda la parte di appoggio posteriore avviene precisamente l’opposto e cioè sulla parte esterna superiore dello sfilo sono ancorati i due pattini fissi mentre all’interno del braccio principale sono incollate le strisce di guida. Per l’appoggio inferiore posteriore destinato a sorreggere lo sfilo a scarico, sono montati sul braccio altri due pattini registrabili dall’esterno in

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modo da poter anche qui eseguire il recupero dei giochi. L’incollaggio delle strisce all’interno del tubolare principale può essere fatto in questo caso tramite l’utilizzo di una semplice attrezzatura per il posizionamento e la compressione delle stesse durante la fase di indurimento “cura”

dell’adesivo. Questa cosa può essere fatta solo perché la lunghezza del braccio è relativamente limitata (rispetto alla sezione). In caso di realizzazione di bracci più lunghi diventa necessario e vantaggioso unire la guida al tubolare tramite viti. Per far ciò è ovviamente necessario impiegare un massello metallico su cui le viti stesse possano far presa e sul quale riportare la striscia antifrizione. Visto comunque le limitate dimensioni dei nostri elementi si è optato per l’incollaggio anche per risparmiare sia ulteriori forature sull’elemento laminato sia peso aggiuntivo dovuto alla parte metallica delle guide. Ovviamente in questo caso va tenuta bene in considerazione la

“gravità” del ciclo di lavoro previsto della macchina (numero di cicli di sollevamento e spettro di carico) in quanto l’incollaggio delle guide non consente una loro sostituzione una volta usurate e quindi esse devono essere dimensionate per l’intera durata prevista della macchina.

L’attuazione del movimento di sbraccio dello sfilo è stato un altro problema di dimensionamento legato soprattutto al posizionamento dell’attuatore di movimento. All’inizio si era pensato di utilizzare un cilindro oleodinamico posizionato all’estremità del braccio e collegato a questo ed allo sfilo tramite piastre in alluminio bullonate (come precedentemente descritto).

Fig.32 – Disposizione del cilindro oleodinamico esterno

Questa soluzione ha il vantaggio della semplicità di montaggio in quanto il cilindro è posizionato all’esterno degli elementi in carbonio, inoltre ha il vantaggio di poter incernierare il cilindro sulla sua flangia anteriore in modo da avere una lunghezza libera di inflessione pari alla corsa del cilindro stesso (corsa di sfilo). Soprattutto questo secondo aspetto permette di realizzare un cilindro con uno stelo di diametro inferiore e quindi di minor peso. Questo tipo di posizionamento ha però lo svantaggio di creare un carico eccentrico sui bracci (aumentando la flessione dovuta al carico) inoltre, cosa ancor più importante nel nostro caso, inficia notevolmente l’aspetto estetico

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della macchina che come detto è un fattore di primaria importanza. Infatti l’utilizzo di detta soluzione necessita di una notevole “carteratura” sia sul braccio che sullo sfilo che risulterebbe in ogni modo ingombrante e di criticabile impatto estetico. Si è cercato quindi di portare il cilindro all’interno degli elementi in carbonio. Questa operazione se pur teoricamente semplice si scontra con gli spazi limitati a disposizione e con i relativi problemi di montaggio. Inoltre il montaggio interno del cilindro impone di incernierare lo stesso sulla sua flangia posteriore andando quindi a raddoppiare la lunghezza libera di inflessione diminuendo di conseguenza il carico critico euleriano. Per rimediare a questo è perciò necessario aumentare le dimensioni del cilindro (rispetto al cilindro esterno) e soprattutto il diametro dello stelo. Oltre a ciò si deve tener presente le problematiche di assemblaggio dello stelo sull’elemento di sfilo dato che la zona di accoppiamento si trova all’incirca a metà della lunghezza del tubo laminato. Per questi motivi si è cercato una soluzione alternativa al cilindro oleodinamico. L’idea più semplice è stata quella di adoperare un sistema a vite senza fine (vite di manovra) in cui una vite messa in rotazione da un motore idraulico e solidale al braccio principale si impegna in una madrevite solidale con l’elemento di sfilo imponendogli il relativo movimento.

