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Descrizione dell’ apparato sperimentale

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Academic year: 2021

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Capitolo 2

Descrizione dell’ apparato sperimentale

Gran parte di ci`o che `e stato fatto durante il periodo di tesi `e consistito nel montaggio dell’ apparato sperimentale dell’ esperimento di litografia atomica;

in effetti, come detto gi`a nell’ Introduzione, si tratta per molti aspetti di un ri - montaggio dell’ apparato sperimentale ampiamente descritto -nelle sue diverse fasi evolutive- in altri precedenti lavori di tesi, rispettivamente in [26, 32, 3].

Conseguentemente, nel nuovo apparato `e presente gran parte del vecchio, sia sottoforma degli strumenti base per la sua realizzazione (dagli alimentatori dei laser, alle camere e pompe da vuoto a gran parte dell’ ottica usata), sia dal punto di vista della ideazione delle sue parti fondamentali. Ci`o non toglie che siano state apportate modifiche fondamentali per una maggiore stabilit`a dell’

apparato e per un suo migliore funzionamento, che sono del tutto nuove ed originali rispetto al precedente montaggio: pertanto mi soffermer`o su tutte le varie parti dell’ apparato, prestando maggiore attenzione alla descrizione dei nuovi elementi (nuovi montaggi dell’ottica, diverse configurazioni dei laser, etc.).

In questo esperimento si vuole:

• realizzare un intrappolamento per atomi di Cs sfruttando una MOT pi- ramidale, che permetta di

• avere un imbuto atomico, dal quale sia possibile

• ottenere un fascio di atomi freddi e lenti;

• effettuare una collimazione di tale fascio in un unico step, ed infine

• andare ad impressionare un substrato, davanti al quale sia posta una maschera ottica, che si crea con un’ onda stazionaria.

Per fare tutto questo sono necessari i seguenti requisiti:

(2)

• campi e.m. il pi`u possibile monocromatici, di frequenza opportuna (cor- rispondente alla frequenza della transizione atomica scelta, i. e. la D

2

del Cs, ed eventualmente detunata da essa) ed il pi` u possibile stabili in frequenza;

• in particolare i fasci laser che servono in tutti i vari step dell’ esperimento devono essere il pi` u possibile gaussiani e collimati (almeno in partenza);

• i laser, per realizzare il raffreddamento o la focalizzazione degli atomi, devono incidere su di essi con i giusti angoli e la corretta polarizzazione;

• per la fase di intrappolamento `e essenziale, come visto nel capitolo prece- dente, una corretta configurazione dei campi magnetici. In particolare, lo vedremo in seguito, essi sono fondamentali per ottenere l’ imbuto atomico;

• `e chiaro che tutti i vari step devono avvenire, per poter funzionare ef- ficacemente, in un ambiente il pi` u possibile ”pulito”, in modo tale da evitare le collisioni indesiderate tra gli atomi di Cesio ed il gas di fondo, e per evitare che il Cesio, fortemente reattivo all’ aria, venga disperso, rendendo impossibile ogni manipolazione.

Per realizzare quanto elencato sopra, si dispone di laser a diodo che possono emettere ad una frequenza attorno agli 850nm, la quale risulta estremamente sensibile a variazioni di temperatura e di corrente; lo spot emesso da ogni singolo diodo `e fortemente divergente (≥ 30), di forma ellittica e con polarizzazione or- togonale all’ asse maggiore dello spot. I campi magnetici sono ottenuti tramite delle bobine di varie forme e dimensioni, opportunamente configurate e mon- tate sull’ apparato; fin da subito distinguiamo due bobine che permettono la creazione del campo quadrupolare della MOT, ed altre cinque coppie di bobine utilizzate per compensare campi spurii, generati dalle pompe da vuoto o da altre sorgenti, sia nella zona della MOT, sia nella zona di collimazione. Il Cesio viene emesso da dei dispenser, ossia delle strisce metalliche calandrate attorno ad una mistura di polveri di cromati alcalini, e da agenti riducenti che sono una miscela di Si, Zr e Al. Il tutto `e un mezzo conduttore e, passandovi corrente attraverso, si sviluppa calore che attiva una reazione chimica che porta alla produzione di Cs atomico, che costituisce il fondo da cui si pu`o caricare la trappola. Al vari- are della corrente varia la quantit`a di Cesio emesso, e pertanto si ha un flusso controllato di atomi. I dispenser sono collocati nella zona dove si vuole creare la MOT, che `e costituita da una piramide a base quadrata di lato ' 3.8cm, cava (vedremo in seguito meglio il perch´e di una tale configurazione). Tutto il sistema della piramide munita di dispenser `e disposto all’ interno di una cam- era a vuoto che permette, con l’ ausilio delle tre pompe di cui disponiamo, di raggiungere pressioni attorno a 10

−9

mbar. Questa camera `e anche l’ ambiente in cui avviene la fase di generazione del fascio atomico e la sua collimazione;

questa camera `e collegata, tramite una valvola a ghigliottina, all’ altra parte

del sistema da vuoto, in cui avviene infine la deposizione sul substrato. Tutto

questo `e montato su un tavolo anti vibrazione della Newport dotato di tre sen-

sori e di zampe montate su dei supporti caricati ad aria.

(3)

La parte di sistemazione delle camere da vuoto e del montaggio delle tre pompe, nonch´e delle bobine di quadrupolo e della piramide all’ interno della camera, non ha richiesto un lungo tempo di lavoro, giacch´e, peraltro, tutte le varie compo- nenti erano gi`a presenti nel vecchio apparato. La parte di sistemazione dei laser (compresa quella del settimo laser non presente nel vecchio apparato), di colli- mazione dei fasci, di modificazione della forma dello spot in uscita dal diodo, di stabilizzazione della loro frequenza, di ricerca delle condizioni di lavoro ottimali, di diminuzione dei vari rumori elettronici e del feedback presenti, nonch´e della creazione di bobine di compensazione compatibili con la nuova disposizione dell’

esperimento, e soprattutto la disposizione sul tavolo di tutti gli elementi ottici necessari ai nostri scopi, ha richiesto, invece, svariati mesi di lavoro.

Qui di seguito descriviamo pi` u in dettaglio i vari step di montaggio di questo apparato: partiamo dal sistema da vuoto, dalle pompe e dal sistema della pi- ramide e delle bobine (di quadrupolo e di compensazione) che, come detto, `e il lavoro meno originale, e che ha richiesto un tempo relativamente breve. Quindi passiamo alla descrizione dei laser e del lavoro fatto su di essi per migliorarne la qualit`a spettrale e la stabilit`a, ed ai vari cammini ottici che essi percorrono sul tavolo, prima di andare a interagire con gli atomi.

2.1 Apparato da vuoto

L’ appparato da vuoto `e stato progettato in modo tale da risultare il pi` u com- patto possibile e da permettere un controllo delle varie parti dell’ esperimento.

Esso `e composto di due parti principali connesse, tramite una valvola a ghigliot- tina, che pu`o sostenere una differenza di pressione di ∼ 1bar, con una pressione fino a 10

−9

mbar nella sezione a pressione pi` u bassa. L’ asse delle camere risulta a 19 cm di altezza rispetto al piano del tavolo.

