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1.1.Enti locali e mafia: un territorio in comune C I: L

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1.1.Enti locali e mafia: un territorio in comune 

Per capire meglio come la mafia si “insinui” dentro l’amministrazione pubblica dobbiamo prima soffermare la nostra attenzione sul ruolo fondamentale che riveste il comune all’interno della storia istituzionale italiana.1 La Costituzione, all’articolo 5, fonda l’articolazione dello Stato, da un punto di vista amministrativo e organizzativo, sugli enti locali. I comuni sono l’istituzione più radicata nella storia del nostro paese, anzi, si può dire, in generale, che l’Italia sia uno Stato-nazione fortemente caratterizzato dalla preminenza storica dell’istituzione comunale, che in molti casi non solo preesiste, ma è molto più antica dello Stato attuale e delle istituzioni statuali che l’hanno preceduto (gli Stati preunitari). In un certo senso, lo Stato si è affermato contro le autonomie locali, feudali e sociali, 2 attraverso un lungo e tormentato percorso storico che si è andato evidenziando soprattutto nei secoli dell’assolutismo regio, ma che è stato preminente anche all’origine dello Stato unitario. È allora chiaro come il rapporto fra il centro e la periferia, in Italia, assuma un rilievo centrale e fondamentale nel disegno dei poteri pubblici.3 Un rapporto che, nel corso della storia, è stato caratterizzato da un’alternanza fra centralismo e autonomismo, fino alla fase attuale caratterizzata dalla recente riforma del

      

1 I comuni hanno tradizionalmente costituito il nucleo centrale di aggregazione delle popolazioni insediate sui territori, di cui sono stati la prima forma di organizzazione. F. PINTO, Diritto degli enti locali, Giappichelli , 2012.p. 2.

2 Fortemente ribadito da M. Nigro nel suo “Il governo locale”, Bologna, 1980

3 Non è, quindi, un caso che i Comuni e le stesse Province, siano state al centro del processo di riforma costante, sopratutto negli ultimi anni. L’ultima riforma che riguarda gli Enti locali è proprio di qualche mese fa: in vigore dall'8 aprile 2014 la legge Delrio (Legge n.56 del 7 aprile 2014 “Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni”) ridisegna confini e competenze dell'amministrazione locale.

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2 Titolo V della Costituzione.4

La Costituzione, con uno storico cambiamento di rotta rispetto alla tradizione accentrata dello Stato italiano, riscontrata sin dalla sua origine, sancisce fra i suoi principi fondamentali sia la tutela delle formazioni

sociali (art. 2) sia il riconoscimento delle autonomie locali (art. 5), cui si

accompagna la previsione del “più ampio decentramento amministrativo” per i servizi di competenza statale. Lo stesso art. 5 (comma 3) pone, inoltre, l'attuazione dell'autonomia e del decentramento fra gli obiettivi cui deve tendere la legislazione ordinaria, che deve adeguarvi i propri “principi e metodi”.

Si è affermato, così, un peculiare modello di Stato, che non è federale, poiché la Repubblica resta “una e indivisibile” (art. 5, comma 1), ma è comunque improntato al massimo rispetto per le autonomie locali e sociali. In altre parole, uno Stato pluralista per espressa dichiarazione

costituzionale.5 La Repubblica, che corrisponde all’ordinamento generale sovrano, riconosce al proprio interno altri ordinamenti territoriali a carattere derivativo e autonomo. Si può constatare come il principio di autonomia si affermi sul piano dei rapporti fra ordinamenti, facendo della Repubblica “un ordinamento composto da una pluralità di ordinamenti territoriali minori”.6

I principi costituzionali hanno trovato non poche resistenze nella loro pratica attuazione. Infatti, la prima legge attuativa del dettato costituzionale giunse soltanto nel 1953 (legge 10 febbraio 1953, n. 62, c.d. “legge Scelba”). Si trattò, peraltro, di una legge inapplicabile nella parte in

      

4 Non essendo la sede adatta per ripercorrere l’evoluzione storica-politica degli enti locali in Italia, si rinvia , tra i tanti, a C. SCHILARDI, Governo degli enti locali e

gestioni commissariali, in Quaderni SSAI, 2011; F. PINTO, op.cit.. Nella nostra

ricostruzione, ci limiteremo solo ai punti che, in qualche modo, hanno ricadute sul fenomeno da noi analizzato.

5 F. CARINGELLA, A. GIUNCATO, F. ROMANO, L’ordinamento degli enti locali:

commentario al Testo Unico degli enti locali, Ipsoa, 2007, p. 43.

6 E. BALBONI, G. PASTORI, Il governo regionale e locale, in Manuale di diritto pubblico, G. AMATO, A. BARBERA (a cura di) Bologna 1994.

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3 cui prevedeva la realizzazione degli istituti regionali che avvenne soltanto nel 1977.7 Soltanto nel 1990, a quattro decenni di distanza dalla Costituzione, fu emanata una legge organica di riforma degli enti locali, che attuava i principi costituzionali in materia, introducendo nel diritto degli enti locali istituti come i diritti di partecipazione e accesso dei cittadini ai procedimenti amministrativi. Nel contempo, ridisegnava anche il profilo esterno degli enti locali, con consistenti innovazioni strutturali per gli enti che già esistevano (comuni, province e comunità montane) e, soprattutto, con l’introduzione di nuovi enti locali adatti a rappresentare ed esprimere nuove realtà locali (le città metropolitane), e di forme associative fra enti finalizzate a favorire non solo l'esercizio associato di funzioni (le convenzioni e i consorzi, già esistenti però disorganicamente disciplinate) ma anche l'accorpamento di piccoli enti (le unioni di comuni, le fusioni). Con la legge 8 giugno 1990 , 142, Ordinamento delle autonomie locali, inizia una fase importantissima per la vita dei Comuni e Province, un processo di graduale ribaltamento della logica e del rapporto tra le istituzioni e le comunità amministrate, un progressivo consolidamento dell’importanza, su scala europea, delle politiche di sviluppo locale. L’autonomia democratica locale è stata poi rafforzata dalla legge 25 marzo 1993, n. 81 che ha introdotto l’elezione diretta dei sindaci e dei presidenti delle province, dando avvio alla c.d. “personalizzazione della politica”, la quale, come potremo constatare meglio nei capitoli che seguiranno, avrà una forte ricaduta negli assetti comunali e, di conseguenza, nei rapporti che intercorrono tra l’amministrazione e la criminalità organizzata.

Il decennio conclusivo del Novecento ha cambiato definitivamente il rapporto fra centro e autonomie locali nel nostro ordinamento: il

      

7 Per le tensioni, non solo politiche, createsi nei territori con forte presenza mafiosa per l’istituzione delle Regioni si rinvia a C. CAVALIERE, Un vaso di coccio. Dai governi

locali ai governi privati. Comuni sciolti per mafia e sistema politico istituzionale in Calabria, Soveria Mannelli, Rubettino, 2004, il quale dedica una parte anche ai gravi

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4 “federalismo amministrativo” attuato dalle leggi “Bassanini” (1997-1999) integra la legislazione dei primi anni novanta. La legge n. 59/1997 e la legge n. 127/1997, nonché i successivi decreti delegati, hanno riordinato l’intera struttura burocratica, investendo tutte le pubbliche amministrazioni (centrali, periferiche, locali, autarchiche, scolastiche, ecc.); hanno collegato alle riforme strutturali quelle organizzative, incidendo sul rapporto di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche, sui procedimenti amministrativi (con la semplificazione), sulla regolamentazione pubblica (con la delegificazione) e sui meccanismi di controllo; hanno, finalmente, messo mano al nodo irrisolto dei rapporti fra Stato, regioni ed enti locali, ponendo le basi per un sistema organico di relazioni.8

I ripetuti interventi modificativi della legge n. 142/1990 e le rilevanti innovazioni legislative susseguitesi nell'arco di un decennio, ma soprattutto la ristrutturazione organizzativa recata dalla legge n. 127/1997, le nuove funzioni attribuite alle autonomie dalla legge n. 59/1997 e relativi decreti di attuazione, hanno imposto una revisione organica a livello ordinamentale degli enti locali. La legge 3 agosto 1999, n. 265, significativamente intitolata “Disposizioni in materia di autonomia e ordinamento degli enti locali'', ha così posto mano a un generale riordino della legislazione in materia, delegando il governo a predisporre un Testo Unico in materia di ordinamento degli Enti locali avente ad oggetto l’attività deliberativa e di amministrazione attiva nonché la finanza e la

      

8 Queste modifiche hanno inciso fortemente sulla “direzione” delle infiltrazioni e dei condizionamenti mafiosi, non più soltanto nei confronti degli attori politici, ma anche a carico dell’apparato amministrativo, grazie alla separazione delle funzioni. Un primo passo in questo senso si era già avuto con l’approvazione degli artt. 51 e 53 della legge 8 giugno 1990, n. 142, con cui si erano introdotte le prime riserve di competenza a favore dei c.d. responsabili dei servizi, cioè i funzionari o impiegati (nei piccoli enti) cui fanno capo i servizi di maggiore rilievo (tecnico e contabile, attribuendo loro, fra l’altro, il compito di esprimere pareri tecnici sulle delibere della giunta e del consiglio. Con le leggi Bassanini si realizza pienamente il modello di distinzione dei compiti fra politica e amministrazione.

