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PROCESSO PENALE E CRIMINALITA' ORGANIZZATA

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Academic year: 2021

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INTRODUZIONE ... 3

CAP. I: La criminalità organizzata ... 7

1.1 Riflessioni introduttive sul diritto penale della criminalità organizzata ... 7

1.2 Concetto di criminalità organizzata ed i suoi reati: evoluzione del fenomeno ... 9

CAP. II: Elementi costitutivi del delitto di cui all’art. 416 c.p.p. ... 19

2.1 Le condotte incriminate: ruolo di promotore organizzatore e capo ... 19

2.2 L’interesse tutelato ... 23

2.3 L’elemento oggettivo ... 25

2.4 L’elemento soggettivo ... 30

CAPITOLO III: La criminalità organizzata di stampo mafioso ... 33

3.1 L'articolo 416 bis c.p.p. ... 33

3.2 Il rapporto tra l’art. 416 c.p.p. e l’art. 416 bis c.p.p. ... 35

3.3 La necessità del ricorso alla forza intimidatrice ... 40

3.4 Riferimento al codice antimafia ... 44

CAPITOLO IV: La criminalità organizzata internazionale ... 47

4.1 Crimine transfrontaliero organizzato ... 47

4.2 La risposta dell’Unione Europea al fenomeno criminale ... 49

4.2 La convenzione delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato ... 51

CAPITOLO V: Le risposte del processo al fenomeno criminale ... 54

5.1 Evoluzione normativa del codice di procedura penale in relazione alla scelta del doppio binario... 54

CAPITOLO VI: Le indagini ... 58

6.1 Gli uffici del Pubblico Ministero competenti allo svolgimento delle indagini per i reati di criminalità organizzata ... 58

6.2 Le particolari intercettazioni nei procedimenti di criminalità organizzata ... 61

6.3 Il diverso regime di proroga e durata delle indagini preliminari ... 63

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CAPITOLO VII: La prova ... 69

7.1 Il regime differenziato di formazione della prova nei procedimenti di criminalità organizzata ... 69

7.2 Genesi del regime probatorio ex art. 190 c.p.p. e le novità introdotte dall’art. 190 bis c.p.p. (D.l. Scotti-Martelli) ... 70

7.3 Le dichiarazioni raccolte in altro procedimento ed acquisite ai sensi dell’art. 238 c.p.p. e le modifiche apportate dalla legge n. 63/2001 ... 81

7.4 La sentenza irrevocabile come prova dei fatti in essa contenuti (art. 238 bis) ... 89

7.5 La questione di illegittimità costituzionale dell’art. 238 bis ad opera della sentenza n.29/2009 Corte Cost ... 93

7.6 Il doppio binario probatorio ... 95

CAPITOLO VIII: La libertà personale ... 99

8.1 Irrigidimenti nella disciplina delle misure restrittive della libertà personale ... 99

8.2 La modifica dell’art. 275 comma 3 c.p.p., secondo periodo, ad opera della sentenza n. 57/2013 Corte Cost. ... 103

8.3 La ricostruzione della vicenda ... 104

8.4 L’illegittimità costituzionale dell’art. 275 c.p.p., comma 3, terzo periodo ad opera della sentenza n. 232/2013 Corte Cost. ... 112

8.4 La ricostruzione della vicenda ... 113

CAPITOLO 9: Trattamento penitenziario nei confronti degli appartenenti alla criminalità organizzata: artt. 4 e 41-bis ord. penitenz. ... 121

9.1 Premessa ... 121

9.2 Riforma penitenziaria ed istituzionale del doppio binario ... 124

9.3 Sentenza n.143/2013 Corte Cost.: l’illegittimità del 41-bis in ordine ai colloqui dei detenuti con il proprio difensore... 124

9.4 Il regime di carcere duro ex art. 41-bis, comma 2, ord. penitenz. ... 133

9.5 La sentenza n. 349/1993 Corte Cost. in ordine alla mancata predisposizione dei mezzi di impugnazione verso la’pplicazione dell’art. 41-bis, comma 2, ord. penit.138 9.6 Problemi interpretativi posti dall'art. 41-bis, comma 2, ed i soggetti destinatari. 134 9.7 Il gruppo operativo mobile (GOM) ... 142

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Introduzione

Il legislatore del processo penale, ha tracciato un regime differenziato per i procedimenti relativi ai delitti riconducibili alle organizzazioni criminali specie quelle mafiose, che è divenuto più visibile mano a mano che si affermava una più forte volontà politica di contrastare l’agire di tale fenomeno; ciò ha permesso la formazione di un doppio binario procedimentale, a cui il legislatore è pervenuto facendo leva su tre categorie di fattispecie criminose. La prima è relativa ai delitti di criminalità organizzata di tipo concettuale, e le altre fanno capo rispettivamente ai delitti ricompresi all’interno dell’articolo 275 c.p.p. nonché all’articolo 51 comma 3 c.p.p. (reati di mafia).

Nell’attuale situazione di emergenza nazionale rispetto al fenomeno della criminalità organizzata, la nuova legislazione penale viene presentata come efficace strumento di lotta per la difesa delle istituzioni della società civile.

Risulta alquanto problematico però individuare una definizione precisa su cosa sia, o di cosa si voglia intendere per criminalità organizzata.

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“Per lungo tempo, l'etichetta di criminalità organizzata nelle politiche criminali statunitensi”1, serviva a definire il solo

fenomeno mafioso, contemporaneamente la letteratura

criminologica nord-americana, “declinava l'aspetto organizzativo della criminalità sul paradigma imprenditoriale della società anonima”2.

Oggi in parte diversamente, la letteratura americana ad esempio, tende a privilegiare i caratteri dell’intreccio fra economia legale ed economia illegale, nonché a stigmatizzare la propensione a dominare in senso monopolistico e oligopolistico il mercato, facendo anche ricorso a mezzi criminali, come ciò che qualifica la criminalità organizzata; in tal senso, per alcuni i fenomeni che si definiscono di criminalità organizzata, altro non sono che aspetti di criminalità appunto economica.

Non manca peraltro chi, facendo riferimento al ruolo di vero e proprio soggetto politico, oltre che economico, giocato da alcune organizzazioni criminali in particolare in alcuni paesi americo- latini, preferisce parlare di “criminalità dei potenti.”3

1

Si deve a loro il primo utilizzo del termine Organized Crime.

2

Organizzazione in ruolo preminente ed autonomo rispetto ai singoli associati e razionalità nella gestione di beni e servizi illeciti.

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Secondo un accezione generale, la criminalità organizzata, è uno snodo cruciale nell’instaurarsi di relazioni fra economia criminale ed economia legale, e lo è per il modo in cui essa è stata identificata; è pacifico infatti ritenere che la criminalità organizzata è per definizione un modo di essere del fenomeno delinquenziale, che presuppone un intreccio di relazioni fra con l’economia legale e con il più generale mondo della legalità.

Costituendo una minaccia per la democrazia e per la vita dei cittadini, la criminalità organizzata rappresenta oggi, in moltissimi paesi, una delle principali minacce alla sicurezza dei cittadini e alla sopravvivenza della stessa democrazia. La presenza nella società di gruppi criminali organizzati ha conseguenze quanto mai gravi sulla vita quotidiana, sui rapporti sociali e sull'economia. Gli appartenenti al crimine organizzato usano la violenza per estorcere denaro ai commercianti e agli imprenditori; sono in grado di corrompere o ricattare uomini politici e dipendenti della pubblica amministrazione, e possono allo stesso tempo falsare le elezioni costringendo i cittadini a votare i propri candidati. Simultaneamente, la criminalità organizzata opera anche a livello internazionale, gestendo i grandi traffici illegali di droga, armi,

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esseri umani, prostituzione, appalti, gioco d'azzardo etc.