Camera della MOT e della collimazione

La prima camera `e costituita da un corpo cilindrico di 10 cm di diametro in acciaio inossidabile con sei flange di diametro 4 cm, necessarie quattro come finestre per l’ osservazione e poi per il passaggio dei fasci di collimazione, una come connessione alla pompa ionica (20 l/s Vaclon Plus Star Cell della Varian) e l’ ultima per permettere il passaggio dei cavi di alimentazione dei dispenser.

Un’ estremit`a del cilindro termina con una finestra trattata antiriflesso, da cui entrano i fasci laser necessari alla realizzazione della MOT. L’ altra `e ridotta in diametro a 6.3cm, ed `e collegata alla valvola. Le sei flange sono a due a due allineate: due coppie sono disposte a formare un angolo relativo di 90

, mentre l’ ultima coppia risulta a 45

rispetto alle precedenti; tutte e sei sono montate sul corpo della camera lungo la stessa circonferenza. Delle finestre trattate antiriflesso a 852nm sono montate sulle due coppie a 90

, per permettere l’

accesso ottico ai fasci di collimazione (vedere, al proposito, fig. 2.3 di [3]).

All’ interno della camera `e disposto il sistema ottico che permette la creazione

della MOT (MOT piramidale), e ad esso `e ancorato il sostegno dei dispenser. I

(4)

Figura 2.1: Schema dell’ apparato da vuoto

componenti che formano la piramide sono assemblati, e sostenuti da un supporto in acciaio inossidabile, ancorato al corpo della camera, e vengono a formare la piramide che ha la sua parte interna cava rivolta verso la finestra principale.

Il sostegno della piramide viene cos`ı a dividere la camera in due parti. Al sostegno sono fissati anche i dispenser, che sono stati sostituiti con una nuova coppia (rispetto a quella utilizzata nel vecchio apparato) al momento in cui si

`e operato il trasferimento sul nuovo tavolo delle camere a vuoto. Le due parti cos`ı formate della camera sono messe in comunicazione, tra l’ altro, attraverso otto fori praticati nella base del sostegno, presenti per garantire un pompaggio differenziale tra la zona di trappola e quella di collimazione. Questo fa s`ı che la pressione nella zona della MOT risulti circa un ordine di grandezza superiore a quella retrostante, e garantisce una pressione di fondo pi` u alta nella zona di trappola, ed un ambiente pi` u ”pulito” nella zona di collimazione.

Camera della standing wave

A ”valle”, della valvola a ghigliottina `e posta la camera per la deposizione: es- sa `e costituita da due croci a sei vie di flange dello stesso diametro DN63CF, distanti una trentina di centimetri l’ una dall’ altra, ognuna delle quali `e cos- tituita da due coppie di flange, disposte ortogonalmente tra loro e rispetto all’

asse della camera. Termina la camera una croce con un tappo (eventualmente intercambiabile con una finestra), ed una flangia cui `e attaccata la pompa turbo molecolare (300 l/s Turbo vt 300 Macro Torr ), disposta ortogonalmente all’

asse della camera sulla parte inferiore della calotta (quella cio´e che guarda il

(5)

pavimento): mentre tutto il resto dell’ apparato ´e fissato al tavolo tramite ap- positi sostegni, e fisicamente si trova sopra di esso, la parte terminale dove `e attaccata la pompa `e montata a sbalzo, rispetto al tavolo. La camera, tramite uno smorzatore commerciale, progettato appositamente per la turbo, `e (parzial- mente) disaccoppiata dalla pompa, in modo da limitare la propagazione delle vibrazioni prodotte dall’ azione della Turbo. La prima delle due croci `e il luogo in cui avviene la deposizione: le due finestre orizzontali servono da ingresso per il facio laser dell’ onda stazionaria, e da ingresso ottico per monitorare durante il deposito il flusso degli atomi

1

. Le altre due flange servono rispettivamente per sostenere il porta-substrato (quella inferiore), e come ulteriore ingresso ottico per osservare la fluorescenza del fascio tramite una camera CCD (quella supe- riore).

La seconda croce `e per adesso destinata soltanto al passaggio di fasci di sonda con cui monitoriamo l’ assorbimento del fascio atomico, ed `e stata utilizzata per misure di divergenza nella fase di caratterizzazione del fascio atomico. Prelimi- narmente una pompa a membrana (1.8m

3

/h MV2V della Varian), collegata alla Turbo, crea il pre-vuoto (∼ 0, 5mbar) in entrambe le camere; quindi la Turbo porta la pressione ai valori desiderati. Chiudendo poi la valvola si ha la possi- bilit`a di isolare la camera della S.W. dall’ altra della MOT-collimazione, in cui agisce la ionica. In seguito ad un degassamento di tutto il sistema a temperature di 100 − 120

C per due-tre settimane, si possono raggiungere valori di vuoto di

∼ 10

−9

mbar.

Gli indicatori della pressione di cui disponiamo sono una gauge ionica, posta in prossimit`a della parte terminale della seconda camera, vicino alla Turbo, e dal monitor di corrente dell’ alimentatore della ionica, la cui corrente di operazione

`e proporzionale alla pressione della camera.

2.2 MOT piramidale e campi magnetici

Come detto alle sezioni precedenti, la sorgente di atomi freddi che utilizziamo per creare il fascio `e una MOT piramidale (PMOT vedi [33, 34]). Rispetto alle MOT standard (tre coppie di laser contropropaganti in configurazione σ

+

σ

nelle tre direzioni, ed un campo magnetico inomogeneo), il sistema della PMOT presenta il notevole vantaggio di necessitare di un solo fascio laser, incidente sul sistema ottico costituito dalla piramide. Essa `e composta combinando due specchi dielettrici rettangolari, montati a 90

l’ uno rispetto all’ altro e distanti nel punto pi` u vicino ' 2mm, tra cui sono alloggiati due prismi con il vertice tagliato, disposti in modo tale da avere i vertici distanti ' 1mm. Le superfici esterne degli specchi e dei prismi sono rese riflettenti per mezzo di un coating dielettrico. Il risultato `e appunto una piramide cava a base quadrata con l’

interno riflettente, forata in cima con un passaggio di area ' 1×2mm

2

. Questo sistema ottico permette di generare la configurazione dei fasci laser σ

+

σ

nelle

1

Non ` e corretto dire che il nostro monitor ci permette di conoscere il flusso del fascio:

quello che in effetti si riesce a visualizzare ` e un segnale di assorbimento, come sar` a specificato

in seguito

(6)

Figura 2.2: Schema della MOT piramidale

tre direzioni necessaria per ottenere la MOT. Un atomo che si trovi inizialmente nel punto evidenziato in figura vede un fascio polarizzato σ

che viaggia in direzione ˆ z, ed un altro polarizzato σ

che viaggia in direzione opposta, che

`e dato dalla retroriflessione sugli specchi. Analogamente vede un fascio σ

+

parallelo a ˆ y, ed uno ad esso opposto σ

; lo stesso accade nella direzione ˆ x.

Il campo magnetico quadrupolare `e fornito da una coppia di bobine circolari alimentate separatamente ed avvolte direttamente sulla camera da vuoto in corrispondenza della piramide: le loro specifiche e l’andamento del campo da esse generato si possono trovare in [26]. Esiste anche una terza bobina montata per realizzare, se necessario, un altro zero di campo magnetico nella zona della collimazione.

Infine l’ apparato prevede anche sei bobine di compensazione agenti nella regione di collimazione, e quattro nella zona della MOT (nelle direzioni trasverse all’

asse dell’ imbuto): queste coppie di bobine sono state riprogettate e costruite ex novo, in modo da risultare compatte e al tempo stesso utili ai nostri scopi.

