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In tema di sanatoria delle opere abusive TAR Campania Napoli sez. III sentenza del 13 gennaio 2021 n. 230

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“In tema di sanatoria delle opere abusive” – TAR Campania – Napoli – sez. III – sentenza del 13 gennaio 2021 – n. 230

Per la sanatoria delle opere abusive, in base al combinato disposto dei commi 26 e 27 dell’art. 32 della l. 326/2003, è necessaria la concorrente sussistenza delle seguenti condizioni:

a) che si tratti di opere realizzate prima dell’imposizione del vincolo;

b) che si tratti di opere conformi alle prescrizioni urbanistiche;

c) che si tratti di opere minori rientranti nelle tipologie di illecito di cui ai nn.

4, 5 e 6 dell’allegato 1 del ripetuto decreto-legge n. 269/2003, senza quindi aumento di superficie;

d) che vi sia il parere favorevole dell’autorità preposta alla tutela del vincolo.

Pubblicato il 13/01/2021

N. 00230/2021 REG.PROV.COLL.

N. 03046/2016 REG.RIC.

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3046 del 2016, proposto da

OMISSIS, rappresentato e difeso dall’avvocato Ciro Manfredonia, con domicilio fisico presso lo studio dell’avv. Alfonso Capotorto in Napoli, Centro Direz. Is E/2 Sc. A e domicilio digitale come da pec dei registri di giustizia;

contro

Comune di Pompei, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Nadia Pollio, con domicilio digitale come da pec dei registri di giustizia;

per l’annullamento

-del provvedimento prot. 23335 del 25 maggio 2016 relativo alla pratica H 066 di rigetto dell’istanza di permesso di costruire in sanatoria n. 26, notificato alla ricorrente in data 30 maggio 2016;

– e di ogni altro atto, anche endoprocedimentale, comunque non conosciuto, consequenziale, connesso, preordinato e presupposto.

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Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Pompei;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 13 ottobre 2020 la dott.ssa Maria Barbara Cavallo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1.Con ricorso notificato il 24 giugno 2016, il sig. OMISSIS Vincenzo ha

impugnato il diniego di condono edilizio relativo all’edificio realizzato all’interno di un fondo di sua proprietà sito in Pompei alla via Ripuaria ed individuato in Catasto al foglio 16 p.lla 1198,

La domanda era stata presentata in data 16.2.2004 ai sensi della legge 326/2003, in forza della riapertura dei termini prevista dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 196 del 2004.

Le ragioni del rigetto sono state esplicitate nelle seguenti:

– la domanda di condono risulta presentata al protocollo comunale “fuori i termini di presentazione (tra 11/11/2004 e 10/12/2004)” ai sensi della legge 326/2003, comma 15 e successive modifiche (art. 5 Legge 191/2004);

-le opere di cui alla domanda di condono edilizio sono state ultimate successivamente al termine del 31.3.2003, fissato dalla legge 326/2003;

-l’opera non è suscettibile di sanatoria perché ai sensi dell’art.32 comma 26 e comma 27 lett.d) della citata legge 326, ricade in zona soggetta ai vincoli di cui al D.Lgs 42/2004, a tutela di interessi ambientali, istituiti prima della

esecuzione dell’opera stessa e non è conforme alle norme urbanistiche ed alle prescrizioni del vigente P.R.G;

-l’opera non risulterebbe sanabile per contrasto con la Legge Regionale Campania n.8/1994 a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere istituiti prima della esecuzione delle opere.

2. Il ricorso è stato affidato alle seguenti censure:

i) violazione dei termini per il deposito di domande di condono, prorogati dall’art. 5 l. 12 luglio 2004 n. 168, poi convertito, con modifiche, nella legge n.191 del 2004, emanata a seguito della decisione della Corte Costituzionale n.

196/2004.

La parte sostiene che le sorti delle domande di condono presentate fino al 7 luglio 2004, e quindi fino al momento della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della più volte citata sentenza della Corte Costituzionale n.196 del 2004, restano regolate in via definitiva dal suddetto art. 5 l. legge n. 191 del 2004.

ii) Violazione dell’art. 32 comma 27 lett. d) della legge 326/2003, per

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difetto assoluto di istruttoria e di motivazione perché il provvedimento sarebbe privo di un’adeguata indicazione dei presupposti di fatto e delle ragioni di diritto che si oppongono al rilascio del titolo edilizio in sanatoria.

iii) Violazione e falsa applicazione degli artt. 31 e 35 della legge 47/1985, oltre che difetto di motivazione.

Ai sensi dell’articolo 35 della legge 47/1985, commi 15 e 16, il

provvedimento con il quale l’amministrazione decide sul rilascio o meno del permesso edilizio in sanatoria, deve essere espresso e va notificato al

richiedente.