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5 contabilità. Sulla base dei criteri e principi direttivi presenti nella legge delega, il Governo ha quindi adottato il Testo Unico degli Enti Locali, D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, che rappresenta simbolicamente la conclusione del decennio di riforme iniziato con la legge 142/1990.9

La riforma costituzionale del 2001, legge costituzionale n. 3/2001, ha profondamente rinnovato il Titolo V, cioè la parte della Costituzione dedicata alle autonomie territoriali e al rapporto fra queste e lo Stato. Nel novellato articolo 114, che apre il titolo V, è oggi chiaramente affermato che la Repubblica non “si riparte” ma “è costituita” dagli enti locali (“i Comuni, le Province e le Città metropolitane”), dalle Regioni e dallo Stato, elencati così, in ordine inverso rispetto al testo previgente della stessa norma. L’ordine di elencazione non è casuale e si rapporta al principio di sussidiarietà, che viene ora costituzionalizzato dall’articolo 11810, integralmente riscritto: “Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza”.

La Costituzione, dunque, non definisce il principio di sussidiarietà, ma lo riconosce e lo pone alla base della stessa strutturazione dello Stato, costituito dagli enti territoriali, elencati partendo dal più vicino al cittadino, il comune; attribuisce, inoltre, le funzioni amministrative ai diversi enti alla stregua dello stesso principio, cioè assegnandone la generalità ai comuni e agli enti di ambito territoriale più ampio solo quelle che meglio sono esercitate a livello superiore. Fanno, infine, da corollario

      

9 In esso trovano posto, in modo organico, anche gli articolo sullo scioglimento per infiltrazione mafiosa, ma di questo se ne parlerà ampiamente dopo.

10 Ci si riferisce qui al principio di sussidarietà c.d. verticale che si esplica nell’ambito di distribuzione di competenze amministrative tra diversi livelli di governo territoriali (livello sovranazionale: Unione Europea-Stati membri; livello nazionale: Stato nazionale-regioni; livello subnazionale: Stato-regioni-autonomie locali) ed esprime la modalità d’intervento , sussidiario, degli enti territoriali superiori rispetto a quelli minori, ossia gli organismi superiori intervengono solo se l’esercizio delle funzioni da parte dell’organismo inferiore sia inadeguato per il raggiungimento degli obiettivi.

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6 al principio di sussidiarietà, quello di differenziazione, che si riferisce agli ordinamenti, e quello di adeguatezza, riferito invece al complesso di funzioni attribuite rispetto alla dimensione degli enti.

Dall’evoluzione istituzionale che ha interessato gli enti locali, possiamo concludere che i Comuni, oltre ad essere punti nevralgici per le funzioni ad essi assegnati, rappresentano il primo “baluardo” di uno Stato, il primo presidio di legalità, il primo riferimento per i cittadini. Le associazioni di stampo mafioso nutrono quindi una particolare attenzione per gli Enti locali, ancora di più in seguito alla riforma del titolo V della Costituzione, che ha esaltato il ruolo di tali Enti a veri e proprio autonomi livelli di governo. Tali Enti sono soggetti competenti a gestire risorse finanziarie, statali ma anche derivanti dai fondi europei, sulle quali si innestano le mire predatorie della criminalità organizzata.

Ma la ragione economica non è la sola a determinare il fenomeno delle infiltrazioni mafiosi, e questo è ricavabile anche da un dato fattuale: le infiltrazioni hanno riguardato, per la quasi totalità dei casi, comuni di piccole o medie dimensioni, fa vistosa eccezione il Comune di Reggio Calabria. Da un punto di vista strettamente economico, le risorse che è possibile estrarre dal bilancio di un comune medio-piccolo sono certamente trascurabili rispetto ai flussi di denaro derivanti traffici illeciti, come quelli legati al mercato della droga. Eppure, il controllo della macchina amministrativa comunale e le influenze sulle decisioni politiche dell’ente locale risultano utili agli occhi dei mafiosi per un duplice motivo: innanzitutto, perché, per quanto dissestate, le finanze locali fanno comunque gola ai gruppi criminali, inoltre perché infiltrare l’amministrazione comunale significa “ appropriarsi” di un pezzo di Stato e, dunque, presidiare un crocevia dal quale passano decisioni piccole e grandi che i mafiosi possono sfruttare a loro vantaggio.11 In altri termini,

      

11 Vedremo attraverso i decreti di scioglimento che qualsiasi attività dell’ente può essere oggetto di condizionamento mafioso, dal rilascio di documenti,alle autorizzazioni per le

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7 le infiltrazioni mafiose nei governi locali rispondono sia alla logica dell’arricchimento, che a quella del controllo del territorio.

Il territorio ha costituito da sempre la risorsa cruciale per l’affermazione e lo sviluppo del sistema di potere mafioso.12 Il radicamento territoriale è uno degli elementi distintivi di questo potere, che accomuna tutte le quattro principali organizzazioni criminali di tipo mafioso esistenti in Italia, consentendo di caratterizzarle come un fenomeno unitario nonostante le differenze storiche, antropologiche e sociali.13 Sul territorio la mafia esercita la sua sovranità, rivendicandone l’esclusività territoriale,14 attraverso l’uso della forza. La pratica della violenza non è solo lo strumento per raggiungere l’obiettivo di arricchimento, ma, contestualmente, è da sempre il segno del potere e della sua capacità di governare il territorio.15 Accanto a tale uso vengono esercitate altre prerogative della sovranità, a cominciare dalla giustizia, parallela a quella

      

attività commerciali, fino agli aspetti riguardanti l’espansione urbanistica o le concessioni edilizie. In territori in cui vige la regola del favore e non del diritto, qualsiasi spazio sottratto allo Stato da parte della criminalità può rappresentare uno strumento atto ad aumentare la reputazione ed il prestigio sociale dei mafiosi che, di conseguenza, incide sulla loro capacità di controllare le relazioni sociali che si esplicano sul territorio. Si veda V. METE, Fuori dal Comune. Lo scioglimento delle amministrazioni locali per

infiltrazioni mafiose, Bonanno, Catania 2009, p. 59.

12 V. SCALIA. La mafia ai tempi del postfordismo, 2005. Centro Siciliano di documentazione “Giuseppe Impastato”, Onlus, tratto da www.centroimpastato.it/publ/online/scalia.php3.

13 Tra le varie categorie formulate a tal proposito, crediamo che quella di Ugo Di Girolamo sia la più completa. L’Autore in “Mafie, politica, pubblica amministrazione”, Guida,Editore, Napoli,2009, p. 40. Elenca nove tratti che caratterizzano il potere mafioso, al di là delle singole organizzazioni: l’ineguaglianza tra gli uomini, il radicamento territoriale, l’esclusività territoriale, la tendenza ad assoggettare ed appropriarsi di qualsiasi attività economica nel territorio, la tendenza ad espandersi in aree nuove, il consenso sociale,la tendenziale ereditarietà del potere mafioso, l’assolutezza del potere mafioso,i legami con la politica. Quasi tutti si ricollegano al fenomeno degli scioglimenti per infiltrazione mafiosa, poiché le disfunzionalità riscontrabili nell’ente sono spesso l’esplicazione di questi connotati.

14 Ibidem, l’esclusività territoriale è una delle antiche regole che disciplinano anche le relazioni fra i diversi clan.

15 L. PEPINO, M. NEBIOLO, Introduzione, poteri, mafia, antimafia, in Mafia e potere PEPINO L, NEBIOLO M. (a cura di), EGA editori, Torino, 2006.p. 9.