Fig.33 – Sistema di movimentazione dello sfilo tramite vite senza fine

Analizzando questa soluzione si sono però riscontrati due problemi antitetici. Infatti volendo avere un comportamento irreversibile della coppia (per motivi di sicurezza sul rientro involontario dello sfilo), impiegando una coppia vite-madrevite tradizionale con vite in acciaio e madrevite in bronzo si ha il problema dello sviluppo di calore e sarebbe quindi necessario impiegare un sistema di lubrificazione diverso dalla semplice lubrificazione a grasso, fatto che complicherebbe la realizzazione della soluzione. Dall’altro lato impiegando una coppia vite-madrevite a ricircolo di sfere con bassissimo attrito si eliminerebbe il problema del calore ma si perderebbe il vantaggio

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dell’irreversibilità del moto e sarebbe quindi necessario impiegare un freno negativo in aggiunta al motore idraulico. Inoltre per realizzare questa soluzione serve un blocco oscillante collegato con il braccio principale sul quale fissare il gruppo motore-freno e la vite tramite opportuni cuscinetti volventi. Valutando quindi i pro e i contro di questo sistema alternativo si ricava ben presto che esso ha un peso superiore al cilindro interno “maggiorato” ed inoltre ha una complessità di realizzazione sensibilmente maggiore senza contare che si ha sempre a che fare con i soliti problemi di ingombro. Si è perciò deciso di seguire la strada del cilindro oleodinamico interno. Tale cilindro è collegato ai due elementi tubolari tramite due assi che si impegnano in apposite portate fissate al laminato con il metodo della flangia e controflangia bullonata.

Fig.34 – Posizionamento del cilindro oleodinamico interno

Al cilindro è collegata tramite tubazioni rigide una valvola di bilanciamento (valvola di blocco e controllo discesa) che ha sia la funzione di blocco in caso di mancanza di alimentazione idraulica impedendo la discesa accidentale del carico, sia la funzione di rendere fluido e regolare la corsa del pistone, senza “saltellamenti” o vibrazioni. L’olio idraulico alla valvola può essere portato tramite tubazioni flessibili che ben si adattano ai movimenti del braccio. Lavorando a basse pressioni (< 210 bar) è inoltre possibile impiegare valvole con corpo in alluminio. Va sottolineata in questo caso la difficoltà, dovuta agli spazi limitati, di posizionamento della valvola e delle tubazioni rigide che la collegano al cilindro oleodinamico. A conferma di ciò è il fatto che per assemblare tutto il braccio è necessario seguire una procedura di montaggio ben precisa.

All’estremità dello sfilo è posizionata una puleggia di rinvio della fune di sollevamento. Detta puleggia realizzata in nylon (per ridurre i pesi) è montata su di un asse fisso tramite due boccole flangiate ad attrito radente (glycodur) che le permettono di ruotare sull’asse stesso. Quest’ultimo poggia su due portate laterali fissate al composito tramite le consuete flange bullonate. Si fa notare che il diametro primitivo della puleggia è relativamente piccolo, cosa resa possibile dal fatto di aver impiegato una fune tessile in sostituzione delle normali funi in acciaio. Vicino alla puleggia è fissato anche un asse con un rullo in plastica capace di ruotare su di esso e che ha il

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compito di evitare lo scarrucolamento della fune, cioè la fuoriuscita della stessa dalla gola ricavata sulla puleggia di rinvio.

Fig.35 – Estremità del braccio telescopico con puleggia di rinvio della fune e dispositivo antiscarrucolamento

All’estremità dello sfilo nella zona della puleggia di rinvio viene montato un carter (coperchio) sagomato in modo da nascondere le parti meccaniche e da fungere da elemento estetico raccordandosi al braccio principale quando la gruetta è in posizione di navigazione (di riposo) con lo sfilo rientrato. Questo carter ha ovviamente anche lo scopo di proteggere la zona della puleggia dagli agenti atmosferici e da contatti involontari con parti del corpo.

Per quanto riguarda il peso del braccio telescopico sì è ottenuto una massa complessiva di circa 120 kg. Di questi 71 kg sono costituiti dai due elementi in carbonio (50 kg il braccio e 21 kg lo sfilo) che contribuiscono per circa il 59 % alla massa totale mentre il resto del peso è costituito da piastre di collegamento, cilindro oleodinamico, bulloni, componenti oleodinamici ecc. Per fare un confronto si può calcolare che costruendo i due elementi del braccio in alluminio che ha circa lo stesso modulo elastico del laminato impiegato (ma non la stessa resistenza), mantenendo le stesse dimensioni, si otterrebbe un braccio di circa 160 kg con un incremento di peso totale di circa il 33

%. I singoli elementi peserebbero invece 78 kg e 33 kg con un peso totale dei due elementi strutturali di circa 111 kg a fronte dei 71 kg precedenti. Considerando quindi i soli elementi tubolari strutturali l’aggravio di peso utilizzando l’alluminio anziché il carbonio sale a circa il 56 %.

Si fa inoltre notare che avendo l’alluminio delle caratteristiche meccaniche minori potrebbe essere necessario ai fini della resistenza aumentare le dimensioni e quindi il peso degli elementi stessi.

Per quanto riguarda il possibile utilizzo di acciaio, in questo caso per ovvie ragioni acciaio inox, c’è da dire che esso date le superiori proprietà elastiche permetterebbe sicuramente di utilizzare

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