Tuttavia, dalla lettura dei provvedimenti impugnati, risultano

assolutamente imperscrutabili le ragioni di fatto e di diritto sottese alla reiezione della pretesa di provvedimento formulata dalla ricorrente, non essendo sufficiente, – ai fini della ricostruzione dell’iter logico seguito dall’amministrazione-, il mero richiamo a una norma di legge, senza

l’indicazione dei dati fattuali e giuridici che ne abbiano imposto l’applicazione nel caso di specie.

iv) Violazione dell’art. 32 comma 27 lett. d) della legge 326/2003, nonché assoluto difetto di istruttoria e insufficiente motivazione.

Ed infatti, l’amministrazione comunale si è limitata a contestare il contrasto delle opere oggetto di condono edilizio con le previsioni di cui al più volte citato art. 32 comma 27 lett d), senza specificare la normativa asseritamente violata né il tipo di vincolo cui la zona risulta assoggettata, che nel caso sarebbe quello di inedificabilità relativa in quanto l’edificazione non è vietata in via assoluta, ma è subordinata al previo rilascio dell’autorizzazione tutoria ai sensi

dell’articolo 7 della legge 1497/1939, come sostituito dall’articolo 146 del vigente D.lgs 42/2004.

v) Omessa richiesta del parere di compatibilità paesaggistica alla Sovrintendenza BB.AA.CC., e conseguente illegittimità del provvedimento.

vi) Violazione e falsa applicazione della legge Regione Campania n.8/1994 e dell’art. 32 comma 27 della legge 326/2003 per difetto di istruttoria e

motivazione su zona, epoca di imposizione del vincolo, classificazione idrogeologica dell’area, livello di rischio

3. Si è costituito il Comune di Pompei, evidenziando alcune circostanze fattuali non specificate nel ricorso, riguardanti la non ultimazione dell’opera al 31 marzo 2003, in quanto da successivo sopralluogo essa era stata rinvenuta incompleta.

In diritto provvedeva a confutare i singoli motivi di ricorso, ribadendo l’assoluta completezza dell’atto sotto il profilo probatorio e motivazionale.

4. Nella successiva replica alla memoria che OMISSIS ha depositato in vista del merito (riepilogativa del ricorso), il Comune ha ribadito le proprie

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prospettazioni e anche escluso la necessità di un preventivo parere della

Soprintendenza, trattandosi di fattispecie di acclarata mancanza dei presupposti di legge per la condonabilità delle opere o comunque di accertata estraneità delle opere in questione dall’ambito applicativo del c.d. terzo condono.

5. All’udienza pubblica del 13 ottobre 2020 la causa è stata trattenuta in decisione.

6. Il presente giudizio, sia pure con alcune sue particolarità, si colloca in una tipologia di contenzioso più volte affrontato da questa Sezione, che lo ha deciso secondo direttrici univoche e ormai consolidate.

In particolare, traendo spunto dalla serialità e uniformità dei provvedimenti emessi dai Comuni della zona vesuviana, ha qualificato i provvedimenti della tipologia di quello impugnato quali atti plurimotivati, in quanto ciascuna delle ragioni ostative ivi previste impedisce il rilascio della sanatoria e si presenta, quindi, idonea a giustificare il diniego di condono.

Infatti, come è noto, nel caso di impugnativa di tale tipologia di atti,

l’interessato ha l’onere di contestare e demolire tutte le singole ragioni poste a sostegno dell’atto controverso in quanto il consolidamento anche di una sola di tali ragioni determina la carenza di interesse sui motivi dedotti, se l’impugnativa si rivela nel complesso inidonea ad annullare l’atto nella sua interezza.

Pertanto la sussistenza anche di una sola valida ragione ostativa a

sostegno del diniego rende irrilevante l’aggiunta di un ulteriore motivo rispetto a quelli prospettati nel preavviso di diniego.

7. Anche solo muovendo dalla ragione del diniego costituita dall’esistenza del vincolo paesaggistico (n. 3 del provvedimento impugnato: “ ai sensi della L.

326/03, art. 32, comma 26, lettera a, in combinato con il comma 27, lettera d (vedasi Corte di Cassazione / Sezione III Penale, 21/12/2004, n.48956), in

quanto l’abuso risulta realizzato su immobile soggetto a vincoli dalla L. 1497/39, oggi D.Lgs. 42/04, a tutela dì interessi ambientali, istituiti prima della

esecuzione di dette opere e non è conforme alle norme urbanistiche e alle prescrizioni del P.R.G.), il Collegio ribadisce che il condono edilizio di cui alla legge n. 326 del 2003 non è consentito per i manufatti comportanti incremento volumetrico nelle zone assoggettate a tale vincolo, come a più riprese statuito dalla giurisprudenza di questa Sezione, con particolare riferimento alle sentenze riferite a provvedimenti dello stesso tenore e

riguardanti nello specifico proprio il Comune di Pompei (cfr., più di recente, la sentenza del 10 dicembre 2019 n. 5832, la n. 3480 del 21 giugno 2019, nonché le sentenze dal n. 3538 al n. 3541 del 27 giugno 2019 e dal n. 4140 al n. 4147 del 29 luglio 2019; conf., da ultimo, 18 ottobre 2019 n. 4979, 23 ottobre 2019 n.