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8 statale e fondata su valori diversi, ma, a suo modo, efficace e puntuale. Così la mafia sottrae allo Stato poteri e prerogative di cui esso ha, nell’organizzazione politica contemporanea, il monopolio16 e diventa un’istituzione, in qualche modo analoga.17 Questo però non deve farci ritenere, come spesso avviene nell’immaginario comune, la mafia come

antistato, altrimenti si rischia di semplificare il fenomeno e, in particolar

modo, di non cogliere l’ambiguità del rapporto con le istituzioni. Quest’ultimo, come ampliamente dimostrato dai casi che incontreremo nel prosieguo della trattazione, si sviluppa sia attraverso forme di antagonismo ma anche, e spesso, di compenetrazione, favorendo così i fenomeni di infiltrazione nelle amministrazioni locali.18 Nelle zone di insediamento, la criminalità organizzata a stampo mafioso è in grado non solo di controllare, ma anche di plasmare l’ambiente, esso modifica la struttura delle opportunità del contesto locale, creando vincoli anche per gli operatori economici; i mafiosi tendono, inoltre, a mantenere basso il livello di fiducia generalizzata, di tipo impersonale, in quanto così si

      

16 «Se, nelle società moderne, vi sono dei soggetti privati che riescono ad assolvere con successo ruoli di pertinenza dello Stato, ne deriva che ci troviamo di fronte ad una carenza di efficacia dell’autorità statale; inoltre, per definizione, l’offerta da parte di privati cittadini di una prerogativa che dovrebbe essere riservata in esclusiva allo Stato si configura come offerta di un servizio illegale». Dalla prima affermazione contenuta in questa riflessione di R. CATANZARO, in Il governo violento del mercato. Mafia,

imprese e sistema politico, in Stato e mercato, 23, 1988,p. 178, fonderemo le nostre

posizioni contenute nell’ultimo capitolo, riguardante la necessità di modifica della normativa sugli scioglimenti.

17 Si potrebbe richiamare a questo proposito la 'teoria dell’ordinamento giuridico’ espressa da Santi Romano ne L’ordinamento giuridico, pubblicato a Pisa nel 1917, Mariotti, con il sottotitolo Studi sul concetto, le fonti e i caratteri del diritto. Per un approfondimento, p. 110 ss. Si veda E. RIPEPE, La teoria dell’ordinamento giuridico:

Santi Romano, in Enciclopedia Treccani, diritto, 2012.

18 Sulla doppiezza della mafia U. SANTINO osserva: «L’uso della violenza e la cultura della violenza, per cui l’omicidio non è un delitto ma una pena prevista dalla stessa formula del giuramento, sono dei pilastri su cui si fonda la doppiezza della mafia nei confronti dello Stato. Essa per un verso è fuori e contro lo Stato, ha un suo codice e una sua forma di giustizia e quindi non riconosce la funzione repressiva e giurisdizionale dello Stato; per altro verso essa è dentro e con lo Stato, sia per le sue attività economiche, che il più delle volte richiedono il ricorso alle istituzioni, sia per il suo ruolo politico». In

La mafia interpretata. Dilemmi, stereotipi, paradigmi. Rubbettino, Soveria Mannelli

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9 accresce la domanda di fiducia personalizzata, da essi offerta e garantita.19 La protezione-estorsione è, infatti, l’attività tipica della mafia che più si evidenzia nell’ambito locale ed è il carattere politico del suo potere: elemento fondamentale per il funzionamento e la regolazione della “signoria territoriale” della mafia.20 Attraverso tale attività, la mafia “conquista” sul territorio il consenso dei soggetti21, addirittura favorendo a fianco dei clan, la presenza di una vera e propria comunità mafiosa di

      

19 Così SCIARRONE, Il potere delle reti mafiose: nodi, intrecci, connessioni, in Mafia e

potere PEPINO L, NEBIOLO M. (a cura di), EGA editori, Torino, 2006, pp. 61 ss.,

riesce, in maniera chiara, ad esplicare il concetto del protezionismo mafioso e del tentativo di depotenziamento dell’impianto giuridico e assistenzialistico istituzionale. Vedremo, infatti, come questa funzione venga usata dalla mafia in maniera esemplare nella gestione dei servizi pubblici locali.

20 L’ipotesi della mafia come istituzione politica è in qualche modo implicita già in Weber , il quale in un passo di “Economia e società” (1922; trad. it. 1961, I, p.195) usa la mafia siciliana e la camorra come esempi di un tipo di finanziamento “intermittente” dei gruppi politici sulla base di prestazioni estorte: prestazioni di cui si riconosce l’illegalità ma anche la tendenza a stabilizzarsi nel tempo, e dunque a istituzionalizzarsi, sotto forma di versamenti periodici in cambio di determinate prestazioni, e specialmente di una garanzia di sicurezza. Ancora più esplicitamente R. CATANZARO (op. cit., pp. 177-178), riprendendo e sviluppando la riflessione weberiana, ha definito le cosche mafiose come”gruppi politici” e i mafiosi “soggetti che si specializzano nell’offerta di protezione e nel fornire garanzie di sicurezza ai privati” in concorrenza con lo stato, ovvero offrendo “un bene che lo Stato non è in grado di offrire”. Sulla scia di queste riflessioni, U. Santino La mafia come soggetto politico. Ovvero: la produzione mafiosa della politica e

la produzione politica della mafia, in G. FIANDACA e S. COSTANTINO (a cura di), La

mafia le mafie, Roma- Bari, Laterza, 1994, pp. 118-141, ha avanzato l’idea che la mafia sia un “soggetto politico”, sia in quanto “gruppo di potere e gruppo politico in senso weberiano” sia in quanto “sistema di potere più ampio”, “fonte di produzione della politica in senso complessivo, in quanto determina o contribuisce a determinare le decisioni e le scelte riguardanti la gestione del potere e la distribuzione delle risorse”. In questo modo, “la soggettività politica” dei gruppi mafiosi è tanto nella “signoria territoriale”, che è un attributo fondamentale dei gruppi mafiosi, quanto e sopratutto nel controllo e nel condizionamento dell’attività politica complessiva. Infine, anche le riflessioni di P. PEZZINO, da storico (Mafia e politica: una questione nazionale, in Passato e presente, XIV, 38, 1996, pp.7-23) giunge a parlare di “intrinseca politicità” della mafia, “nel senso di un proprio interesse per tutto ciò che riguarda la comunità civica sulla quale tende ad esercitare la sua sovranità”. Per una riflessione più ampia sul punto si rinvia a M. SANTORO, Cose di confini. I limiti dello Stato e il “politico” della

mafia, in La voce del padrino. Mafia, cultura, politica. Ombre corte editori,Verona, 2007,

pp. 75-99.

21 Il funzionamento della criminalità organizzata non si fonda solo sull’uso della violenza ma richiede anche una sorta di consenso che lo legittimi: “ il potere di è un necessario prerequisito del potere su”. Si veda P. GIGLIOLI (a cura di), Invito allo studio

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10 sostegno.22 La mafia, infatti, si serve di diversi meccanismi per ottenere l’obbedienza ed esercitare il potere: oltre l’uso della forza, anche la coercizione, la manipolazione e l’influenza; se con le prime due si realizza un’imposizione sulla volontà degli agenti, le cui decisioni sono frutto del

metus esercitato dalla criminalità, le ultime due lasciano all’agente

l’illusione di decidere autonomamente, quando in realtà la propria coscienza è stata coartata e adeguata, in maniera subdola, alle credenze e ai valori della mafia.23 Questi quattro meccanismi sono i modi attraverso cui la mafia agisce nell’amministrazione locali, rappresentano, dunque, l’esplicazione di quelle che definiamo “infiltrazioni mafiose” e che sono protagoniste di questo nostro studio.

I rapporti mafiosi presuppongo, quindi, un territorio: come il potere politico-istituzionale, il potere mafioso si esercita dentro determinati confini spaziali.24 Su quest’ultimi la mafia svolge la sua “azione politica”, intesa non solo come “esercizio e/o detenzione di potere, bensì come

ricerca del potere, azione finalizzata al potere”.25 Per questo obiettivo, dunque, i mafiosi tendono a stabilire legami forti verso l’interno, cioè tra gli appartenenti al gruppo, e legami deboli verso l’esterno, vale a dire nei confronti dei membri della società locale nel quale il gruppo è inserito.26 Attraverso questi legami deboli, i mafiosi danno vita ad un’intensa attività di networking che consiste nell’allacciare relazioni, instaurare scambi, creare vincoli di fiducia, incentivare obblighi e favori reciproci. Essi non

      

22 F. ARMAO, Il sistema mafia. Dall’economia del mondo al dominio locale, Bollati Boringhieri, Torino 2000, p. 17.

23 Dietro il potere mafioso c’è un sistema di rappresentazioni che generano specifiche credenze nella validità della pretesa di comando, e dunque nella doverosità dell’obbedienza. G. POGGI, Il gioco dei poteri, Il Mulino, Bologna, 1998, riportato in M. SANTORO, op.cit.,p. 89.