A differenza dei criminali comuni, che vengono visti come individui che commettono reati per interesse strettamente personale, gli appartenenti al crimine organizzato invece si danno finalità di gruppo; in quanto membri di un'organizzazione, essi sono disposti ad accettare regole di comportamento anche severe, nonché limitazioni alla loro libertà di azione, ottenendo in cambio un potere che da soli non potrebbero mai raggiungere. Difatti quanto più noto e temuto è il clan di cui fanno parte, tanto maggiore sarà la loro capacità di incutere paura agli altri.

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CAPITOLO I:

La criminalità organizzata

1.1 Riflessioni introduttive sul diritto penale della criminalità organizzata

Se si volesse cogliere il significato dell'attuale diritto penale contemporaneo, dovremmo porre al centro dell’attenzione la prevenzione, il contrasto e la repressione delle forme organizzate di criminalità, che soventi purtroppo sono presenti nella nostra odierna società.

Tutto ciò è dovuto per varie circostanze: sicuramente la prima di esse è il diffondersi di una sempre più penetrante criminalità con obiettivi anche economici, di cui si serve per entrare legalmente nell’economia pulita, diventando così “ invisibile”, invece la seconda è legata al fatto che non bisogna sottovalutare la proiezione sovranazionale con la nozione di criminalità organizzata transnazionale e la definizione di gruppo criminale organizzato. Per questi importanti motivi, il contrasto a tale fenomeno non sembra legato alla presenza di fasi temporanee o di emergenza nazionale, ma si tratta invece di un fatto cui purtroppo dobbiamo fare i conti, in modo continuativo e sistematico.

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E' importante però riflettere sul rispetto delle garanzie e sulla eventualità di una deroga ai principi generali che un diritto penale della criminalità organizzata potrebbe presentare4

Il diritto penale riguarda innanzitutto alla singola persona umana, basti pensare infatti che quasi la totalità delle nostre norme penali sono pensate e scritte al singolare, ed il reato mono soggettivo è il fulcro centrale del sistema penale, rispettoso ovviamente del principio della responsabilità penale personale, così come voluto dall’art. 27 della nostra Costituzione italiana.

Nel nostro ordinamento giuridico, il concorso di persone nel reato è punibile solo attraverso la disciplina contenuta negli artt. 110 ss. c.p. , ed il nostro codice guarda con severità alla commissione di condotte commesse da più persone che danno luogo al concorso di persone nel reato; tali reati vengono anche detti plurisoggettivi propri, fra i quali trovano spazio l’associazione per delinquere (art. 416 c.p.p.) e l'associazione di tipo mafioso (art. 416 bis c.p.p.). Nei reati di questo tipo, la repressione penale è più marcata, in quanto è maggiore la forza e la pericolosità sociale che ne deriva, ma occorre stare attenti ad analizzare bene il singolo caso

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criminoso, in quanto il principio di personalità può vacillare pericolosamente; occorre pertanto valutare la responsabilità in solido degli associati, e vagliare bene la posizione ed il ruolo dei meri associati , nonché dei promotori, capi o dirigenti.

1.2 Concetto di criminalità organizzata ed i suoi reati: evoluzione del fenomeno

E' interessante rilevare che la locuzione “delitti di criminalità

organizzata”, è usata nel nostro c.p.p., innanzitutto con riferimento

alla descrizione dell'esigenza cautelare prevista dall’art. 274 lett. C c.p.p. (concreto pericolo che l'imputato commetta delitti di criminalità organizzata), ma anche in riferimento alla non operatività della sospensione dei termini delle indagini preliminari nei procedimenti per reati connessi alla criminalità organizzata. L’espressione criminalità organizzata, è usata anche in altre fonti : ad esempio si ricordano l’art. 1 sexies d. l. n. 629/1982, ove si fa esplicito riferimento in relazione ai poteri dell’alto commissario antimafia, alla criminalità organizzata di stampo mafioso; si menziona inoltre l’art. 1 d. l. n. 164/1991, che individua un

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presupposto per lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali in caso di collegamenti diretti od indiretti con esponenti della criminalità organizzata.

Accanto a queste prime definizioni codicistiche, si può evidenziare che il fenomeno ha da tempo assunto una dimensione certa, dalla sua forma individuale ad una più complessa ed organizzata, in quanto i fenomeni criminali sembrano seguire lo sviluppo socio - economico delle società odierne.

L'espressione criminalità organizzata, che sovente si adopera con riferimento a fenomeni di tipo mafioso, è forse troppo generica e comprensiva.

E' possibile confermare che ad un certo livello, la criminalità è sempre organizzata e costituisce difatti una società che convive con quella generale, osservando al suo interno regole proprie; i sociologi direbbero che si tratta di fenomeni sociali, i quali esprimono una sub-cultura.

Del resto, è constatazione risalente e ricorrente5 quella secondo cui

anche la societas latronum è un ordinamento giuridico che garantisce, al suo interno, un minimo di giustizia.

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La criminalità organizzata, in altri termini, gode anche di un certo consenso sociale, perché é un sistema di interessi, di regole, di consuetudini di vita, cui fa riferimento un cospicuo insieme di persone talvolta al di fuori di una “ colpevolezza” di importante rilievo anche perché inoltre, fornisce a queste persone i mezzi di sostentamento economico. Si può affermare inoltre che ciò sia valido ovunque: a Londra come a Palermo, a Milano come a Tokyo, a New York come a Parigi.

E' interessante notare però come la criminalità di stampo mafioso, presenti ulteriori caratteri, peculiari e propri, che si ritengono tali almeno sotto tre profili:

 non si limita a controllare le attività semi-illegali o illegali del tutto (bische, contrabbando, prostituzione) ma pretende di esercitare il suo controllo sulle attività tipiche ed essenziali della società generale esigendo ad esempio tangenti sulle attività commerciali. La criminalità di stampo mafioso non si accontenta di vivere ai margini della società generale e legale ma la aggredisce e pretende di egemonizzarla.

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non solo legati alla sola ipotesi di “ sgarro”, ma ad una lotta quasi permanente e fisiologica per l’egemonia all’interno dell’organizzazione.

 Si reinserisce nella società legale, attraverso il riciclaggio del denaro accumulato mediante le attività illecite.

Il commercio degli stupefacenti, è assolutamente uno dei tipici punti di passaggio dalla forma generica della criminalità organizzata a quella più specifica della criminalità di tipo mafioso: ciò in considerazione dei danni devastanti che produce nella società civile, sia perché consente guadagni incalcolabili e dunque, accumuli di ricchezza minacciosamente proclivi al reinserimento nel “ circuito legale”.

Tutto ciò rappresenta un pericolo non solo per l'individuale libertà di ciascuno, ma anche per il regime democratico nel suo complesso. La democrazia si regge su condizioni storico-sociali ben radicate e definite, la cui alterazione ne corrode le basi.

Nel contesto italiano, ci sembra che la percezione sociale allarmata del fenomeno, e di riflesso l’intento di politica criminale, finiscano per costruirsi quasi esclusivamente sugli attributi della temibilita’ e

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pericolosità di alcuni fatti delittuosi, per altro tra loro assolutamente disomogenei.

La criminalità organizzata entra così nel lessico politico – giuridico quando fenomeni criminosi, per altro molti dei quali storicamente presenti da tempo, raggiungono livelli elevati di intollerabilità sociale.