Le bobine di compensazione per la collimazione sono a due a due di dimensioni:

8 × 25 cm

2

100spire 12 × 25 cm

2

100spire 8 × 14 cm

2

150spire

Quelle per la compensazione della MOT hanno invece dimensioni 7 × 5 cm

2

150spire

7 × 3 cm

2

150spire

Tutte sono formate da spire di rame, montate su dei supporti di semplice pro-

filato di Alluminio di sezione ad U entro cui `e stato avvolto il filo. Tutte le

coppie sono in grado di fornire alcuni Gauss di campo in corrispondenza della

(7)

zona centrale (larga alcuni mm). Oltre al fatto che esse permettono una com- pensazione da campi magnetici spurii, risultano essenziali per l’ ottenimento dell’ imbuto atomico. Questo si realizza allorch´e il campo magnetico della trap- pola abbia lo zero sull’ asse della piramide: in tal caso gli atomi intrappolati risentono di uno sbilanciamento della forza agente lungo ˆ z, dovuto al fatto che essi si trovano allineati con il foro apicale, e pertanto non interagiscono pi` u con il fascio retroriflesso, lungo tale direzione. Essi vengono di conseguenza forzati ad uscire dalla piramide, con la conseguente creazione di un flusso continuo fuori della piramide. La scelta di coppie indipendenti nasce dall’ esigenza di molti gradi di libert`a su cui agire, e su diversi parametri indipendenti nelle due zone di trappola e di collimazione.

Per prima cosa abbiamo ricercato una configurazione delle correnti delle bobine di quadrupolo e di compensazione in modo da creare un campo nella regione della piramide, che consentisse l’ intrappolamento degli atomi e che al tempo stesso avesse lo zero fuori dell’ asse della piramide: ci`o per consentirci di studi- are e caratterizzare la nuvola di atomi freddi ”statica”; quindi si sono ricercate le configurazioni per cui si avesse lo zero del campo sull’ asse, per realizzare l’ imbuto atomico. In particolare abbiamo ricercato la condizione delle varie correnti di alimentazione delle bobine che massimizzasse il numero di atomi in- trappolati, e che allo stesso tempo permettesse di passare, tramite la semplice inversione della corrente di alimentezione di una coppia di bobine di compen- sazione, dal regime di MOT statica (campo con lo zero fuori dell’ asse) a quello di imbuto atomico (campo con lo zero sull’ asse). Questo `e fondamentale per avere un’ immediata visione della trappola e per vedere, quindi, se l’ apparato di raffreddamento/ intrappolamento funziona o meno.

2.3 Preparazione dei laser

Il buon funzionamento della manipolazione degli atomi durante i vari step dell’

esperimento dipende in massima parte dalla qualit`a delle sorgenti laser utiliz- zate; in particolare devono avere le giuste caratteristiche spettrali, ed un’ elevata stabilit`a, dal momento che una deposizione necessita di un tempo dell’ ordine dell’ ora, e poich´e tale tempo si pu`o tanto pi` u ridurre, quanto maggiore `e il buon funzionamento delle sorgenti. Per ottenere questo `e stato necessario un grande lavoro preliminare, in cui si sono preparati i vari laser. Disponiamo di sette laser a diodo, cos`ı configurati:

• una coppia di essi in modalit`a master-slave `e destinata alla realizzazione del fascio di trappola;

• una coppia master-slave `e utilizzata nello step di collimazione;

• una coppia master-slave serve a creare l’ onda stazionaria che usiamo come maschera ottica durante il deposito;

• il settimo laser si sovrappone ai fasci di trappola e di collimazione per

rendere il ciclo di fluorescenza chiuso.

(8)

Figura 2.3: Schema parziale dei livelli atomici del Cesio.

In seguito ci riferiremo ad essi come master-slave MOT, master-slave colli- mazione, master-slave S.W., e DBR o Ripompa. Rispetto al vecchio apparato `e stato introdotto lo slave collimazione al fine di aumentare l’ intensit`a del fascio, e di migliorare il funzionamento del processo. Lo schema generale che si utilizza per effettuare il raffreddamento e la focalizzazione `e quello presentato in [26], cio´e si sfrutta la transizione del Cesio denominata D

2

, 6S

12

→ 6P

32

(852.1nm),

|F = 4i → |F

0

= 5i. Per avere cicli di fluorescenza chiusi si deve per`o con- siderare che esiste una probabilit`a non nulla (∼ 0.1%) per la transizione non risonante |F = 4i → |F

0

= 4i, distante in frequenza circa 250MHz, dalla prin- cipale; risulta cio´e che un un atomo su mille finisce sull’ |F

0

= 4i. Da qui esso pu`o decadere sul livello |F = 3i e diventare inutilizzabile per il raffreddamento.

Senza una radiazione risonante con la transizione |F = 3i → |F

0

= 4i, che

”ripompi ” gli atomi sul livello iperfine eccitato |F

0

= 4i (e da qui sul fondamen-

tale |F = 4i), la vita media della trappola sarebbe di poche decine di µs. Per

tale motivo `e necessario sovrapporre ai fasci di raffreddamento una radiazione

di Ripompa.

(9)

2.3.1 Stabilizzazione della corrente e della temperatura

La corrente di alimentazione del laser a diodo, e la sua temperatura, sono dei parametri importanti per assicurarne una buona stabilit`a: basti considerare che una variazione della temperatura comporta un drift in frequenza di 1 GHz/K.

Analogamente una variazione della corrente modifica sia la potenza di uscita, sia la frequenza della radiazione emessa. In particolar modo la stabilizzazione della temperatura `e estremamente critica, poich´e la temperatura del laboratorio pu`o variare di diversi gradi nell’ arco della giornata.

La corrente `e mantenuta il pi` u possibile costante utilizzando alimentatori ap- positamente costruiti, stabilizzati in corrente, con circuiti di sicurezza contro sovratensioni di rete e sbalzi di corrente all’ accensione e allo spengimento. Essi sono, inoltre, dotati di due monitor che indicano la corrente e la potenza di uscita, nonch´e di un limitatore di corrente massima, impostabile al valore op- portuno.

Per stabilizzare la temperatura si utilizzano montaggi analoghi a quelli presen- tati in [26]: il DBR sar`a descritto a parte. Gli altri sei laser sono montati su un supporto in alpacca (`e una lega di Cu (62%),Ni (18%),Zn (20%)), il quale si trova in contatto termico con una base di Alluminio, la quale serve da ter- mostato, attraverso due peltier, collegati tra loro in parallelo. Queste creano una differenza di temperatura tra le facce, che `e positiva o negativa a seconda del verso della corrente che in esse circola; un sensore AD590 in contatto ter- mico con l’ alpacca produce un segnale che `e proporzionale alla temperatura;

questo `e inviato ad un circuito di servocontrollo che mantiene la temperatura ad un livello pre-impostato dall’ esterno attraverso opportune manopole di re- golazione. I controller sono inoltre dotati di un’ uscita che fornisce un segnale di errore tra temperatura pre-impostata e temperatura attuale. Bench´e in linea teorica tali regolatori siano in grado di stabilizzare la temperatura al centesimo di grado, hanno pi` u volte presentato dei problemi, sia per il fatto che la tem- peratura esterna era soggetta a pesanti variazioni nell’ arco di poche ore, sia perch´e essa era spesse volte al di sopra dei 24 − 25

C mentre le temperature impostate non superavano i 19 − 20

C, sia, soprattutto, perch´e tali controller sono estremamente sensibili alle radiofrequenze, nonostante siano dotati di filtri ed altri accorgimenti.