24 P. ARLACCHI, La mafia imprenditrice, Il Mulino, Bologna, 1983 25 R. SCIARRONE, op. cit., (2006), p. 61.

26 R. SCIARRONE, Mafia e potere: processi di legittimazione e costruzione del

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11 sono solo interessati a incorporare nella propria rete un determinato soggetto, ma anche ad accedere ed eventualmente attivare il network in cui, a sua volta, è inserito quel soggetto. Da simili presupposti, vale a dire dall’affermazione che la forza della mafia è all’esterno della stessa ed è costituita dalle “relazioni esterne” che instaura, le quali fondano anche la sua capacità di adattamento, di radicamento e di diffusione,27 si può ben comprendere l’importanza che riveste il legame con la politica. Se, infatti, il controllo del territorio è la forma lampante di esercizio del potere mafioso, il capitale sociale è il meccanismo che lo fonda, lo genera e lo mantiene in vita. È proprio la capacità di costruire e gestire reti di relazioni che si muovono e si articolano in modo informale in ambiti e contesti istituzionali diversi, che rende la mafia così forte. Inoltre, il poter contare su un ampio e variegato “contenitore” di risorse relazionali, tra loro interdipendenti, che possono essere utilizzati per i più svariati fini, provocando un effetto di moltiplicazione e di ramificazioni dei legami, spiega la persistenza e il radicamento della mafia.28 Ma soprattutto, e ai fini che qui ci interessano, ci permette di chiarire e di affermare l’indispensabilità per il modello mafioso dell’esistenza di rapporti organici con la politica, in particolar modo quella locale, con la quale si trova a condividere un territorio in comune.

      

27 R. SCIARRONE, Mafie vecchie mafie nuove. Radicamento ed espansione, Roma, Donizelli,1998, p. 239.

28 R. SCIARRONE, I sentieri dello sviluppo all’incrocio delle reti mafiose, in Stato e Mercato, n. 2, 2000 a, pp.271-301. Le reti così intrecciate assumono un carattere pervasivo su uno spazio circoscritto, risultano cioè funzionali al controllo di un territorio. Vedremo in seguito come questo “contenitore” può essere rappresentato, ad esempio, anche da “pacchetti di voti” da collocare per determinare gli equilibri politici durante le elezioni.

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1.2.Il rapporto mafia ­ politica  

La mafia, più di altri poteri, è radicata nella nostra società, ma essa, come si è visto nel paragrafo precedente, non potrebbe esistere se non intrecciandosi con altre sfere del potere, quali la politica, l’economia, l’istituzione. Il rapporto tra mafia e politica29, dunque, è caratterizzato da forme e funzioni diverse a seconda delle fasi storiche, che ne segnano l’evoluzione. Già tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900, con lo sviluppo del processo di democratizzazione, al Sud Italia le organizzazioni criminali coltivavano rapporti con uomini politici, ai quali concedevano un sostegno elettorale. Non potendo esaminare in questa sede l’evoluzione storica dei complessi rapporti tra il potere mafioso e il potere politico30, ci limiteremo a riportare tre casi emblematici che dimostrano quanto la capacità di incidere sugli equilibri di governo sia da tempo un fenomeno radicato, noto agli studiosi e agli operatori.31 Inoltre, leggendo tali scritti sembra quasi di “sfogliare” un decreto di scioglimento dei giorni nostri, come quelli che troveremo durante la disamina dell’istituto. Gli strumenti di “infiltrazione” sono perlopiù gli stessi, adattati alle circostanze politiche-istituzionali e perfezionati col tempo.

      

29 Trovandosi su questo tema un’amplissima bibliografia, ci limitiamo a richiamare U. SANTINO, Politica e mafia, in Nuovo Dizionario di mafia e antimafia, M. Mareso, L. Pepino (a cura di), Narcomafie, Ega editori, Torino, 2008.

30 Sul punto il rinvio, quasi dovuto, è a: P. ARLACCHI, Mafia Partiti e Pubblica

Amministrazione, Jovene, Napoli, 1985, pag. 9 e ss.; R. SCIARRONE, Mafie vecchie

mafie nuove. Radicamento ed espansione, Roma, Donizelli,1998; F. ARMAO, Il sistema mafia. Dall’economia del mondo al dominio locale, Bollati Boringhieri, Torino 2000; S. LUPO, Storia della Mafia dalle origini ai giorni nostri, Donzelli editore, 2004, Roma; E. CICONTE, F. FORGIONE, I. SALES, Atlante delle mafie (vol. I, Vol.II), Rubettino, Soveria Mannelli, 2012, 2013.

31 Si veda la ricostruzione effettuata da P. PARMA, Le infiltrazioni mafiose nelle amministrazioni comunali. I casi di Milano e Monza e Brianza. Un modello di analisi. 2013, consultabile dal sito: http://www.stampoantimafioso.it/

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13 Dallo studio di Antonio Cutrera32 sulla mafia e i mafiosi in Sicilia apprendiamo che “è spesso nelle loro mani [dei mafiosi] l’esito di una elezione, e perciò a loro che si raccomandano i candidati, di qualunque colore politico, mettendo a loro disposizione la borsa. Qualche volta il candidato può essere un antico e devoto amico della mafia. In questo caso gli amici si offrono di appoggiare la candidatura con entusiasmo e disinteresse” [...] “ Nessuno è libero di votare nella contrada, invece tutti debbono votare per il candidato o per i candidati che sono portati dal capo, il quale appoggia quelli che più promettono, tranne il caso che il candidato stesso non sia uno dei protettori, allora tutti votano per lui con entusiasmo, perché oltre ad essere un onore per i picciotti avere a proprio rappresentante una persona a cui sono devoti, è pure conveniente, nei loro interessi, di avere un amico al consiglio comunale”[...] “ Infatti nelle borgate vicino Palermo, o nei sobborghi, ove la mafia è più forte e meglio organizzata, che in tutti gli altri comuni della Sicilia, nelle elezioni si hanno proclamazioni all’unanimità o quasi”. Ma anche a Napoli emergevano nei comuni episodi simili. In un passaggio dell’articolo “Memorie di Camorra” pubblicato da quotidiano “il Mattino” dell’11 Settembre 1998 con firma dell’allora presidente della Camera Luciano Violante si legge: “ Basterebbe ricordare quanto evidenziato nel secondo volume dell’edizione del 1901 (p. 570/Commissione Saredo), ove si denuncia che, dal 1895 al 1900, la gestione del pubblico denaro speso dal Comune di Napoli non è mai stata deliberata dal Consiglio Comunale. Al di là delle distrazioni di fondi in favore di precise clientele politico-affaristiche che tali bilanci rivelano, va colta in questo fatto l’esistenza do governo assolutamente estranea al principio di legalità nell’amministrazione che si configura con l’autentico terreno di coltura

      

32 A. CUTRERA, La mafia e i mafiosi. Origini e manifestazioni. Studio di sociologia criminale, A. Reber, Palermo, 1900, p. 53. Disponibile su http://www.eleaml.org/sud/mafie/mafia_mafiosi_origini_manifestazioni_1900_antonino_ cutrera_2012.html

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14 per ogni possibile convivenza con le pratiche criminali camorristiche”. L’inchiesta Saredo ricordata da Violante aveva avuto origine da un vero e proprio scandalo scoppiato a Napoli alla fine del XIX secolo e che aveva avuto pubblicità a livello nazionale per la polemica nata tra il periodico socialista “La Propaganda” e l’on. Casale, deputato crispino, accusato di pratiche clientelari e camorristiche.33 Infine, anche in Calabria il rapporto tra ‘ndrangheta e politica era emerso presto, subito dopo l’unità d’Italia. Nel 1869 gli elettori di Reggio Calabria andarono a votare due volte, poiché le prime elezioni furono annullate.” I nuovi consiglieri non fecero neanche a tempo a sedersi al loro posto che il consiglio fu sciolto. L’attiva presenza in campagna elettorale e durante le votazioni di elementi mafiosi aveva alterato il risultato della competizione. La violenza faceva baldanzosamente ingresso nella competizione elettorale. È il primo consiglio comunale sciolto per mafia in Italia”.34 In quei giorni c’erano stati anche aggressioni fisiche, tra cui quella nei confronti del medico, sfregiato al volto i pieno giorno. “Il prefetto di Reggio Calabria, che si era recato personalmente dalla vittima per verificare le circostanze dell’accaduto era convinto, come scrisse in una relazione, che "lo sfregio" fosse stato fatto "per grane elettorali". La relazione della `ndrangheta con la po litica, per non organica che sia, è documentata, oltre che per la città di Reggio, anche per la sua provincia dove la lotta per la conquista dei municipi era senza esclusione di colpi . "In un partito e nell'altro", scriveva in data 23 luglio 1895 il Sindaco di Gerace al Prefetto di Reggio