Gli obiettivi criminali legati all'arricchimento illegale , nonché i mezzi adottati per il loro perseguimento, escono quindi da una struttura individuale – semplice, per entrare in una organizzata – complessa, e questo testimonia il fatto che la criminalità di oggi è nettamente diversa da quella di ieri: un cambiamento notevole che è confermato dal fatto che le mafie ad esempio, hanno adottato negli ultimi 15/20 anni, una diversa strategia di gestione dei patrimoni illeciti in quanto hanno provveduto ad investire le risorse accumulate illegalmente, in appartamenti, fondi, partecipazioni societarie, ed acquisizioni di imprese.

Una causa di ciò si può riscontrare nella diffusione di reti che collegano, da una parte le organizzazioni criminali tra loro e con la criminalità comune, e dall'altra le istituzioni ed i consulenti di attività legali, che crea un processo di razionalizzazione della

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criminalità, la quale comporta una rete di collegamento fra attività criminali ed attività legali.

Si può quindi affermare che non è una tipologia di reati che distingue la criminalità organizzata suddetta da quella non organizzata, ma una certa dote organizzativa, composta da alcune caratteristiche peculiari, fra le quali la durata; esso infatti è un fondamentale elemento caratterizzante tale fenomeno, assieme a quello della reputazione.

Il rischio di fuoriuscire dal concetto definitorio di criminalità organizzata esiste: di conseguenza, se ha da considerarsi come tale ciò che volta per volta, si ritiene tale al di fuori di ogni possibile riferibilità concettuale sicura e determinata, il rischio di una estendibilità illimitata del concetto non è da sottovalutare.

Quest' ultima è una caratteristica che le organizzazioni criminali ricevono nel tempo, attraverso anche la percezione che i mass media, gli organi di polizia e di giustizia diffondono con gli avvenimenti.

Un omicidio di stampo mafioso, non può essere assolutamente assimilato ad un omicidio commesso singolarmente in modo anonimo.

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E' proprio questa citata reputazione, che porta ad associare certi comportamenti criminali ad una data struttura organizzativa, fa si che proprio quest'organizzazione venga definita come appartenente alla categoria “ criminalità organizzata”.

Si possono quindi riassumere gli elementi che costituiscono il punto in comune della criminalità organizzata :

 deve trattarsi di una struttura organizzata (di solito gerarchica) composta da persone

 che collaborano per un periodo di tempo indefinito ,

 finalizzata all’arricchimento illegale degli introiti, tramite l’utilizzo della corruzione, della violenza e della commissione di reati gravi.

Se dovessimo identificare tale fenomeno in uno spazio temporale per individuarne la collocazione, è pacifico ritenere che esso è relativamente recente, in quanto forgiato nel novecento, e nel complesso è stato poco studiato almeno come fenomeno sociale. La definizione di alcune forme di criminalità come organizzata, è stata coniata in America nell’ambito delle leggi proibizionistiche

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varate dopo la prima guerra mondiale.

Con il riferimento al termine organizzazione, si intese allora sottolineare la natura e l’intensità delle relazioni che intercorrevano fra i componenti delle bande che si dedicavano al traffico ed allo smercio clandestino degli alcolici. Ma la preoccupazione maggiore era la capacità di questa di poter influenzare le istituzioni locali e nazionali, tramite collegamenti etnici, attraverso la notevole capacità di corruzione presente nella lucrosità delle attività realizzate; queste modalità di identificazione presentano la

criminalità organizzata come un' attività delinquenziale

collettivamente esercitata a fini di lucro, ed orientata per trarre reddito dalla produzione di beni e servizi vietati dalla legge.

E' da sottolineare poi il fatto che le bande commettano frequentemente reati contro la persona, sia per garantire la coesione e stabilità interna, sia per rafforzare l'area di fiancheggiatori che la corruzione, permette di aggregare.

Denaro e violenza sono quindi due elementi che vanno a braccetto nel caso della criminalità, mentre sono frequentemente singole in altri frangenti del fenomeno criminale.

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modo di essere del fattore delinquenziale che necessita di un intreccio di relazioni con l'economia legale; per certi versi, il termine criminalità organizzata viene visto come una forma

assai maggiormente pericolosa delle altre manifestazioni assunte dalle modalità di violazione della legge penale.

Tuttavia è da confermare come, a partire dagli Stati Uniti d' America, si sia formato un processo che ha portato a ritenere che la responsabilità dell’individuo che commette certi tipologie di reati, sia più grave quando egli contribuisce a dar vita , al fine di commetterli, ad un consorzio di individui, ovvero ad un'organizzazione.

I sostenitori di culto del diritto penale, oltre che gli esperti più direttamente coinvolti, sono stati i commentatori più accreditati di questo processo.

Il nostro punto di riferimento, è il fatto che la prima condizione che legittima l’utilizzo del termine criminalità organizzata, è di solito il sussistere di gruppi di individui dotati di una struttura, di regole, di vertici, formati per commettere reati, specialmente per scopi lucrativi. Questa condizione non è necessariamente sufficiente, nel senso che rileva anche un network dove gli stessi gruppi sono

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inseriti come nodi e in alcuni di essi possono essere sovraordinati rispetto agli altri.

Questo punto, oltre al principio gerarchico criminale, sono i punti cruciali del fenomeno e ne denotano il grado di pericolosità sociale. All'interno di questo discorso, possiamo quindi affermare che la sussistenza della criminalità organizzata appare come l'inevitabile conseguenza di un fallimento dello stato; è d' uopo sostenere che vi sia una contraddizione fra il sussistere della criminalità organizzata ed il fatto che lo Stato persegua la lotta al crimine come un proprio fine istituzionale, investendo un ingente quantitativo di risorse. Per sciogliere tale contraddizione, occorrerebbe studiare ed analizzare nel profondo, le politiche criminali, guardandone i comportamenti, ed i motivi che sfociano nella commissione dei reati.

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CAPITOLO II:

Elementi costitutivi del delitto di

cui all’art. 416 c.p.p.

2.1 Le condotte incriminate: ruolo di promotore organizzatore e capo

“Quando tre o più persone si associano allo scopo di commettere

più delitti, coloro che promuovono o costituiscono od organizzano l’associazione sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da tre a sette anni”.

Per il solo fatto di partecipare all’associazione, la pena è della reclusione da uno a cinque anni.

Nell’associazione per delinquere si distinguono due ipotesi di delitto, una per i promotori, organizzatori, e i capi dell'associazione, l'altra invece per i soci e/o gregari facenti capo all'associazione stessa.

Una volta dimostrata concretamente la sussistenza di una associazione per delinquere ed individuati gli elementi che possono far collegare la reale appartenenza di taluno nelle attività dell’associazione stessa, non occorre anche che venga dimostrato il

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dell’associazione, in quanto la partecipazione all’organizzazione associativa può realmente avvenire sotto modalità differenti, la cui specificazione non è assolutamente richiesta come requisito dalla norma in esame, e non può quindi nemmeno essere richiesta dalla sentenza di condanna6.

La formazione di un vincolo associativo finalizzato a delinquere, non si forma nel momento e nel luogo in cui interviene il semplice accordo tra i compartecipi, ma in quello della costituzione di un' organizzazione permanente, risultante dell’accordo fatto da intenti e di azione fra gli associati; solamente in talune circostanze temporali e di luogo, infatti divenendo operante la struttura organizzativa e manifestandosi quel reale pericolo che giustifica l’incriminazione, si realizza quel minimum di mantenimento della situazione antigiuridica necessaria per la sussistenza del delitto e per la individuazione del luogo di inizio della sua attuazione.

Avvicinandoci alle figure ed ai ruoli accennati ad inizio paragrafo, viene definito promotore non solo chi della associazione si sia fatto iniziatore esponendone il programma criminoso, ma anche colui che contribuisce alla potenzialità pericolosa del gruppo associativo

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già formato, permettendone l'adesione alla stessa di soggetti terzi, favorendone così un allargamento della struttura.