I diodi sono infine montati con la loro base di Alluminio dentro scatole di plexi- glass, rivestite internamente di carta di Alluminio autoadesiva ed esternamente di materiale fono-termo isolante.

2.3.2 Collimazione dei fasci e modifica della forma dei loro spot

Una volta montati i diodi sugli appositi supporti, `e stato incollato un obbiettivo

(Melles-Griot, f/4.5 mm) davanti alla finestra del diodo, in modo da collimare

la radiazione laser uscente, ”naturalmente” assai divergente (≥ 30

) lungo la

direzione della giunzione. Questo si ´e fatto montando l’ obiettivo a sbalzo su un

traslatore nelle tre direzioni, e muovendo le viti micrometriche finch´e il fascio

(10)

non risultasse collimato. ` E stato quindi incollato nella giusta posizione e suc- cessivamente separato dal traslatore; tale operazione `e stata eseguita non solo sul nuovo laser, ma anche su alcuni di quelli gi`a presenti nel vecchio apparato.

Il fascio che esce dai diodi laser cos`ı sistemati `e collimato ma presenta uno spot ellittico, con polarizzazione perpendicolare all’ asse maggiore dell’ ellisse. Per alcuni (i master) l’ asse maggiore era parallelo al piano del tavolo, per altri (gli slave) risultava a 45

rispetto ad esso, per esigenze di iniezione; in ambo i casi gli spot di tutte le sorgenti sono stati resi circolari, per mezzo di una coppia di prismi anamorfici; questi sono stati montati in modo tale da fare incidere il fas- cio all’ angolo di Brewster, cos`ı da massimizzare la potenza trasmessa. In tutti i casi la potenza persa sui prismi si aggira attorno al 5-10 % di quella totale.

Lo spot cos`ı ottenuto `e stato ingrandito o ridotto nelle dimensioni tramite dei telescopi posti subito a valle dei prismi; nel fuoco del telescopio `e stato posto un isolatore ottico, che serve da un lato- come vedremo- per l’ iniezione degli slave da parte dei laser master, e dall’ altro, per tutte le sorgenti, per limitare il ritorno di retrorilessioni indesiderate verso il diodo: queste ultime risultano infatti uno dei principali fattori di disturbo del buon funzionamento della sor- gente, e pertanto sono da eliminare il pi` u possibile.

L’ isolatore ottico, in generale, `e uno strumento costituito da due accessi dotati di polarizzatori; al centro dello strumento, opportunamente rivestito e protetto,

`e presente un mezzo di Faraday, che ruota la polarizzazione di un’ onda che lo attraversa di +45

, indipendentemente dal verso in cui essa percore il mezzo.

Supponendo che il fascio di andata sia polarizzato verticalmente, che il filtro di ingresso sia disposto in modo tale da fare passare tutta la radiazione inci- dente, ed analogamente quello di uscita, una volta che esso esce dall’ isolatore ha polarizzazione a +45

rispetto a quella iniziale. Un suo eventuale ritorno entrer`a nell’ isolatore dall’ uscita e verr`a ruotato di altri +45

; verr`a quindi a trovarsi ad incidere sul polarizzatore di ingresso con una polarizzazione che `e a +90

rispetto a quella massimamente trasmessa, e pertanto sar`a fortemente soppressa. Una variante di tale schema, che `e essenziale per la iniezione dei laser slave, possiede due ulteriori ingressi laterali con dei prismi Glan-Thompson, da cui fuoriescono i fasci che hanno polarizzazione ortogonale a quella ”principale”

che sono completamente riflessi. Supponiamo che il fascio degli slave abbia po- larizzazione iniziale +45

rispetto al piano del tavolo, e che l’ entrata principale dell’ isolatore ottico sia disposta in modo da massimizzarne la trasmissione:

esso, allora, entra nel mezzo di Faraday, e subisce una rotazione della polariz- zazione di +45

. All’ uscita il fascio `e ortogonalmente polarizzato rispetto al piano del tavolo. Il fascio del master deve avere, invece, polarizzazione iniziale orizzontale: entrato dall’ ingresso secondario esso subisce una rotazione della sua polarizzazione di +45

durante il passaggio nel mezzo, e pu`o uscire dall’

entrata principale; se ben sovrapposto alla radiazione dello slave, il master va

a provocare l’ iniezione, tramite la quale trasferisce al diodo slave le proprie

caratteristiche spettrali. L’ operazione `e abbastanza difficoltosa perch´e i fasci di

slave e master devono essere ben sovrapposti, e in tutti i casi le perdite relative

causate dal passaggio attraverso l’ isolatore non vanno al di sotto del 15%; gen-

eralmente la dimensione dello spot del master, in ingresso ai prismi anamorfici

(11)

dello slave, `e la met`a di quella dello slave, e la potenza della radiazione che va ad iniettare `e non superiore ai 2 mW. Poich´e a monte dell’ isolatore `e posta la prima lente del telescopio, `e necessario porre una lente di focale opportuna anche sul cammino ottico del fascio iniettore, cos`ı da ottenere, all’ ingresso dei prismi, un fascio del master collimato.

2.3.3 Stabilizzazione della frequenza

Tutto il processo di ingrandimento dei fasci, nonch´e dell’ iniezione dei vari slave,

`e stato preceduto dalla ricerca e dalla stabilizzazione dei laser sulla corretta fre- quenza. La prima operazione da fare in generale `e una caratterizzazione della frequenza dei diodi in funzione della temperatura e della corrente di lavoro. Tale caratterizzazione `e stata fatta solamente per il diodo slave collimazione, poich´e per tutti gli altri sapevamo gi`a i corretti parametri di operazione, essendo essi stati precedentemente utilizzati nel vecchio apparato. La misura della frequenza

`e stata fatta inviando la radiazione del diodo in ingresso ad un monocromatore ISAHR640 con reticolo olografico da 1200linee/mm e rivelatore OMA (anal- izzatore ottico multicanale intensificato). Dai dati ottenuti si sono trovate le corrette condizioni di corrente e di temperatura. Bench´e lo slave assuma le caratteristiche spettrali del master iniettore, nondimeno esso deve avere una frequenza free running gi`a vicina a quella corretta.

Una volta fissati i valori di corrente e temperatura ”attorno” a cui si trova la frequenza desiderata, si devono eseguire due operazioni sui laser master: l’

iniezione ottica e la stabilizzazione della frequenza sulla transizione iperfine da noi scelta.

Montaggio in cavit´ a esterna

A differenza dei rispettivi slave, i laser master MOT, collimazione e S.W. sono posti su cavit`a esterna mediante un reticolo (Edmund Scientific, 1800 righe/mm) montato alla Littrow ; vale a dire, il fascio di ordine zero va all’ esterno mentre l’ ordine −1 `e riflesso all’ interno del diodo per l’ iniezione ottica. Il reticolo `e montato di fronte al diodo su un supporto di alpacca, e l’ angolo che esso forma col fascio incidente `e regolabile grossolanamente con la vite di fissaggio, e fine- mente con due viti micrometriche verticale ed orizzontale, nonch´e per mezzo di un traslatore piezoelettrico a bassa tensione. La disposizione `e quella di figura 2.4. La lunghezza della cavit`a esterna `e L = 8mm, e una variazione di ques- ta comporta una conseguente variazione della frequenza secondo la relazione:

∆L

L

=

∆νν

. Il Free Spectral Range della cavit´a ´e dato da

2Lc

= 19 GHz.