"non fanno difetto persone facinorose e delinquenti, e nelle loro riunioni si mostrano orgogliosi".35 Le violenze erano all'ordine del giorno e la

      

33 R. BRUN, La propaganda 1899, 1900: i due anni in cui rivoltammo Napoli, Caracò, Napoli-Bologna, 2011.

34 E. CICONTE, Storia criminale. La resistibile ascesa di Mafia, 'Ndrangheta e

Camorra dall'Ottocento ai giorni nostri. Rubettino, Soveria Mannelli, 2008, p. 265

35 P. CRUPI, L'anomalia selvaggia, Sellerio, Palermo 1992, pp. 28 -30 che cita come fonte: Archivio di Stato di RC, Gabinetto, Elezioni, inv. 34 B 72 fasc. 1109

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15 presenza della `ndrangheta nel gioco politico cominciava a condizionare le elezioni.36

Dunque, Mafia, ‘ndrangheta e camorra, con tutte le loro differenze e le diverse capacità di condizionamento sui rispettivi territori, hanno agito nello stesso modo; il che vuol dire, confermando quanto si è detto nel primo paragrafo, che il rapporto con la politica e le istituzioni, a partire dal comune, è un carattere distintivo proprio dell’organizzazione mafiosa in quanto tale. Questo rapporto, nel corso della sua evoluzione si è adattato ai tempi e, talvolta, alle circostanze che si sono “propiziamente” presentate come occasione di sviluppo per le mafie.37 Così, nei decenni

      

36 G. CINGARI, Storia della Calabria dall'Unità ad oggi, Latenza, Roma-Bari 1982, p. 65

37 Ci si riferisce ad eventi riconosciuti dagli studiosi come momento simbolico di svolta, oltre che nell’organizzazione interna della criminalità, anche e soprattutto nei rapporti tra mafia e politica locale. Questi sono rappresentati, per cosa nostra dal c.d. “Sacco di Palermo”, la più grande speculazione edilizia siciliana, in cui con la complicità del sindaco Salvo Lima e dell’assessore ai lavori pubblici Vito Ciancimino (definito dalla Commissione antimafia simbolo della penetrazione mafiosa nel Comune di Palermo), viene modificata la destinazione urbanistica di alcuni territori per fare edilizia ad altissima intensità abitativa: in 4 anni vengono concesse 4.205 licenze edilizie, di cui 3.011 intestate alle stesse cinque persone, mastri muratori nullatenenti, dei prestanomi.( Si veda anche su questa vicenda: Blu Notte, Rai 3, puntata “il sacco di Palermo. Carlo Lucarelli ). Per la camorra, invece, il terremoto dell’Irpinia ha rappresentato una nuova occasione di crescita: grazie alla corruzione ed alla collusione con enti locali, funzionari amministrativi di vario livello, che si sono resi “disponibili”, i camorristi hanno avuto accesso ai fondi pubblici. Precorrendo i tempi, in questo contesto la camorra fa eleggere nei consigli comunali i membri del clan, senza dover ricorrere ad intermediari. È il caso ad esempio di Ernesto Bardellino, fratello di Antonio, capo clan che viene eletto sindaco di San Cipriano d’Aversa. (G. DI GENNARO, A. LA SPINA, I costi dell’illegalità. Camorra ed estorsioni in Campania, Il Mulino, Bologna, 2010,pagg. 69-71). Infine, in Calabria, il primo omicidio politico compiuto dalla ‘ndrangheta, quello di Giuseppe Valarioti, la notte tra il 10 e l’11 giugno 1980. A metà degli anni `70 Valarioti, che di mestiere fa l’ insegnante precario, si iscrive al Partito Comunista Italiano e diviene segretario della sezione di Rosarno, dove viene eletto consigliere comunale per il Pci . Mancano pochi giorni alle elezioni comunali del 1980 . I compagni della sezione del Pci condannano i tentativi della mafia di controllare le cooperative agricole, difendono il territorio dalla ` ndrangheta, dalla speculazione edilizia e dalle infiltrazioni. Proprio per questo, Valarioti organizza un comizio contro gli ` ndranghetisti, nella piazza principale di Rosarno, proprio il giorno in cui si svolgono i funerali della madre del boss Giuseppe Pesce. Da una parte Peppe e i suoi, dall' altra il boss e i suoi uomini: in mezzo la gente di Rosarno. Alle elezioni vince il Pci e gli uomini dei clan non vengono eletti. Ma la reazione della `ndrangheta non si fa attendere: la stessa sera, mentre esce dalla cena con cui festeggiava con il Pci la vittoria alle elezioni venne ucciso. (D. CHIRICO, A. MAGRO, Il caso Valarioti -Rosarno 1980:così la ‘ndrangheta uccise un politico (onesto)e

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16 dopo il secondo conflitto mondiale, si è assistito ad una trasformazione del rapporto mafia e politica, che ha determinato il passaggio dalla funzione “ancillare” della mafia ad un rapporto paritario, fino ad arrivare oggi ad una “convergenza”.38

L’evoluzione dei rapporti tra mafia e politica ci permette di valutare e comprendere la reale efficacia degli interventi normativi di contrasto al fenomeno delle infiltrazioni mafiose nelle istituzioni messe in atto dallo Stato.

      

diventò padrona della Calabria-, Round Robin editrice, Roma, 2010). Da allora anche la ‘ndrangheta compie la stessa scelta della camorra di ricercare rapporti di interlocuzione con la politica, senza far differenze di bandiere, e con il medesimo tentativo di entrare direttamente in comune. Caso emblematico fu quello di Francesco Mancuso di Limbadi, che nel 1983 fu eletto trionfalmente a sindaco mentre era latitante. Intervenne in quella circostanza il Presidente della Repubblica Sandro Pertini, che con proprio decreto scioglie il comune, anticipando di molto i principi che poi saranno espressi nella legge del 1991 sullo scioglimento per infiltrazione mafiosa.

38 Il concetto è stato formulato da NANDO DALLA CHIESA, La convergenza. Mafia e

politica nella Seconda Repubblica, Melampo, Milano 2010. Dalla prefazione: “ Sono

andate nella stessa direzione. Nella Seconda Repubblica mafia e politica hanno realizzato una convergenza che oggi presenta al Paese il suo conto salatissimo.[...] È una convergenza che può nascere da un comune interesse , di mafia e partiti o leader politici, ad avere una giustizia più debole, magistrati meno autonomi, un’informazione più asservita, un senso dello Stato più precario, sistemi di valori più funzionali all’esercizio dell’illegalità.[...] Le due convergenze, (ossia) il coinvolgimento diretto in una specifica strategia criminosa o di scambio di favori e la comunanza oggettiva di principi e orizzonti, si sommano, sconvolgendo le regole su cui si reggono lo Stato e la democrazia”.

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1.3.Evoluzione degli interventi  di contrasto alle 

infiltrazioni mafiose nelle istituzioni 

Nonostante questo rapporto fosse presente, constatato e noto, le prime specifiche normative di contrasto si sono avute solo negli anni ’80 e ’90. Per anni, infatti, l’opinione pubblica e il ceto politico si sono divisi in improduttive e lunghissime discussioni circa la presenza della mafia nello Stato e la corruzione sistemica che essa provoca nella gestione della cosa pubblica. Per lungo tempo, taluni sindaci e molti politici giungevano finanche a negare l'esistenza della mafia considerandola perfino un elemento di cultura, espressione pittoresca e folkloristica dell’anima siciliana e non una reale e pericolosa associazione criminale da combattere.39

Non è quindi totalmente azzardato affermare che una delle cause della particolare capacità della mafia di infiltrarsi nelle istituzioni democratiche risiede, proprio, nella scarsa attenzione complessiva riservata nei decenni precedenti dallo Stato nei confronti di questa secolare organizzazione. Infatti, è solo nei primi anni ottanta che lo Stato si è deciso a dotarsi di strumenti più incisivi nella lotta alla mafia, quando questa ha espresso il suo volto più vero e violento con i delitti eccellenti che hanno coinvolto anche la sfera politica.40

      

39 Nelle Relazioni inaugurali dell’anno giudiziario pronunciati dai Procuratori Generali di Palermo del 1956 si legge che il fenomeno della delinquenza associata è scomparso e, in quella del 1957, si accenna appena a delitti di sangue da ascrivere, si dice, ad «opposti gruppi di delinquenti». Nella relazione del 1967, si asserisce che il fenomeno della criminalità mafiosa era entrato in una fase di «lenta ma costante sua eliminazione» e, in quella del 1968, si raccomanda l'adozione della misura di prevenzione del soggiorno obbligato, dato che «il mafioso fuori del proprio ambiente diventa pressoché innocuo». S. LUPO, op. cit., pp. 272-273.