Tuttavia è da pretermettere che anche la normale attività professionale svolta ad esempio da un commercialista, qualora realizzata, pur nella sua formale aderenza ai canoni della professione, con il conclamato scopo di concorrere alla realizzazione di un'associazione per delinquere, configura condotta penalmente rilevante in tal senso, in quanto si tratta di reato che per la sua realizzazione comporta una condotta a forma libera, sottoposta alle sole condizioni che l'agente intenda aderire all'accordo associativo e che il suo comportamento sia, anche se parzialmente funzionale alla realizzazione del progetto criminoso perseguito dai consociati.

Tale condotta, se essenziale per la vita dell'associazione stessa, qualifica la posizione del soggetto come quella di organizzatore: essa è attribuita all'affiliato che, seppure rispettando le direttive imposte dai capi della struttura, svolge autonomamente il compito di curare, coordinare l’attività degli altri aderenti la stessa, impiegando all’occorrenza le risorse e tutte quelle strutture associative, nonché di reperire i mezzi necessari per poter attuare

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concretamente i progetti e gli obiettivi criminosi prefissati.

Nell'associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, la distribuzione dei compiti e la specializzazione in un particolare settore dell’attività criminosa, sono imposte proprio dalla complessità delle attività, sicché la figura del consulente finanziario che svolge la funzione di riciclaggio degli ingenti quantità di denaro provenienti dal commercio di tali sostanze, appare dunque indispensabile; ne consegue quindi che si tratti di compiti non affidabili a persone estranee all’organizzazione stessa, specialmente se la persona in questione abbia poteri decisionali importanti e si debba avvalere dell’appoggio di altri partecipanti. Pertanto colui che svolge tale compito si può definire un organizzatore e non un mero aderente alla struttura criminosa.

Diversa ma non troppo sul versante del contributo apportato

all'associazione, è la figura del capo della medesima

organizzazione; nella nozione di capi, debbono necessariamente ricomprendersi non solo il vertice dell’organizzazione, quando questa esista, ma anche coloro che abbiano incarichi direttivi e risolutivi nella vita ordinaria dell’organizzazione e nel suo esplicarsi quotidiano in relazione ai fini delinquenziali preposti e

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realizzati. La qualifica di capo non deriva dal ruolo assorto all'interno, ma bensì dal contenuto e dalle qualità delle funzioni esercitate:

sono i capi che stabiliscono le operazioni da attuarsi, impartendo ordini e punendo tutti coloro che non soggiacciono ai medesimi ordini impartiti, nonché stabiliscono gerarche all’interno dell’organizzazione stessa, attribuendo ruoli e mansioni.

2.2 L’interesse tutelato

L'associazione per delinquere non è necessariamente un organismo formale, sostanziandosi nell’accettazione, insieme ad almeno altre due persone, di una disponibilità e di un impegno permanenti a svolgere determinati compiti, al fine di realizzare un programma di fatti delittuosi.

E' sufficiente che tale adesione dia vita ad un organismo plurisoggettivo che, indipendentemente da eventuali forme esterne, sia in grado di avere una volontà autonoma rispetto a quella dei singoli e di svolgere una condotta collettiva, sintesi delle condotte individuali, al fine di realizzare il programma criminoso.

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per l’ordine pubblico ed il pericolo per i beni che i delitti in programma offendono: invero l'impegno collettivo, consentendo di utilizzare immediatamente gli uomini a disposizione e le strutture appositamente predisposte, agevola la realizzazione dei delitti- scopo.

Per la configurabilità del delitto, non è necessaria una complessa e specifica organizzazione di mezzi e strumenti, perfetta in tutte le sue radicazioni interne nonché nei ruoli di ogni singolo associato. Poiché trattasi di delitto contro l’ordine pubblico, la cui garanzia costituisce precipuo interesse dello stato, e che viene in concreto leso dall’esistenza dell’associazione e dall’allarme sociale che questa di per sé suscita, è necessaria sia la prova dell’esistenza di un

permanente vincolo associativo a fini criminosi, sia

l’individuazione di una struttura organizzativa minima, in modo da consentire anche l’importante distinzione fra accordo fra più persone e associazione per delinquere, a prescindere dalla commissione dei reati preventivati.

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2.3 L’elemento oggettivo

Occorre da subito sottolineare che, per poter configurare al meglio il reato in questione, è necessaria la predisposizione di un' organizzazione strutturale, sia pure minima, di uomini e mezzi, che sia necessariamente funzionale alla realizzazione di una serie indeterminata di delitti, nella consapevolezza, da parte dei singoli associati, di far parte di un sodalizio criminoso durevole e di essere disponibili ad operare per l’attuazione del programma criminoso comune.

Ciò che rileva in tema, è l'effettiva formazione ed operatività di una organizzazione stabile, posta in essere da tre o più persone allo scopo di realizzare un disegno criminoso che si protragga nel tempo, con ripartizione di compiti fra gli associati.

Poiché, dunque, la esplicita manifestazione di una volontà associativa non è necessaria per la costituzione del sodalizio, la consapevolezza dell’associato non può che essere provata attraverso comportamenti significativi che si concretino in una attiva quanto stabile partecipazione.

Elemento di spicco è fondamentalmente l’accordo associativo il quale crea un vincolo permanente a causa della consapevolezza di

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ciascun componente il sodalizio criminale, di far parte del progetto delinquenziale, e di partecipare, con contributo causale, alla realizzazione di un duraturo programma criminale.

Tale essendo la caratteristica del delitto, ne discende a corollario la secondarietà degli elementi organizzativi che si pongono a substrato del sodalizio, elementi la cui sussistenza è richiesta nella misura in cui dimostrano che l'accordo può seriamente dirsi contratto, nel senso cioè che l’assoluta mancanza di un elemento strumentale priva il delitto del requisito dell’offensivita’.

Inoltre sta a significare che, da un punto di vista prettamente ontologico, è sufficiente un' organizzazione seppur minima affinché il reato si perfezioni, e che la ricerca dei tratti organizzativi non è diretta a dimostrare l’esistenza degli elementi costitutivi del reato, ma a fungere da strumento probatorio, atto a dimostrare la sussistenza di quell’accordo fra tre o più persone diretto a commettere più delitti, accordo in cui ovviamente il reato associativo di per sé si attua concretamente.

L'associazione per delinquere si caratterizza per tre fondamentali elementi:

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1. presenza di un vincolo associativo permanente o comunque stabile, destinato a durare anche oltre la realizzazione dei delitti in concreto programmati

2. indeterminatezza del disegno criminoso che distingue il reato associativo dall’accordo che sorregge il concorso di persone nel reato

3. esistenza di una struttura organizzativa, sia pur minima, ma idonea ed adeguata a realizzare gli obiettivi criminosi presi di mira

Per far si che possa ritenersi integrato il reato di associazione per delinquere, è necessaria la presenza di almeno tre persone; non occorre né un numero notevole di persone, né una distinzione precisa di ruoli tra le stesse. Nelle associazioni con un modesto organigramma è però importantissimo il vincolo continuativo, derivante dalla consapevolezza di ogni associato di fare parte del sodalizio criminale e di partecipare con il proprio contributo causale malavitoso, alla realizzazione di un programma criminale duraturo

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nel tempo, per la realizzazione del quale è stata predisposta la struttura con mezzi necessari al raggiungimento degli scopi illeciti7.