Per prima cosa abbiamo caratterizzato ogni diodo tracciando la sua curva di potenza in funzione dell’ intensit`a senza il reticolo montato; una volta fatto questo abbiamo disposto il reticolo grossolanamente all’ angolo di lavoro: ci`o `e stato fatto, cercando di sovrapporre i due spot del modo zero e del modo −1, ruotando il reticolo. Quindi siamo passati ad iniettare il diodo: l’ effetto dell’

iniezione `e quello di abbassare la corrente di soglia del laser, e quindi, a parit`a

di corrente di lavoro, il diodo iniettato emette una potenza maggiore, ed ha una

(12)

Figura 2.4: Schema del montaggio in cavit´a esterna dei master

zona di risposta lineare pi` u vasta. Questo si `e fatto agendo sulla vite micromet- rica verticale, e mandando una piccola modulazione alla corrente del laser, il cui offset `e mantenuto attorno alla soglia ”naturale”. Ad un oscilloscopio sono inviati il segnale di modulazione e quello rilevato da un fotodiodo posto di fronte alla finestra del laser, e si pu`o vedere l’ andamento della potenza emessa al vari- are della corrente: l’ iniezione `e fatta minimizzando la posizione del ”gomito”

visualizzato all’ oscilloscopio. Valori tipici della corrente di soglia di un master non iniettato sono attorno a 13-15 mA, mentre l’ iniezione li abbassa fino a val- ori di 9-11 mA. A questo punto si sono dovuti portare i laser ad emettere sulla riga della transizione D

2

; abbiamo messo davanti alla finestra del laser una cel- letta di vetro contenente vapori di Cesio: guardando all’oscilloscopio, sempre in modalit`a xy, il segnale del laser all’ uscita dalla celletta, in funzione della mod- ulazione che `e inviata al piezoelettrico, si vedr`a, se la frequenza della radiazione emessa `e quella giusta, una curva di assorbimento ”Doppler” (la sua larghezza

`e ∼ 500MHz). Agendo sulla vite micrometrica orizzontale del reticolo abbiamo variato l’ angolo di esso fino a che non si `e vista tale riga all’ oscilloscopio. A questo punto il laser `e sulla riga ed iniettato: `e stato comunque sempre neces- sario un ritocco fine alla posizione del reticolo per ritrovare la migliore iniezione e contemporaneamente la corretta frequenza. Alternativamente alla visualiz- zazione della curva Doppler all’ oscilloscopio, abbiamo guardato per mezzo di un visore IR la celletta di Cesio, e mosso il reticolo finch´e non si `e vista la fluo- rescenza.

Fatta questa serie di operazioni, abbiamo portato i master ad emettere al-

la frequenza corrispondente alla transizione fine D2 del Cesio; per i nostri

scopi `e necessario portare le sorgenti ad emettere sulla transizione iperfine

D2, |F = 4i → |F

0

= 5i, la cui larghezza `e di pochi MHz. Per raggiungere

(13)

0.6 0.5 0.4 0.3 0.2

Intensit‡ trasmessa (U.A.)

-600 -400 -200 0 200 400 600

Frequenza (MHz) 4-5 4-4

4-3

Figura 2.5: Schematizzazione di assorbimento saturato.

una situazione di questo genere abbiamo sfruttato il fenomeno dell’ assorbimen- to saturato, ed un agganciamento alla transizione iperfine desiderata tramite un sistema di detezione sincrona ed un circuito integratore.

Riferimenti in frequenza e assorbimento saturato

Abbiamo detto che, rivelando un fascio laser, che abbia frequenza modulata attorno a quella risonante con la transizione fine D2, si osserva una curva di assorbimento Doppler larga circa 0.5 GHZ. Questa `e la convoluzione delle varie transizioni iperfini che hanno origine dal livello fondamentale F=4. La tran- sizione di interesse, che `e la pi` u intensa, si trova sul minimo della curva Doppler.

Retroriflettendo il fascio e facendolo ripassare nuovamente nella celletta, ben sovrapposto al primo, e rivelando la potenza di parte del fascio risultante per mezzo di un Beam Splitter con un fotodiodo, all’ oscilloscopio si vede una cur- va di assorbimento di questo genere: La presenza dei picchi che in tal caso si vengono a creare si spiega se consideriamo un sistema atomico a due livelli di energia distanti ω

a

. Consideriamo due fasci contropropaganti rispettivamente della forma

E

1

∼ exp i(ωt − kz) E

2

∼ exp i(ωt + kz)

con frequenza angolare ω e vettori d’ onda ±k. Un atomo dotato di velocit`a v, vede le frequenze dei due fasci shiftate:

ω

1

= ω − kv

ω

2

= ω + kv

(14)

Figura 2.6: atomo investito da due fasci contropropaganti: nel suo sistema di quiete vede le frequenze laser shiftate ω

1,2

= ω ∓ kv

Avremo assorbimento di fotoni del fascio 1 allorch´e ω

1

= ω

a

, i.e.- per frequenza laser fissata- se l’ atomo si muove con velocit´a

˜ v

1

= δ

k (2.1)

Analogamente vale per l’ assorbimento di fotoni del fascio 2: per frequenza fissata, assorbiranno solamente atomi dotati di velocit`a

˜ v

2

= − δ

k (2.2)

L’ assorbimento contemporaneo di fotoni di ambo fasci avviene solamente quan- do `e verificata la condizione

v = ˜ v

2

= ˜ v

1

(2.3)

questo `e possibile solo per ˜ v

2

= ˜ v

1

= 0 e cio´e solo per frequenza ω = ω

a

. In tale situazione gli atomi assorbono meno dal fascio di ritorno, essendo la transizione saturata dal fascio di andata. Ci`o causa il generarsi di un picco nella curva di assorbimento, che `e denominato Lamb Dip. Il Cesio non `e un sistema a due livelli, e conseguentemente presenta diversi Lamb Dip, tanti quante sono le transizioni iperfini, i.e. |F = 4i → |F

0

= 5, 4, 3i. Oltre a questi si possono vedere altri picchi intermedi: questi, denominati Cross-over, sono presenti a causa della natura multilevel degli atomi: allorch´e, infatti, la frequenza sia esattamente a met`a tra due transizioni, la classe di velocit`a che `e risonante con il fascio di andata relativamente ad una transizione, risulta risonante con il fascio di ritorno relativamente all’ altra: esiste, cio´e, una velocit`a

˜ v = δ

1

k = − δ

2

k (2.4)

essendo

δ

1

= ω − ω

1a

δ

2

= ω − ω

2a

relativi a due diverse transizioni atomiche. Questo si verifica quando la frequen- za del laser `e esattamente la media aritmetica delle due frequenze atomiche; la classe di velocit´a che assorbe ambo i fasci ´e in tal caso quella con

v = 1 k

ω − ω

1a

k = 1

k

ω

2a

− ω

1a

k (2.5)

(15)

; poich´e il primo laser satura gi`a la transizione, si ha la formazione di un picco nella curva di assorbimento.