40 Tra le vittime della seconda guerra di mafia (1981-1982) si annoverano: i giudici Terranova (1979), Costa (1980) e Chinnici (1983); politici di spicco come Mattarella e La Torre nel 1982; uomini delle forze dell’ordine quali il vice questore Giuliano, gli ufficiali dei carabinieri Russo e Basile. La violenza raggiunse il suo culmine con l’assassinio dell’uomo simbolo della lotta alla mafia di quegli anni il Prefetto di Palermo Carlo

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18 Si trattava, tuttavia, ancora di procedure e di procedimenti che, sviluppatesi in ambito penalistico, grazie alla novellata fattispecie dell'associazione per delinquere di stampo mafioso,art.416 bis c.p., introdotta dalla legge n. 646 del 13 settembre 1982, c.d. legge Rognoni-La Torre, si rivolgevano a singole responsabilità individuali;mentre la materia della prevenzione rimaneva ancorata alle misure personali previste dalle leggi n. 1423 del 1956 e n. 575 del 1965, seppur con una significativa integrazione sul versante patrimoniale ed interdittivo, che consentiva, per la prima volta nel nostro ordinamento, di individuare e colpire i patrimoni illeciti anche mediante il superamento di quel vero e proprio “feticcio

anacronistico” costituito dal segreto bancario.

La legge n. 55 del 19 marzo 1990 ha cercato di migliorare gli strumenti di contrasto alla mafia con specifico riferimento alla trasparenza delle amministrazioni locali in materia di appalti pubblici ed inoltre si sono introdotte nuove ipotesi di non candidabilità alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali di soggetti condannati in via definitiva ai sensi dell’art. 416 bis c.p.41

E’ stata tuttavia con la riforma dell'ordinamento delle autonomie locali, legge n. 142 dell'8 giugno 1990, che il legislatore ha introdotto, in maniera organica ed incisiva, la possibilità di intervenire, oltre che nei confronti di singoli amministratori, anche nei confronti di intere Amministrazioni elettive. L'articolo 39 della legge n. 142/90 prevedeva, infatti, un

      

Alberto Dalla Chiesa, che il 3 settembre 1982 venne ucciso a Palermo, assieme alla moglie Emanuela Setti Carraro e all’autista. Solo il 6 settembre 1982, i poteri straordinari più volte richiesti vennero formalizzati con l’istituzione dell’Alto Commissario per il coordinamento della lotta alla mafia (D.L. n. 629 del 6.9.82, convertito in legge n. 726 del 12.10.82).

41 La Corte costituzionale, con la pronuncia del 14 maggio 1996, n. 141, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma citata nella parte in cui disponeva la non candidabilità o la rimozione dalla carica di amministratore dell’ente locale di coloro per i quali era stata emessa una richiesta di rinvio a giudizio, ovvero una sentenza di condanna o una misura di prevenzione priva di carattere definitivo in relazione ai delitti indicati dalla norma.

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19 intervento sostitutivo nei confronti di quegli Enti che “dovessero

caratterizzarsi per gravi e persistenti violazioni di legge e/o per gravi motivi di ordine pubblico". Non si parlava ancora di mafia, ma il

riferimento all'illegalità diffusa ed all'ordine pubblico prefigurava già la presa d'atto della problematica della corruzione e della devianza dell'Ente dai fini istituzionali.

È quindi, con il Decreto legge n. 152 del 13 maggio 1991, convertito in legge n. 203 del 12 luglio 1991, mediante l'attivazione del cosiddetto "Collegio degli Ispettori" di nomina prefettizia e l'introduzione del potere del Prefetto di sottoporre a controllo le delibere delle Giunte in materia di contratti, che si evidenzia l'intento del legislatore di sindacare, nello specifico, le scelte degli Enti locali quando esse appaiano di dubbia legittimità e si estende ancora le possibilità di combattere le irregolarità e le indebite interferenze negli appalti degli Enti pubblici.

Infine, Il 31 maggio del 1991 viene adottata una normativa specifica che consente, per la prima volta, lo scioglimento di interi consessi elettivi, in relazione alla specifica causa di infiltrazione e/o condizionamento da parte della criminalità organizzata.

La domanda che sorge spontanea è la seguente: perché proprio nel 1991 e non prima, visto che il fenomeno dell’infiltrazioni di stampo mafioso nelle istituzioni è, come già precedentemente chiarito, molto risalente nella storia d’Italia? Perché, come spesso accade nel nostro Paese, si adottano provvedimenti rilevanti, si introducono strumenti normativi più incisivi e penetranti, in conseguenza di episodi clamorosi che turbano le coscienze e l'opinione pubblica e spingono la classe politica a dare una qualche risposta legislativa. Ciò purtroppo avviene in “un’ottica emergenziale” che ha sempre caratterizzato la produzione normativa italiana.

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20 Se, nel 1982, l'efferato assassinio del Prefetto di Palermo, generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, aveva indotto il legislatore a rompere gli indugi e ad approvare quella legge, in discussione da tempo al Parlamento senza esito, che consentiva di intervenire nei confronti dei patrimoni illeciti accumulati in virtù delle attività criminose e della forza intimidatrice derivante dal vincolo associativo mafioso; i fatti delittuosi di Taurianova del 1991 inorridirono a tal punto l'opinione pubblica42 da indurre l'effetto, pressoché immediato, dell'introduzione della normativa rivolta nello specifico agli Enti locali inquinati dalla mafia.

      

42 Tale aspetto giocherà sempre un ruolo rilevante sull’applicazione della normativa, come si vedrà nell’ultimo capitolo.

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1.4. La nascita della normativa sugli scioglimenti per 

infiltrazione mafiosa 

Il 3 maggio 1991 tutta l’Italia “scoprì” l’efferatezza della ‘ndrangheta attraverso le immagini dei telegiornali che aprirono con la notizia dell’uccisione a Taurianova di quattro persone, una delle quali con modalità tali da far inorridire l’opinione pubblica nazionale e da essere ampiamente riprese anche dalla stampa estera43. Il giorno successivo i figli di una delle vittime riuscirono miracolosamente a salvare la vita, pur rimanendo gravemente feriti da killer travestiti da carabinieri che avevano evidentemente il compito di annientare l’intera famiglia. Sembra la sceneggiatura di un film invece si tratta di realtà, e, inoltre, sotto gli occhi di tutti, essendo stata la piazza il “palcoscenico” di questi eventi. Taurianova, centro agricolo della piana di Gioia Tauro con poco più di 17000 abitanti, era da tempo al centro di episodi mafiosi di inaudita gravità e violenza44. Dopo l’accaduto, cronisti di tutte le parti del mondo furono inviati a documentare il “caso Taurianova”: i giornali riportarono una sequela impressionante di omicidi, dalla strage di contrada Razzà a metà degli anni settanta, ove nel corso di un violentissimo conflitto a fuoco rimasero uccisi due pregiudicati e due militari dell’Arma, sino ad allora.45 Ma, scendendo nei particolare della storia che diede origine alla normativa oggetto del nostro studio, cerchiamo di ricostruire l’accaduto.46 Il ritorno sulla scena del boss locale, rimasto assente dal 1984 al 1987 a causa di una condanna all’ergastolo per omicidio, vanificata dalla

      

43 “Con la testa mozzata fecero tiro al bersaglio” in Repubblica.it., del 5 maggio 1991. 44 Di Taurianova riparleremo anche nell’ultimo capitolo, quando tratteremo i casi di tripli scioglimenti.

45 A. CANTADORI, Lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali per infiltrazioni

mafiose, in Per aspera ad Veritatem, n. 24, 2002.

46 A. NICASO, N. GRATTERI, Fratelli di sangue,Pellegrini Editori, Cosenza 2006, pp 129-148.

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22 decorrenza dei termini, sembrò coincidere con la fine dello stato di anarchia che regnava tra le bande. Significativa fu una singolare coincidenza: la microcriminalità (furti, rapine, estorsioni, piccolo spaccio di sostanze stupefacenti) che era esplosa a Taurianova nel periodo di assenza del boss, cessò con il suo ritorno e la riconquista delle antiche posizioni di potere. Ma la riaffermazione della “pace sociale” passò attraverso l’eliminazione fisica di diciotto giovani che avevano osato turbarla.