In tema di associazione di cui all’articolo in esame, il numero minimo degli associati previsto dalla legge per la configurabilità del medesimo reato, va valutato in senso appunto oggettivo, ossia come componente effettiva ed esistente del sodalizio e non con riferimento al numero degli imputati presenti nel processo; ne consegue quindi che vale ad integrare il reato, anche la mera partecipazione degli individui rimasti ignoti, giudicati a parte oppure deceduti.

Ai fini della sussistenza dell’associazione per delinquere, non è necessario che l’associazione stessa tragga origine da un regolare atti di costituzione, pur essendo necessaria un' organizzazione di fatto con predisposizione dei mezzi in concreto idonei alla realizzazione di quel programma criminoso per il quale il vincolo associativo si è instaurato, nonché la coscienza e la volontà da parte di ogni socio, di far parte di un organismo associativo, e cioè del legame di reciproca disponibilità con gli altri partecipanti in

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relazione allo svolgimento dell’attività programmata8.

E' d' uopo inoltre sottolineare che per la sussistenza del reato cui all’art. 416 c.p.p., non occorrerebbe infine una vera e propria organizzazione con gerarchie interne e distribuzione di specifiche cariche, ma è sufficiente l’affectio societatis scelerum, ossia l’esistenza di un vincolo associativo non circoscritto ad uno o più delitti, ma consapevolmente esteso ad un generico programma delittuoso.

Mancando di norma un atto costitutivo del gruppo criminoso, la prova concreta della sussistenza di un' associazione con finalità illecite, ben può essere desunta, in via meramente indiretta, da facta concludentia, fra i quali si possono annoverare elementi tipo i delitti programmati ed effettivamente realizzati, specie se il contesto in cui questi sono maturati e le loro modalità di esecuzione conclamino l’esistenza di un vincolo associativo, quale entità del tutto indipendente dalla concreta esecuzione dei singoli delitti – scopo. Tale affermazione è stata riportata nella sentenza della Suprema Corte di Cassazione (sez. VI 1999/12530), ove ha ritenuto incensurabile la valutazione del magistrato di merito, che aveva

8

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desunto l’esistenza di un' associazione dedita al contrabbando, da vari elementi sintomatici che emergevano dai singoli episodi criminosi, quali la capillare organizzazione operativa, il numero delle persone coinvolte, la sintonia operativa tra i correi agenti, i mezzi utilizzati ed il numero delle basi logistiche di appoggio.

2.4 L’elemento soggettivo

Il dolo del delitto di associazione per delinquere, è dato dalla coscienza e volontà di partecipare attivamente alla realizzazione dell’accordo e quindi del programma delinquenziale in maniera stabile e permanente; poiché i delitti di cui agli artt. 416 e 416 bis c.p.p., sono caratterizzati dal dolo specifico, e deve necessariamente sussistere la volontà del concorrente di contribuire a realizzare gli scopi in vista dei quali è costituito ed opera il sodalizio criminoso, non può assolutamente configurarsi un concorso nel delitto associativo, a titolo di dolo eventuale.

Quando la condotta del soggetto agente, si esaurisca nella partecipazione ad un solo episodio criminoso, non è esclusa la responsabilità per il reato associativo, ma la prova della volontà di

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partecipare alla associazione deve essere particolarmente puntuale e rigorosa9.

Occorre perciò la manifestazione di affectio societatis scelerum, anche se la commissione di uno o più delitti programmati dall'associazione non dimostra in automatico l’adesione alla stessa. Tuttavia l’attività delittuosa conforme al piano associativo costituisce un elemento sicuramente indiziante di grande rilevanza ai fini della dimostrazione della appartenenza ad essa, quando attraverso le modalità esecutive ed altri elementi di prova, possa risalirsi all’esistenza del vincolo associativo e quando la pluralità delle condotte, dimostri la continuità, la frequenza e l’intensità dei rapporti con gli altri associati. Anche la partecipazione ad un episodio soltanto della attività delittuosa programmata può

costituire un elemento indiziante dell’appartenenza

all’associazione, ma in tal caso il valore di tale indizio è sicuramente ridotto ed è necessario che dalla partecipazione al singolo episodio sia desumibile appunto l’affectio societatis del soggetto agente, e che essa sia fonte di penale responsabilità a carico di chi la mette in atto.

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Quando infatti il soggetto abbia fornito un contributo alla realizzazione di un unico episodio rientrante nel programma associativo e a tale contributo non venga riconosciuta rilevanza penale, il valore indiziante ai fini dell’appartenenza all’associazione diventa minimo ed insufficiente ad un riconoscimento di responsabilità.

L’elemento psicologico del reato in esame, consiste nella coscienza di far parte di un impegno collettivo permanente e di svolgere i propri compiti, come determinati dai capi o dai coordinatori, al fine di compiere a tempo debito i delitti programmati, nonché esso si desumerebbe dalla coscienza e volontà di apportare quel contributo richiesto dalla norma incriminatrice, ma nella consapevolezza anche di partecipare e contribuire attivamente con esso alla vita di un' associazione, ove nella quale i singoli associati, fanno convergere il loro contributi alla realizzazione del disegno criminoso, divenuto comune.

Naturalmente occorre premettere che non serve a ciò la conoscenza reciproca e precisa di tutti gli associati, poiché quel che conta è la consapevolezza e la volontà di partecipare, assieme ad almeno altre due persone aventi la stessa consapevolezza, ad una società

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criminosa strutturata ed organizzata secondo lo schema legale.

CAPITOLO III:

La criminalità organizzata di

stampo mafioso

3.1 L'articolo 416 bis c.p.p.

L'art. 416 bis c.p.p. è entrato nel nostro codice penale, a seguito di un lento processo di maturazione (collettiva e giuridica), che riguarda un fenomeno purtroppo assolutamente non transitorio; onde può dubitarsi dell’opportunità, proprio per l’alto significato morale che si lega al testo codicistico, che la repressione di tale fenomeno sia relegata all’interno di una legge speciale.

Al contempo, occorre però riconoscere che le prospettive future dell'attuale reato di associazione di tipo mafioso, sono strettamente condizionate dalla sua capacità di conseguire un preciso ambito operativo.

A questo proposito, la questione si rivela particolarmente complessa.

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L’incertezza che oggi caratterizza l’interpretazione dell’art. 416- bis c.p.p., deriva dalla tendenza a cogliere nella sua formulazione, una “seppure implicita apertura verso una più lata nozione di criminalità organizzata”, rivelatrice dell'intento di “colpire forme di criminalità politico-affaristico-economico, a prescindere dalla collocazione geografica e dalle matrici culturali”10.

Alla base di questa tendenza, possono ravvisarsi tre diverse ragioni, rispettivamente di ordine sanzionatorio, preventivo e processuale. Riguardo al primo aspetto, possiamo affermare il loro scarso fondamento, perché in ogni caso l’art. 416 bis c.p.p. , si limita a ritagliare una specifica area applicativa all’interno della fattispecie di associazione per delinquere (art. 416 c.p.p.), la quale è già in grado di apprestare un'efficace risposta punitiva.

In relazione all'aspetto preventivo, è oggi avvertita a livello internazionale, l’esigenza di privare non solo le organizzazioni mafiose, ma in generale tutte le organizzazioni criminali, dei loro illeciti profitti, anche al fine di evitare una loro immissione nei tessuti economici. Deve sottolinearsi inoltre sempre su questo frangente, che la Corte Europea dei diritti dell’uomo, con decisione

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resa il 22 Febbraio 1994, abbia affermato la proporzionalità delle misure preventive patrimoniali previste dalla legge n. 575 del 1965, alla luce del “pericolosissimo potere economico di una organizzazione come la mafia”, individuando così un presupposto insuscettibile di estensione ad altre forme di criminalità.