Diventa in tal modo possibile distinguere le posizioni delle tre transizioni iperfini internamente allo spettro di assorbimento, e ad uno di essi andiamo ad aggan- ciare la frequenza del laser. In effetti, ogni laser, a seconda delle sue funzioni all’ interno dell’ esperimento, deve tenersi di caso in caso ad una frequenza cor- rispondente ad un certo picco (o da esso ricavabile).

La stabilizzazione avviene in generale cos`ı: il segnale di assorbimento satura- to viene mandato (oltrech´e all’ oscilloscopio) in ingresso ad un dispositivo di detezione sincrona, in grado di effettuare la derivata del segnale stesso. Ci`o `e possibile se al segnale `e sovrapposta una modulazione sinusoidale (a seconda del laser, tale modulazione `e applicata in modo diverso, agendo su differenti elementi del diodo stesso): tipicamente essa ha una frequenza di alcune decine di kHz. Il segnale di derivata, uscente dal circuito di detezione sincrona, viene visualizzato all’ oscilloscopio. ` E possibile regolare l’ altezza, rispetto allo zero della tensione, del segnale di derivata, che si pu`o pertanto ”centrare” sullo zero.

Il segnale `e anche inviato ad un circuito integratore che fornisce il segnale di errore da inviare al piezoelettrico del laser; il diodo viene quindi stabilizzato sullo zero del segnale di errore.

Stabilizzazione dei master MOT e collimazione

Per stabilizzare il master di trappola e di quello di collimazione si fa uso di AOM (Acusto-Optical Modulator), cui `e inviato il segnale amplificato di un VCO: essi sono in grado da un lato di indurre sulla radiazione laser la mod- ulazione sinusoidale necessaria alla detezione sincrona- senza pertanto dover agire su parametri quali la corrente, la temperatura del diodo o la posizione del reticolo- e dall’ altro di shiftare la frequenza del fascio laser di una quantit`a a nostro piacere. L’AOM consiste di un mezzo attivo, cui `e inviato il segnale sinusoidale sommato alla radiofrequenza, generata e regolabile da un VCO op- portunamente calibrato

2

. Nel mezzo attivo si genera un fronte d’ onda acustico, ed attraverso scattering Bragg esso comunica lo shift di frequenza richiesto ai fotoni laser. Esso `e alloggiato in un contenitore protettivo, dotato di due in- gressi: la radiazione laser uscente dal telescopio viene separata attraverso una lamina ed un cubo polarizzatore (esso trasmette la luce con polarizzazione oriz- zontale e riflette quella con polarizzazione verticale rispetto al piano del tavolo);

la parte riflessa va ad iniettare lo slave, quella trasmessa serve per l’ appara- to di stabilizzazione; quest’ ultima `e ulteriormente separata tramite un beam splitter. La porzione di radiazione riflessa va a costituire il fascio di sonda per l’ assorbimento saturato, e passa direttamente attraverso la celletta di cesio; la restante parte del fascio viene inviata in ingresso all’ AOM. Passando attraverso il mezzo attivo del sistema acusto-ottico il fascio viene diffratto in vari spot (con un buon allineamento del fascio rispetto al sistema si vedono cinque spot relativi ai modi zero,±1, ±2). Giocando sull’ allineamento del fascio si fa in modo che

2

Tale calibrazione ´ e stata effettuata mandando il segnale prodotto dal VCO in ingresso ad

un analizzatore di spettro

(16)

Figura 2.7: Schema di funzionamento dell’ AOM

il modo −1 risulti ottimizzato: con un po’ di lavoro si pu`o fare in modo che esso abbia una potenza circa met`a rispetto alla potenza totale. Questo fascio ha una frequenza shiftata di Ω

AOM

rispetto al modo zero. Esso viene retroriflesso e riimmesso nel mezzo attivo; analogamente al fascio di andata, questo viene diffratto ed il suo modo −1 (shiftato in frequenza di 2Ω

AOM

) viene a coincidere con il fascio incidente: quindi arriva sul beam splitter, e sul cubo. Tramite una lamina posta a valle dell’ AOM `e ruotata la sua polarizzazione in modo che esso venga totalmente riflesso dal cubo, ed infine, con l’ ausilio di due specchi, va a creare il fascio di ritorno dell’ assorbimento saturato. ` E stato inoltre creata una configurazione ad occhio di gatto tra AOM e specchio per la retroriflessione, per evitare che una variazione della frequenza acustica (e dunque del momento fononico) causasse uno spostamento del fascio di ritorno, il che `e da evitare, giacch´e richiederebbe un ri-allineamento del fascio di ritorno, ogniqualvolta si variasse apprezzabilmente la frequenza dell’ AOM.

Osservando con un fotodiodo il segnale di assorbimento vediamo i picchi spostati sul profilo Doppler. Questo `e quello che vogliamo ottenere, e si pu`o spigare cos´ı:

con riferimento alla trattazione fatta per il caso non detunato, consideriamo due fasci, stavolta della forma

E

1

∼ exp i(ωt − kz)

E

2

∼ exp i((ω − 2Ω

AOM

)t + kz)

essendo 2 il fascio di ritorno dall’ AOM. ´ E trascurato il momento del fonone

poich´e `e k

phon

≤ 10

−2

k. I conti fatti sopra si possono ripetere anche per tale

caso: sar`a assorbito un fotone del fascio 1 allorch´e fissata ω, l’ atomo abbia

(17)

velocit`a

˜ v

1

= δ

k (2.6)

Analogamente per l’ assorbimento di fotoni del fascio 2 si trova, per frequenza ottica ed acustica fissate che esso sar`a possibile per atomi dotati di velocit`a

˜ v

2

= − δ

k + 2 Ω

k (2.7)

L’ assorbimento contemporaneo di fotoni di ambo fasci avviene in tale caso non per ˜ v

2

= ˜ v

1

= 0 con ω = ω

a

, ma quando esiste una velocit`a tale che

˜ v = δ

k = − δ k + 2Ω

k (2.8)

questo avviene a patto che solamente quando `e verificata la condizione

v = ˜ v

2

= ˜ v

1

(2.9)

Questo `e possibile solo per ω = ω

a

+ Ω, e per velocit`a

˜ v = ˜ δ

k = Ω

k (2.10)

Questo ha la conseguenza che il picco risulta shiftato in frequenza, rispetto al caso con Ω = 0, di +Ω, a frequenza pi` u alta. Analogo avviene per i cross over. A questo punto distinguiamo i due casi: per quanto riguarda il master MOT si effettua il lock sul cross over tra 4 → 5 e 4 → 3, distante -226.7 MHz dal Dip 4 → 5; quest’ ultimo, shiftato di Ω

AOM

∼ 200MHz, pertanto consente un detuning(MHz) rispetto al Dip naturale della transizione 4 → 5 pari a −226.7 + Ω

AOM

. Dalla curva di calibrazione del VCO siamo in grado di variare il detuning del master secondo l’ andamento seguente:

δ

M OT

(Γ) = −21 + 2.3 ∗ Segnale

V CO

(V ) (2.11) Analogo discorso vale per il master collimazione: esso tuttavia ha una differente curva di calibrazione del VCO, e, ed il lock viene effettuato sul cross over 4 → 5 e 4 → 4, distante -125.7 MHz dal Dip 4 → 5; questo consente un detuning(MHz) pari a −125.7 + Ω

AOM

. Dalla curva di calibrazione del VCO della collimazione si ricava l’ andamento seguente:

δ

COLL

(Γ) = −16.7 + 0.96 ∗ Segnale

V CO

(V ) (2.12) Questo risulta detunato I due AOM sono diversi: quello della MOT fornisce una frequenza compresa tra 180 e 320 MHz, con una variazione complessiva di 140 MHz, mentre quello della collimazione consente frequenze tra 70 e 120 MHz, con una variazione di 50 MHz.