5033, 28 ottobre 2019 n. 5120, 31 ottobre 2019 n. 5188; 27 novembre 2019 dal n. 5596 al n. 5599, 12 maggio 2020, n. 1740).

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Il territorio del Comune di Pompei, infatti, era sottoposto in precedenza alla tutela prevista dal R.D. n. 1497/1939 e dal d. lgs. 490/1999, sostituiti dal

vigente d. lgs n. 42/2004, in virtù dei decreti ministeriali del 17 agosto 1961 e del 28 marzo 1985, ai quali fa riferimento il decreto legge 27 giugno 1985, n.

312, convertito con modificazioni dalla legge 8 agosto 1985, n. 431, in seguito abrogato dall’art. 166 d. lgs. n. 490/1999.

L’esistenza e l’efficacia del vincolo prescinde dalle ulteriori restrizioni imposte dai piani territoriali paesistici, la cui funzione è, per definizione,

successiva a quella dell’imposizione legislativa del vincolo medesimo ed attiene alle fasi della pianificazione e dell’operatività della tutela relativa alle zone

dichiarate di particolare interesse paesaggistico (cfr., Corte Cost. 31 luglio 1990, n. 327).

Non a caso, l’art. 1-quinquies della L. n. 431/1985 disponeva il divieto di modificazione e di edificabilità assolute delle aree sino all’adozione del P.T.P.

Risulta quindi ininfluente il momento dell’approvazione di quest’ultimo, attesa la preesistenza e l’efficacia del vincolo medesimo al quale il piano conferisce un carattere maggiormente definito anche per gli aspetti della pianificazione (cfr.

questa Sezione, 19 febbraio 2019, n. 946).

7.1. Per ciò che concerne le opere abusive per le quali è stata richiesta sanatoria ai sensi della legge n. 326/2003, la presenza di vincoli limita

grandemente l’ammissibilità del condono: in base a consolidata giurisprudenza, condivisa dalla Sezione (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 21 febbraio 2017, n. 813; Cass.

pen., sez. III, 20 maggio 2016, n. 40676), per la sanatoria delle opere abusive, in base al combinato disposto dei commi 26 e 27 dell’art. 32 della l. 326/2003, è necessaria la concorrente sussistenza delle seguenti condizioni:

a) che si tratti di opere realizzate prima dell’imposizione del vincolo;

b) che si tratti di opere conformi alle prescrizioni urbanistiche;

c) che si tratti di opere minori rientranti nelle tipologie di illecito di cui ai nn.

4, 5 e 6 dell’allegato 1 del ripetuto decreto-legge n. 269/2003, senza quindi aumento di superficie;

d) che vi sia il parere favorevole dell’autorità preposta alla tutela del vincolo.

È da escludere, pertanto, la sanabilità delle opere abusive in questione, anche laddove l’area sia sottoposta a vincolo di inedificabilità solo relativa.

7.2. È importante ricordare che la Corte costituzionale, con la sentenza n.

49 del 2006, nel dichiarare l’incostituzionalità dell’art. 32, comma 26, della l.

326/2003 nella parte in cui non prevede che la legge regionale possa determinare la possibilità, le condizioni e le modalità per l’ammissibilità a sanatoria di tutte le tipologie di abuso edilizio di cui all’allegato 1, postula

l’applicabilità del c.d. terzo condono ai soli abusi formali non in contrasto con la

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disciplina urbanistica ed alle sole tipologie di abusi minori (cfr. Corte cost., 28 giugno 2004, n. 196).

Successivamente la stessa Corte ha puntualizzato “il riconoscimento alle Regioni del potere di modulare l’ampiezza del condono edilizio in relazione alla quantità e alla tipologia degli abusi sanabili, ferma restando la spettanza al legislatore statale della potestà di individuare la portata massima del condono edilizio straordinario, attraverso la definizione sia delle opere abusive non suscettibili di sanatoria, sia del limite temporale massimo di realizzazione delle opere condonabili, sia delle volumetrie massime sanabili” (cfr. Corte cost., 11 febbraio 2005, n. 71).

Inoltre è opportuno notare che la legge contempla globalmente tutti gli immobili insistenti in area sottoposta a vincoli, tant’è che la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di disposizioni regionali che,

nell’ampliare l’area degli interventi ammessi a sanatoria, attribuiva effetto impeditivo ai soli vincoli comportanti inedificabilità assoluta (cfr. Corte cost., 27 febbraio 2009, n. 54; id., 6 novembre 2009, n. 290).