L’uccisione del boss e del suo luogotenente, avvenuta nel 1990, riaprì la guerra fra le cosche per il controllo economico della zona e il dominio di ogni attività parassitaria, sia nel campo delle estorsioni che dell’accaparramento dei subappalti. In poco più di un anno si contarono trentatré delitti, quindici tentati omicidi e decine di danneggiamenti a scopo intimidatorio. Il clima di paura e di violenza si rifletteva anche sul piano amministrativo: in consiglio comunale si susseguivano dimissioni e surroghe di consiglieri.

Uno di essi,Giuseppe Zagari, nonché capobastone, dell’omonimo clan, fu assassinato con modalità tipicamente mafiose a colpi di lupara mentre si trovava all’interno di un salone da barbiere. Era evidente che di fronte a una tale pressione criminale era difficile attendersi azioni di denunzia da parte della popolazione o delle autorità locali. Del resto “l’occupazione” dell’amministrazione comunale di Taurianova era già avvenuta, tanto che un noto personaggio del luogo aveva potuto concludere un discorso tenuto alla cittadinanza dal balcone di casa propria asserendo di essere “l’uomo della provincia di Reggio Calabria che ha sistemato più gente”.47 La prefettura era intervenuta in più occasioni con provvedimenti di rigore nei confronti di singoli amministratori, ma era chiaro che la criminalità organizzata condizionava la vita dell’intero consiglio comunale,

      

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23 compromettendone il regolare funzionamento e influendo sullo stato della sicurezza pubblica. Fu disposta anche l’apertura di un commissariato di P.S., proprio per supportare l’impegno delle forze dell’ordine oltre al quale, però, si sarebbero dovuti aggiungere interventi mirati dallo Stato nei confronti dell’amministrazione comunale. Questa esigenza era ben chiara, ma gli strumenti legislativi a disposizione erano ancora insufficienti. Infatti, la legge 8 giugno 1990, n. 142, sul nuovo ordinamento delle autonomie locali, all’art. 39, consentiva lo scioglimento dei consigli comunali in caso di atti contrari alla Costituzione o per gravi e persistenti violazioni di legge, nonché per gravi motivi di ordine pubblico. Dopo i necessari approfondimenti si convenne, anche alla luce della giurisprudenza sino ad allora affermatasi, che l’art. 39 sarebbe stato di difficile applicazione al caso in questione. Non si trattava di sottili disquisizioni giuridiche, ma della necessità di assicurare che il provvedimento di rigore reggesse anche di fronte ad un alquanto probabile ricorso amministrativo: le conseguenze di un suo eventuale annullamento sarebbero state fortemente negative, con effetti demotivanti facilmente intuibili sulla parte sana della popolazione taurianovese.48 Era, dunque, inevitabile il ricorso ai poteri in materia di decretazione d’urgenza allo scopo di introdurre nell’ordinamento un’ipotesi di scioglimento del tutto nuova rispetto a quelle fino ad allora previste. Il Ministro dell’interno Vincenzo Scotti decise di sottoporre la questione al Consiglio dei Ministri. Anche il Ministro di Grazia e Giustizia, nonché Vice Presidente del Consiglio, Claudio Martelli,49 fortemente colpito dall’efferata strage avvenuta il 3 maggio, auspicò lo scioglimento del consiglio comunale di Taurianova come prima tappa per il ripristino di

      

48 A. CANTADORI, op. cit.

49 Il quale dopo la sua visita in Calabria afferma: “ Un quadro così desolante era difficile da immaginarlo. Non posso fare a meno di evidenziare che ci si trova di fronte a un punto di rottura, quasi di dissolvimento del sistema democratico.” La citazione è tratta dal dossier Mafia, oltre l’omicidio, «Calabria», n. 72, giugno 1991.

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24 condizioni di legalità. Si scelse così, in questa situazione di estrema necessità, di emanare una nuova norma ad hoc che configurasse lo scioglimento degli enti nei cui confronti fossero stati riscontrati fenomeni di infiltrazioni o condizionamento da parte della criminalità organizzata. L’amministrazione straordinaria di tali enti sarebbe stata assicurata da una commissione per un periodo sufficientemente lungo a garantire il ripristino delle condizioni di legalità. In seguito a una serie di incontri fu approntato il testo di un provvedimento che, una volta deliberato dal Consiglio dei Ministri, divenne il decreto legge 31 maggio 1991, n. 164, recante: “Misure urgenti per lo scioglimento dei consigli comunali e

provinciali e degli organi di altri enti locali, di tipo mafioso”. Il decreto

legge, che introduceva l’articolo 15 bis alla legge antimafia n. 55 del 1990, prevedeva dunque un’ipotesi nuova di scioglimento rispetto a quelle disciplinate dalla legge sulle autonomie locali del 1990.50 Il decreto legge 164 disponeva che i consigli comunali e provinciali potevano essere sciolti quando, in seguito all’esercizio dei poteri conoscitivi e ispettivi del prefetto, fossero emersi elementi su collegamenti diretti o indiretti degli amministratori con la criminalità organizzata o forme di condizionamento degli amministratori tali da compromettere l’imparzialità e il buon andamento degli organi elettivi, il regolare funzionamento dei servizi, o fossero tali da arrecare pregiudizio per la sicurezza pubblica. In considerazione della specificità delle cause poste alla base del provvedimento di scioglimento, il decreto legge prevedeva che esso venisse deliberato dal Consiglio dei Ministri prima di essere sottoposto alla firma del Capo dello Stato. La durata del periodo di scioglimento fu stabilita in un periodo compreso tra dodici e diciotto mesi, un periodo più ampio rispetto alle ipotesi contemplate dalla legge 142/90.

      

50 In questa parte del lavoro, si è deciso di non dedicare tanto spazio ai contenuti della normativa, ma effettuare soltanto una loro elencazione, riservando l’intero secondo capitolo alla procedura di scioglimento e dunque ad un trattazione più completa possibile.

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25 La norma stabiliva inoltre la nomina, con il decreto di scioglimento, di una commissione straordinaria incaricata della gestione dell’ente, composta da tre membri scelti fra funzionari dello Stato e fra magistrati della giurisdizione ordinaria o amministrativa. L’opzione in favore di un organo collegiale, in luogo di un organo monocratico, corrispondeva alla preoccupazione di configurare un organismo che, chiamato a operare in un contesto sociale caratterizzato da particolari difficoltà, fosse in grado di offrire maggiori garanzie per il ripristino dello stato di legalità. Il decreto legge prevedeva inoltre una norma “anti-elusione”, che consentiva cioè di far luogo all’adozione della misura di rigore anche in presenza di circostanze che avrebbero potuto determinare lo scioglimento per altre cause. In attesa del decreto presidenziale di scioglimento, veniva conferito al prefetto, in presenza di motivi di urgente necessità, il potere di sospendere gli organi dalla carica ricoperta, nonché da ogni altro incarico ad essa connesso, assicurando la provvisoria amministrazione dell’ente. Avvalendosi delle facoltà stabilite dal decreto legge, il prefetto di Reggio Calabria dispose la sospensione del consiglio comunale di Taurianova. Altrettanto fece il prefetto di Napoli nei confronti del consiglio comunale di Casandrino, rispetto al quale erano stati accertati fenomeni di condizionamento tali da compromettere la vita democratica dell’ente. I due consigli comunali, dopo la deliberazione del Consiglio dei Ministri, vennero infine sciolti con due decreti del Presidente della Repubblica, entrambi in data 2 agosto 1991. Il decreto legge venne convertito nella legge 22 luglio 1991, n. 221.

In realtà, come si specificherà meglio dopo, la legge nasce già superata nel momento in cui essa prevede lo scioglimento dei Consigli nel caso di collegamenti degli amministratori con le organizzazioni mafiose, non tenendo conto del fatto che, con la riforma dell’ordinamento degli enti locali, gran parte dei poteri dei Comuni sono stati delegati agli uffici comunali e non agli esponenti politici.