Il sistema di stabilizzazione `e estremamente pratico perch´e permette di de-

tunare facilmente i laser, e consente di ottenere un’ ottima stabilit`a: unico

inconveniente `e il fatto che la radiofrequenza disturba talvolta i regolatori di

temperatura; tuttavia `e stato sufficiente disporre i sistemi degli AOM (VCO,

cavi di connessione, alimentatori) sufficientemente distanti dai controller.

(18)

Figura 2.8: Sistema dell’ ottica per assorbimento saturato con l’ utilizzo dell’

AOM

Stabilizzazione del DBR

Il laser di Ripompa `e un DBR, Distributed Bragg Reflector, modello 5712-H1 della SDL. La sua caratteristica peculiare `e un’ alta stabilit´a termica, dato che il sistema di stabilizzazione `e inserito all’ interno del case contenente la giunzione stessa: infatti nel montaggio `e presente un porta obbiettivo, un peltier interno ed una termoresistenza per la stabilizzazione. Contrariamente ai master non ha cavit`a esterna, e questo riduce la qualit`a spettrale, venendo a mancare l’

ulteriore selezione dei modi garantita dalla cavit`a. Sempre contrariamente ai master, che operano tutti a correnti di 25-55 mA, esso lavora a correnti tipiche di 140 mA, pertanto `e in grado di fornire potenze fino a 200 mW, all’ uscita della finestra. Abbiamo detto che la sua funzione `e quella di sovrapporsi ai fasci (degli slave opportunamente iniettati) di trappola e di collimazione, per ripompare appunto gli atomi dal livello fondamentale iperfine F=3 all’ eccitato F

0

= 4. Si `e quindi ritrovata la curva Doppler convoluzione delle transizioni

|F = 3i → |F

0

= 2, 3, 4i, sfruttando i dati di temperatura e corrente preceden-

temente utilizzati nel vecchio esperimento. Il sistema di stabilizzazione della

frequenza fa uso dell’ assorbimento saturato, ma in tal caso la modulazione

sinusoidale necessaria al lock-in viene applicata al campo magnetico generato

da una bobina contenente la celletta di Cesio (Zeeman lock ): essa modifica le

distanze tra i sottolivelli Zeeman e non necessita di una modificazione della cor-

rente, e questo non incide sulla larghezza di riga. Il laser `e stabilizzato inviando

(19)

il segnale d’ errore non al piezoelettrico, che `e appunto assente, ma alla corrente di alimentazione, dunque alla frequenza, fino a stabilizzare il diodo sullo zero del segnale di errore.

Stabilizzazione del master standing wave

Per il laser master S.W. non utilizziamo un sistema di lock-in, come quelli sopra visti: infatti il laser si utilizza a detuning molto elevati (attorno ad 1 GHz), e per tale motivo si utilizza un diverso modo per centrare la sua frequenza al valore desiderato: una volta fissata la frequenza sul Dip della transizione

|F = 4i → |F

0

= 5i (non detunata), si sposta la posizione del piezoelettrico del tratto opportuno. L’ operazione si fa inviando una parte della radiazione dello slave S.W. ad un Fabry Perot il cui FSR `e di 1,5 GHZ; visualizzando ad un oscilloscopio il segnale di uscita dal Fabry Perot si ha il riferimento in frequenza dato dai due picchi del modo del laser; variando l’ offset del PZT della cavit`a del F.P., nonch´e la ampiezza con cui essa `e modulata, si fa in modo che essi distino, ad esempio, sei quadranti sull’ oscilloscopio. Corrispondendo essi ad 1.5 GHz, possiamo spostare la frequenza del laser di 1 GHz, semplicemendo variando l’

offset del PZT del master, traslando di quattro quadranti il picco visualizzato.

2.3.4 Battimenti e riduzione del rumore

Una volta disposti sul tavolo i primi laser master ben funzionanti, e paralle- lamente al montaggio delle altre parti del tavolo dell’ esperimento, abbiamo eseguito una serie di misure di battimenti tra i vari master, al fine di sondarne la stabilit`a e, laddove presenti, di evidenziare (ed isolare) fonti di rumore. L’

esigenza nasce dal fatto, tra l’ altro, che i laser master sono montati su delle piastre solidali al tavolo, alte sedici cm rispetto al piano principale; ignorando le possibili vibrazioni che esse potevano trasmettere, e dunque i possibili problemi di stabilit`a dei laser stessi, le misure di battimento sono sembrate delle utili fonti di informazione, in grado di dire quali potessero essere eventuali cambiamenti da fare sulla disposizione dell’ ottica, o sui sistemi di stabilizzazione della fre- quenza dei laser. I battimenti sono sempre stati misurati sovrapponendo i fasci da esaminare e mandandoli sia all’ analizzatore di spettro, sia ad un fotodiodo a basso rumore, il cui segnale `e stato visualizzato all’ oscilloscopio.

Le misure hanno portato alla luce una serie di rumori, sia di carattere meccanico sia di tipo elettronico. ` E stato nostro compito trovarne di volta in volta l’ orig- ine, e, laddove possibile, eliminarli. Per prima cosa sono stati provati i diversi lock-in ed integratori sui vari laser, al fine di trovare le migliori combinazioni di sorgenti e sistemi di stabilizzazione, e gli eventuali problemi e guasti dei circuiti elettronici.

Quindi siamo passati a fare misure di battimento isolando di volta in volta le

varie sorgenti di rumore meccanico presenti nel laboratorio: in particolare si `e

visto che le due pompe di raffreddamento presenti nella stanza erano le fonti

principale dei rumori presenti sui laser. Abbiamo monitorato sull’ arco di trenta

(20)

minuti le caratteristiche del picco di battimento, vale a dire FWHM e frequenza centrale, registrando a intervalli di due minuti la trasformata di Fourier del seg- nale di battimento fornita da un oscilloscopio digitale, e poi analizzando i dati e fittandoli per ricavare i parametri di interesse. Questo una volta con le pompe di raffreddamento accese, un’ altra con queste ultime spente. ` E risultato che esse erano all’ origine di uno shift del picco di battimento di alcuni MHz nell’ arco di pochi minuti, assente, o quantomeno drasticamente ridotto, se le pompe erano spente. Analogamente, misure dell’ andamento della frequenza del battimento su scale temporali di alcune decine di ms, hanno evidenziato- quando le pompe di raffreddamento erano accese- la presenza di una modulazione della frequenza di ampiezza di alcuni MHz, e periodo attorno al millisecondo, altimenti assenti.