Sotto invece l'aspetto propriamente processuale, occorre

riconoscere come effettivamente l'imputazione del delitto di associazione di stampo mafioso, comporti in pratica, peculiari (soprattutto in termini di custodia cautelare) non conseguibili neppure tramite la contestazione del reato di cui all'art. 416 c.p.p..

3.2 Il rapporto tra l’art. 416 c.p.p. e l’art. 416 bis c.p.p.

La fattispecie del reato di associazione per delinquere di tipo mafioso, si inquadra nella classe dei delitti contro l’ordine pubblico : gli associati nel formare un organismo in sè e per sè distinto dalla fase di attuazione dei singoli delitti – scopo, ripartendosi i ruoli ed i compiti in vista della realizzazione di un numero indefinito di reati la cui concreta attuazione possa essere, di volta in volta, decisa nell’ambito di una struttura organizzativa destinata a fornire un

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supporto di carattere stabile alle singole determinazioni criminose, concretizzano quell’offesa all’ordine pubblico e cioè alla pace ed alla tranquillità sociale evidentemente turbate dalla presenza di un' entità dotata di vita propria e strutturata in funzione della lesione di interessi penalmente tutelati.

La prima giurisprudenza in tema, non elabora bene la categoria giuridica dell'associazione mafiosa, ma comunque pone un primo punto fermo sulla univocità di significato dell’espressione “associazione mafiosa”: una sentenza datata 1969, afferma che il termine suddetto cui fa riferimento la disposizione ha, nel linguaggio comune, un significato univoco e limiti ben definiti; essa fà riferimento a noti fenomeni di grave antisocialità, sul piano concettuale, sociologico, e legale.

Tale definizione è un approccio giurisprudenziale che riporta alla nozione di mafia, senza alcuna elaborazione autonoma.

Il primo fra i parametri individuati dalla giurisprudenza, che

caratterizzano il reato associativo in esame, è quello

dell’intimidazione sistematica; quello che invece sembra squilibrare l’art. 416 bis c.p.p., è l’ultimo comma, che estende l’applicazione della norma alle associazioni mafiose, quali la camorra,

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l'ndrangheta, e alle altre associazioni localmente denominate, che presentino le stesse caratteristiche dell'associazione mafiosa: ciò inevitabilmente costringe l'interprete a digressioni storico-sociali che alla luce della definizione generale data, sembrerebbero inutili. L'art. 416 bis c.p.p., è stato introdotto dal legislatore con l’art. 1 della legge 13 settembre 1982 n. 646, con l’intento di superare le difficoltà riscontrate, sul piano applicativo, ogniqualvolta si era tentato di ricomprendere il fenomeno mafioso all’interno della schema tradizionale prefigurato dall’art. 416 c.p.p.; quest'ultima infatti appariva non adeguata a reprimere il fenomeno mafioso, finalizzato alla realizzazione di scopi illeciti, in virtù dell’uso della forza di intimidazione del sodalizio criminoso.

La dottrina prevalente, in riferimento all’offesa all’ordine pubblico, ha evidenziato che essa è riconducibile alla stabilità del vincolo ed al porsi dell’associazione come attività antigiuridica, idonea a cagionare un grave pregiudizio per la pace e la tranquillità sociale, che non possono essere turbate da un ente criminale dotato di vita propria, i cui membri si avvalgono della forza intimidatrice, tipica

del fenomeno in esame, nonché della condizione di

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diffuso, conseguente all’esplicazione di precedenti condotte di violenza e di minaccia, idonee a configurare un vero e proprio potere di intimidazione o per commettere delitti, o per acquistare la gestione ed il controllo di attività economiche e/o appalti e servizi, ovvero per realizzare profitti e vantaggi ingiusti.

La mafia è stata considerata un fenomeno delinquenziale ed oggetto di studio da parte della criminologia, sin dagli ultimi decenni del secolo scorso; un po’ più tardivo è stato invece l’interesse a ciò , da parte della scienza giuridico/penale, la quale se nè è occupata solamente sotto il profilo mafioso in riferimento all’art. 416 del codice Rocco11.

Il dibattito del rapporto fra mafia e reato di associazione per delinquere è molto importante al fine di ricostruire i precedenti dell'art. 416 bis c.p.p., anche perché, come accennato poco prima, l'incapacità della vecchia norma incriminatrice di portare a soluzioni accettabili e praticabili, ha costituito una delle spinte che hanno portato alla formulazione di un nuovo e specifico reato associativo di tipo mafioso.

11

Il dibattito in ordine all’argomento in questione ebbe inizio a partire dai primi del secolo scorso, ma divenne più serrato a seguito dei processi di mafia scaturiti dalle operazioni di polizia del prefetto Cesare Mori

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Del resto però, il problema annoso del rapporto fra mafia e reato di associazione per delinquere, non può ritenersi del tutto superato dall’entrata in vigore dell’art. 416 bis, perché tale reato si presenta come una figura speciale di associazione per delinquere.

Indubbiamente, il primo elemento costitutivo è rappresentato dall'esistenza di un’associazione.

Secondo alcuni autori, l’articolo in esame ha sostituito il requisito della struttura organizzativa dell’associazione con il ricorso alla forza intimidatrice12.

Questa tesi va respinta con fermezza, giacché anche i lavori preparatori dimostrano come il legislatore abbia consapevolmente adottato il termine “associazione”, così eccependolo nella sua accezione di unione di più persone a carattere continuativo, caratterizzata da un minimo di stabilità e di organizzazione13.

Similarmente all’art. 416 c.p.p., la norma in esame dispone tuttavia che gli associati possono essere anche in numero di tre, così privando di un significativo rilievo il requisito dell’organizzazione.

Eppure, come già accennato prima, l’incriminazione

12

G. Neppi Modona, Il reato di associazione mafiosa, in Dem. Dir., 1983; conf. A. Antonini, Le associazioni per delinquere nella legge penale italiana, in Giust. Pen., 1985, II, 288 ss

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dell’associazione in sé stessa, può giustificarsi solo in quanto essa sia portatrice di un proprio disvalore in termini di pericolosità; e tale pericolosità deve manifestarsi anche tramite un' articolazione della struttura in ruoli e competenze, in grado di denotare pure la natura potenzialmente permanente dell’associazione.

Il secondo elemento costitutivo da prendere in considerazione è dato dalla condotta strumentale al perseguimento degli specifici fini, consistente nello sfruttamento della forza di intimidazione del vincolo associativo e nei conseguenti effetti di assoggettamento e di omertà, tipica dell’atteggiamento mafioso.

Tale aspetto è caratterizzante il piano criminologico che sociologico il fenomeno mafioso, e la sua recezione normativa doveva dunque ritenersi cogente per il legislatore.

3.3 La necessità del ricorso alla forza intimidatrice

Sul piano sociologico, è possibile affermare che alla base della subcultura mafiosa, vi sono sempre omertà ed assoggettamento, che si fondano su regole di rigida e attenta selezione degli aderenti e sulla ferma capacità degli stessi di imporsi, a loro volta, delle regole

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di spietata funzionalità rispettate senza eccezioni. Un associazione può ritenersi di tipo mafioso, distinguendosi dalla normale e tradizionale associazione per delinquere, quando sia connotata da quei particolari elementi indicati nell’art. 416 bis c.p.p. dei quali il principale è sicuramente il metodo mafioso, seguito per la realizzazione del disegno criminoso.

Il metodo mafioso è individuato assolutamente nella forza intimidatrice del vincolo associativo, nonché nella condizione di assoggettamento ed in quella tipica della condotta omertosa; la forza intimidatrice può essere desunta sia da circostanze obiettive, atte a dimostrare la capacità attuale dell’associazione di incutere timore, sia dalla generale percezione che la collettività abbia della efficienza del gruppo criminale nell’esercizio della coercizione fisica e morale.