D’altronde, le altre disposizioni che si sono sottratte alla declaratoria di incostituzionalità, sono rimaste indenni in quanto interpretate in senso coerente alla normativa statale che, col citato art. 32, comma 27, lett d), estende la

salvaguardia anche ai vincoli di inedificabilità relativa (cfr. Corte Cost., 10 febbraio 2006, n. 49).

Infine, la Corte Costituzionale (cfr. ord. 8 maggio 2009, n. 150) ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità

costituzionale dell’art. 32, comma 26, lett. a), del decreto-legge n. 269/2003 nella parte in cui prevede la condonabilità limitata ai soli abusi minori nelle zone sottoposte a vincolo di cui all’art. 32 della legge n. 47/1985, all’epoca sollevata sulla base della pretesa erroneità, ritenuta dal giudice remittente (Tribunale di Napoli, sezione distaccata di Ischia), dell’interpretazione costantemente seguita dalla giurisprudenza della Corte di cassazione (da ultimo confermata cfr. Cass.

pen., sez. III, 26 marzo 2012, n. 11603) (“ […] sussiste una ragione sostanziale già di per sé sufficiente a giustificare il diniego di condono per gli interventi abusivi in questione i quali, realizzati in zona sottoposta a vincoli paesaggistico- ambientale, hanno comunque comportato un aumento volumetrico”).

8. Nel caso di specie, inoltre, deve ritenersi che (punto b. del

provvedimento impugnato) le opere oggetto della richiesta di denegato condono siano state ultimate successivamente al termine del 31/03/2003 fissato dalla L. 326/03.

Il Comune di Pompei, infatti, ha allegato agli atti (doc. 7 allegato alla

memoria di costituzione del Comune depositata il 28 agosto 2016) il verbale di sequestro redatto dalla Polizia Municipale a seguito sopralluogo del 17.01.2004

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nonché il verbale del successivo sopralluogo del 21.01.2004 (richiamato

nell’ordinanza n. 11 del 21.01.2004 -doc. 8 allegato come sopra) e da foto dello stato dei luoghi alla data del 19.02.2004, dai quali si evince in maniera

inconfutabile che le opere poi oggetto della domanda di condono erano in corso di realizzazione, che esse non erano affatto ultimate nemmeno nell’accezione del termine fornita dalla normativa.

Nella descrizione delle opere abusive riscontrate si legge che “allo stato era stata gettata la sola platea, mentre i pilastri n. 15 era completi solo di casseri ed armatura in ferro, il solaio di copertura era parzialmente composto

dall’armatura in ferro e da mattoni in cotto”.

La stessa descrizione sintetica del fabbricato edilizio contenuta nella

domanda di condono depone inequivocabilmente in questo senso (“struttura in cls armato composta da platea di fondazione, pilastri in elevazione e solaio di copertura gettato parzialmente”).

9. Ad abundantiam, va evidenziato altresì che le opere in oggetto non erano finalizzate al servizio agricolo (come dedotto in ricorso adducendo l’essiccazione del tabacco) bensì tutt’al più a deposito di prodotti per l’edilizia se non a destinazione abitativa, il che contrasta con la destinazione. Infatti, agli atti della pratica di condono non vi è alcun elemento probatorio che consenta di suffragare una tale destinazione, laddove invece l’immobile che ci occupa

ricade in zona E1 “agricola normale” di cui all’art. 30 (che richiama il 29) del vigente P.R.G. laddove sono consentite su un lotto minimo di mq. 3000 per gli imprenditori agricoli a titolo principale abitazioni rurali (indice di edificabilità 0,03 mc/mq) nonché costruzioni pertinenti alla coltivazione del fondo ed alla conservazione e trasformazione di prodotti agricoli (indice di edificabilità 0,02 mc/mq) e per i richiedenti non rivestenti tale qualità solo ed esclusivamente abitazioni rurali (indice di edificabilità 0,01 mc/mq.).

10. Da quanto osservato, l’impugnato provvedimento si mostra dunque adeguatamente sorretto dall’incondonabilità dell’opera, in relazione

all’esistenza del vincolo paesaggistico e alla data di ultimazione delle opere.

Ciò esime il Collegio dalla necessità di valutare le restanti censure, come sopra precisato.

11. Il ricorso va dunque respinto.

Il rigetto del ricorso determina la condanna alle spese del ricorrente, secondo le regole della soccombenza.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

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Condanna OMISSIS al pagamento delle spese processuali in favore del Comune di Pompei, che liquida in euro 3000,00 più accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 13 ottobre 2020 con l’intervento dei magistrati:

Anna Pappalardo, Presidente

Maria Barbara Cavallo, Consigliere, Estensore Gabriella Caprini, Consigliere

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