Le pompe di raffreddamento sono risultate le maggiori responsabili della insta- bilit`a dei master, e sono stati presi alcuni provvedimenti, creando un contenitore insonorizzato per le pompe, disponendo delle barriere tra tavolo dell’ esperimen- to e resto della stanza, e montando sopra il tavolo un telaio, munito di fasce di materiale apposito, per isolare il pi` u possibile l’ ottica e le sorgenti dai rumori indesiderati. Tale lavoro preliminare `e stato fondamentale, bench´e non abbia portato alla produzione di risultati inerenti le vere finalit`a dell’ esperimento. Da un lato ci ha permesso di conoscere in dettaglio tutte le sorgenti laser, nonch´e di sfruttare al meglio il materiale ottico ed elettronico a nostra disposizione; dall’

altro ci ha fornito una accurata conoscenza delle possibili fonti di rumore che ci consente di individuare rapidamente, quando un rumore si presenta sui laser, la sua causa, e di arginarlo, per quanto possibile, in breve tempo.

2.4 Cammini ottici e visione generale dell’ ap- parato

Dopo aver preparato le varie sorgenti laser, collimato i loro spot (tramite ob- biettivo), dato loro le giuste forme e dimensioni (tramite prismi anamorfici e telescopi), e stabilizzato i fasci sulla giusta frequenza (i master con i metodi precedentemente descritti, gli slave tramite iniezione ottica), abbiamo montato tutta l’ ottica necessaria alla realizzazione dei vari step dell’ esperimento.

Il fascio dello slave MOT si sovrappone a parte del fascio del DBR tramite un cubo polarizzatore: le dimensioni dei due fasci sono precedentemente state rese uguali, e sono portate ad una dimensione di 3.8 cm (waist) tramite telescopio.

Le dimensioni del fascio sono scelte in modo tale che la radiazione copra tutta la

piramide, senza per`o incidere sui bordi di essa, cosa che aumenterebbe i fotoni

scatterati nella zona di formazione della MOT, il che `e da evitare. Frequenze di

Rabi con cui si lavora tipicamente sono tra i 2 ed i 2.5 Γ (ricavate misurando la

potenza del laser slave MOT prima di entrare nella camera della piramide, ed

assumendo che l’ intensit`a del fascio sia 2P

tot

/πw

2

). Il fascio viene alzato da

sette a diciannove centimetri (altezza del centro della camera) per mezzo di due

specchi di diametro 4cm, per mezzo dei quali `e fatto anche l’ allineamento del

fascio rispetto alla piramide per ottenere la MOT.

(21)

Figura 2.9: Schema dei cammini dei laser di trappola a ripompa e loro ingresso alla camera della MOT

La collimazione avviene ad opera del fascio dello slave collimazione, sovrapposto alla (rimanente) radiazione del DBR, unite anch’ esse su di un cubo polarizza- tore. Le potenze del DBR lungo i due bracci di MOT e collimazione sono fissate da un beam splitter, e le potenze della ripompa necessarie nella fase di colli- mazione sono molto pi` u basse che non quelle utilizzate nella fase di trappola.

La collimazione avviene facendo incidere sugli atomi uscenti dall’ imbuto due

coppie di laser contropropaganti lungo due direzioni perpendicolari a quella di

propagazione del fascio atomico, e tra loro ortogonali. Le due radiazioni laser di

DBR e collimazione, sovrapposte, vengono fatte passare attraverso un telescopio

cilindrico (f

1

= −40 mm, f

2

= +150 mm) che ha lo scopo di allungare lo spot

nella direzione di propagazione del fascio atomico uscente dalla piramide. In

tal modo la dimensione minore dello spot elittico generato (waist = 2.62mm) `e

sufficiente per investire tutto il fascio atomico, ed al tempo stesso una maggiore

dimensione longitudinale della radiazione laser (waist = 7.95mm) aumenta la

zona spaziale all’ interno della quale il fascio atomico pu`o essere manipolato, e

quindi il tempo di interazione degli atomi con i fasci di collimazione. Il fascio di

collimazione uscente dal cubo di mix `e diviso attraverso una lamina ed un cubo

e poi i due fasci cos`ı creati sono portati alle finestre, attraverso la camera, e

retroriflessi tramite appositi sostegni e specchi. La polarizzazione `e controllata

da lamine poste davanti agli specchi, in modo da creare la configurazione σ

+

σ

.

Ricordando quanto descritto nel primo capitolo a proposito delle modalit`a di

funzionamento di una lente per onde di materia, vogliamo lavorare in regime

immerso, i.e. far s`ı che il fuoco della lente giaccia all’ interno della S.W. stes-

sa. Il fascio viene inviato sul substrato, linearmente polarizzato attraverso una

(22)

Figura 2.10: Sovrapposizione di slave collimazione e DBR, e schema dei cammini dei fasci di collimazione.

lamina ed un cubo polarizzatore, e focalizzato mediante una lente cilindrica di focale 200 mm, che focalizza la radiazione nella direzione longitudinale del fascio atomico fino ad avere un waist di ∼ 100µm; in tal modo le colline di potenziale risultano essere nettamente superiori al valore dell’ energia cinetica trasversa in- iziale dell’ atomo, e la focalizzazione `e efficace. Da notare che per i fasci termici, i.e. dotati di velocit`a longitudinali di centinaia di m/s, `e possibile utilizzare la formula, frutto di una simulazione ([25]):

P = 5.37 π 2

M v

z2

δI

sat

¯hΓ

2

k

2

(2.13)

che fornisce il valore della potenza che la radiazione deve avere perch´e l’ atomo in moto con velocit`a v

z

venga focalizzato al centro della gaussiana. Le ipotesi della sua validit`a sono che l’ atomo focalizzato possa trascorrere un tempo nel campo della S.W., che da un lato sufficientemente lungo, cosicch´e istante per istante esso sia un sistema in equilibrio con il campo; dall’ altro deve passare abbastanza rapidamente nella zona dell’ interazione, in modo tale che l’ emis- sione spontanea non abbia tempo di modificare significativamente le traiettorie.

La prima condizione `e verificata senza alcun problema dal nostro fascio; la sec-

onda, invece no, perch´e gli atomi sono talmente lenti da passare nella regione di

interazione un tempo durante il quale si possono avere alcuni processi di assor-

bimento/emissione spontanea. Quindi quello che si fa, nel nostro caso, `e stimare

(23)

l’ altezza delle colline di potenziale, e far s`ı che esse risultino nettamente al di sopra dell’ energia cinetica trasversa, giocando sul valore del detuning e dell’

intensit`a; contemporaneamente si fa in modo che i processi di emissione spon- tanea che avvengono nel tragitto siano pochi. Tali stime grossolane sfruttano le seguenti quattro relazioni:

U

max

= ¯h 16πδ

I

max

I

sat

Γ

2

(2.14)

∆E

∼ 2E

rec

(2.15)

γ = Γ

2

I/I

sat

1 + I/I

sat

+ (2δ/Γ)

2

(2.16)

∆t ∼ ∆z

v

z

(2.17)

dove ∆E

= 5.29 × 10

−29

J `e l’energia trasversa, U

max

`e il picco del poten-

ziale, ∆t `e il tempo impiegato per percorrere la zona di interazione, e γ `e la

frequenza di emissione spontanea. Sostituendo i valori M = 133 × 10

−27

Kg, e

v

z

∼ 10m/s come `e tipicamente nel fascio da noi usato, e utilizzando i waist

rispettivamente di 4mm e 0.1 mm, troviamo che con una potenza dell’ ordine

dei 80 mW ed un detuning di 1 GHz l’ atomo subisce circa dieci emissioni spon-

tanee, nel tragitto percorso nel campo della S.W.. L’ altezza delle colline di

potenziale `e circa settecento volte l’ energia trasversa dell’ atomo.

Riferimenti

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