In questa direzione, la Suprema Corte di Cassazione con sentenza 2004/9604 sez. VI, ha precisato che le condizioni di assoggettamento della popolazione e gli atteggiamenti omertosi conseguono, più che a singoli atti di sopraffazione, al cd. “prestigio criminale “, dell’associazione che, per la sua fama negativa e per la capacità di lanciare avvertimenti anche simbolici ed indiretti, si è

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accreditata come un centro di potere malavitoso temibile ed effettivo.

La condotta mafiosa che porta alla forza intimidatrice cui fa perno l’associazione mafiosa, nasce dal modus operandi, il quale essendo noto nell’ambiente sociale, induce un diffuso stato di terrore e di omertà, ma anche dal bene giuridico protetto, che risulta essere non solo l’ordine pubblico ma anche quello economico, vista la reale propensione dell’associazione ad egemonizzarne il settore; tale forza intimidatrice permette all’aggregazione criminale in questione, di poter esprimere la forza criminale, facendo leva sulla paura di ritorsioni sulla persona e sulla famiglia della persona destinataria degli atti di violenza subiti ( ad esempio è pacifico il caso dell’estorsione ).

Essa dunque rappresenta chiaramente l'elemento portante tipico del quale gli associati appunto si servono in vista degli scopi propri dell’associazione: pertanto risulta essere necessario che la medesima, abbia conseguito, in concreto, nell’ambiente circostante nel quale essa opera, una effettiva capacità di intimidazione e che gli aderenti se ne siano serviti in maniera effettiva al fine di realizzare il loro programma delinquenziale.

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Sicuramente la suddetta forza intimidatrice non raggiungerebbe la sua efficacia più piena, senza la presenza di quel vincolo di omertà che si correla alla medesima; l'omertà può essere vista , sul piano giuridico, come il rifiuto di collaborare con gli organi dello Stato, da parte degli appartenenti all’associazione stessa; tale risentimento sicuramente può derivare non solo dalla paura di danni alla persona, come già detto prima, ma anche dall’attuazione di condotte minacciose che possono portare danni sensibilmente rilevanti.

In tema di forza intimidatrice, da ultimo occorre rilevare che esse si può esplicare nei modi più disparati, sia limitandosi a sfruttare la carica di pressione già conseguita dal sodalizio, sia ponendo in essere nuovi atti di violenza e di minaccia.

Infine, assume rilevanza in tale direzione, la consuetudine alla latitanza dei membri dell’organizzazione di cui all’art. 416 bis c.p.p., ed in particolare dei suoi componenti di vertice, giacché la latitanza contribuisce in modo notevole a far si che l’attività del gruppo criminale associativo, sia circoscritta dalla diffusa sensazione di impunità, che rende sfuggente e al contempo incombente, l’impressione di pericolo in chiunque pensi di ostacolare il raggiungimento dei fini associativi.

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3.4 Riferimento al codice antimafia

E' pacifico oramai affermare che non solo è possibile identificare una procedura penale della criminalità organizzata, come dimostrato dall'esistenza di un doppio binario in materia processualpenalistica14, come pure esiste un doppio registro in

materia di concessione dei benefici penitenziari15 ma che

l’attenzione peculiare e la particolarità della disciplina ad esse riservata, può indurre a ricostruire un vero e proprio diritto penale della criminalità organizzata.

Anche il penalista quindi, deve classificare secondo un certo metodo, la materia della criminalità organizzata. Tale importante occasione, è sfuggita in occasione dell’approvazione del Codice antimafia16 l’art. 1 della l. 13 agosto 2010 n. 136, titolata “Piano

straordinario contro le mafie”, conferiva delega all'esecutivo affinché adottasse un decreto legislativo recante il codice delle leggi

14

R. Orlandi, Il procedimento penale per fatti di criminalità organizzata dal maxi-processo al grande processo, Torino, 2013 p. 190

15

V. Grevi, Verso un regime penitenziario progressivamente differenziato : tra difesa sociale e incentivi alla collaborazione con la giustizia, Milano, 2011 p.120

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antimafia, e ciò sarebbe dovuto avvenire realizzando una completa esplorazione della norma penale di contrasto alla criminalità organizzata, il coordinamento della normativa penale, nonché l'adeguamento della normativa italiana alle disposizioni adottate dall’unione Europea.

Il governo aveva predisposto uno schema di decreto legislativo, suddiviso in cinque libri; in particolare il libro I era dedicato appunto alla criminalità organizzata di tipo mafioso, ed era suddiviso in quattro Capi, di cui il più importante era il capo I, ove venivano disciplinate le associazioni di tipo mafioso.

Sennonché, la presenza del libro I, era stato oggetto di critiche da parte del Parere approvato dalla Commissione della Camera dei Deputati, secondo il quale lo schema del decreto, non considerava tutti I delitti indicati nell’art. 51 comma 3- bis, c.p.p.; dunque il Codice antimafia non avrebbe disciplinato integralmente I delitti connessi alla criminalità mafiosa, e peraltro il Codice non avrebbe abrogato tutte le norme vigenti: la conseguenza portò all’inevitabile soppressione dell’intero Libro I.

Ha così visto la luce il d. lgs. 6 settembre 2011, n. 159, recante il Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione; trattasi

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di un ampio testo diviso in quattro libri, che però ha perso l’originario intero Libro I, e con esso anche il desiderio di rappresentare un punto di riferimento anche per il diritto penale. In conclusione, si può affermare che, proprio la mancanza della disciplina penale costituisce la maggiore negligenza del codice, in quanto rappresentava la base normativa del tentativo di dar vita ad un corpus normativo, comprensivo della legislazione antimafia.

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CAPITOLO IV:

La criminalità organizzata

internazionale

4.1 Crimine transfrontaliero organizzato

Con il termine transnazionalità si tende a definire alla cooperazione che gruppi criminali di differente nazione creano saldamente fra loro, per gestire in maniera più affilata certi mercati a loro interessati.

La transnazionalità del crimine è caratteristica differente dalla sua internazionalità;

con questa seconda accezione, infatti ci si riferisce al fatto che un gruppo criminale non opera in modo autonomo nel territorio dello Stato ove è iniziato, ma svolge la sua attività anche all’estero, con propri affiliati ed associati, ed utilizzando proprie risorse materiali ed economiche.

Con il termine transnazionalità invece si intende alludere alla cooperazione che gruppi criminali di svariata nazionalità creano fra di loro per la finalità di gestire in modo migliore certi mercati criminali; i crimini transnazionali si possono manifestare di solito in

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varie maniere: alcune fattispecie di reato sono da considerarsi come tali in sé stesso, perché non occorre prova alcuna, come accade ad esempio per il traffico illecito di armi, droga, tratta di esseri umani, ove la commissione del reato necessita un attraversamento di frontiere tra vari Stati17 ma non solo in quanto altri possono

manifestarsi attraverso strumenti come internet (è il caso dei cyber-crimes, quali la frode informatica o la pornografia minorile).

Con riferimento ad altre figure di reato, il requisito della transnazionalità è ricollegato al luogo ove si verifica l’offesa al bene giuridico protetto; basti pensare ai sempre più frequenti reati di matrice ambientale attuati mediante trasferimento da uno Stato ad un altro di rifiuti e sostanze altamente tossiche; anche in quest' ultimo caso si verifica materialmente il superamento dei confini, tuttavia la transnazionalità è data proprio dal fatto che l’offesa si verifica in un paese diverso da quello in cui sono state prodotte le sostanze nocive.

Dinnanzi a questi gravi fatti in continua evoluzione, a livello europeo di è cercato di reagire, predisponendo strumenti normativi, che potessero efficacemente contrastare le condotte criminose,

17

A. Di Martino, La frontiera e il diritto penale. Natura e contesto delle norme di “diritto penale transazionale“, Torino, 2006, 67 ss.

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reprimendo il fenomeno e dando così' una puntuale e concreta risposta al crimine transfrontaliero18.

Importante concetto da ultimo sottolineato, e che senza il quale non potrebbero avvalersi le argomentazioni sostenute fin qui, è che tutte le nazioni devono prendere atto che la criminalità organizzata si sconfigge con tutte le armi e non si sconfigge se non si prende atto che essa è purtroppo operante in tutti i territori, e quindi radicalmente inserita nel tessuto sociale europeo.

4.2 La risposta dell’Unione Europea al fenomeno criminale

Innanzitutto occorre segnalare l'Azione comune 733/98/GAI per contrastare la criminalità organizzata, adottata dal Consiglio dell’unione europea il 21 dicembre 1998, e tesa a rafforzare la cooperazione fra Stati membri nella lotta a gravi forme delinquenziali di tipo associativo, dando anche una definizione importante di criminalità organizzata, vista come un' associazione strutturata fra più persone che agisce in modo continuo per commettere reati gravi, punibili con pene che vadano a restringere

18

Direttiva n. 91/308/CEE, 10 giugno 1991, Prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività illecite.

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la libertà personale per un periodo non inferiore ai quattro anni. Viene posto a ciascuno Stato membro, l’obbligo di prevedere sanzioni penali effettive, adeguatamente proporzionate e dissuasive, a carico non solo di chi partecipi attivamente all’attività delinquenziale, ma anche a carico di chi si accordi con una o più persone per porre in essere attività, finalizzate come reati- fine dell’associazione stessa.

Si può affermare che, la definizione seppur accennata ripropone, sul piano internazionale, le stesse problematiche della disciplina interna, in relazione all’esigenza di dover circoscrivere e meglio definire in precisi contorni, il concetto stesso di criminalità organizzata, soddisfacendo così le istanze di materialità ed offensivita’, proprie del diritto penale di uno Stato sociale democratico, e di diritto.

La definizione che essa ha fornito di criminalità, pone a riguardo nei confronti anche della gerarchia interna dell’organizzazione stessa, sia in quanto atta a commettere delitti, sia in quanto avvalendosi della minaccia, intimidazione o corruzione, costituisca mezzo illegale per raggiungere finalità in sè lecite.

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partecipazione ad un' organizzazione criminale, occorre che coordino la loro azione allo scopo di attuare un' azione penale efficace. (art. 4).

4.2 La convenzione delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato

Con questa importante Convenzione siglata a Palermo il 12 dicembre 200019 gli Stati membri dell’unione Europea, si sono

impegnati ad introdurre all’interno del loro ordinamento, la fattispecie penale che permette di punire e contrastare la partecipazione ad un gruppo criminale organizzato, oltre a misure utili a respingere con fermezza l’azione delle organizzazioni criminali.

La Convenzione è stata approvata dal Consiglio dell’Unione europea il 29 aprile 2004, con la decisione 2004/579/CE (30), mentre è stata ratificata in Italia con la legge n. 146 del 16 marzo. Sono state stabilite procedure comuni in tema di estradizione, di

19

V. Militello, Le strategie di contrasto della criminalità organizzata transnazionale tra esigenze di politica criminale e tutela dei diritti umani, in Aa. Vv., L’attività di contrasto alla criminalità organizzata, a cura di Parano – Centonze, Milano, 2005, 249 e ss.

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trasferimento di persone condannate, di trasferimento di procedimenti penali e di assistenza giudiziaria, prevedendo anche la possibilità di eseguire indagini comuni, consegne controllate, applicazione di strumenti di sorveglianza elettronica ed operazioni sotto copertura.

L'area di operatività della suddetta Convenzione copre, salvo quando diversamente stabilito, la prevenzione, l’investigazione e l’incriminazione di reati gravi che vedano coinvolta un 'organizzazione criminale20. L’obiettivo è promuovere la

cooperazione per prevenire e combattere il crimine organizzato transnazionale in maniera più concreta.

All'interno della Convenzione, è da sottolineare che netta appare la distanza tra il gruppo strutturato in associazione, e le fattispecie di concorso di persone nel reato atteso che non è possibile individuare un gruppo organizzato ogniqualvolta la costituzione dello stesso sia fortuita e per la commissione improvvisa di un reato.

L’associazione deve, quindi, secondo l'ottica della Convenzione, presentare delle forme organizzative quantomeno rudimentali, non potendosi concepire un gruppo “strutturato” completamente

20

R. Di Chio, La cooperazione giuridica e giudiziaria per la lotta alla criminalità organizzata transnazionale nella Convenzione di Palermo del 29 settembre 2003, Bari, 2007 p.320

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separato da forme di organizzazione di mezzi e di uomini.

Viene codificato, così, quell’elemento dell’organizzazione che la dottrina interna ritiene necessario per la configurazione del delitto di associazione per delinquere.

Da ultimo, tale Convenzione stabilisce che il requisito della transnazionalità del gruppo criminale, occorre quando il reato è commesso in un solo Stato, ma anche se la preparazione, la pianificazione e la gestione del medesimo, si sia svolto in un altro Stato; oppure in un solo stato ma vede coinvolto un gruppo di criminalità organizzata operante in più di uno Stato.

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CAPITOLO V:

Le risposte del processo al

fenomeno criminale

5.1 Evoluzione normativa del codice di procedura penale in relazione alla scelta del doppio binario

Nonostante sia presente il nostro codice di procedura penale datato 1988, è opinione diffusa che esso, ottimo in condizioni di normalità, non sia in grado di fronteggiare al meglio il fenomeno della lotta alla criminalità organizzata, non rispondendo così efficacemente a quegli importanti canoni di giustizia, necessari per la repressione di tale odioso e pericoloso fenomeno.

Da sempre, il nostro paese si è occupato di affrontare il fenomeno criminale di tipo associativo, e lo ha cercato di attuare sin dai tempi della legislazione fascista -codice rocco del 1930-, senza però riuscirci pur essendo dotato di un severo regime di polizia e su una completa soggezione della liberta’ individuale all’esigenza di protezione dei consociati.

La riforma avvenuta nel 1989, ha riflettuto su questo aspetto delinquenziale, e nell’ottica di correggere e di rendere più efficace

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la normativa in tema di criminalità organizzata, ha dato vita al sistema del doppio binario procedimentale; l’intenzione originaria del legislatore era quella di creare appunto una disciplina procedurale derogatoria di quella ordinaria, nascenti da particolari esigenze che si formavano nei reati di particolare gravità sociale: oggi però è più giusto parlare di un doppio binario allargato, in quanto si è ampliata la sfera contenente i reati per i quali sono previste deroghe nel corso del procedimento ordinario.

L’attivazione di una deroga nel corso di un procedimento penale, non è però legata al fatto che si stia procedendo per fatti di criminalità organizzata; si può quindi affermare che sono state disciplinate differenze procedimentali all’interno dell’unico procedimento penale, che potessero rispondere alle esigenze legate alla lotta contro le più gravi forme di matrice associativa-delinquenziale.

Nel tracciare una panoramica delle principali disposizioni in tema, si può fare riferimento sin da quando il fatto di reato viene descritto come fatto di criminalità organizzata.

Tracce di questa “corsia procedimentale particolare”, si trovano anche nella fase delle indagini preliminari, ad esempio in

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