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1.4.1.Excursus storico ­ normativo dell’istituto 

Sulla base dell’esperienza maturata nei primi due anni di applicazione della legge 221/91, emerse l’esigenza di apportare alcune modifiche e integrazioni allo scarno impianto normativo, al fine di renderlo maggiormente idoneo a fronteggiare il fenomeno delle infiltrazioni mafiose negli enti locali. Tali esigenze trovarono risposta nell’emanazione da parte del Governo del decreto legge 19 ottobre 1993, n. 420, reiterato nel decreto legge 20 dicembre n. 529, che fu infine convertito in legge l’11 febbraio 1994, n. 108. La legge 108 introdusse la possibilità di prorogare la durata dello scioglimento, stabilita in un periodo compreso fra i dodici e i diciotto mesi, fino ad un massimo di ventiquattro mesi in casi eccezionali. In merito all’esigenza di assicurare il regolare funzionamento dei servizi pubblici, fu introdotta la possibilità per il prefetto di disporre, su richiesta della commissione straordinaria, l’assegnazione in via temporanea o il distacco di personale amministrativo e tecnico di amministrazioni ed enti pubblici, anche in posizione di sovraordinazione. Presso il Ministero dell’Interno fu, inoltre, istituito il comitato di sostegno e monitoraggio dell’azione delle commissioni straordinarie e dei comuni riportati a gestione ordinaria. Infine, la legge 108 istituì un circuito preferenziale per l’accesso ai finanziamenti statali e regionali per la realizzazione di opere pubbliche e per far fronte alle disfunzioni dei servizi di competenza degli enti commissariati. Allo scopo di garantire nel tempo il ripristino delle condizioni di funzionalità ditali enti, la legge 108 precisò che il circuito preferenziale per l’accesso ai finanziamenti permanesse anche per la durata del primo mandato elettivo conseguente alla cessazione del commissariamento straordinario. Dal 1994, l’art. 15 bis non è stato oggetto di ulteriori integrazioni;51 con l’emanazione del

      

51 Secondo A. CANTADORI, op. cit, in quanto ha dimostrato sul piano normativo di essere un valido strumento di contrasto delle infiltrazioni e dei condizionamenti malavitosi, superando anche il vaglio costituzionale. A mio modesto parere, invece, non è

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27 decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, recante il Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, il contenuto dell’art. 15 bis è stato solo trasfuso senza essere modificato, nel titolo VI, capo Il, dedicata ai Controlli, agli artt. 143- 146.

Non essendoci stata alcuna modifica dal 1994, l’interpretazione evolutiva dei giudici amministrativi non è stata in grado di adeguare l’istituto dello scioglimento degli enti locali per infiltrazioni della criminalità organizzata al rinnovato quadro normativo ed alle nuove esigenze di lotta alla mafia, in ragione dei limiti del dettato normativo. Alla luce delle difformità denunciate dagli operatori e di un uso eccessivamente difforme dell’istituto nelle diverse Regioni italiane, l’esigenza di modificare la materia è stata avvertita anche dal legislatore. Dai lavori delle commissioni parlamentari52 emerge, infatti, la necessità di adeguare la normativa alle riforme delle autonomie locali succedutisi nel corso degli ultimi venti anni,53 ma sopratutto l’esigenza di fornire maggiore efficacia ed incisività alla lotta dello Stato contro le infiltrazioni. Nel corso della XV Legislatura, la Commissione Affari Costituzionali della Camera aveva esaminato alcune proposte di legge in materia elaborando un testo, condiviso dai diversi spiegamenti politici, recante una complessiva riforma della materia.54 Quest’ultimo prevedeva la riscrittura di tutte le

      

stata modificata più fino al 2009 solo per precisa volontà politica, nonostante fossero emerse sin da subito le criticità da parte di dottrina e giurisprudenza.

52 Si vedano gli atti della Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della criminalità organizzata mafiosa o similare della XIV e della XV legislatura, tra i quali, in particolare il Documento di sintesi della discussione sulle problematiche concernenti la normativa sullo scioglimento dei consigli comunali e provinciali conseguente a fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso, approvato nel corso della seduta del 12 luglio 2005 e la relazione conclusiva delle attività della Commissione del 18 gennaio 2006.

53 Si pensi infatti, rispetto alla ricostruzione dell’evoluzione del quadro normativo fatto in precedenza, alla necessità di adeguare la disciplina con le nuove norme sulla dirigenza pubblica, sull’elezione diretta del sindaco e del presidente della Provincia.

54 Proposte di legge C. 1134 ed. abb.,Testo unificato come modificato dagli emendamenti approvati dalla Commissione (seduta del 14 novembre 2007).

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28 norme concernenti lo scioglimento, nonché di altre disposizioni relative al rapporto d'impiego con le pubbliche amministrazioni e alle informative antimafia; dall'altro lato, l'introduzione di una serie di disposizioni rivolte ad assicurare più efficaci sanzioni nei confronti dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni collegati alla criminalità organizzata55. Purtroppo, la proposta presentata soltanto nel 2005, fu assegnata alla Commissione affari costituzionali nelle ultime settimane della legislatura e non ne fu, quindi, nemmeno iniziato l’esame. Tuttavia, nella XV legislatura fu ripresentata, ancora, mantenendo fermi i punti già contenuti nella precedente proposta di legge. La fine anticipata della legislatura, a seguito del voto di sfiducia del Senato al secondo Governo Prodi e all’impossibilità di formare una nuova maggioranza parlamentare, bloccò di nuovo il suo iter parlamentare. 56

Si arriva così alla riforma introdotta con l’art. 2, comma 30, della legge n. 94 del 2009, il c.d. “Pacchetto sicurezza”; le modifiche si sono avute non, quindi, attraverso un provvedimento normativo ad hoc, ma tramite l’inserimento in un provvedimento–omnibus. La novella riprende sostanzialmente il testo di modifica elaborato dalla commissione Affari Costituzionali della camera nella XV Legislatura, limitandosi però a riformulare l'articolo 143 del T.U.E.L. Le novità più rilevanti previste

      

55Gli elementi cardine della riforma erano rappresentati da: una maggiore specificazione degli elementi da cui emergono i collegamenti con le organizzazioni mafiose; l'estensione del campo di applicazione della disciplina dello scioglimento alle società partecipate dagli enti locali; l'introduzione di una disciplina di rango legislativo del procedimento di attuazione del decreto di scioglimento; la previsione di una disciplina speciale per lo svolgimento delle elezioni per il rinnovo dei consigli degli enti locali sciolti; l’incandidabilità dei responsabili dei singoli amministratori collegati con la criminalità organizzata; l'estensione dei rimedi contro i collegamenti con la criminalità organizzata di tipo mafioso e contro i suoi condizionamenti anche a carico dei dirigenti e dei dipendenti dell'ente ed altre misure in materia di responsabilità dei pubblici dipendenti; l'attribuzione di poteri più rilevanti alla commissione straordinaria ed il riconoscimento di effetti interdittivi anche alle informative antimafia c.d. atipiche. 56 Iter riportato in A. PERTICI, Commento all’ art. 2 in G. DE FRANCESCO, A. GARGANI, D. MANZIONE, A. PERTICI (a cura di), Commentario al “Pacchetto sicurezza”. L. 15 luglio 2009, n. 94, Torino, UTET, 2011, p.322

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29 della novella sono rappresentate dall'introduzione di una disciplina più precisa dei presupposti, dei limiti e della procedura per l'adozione del provvedimento governativo di scioglimento, nonché l’ampliamento dell’ambito di applicazione dell’istituto sia dal punto di vista oggettivo, con riferimento in particolare alla previsione di ulteriori tipologie di organizzazioni criminali che possono integrare la fattispecie in esame, che soggettivo, in relazione all’estensione delle misure applicabili oltre che ai membri del consiglio, anche ai dirigenti e agli altri dipendenti pubblici. Infine, altra modifica apportata con la riforma del 2009, riguarda l’introduzione tra le conseguenze che le infiltrazioni mafiose devono produrre, la compromissione dell’imparzialità dell’amministrazione, oltre che del buon andamento già previsto dalla normativa.

Nonostante la riforma costituisca indubbiamente un importante passo in avanti nella lotta all'infiltrazione mafiosa nelle amministrazioni locali, essa secondo parte della dottrina, in modo condivisibile, risulta ancora incompleta. Le novità introdotte dalla legge 94 del 2009 non sembrano rispondere alle molteplici esigenze emerse dall'applicazione quotidiana dell'istituto. In particolare, la novella non sembra aver preso in considerazione la necessità di prevedere strumenti più incisivi nella lotta alla mafia che consentano di estirpare l'infiltrazione mafiosa dai comuni, dalle province e soprattutto dalle società partecipate, che oggi risultano le detentrici delle reali risorse economiche degli enti locali.

Rispetto alla novella del 2009, ci sembra opportuno evidenziare che l'intervento del legislatore statale, nonostante riguardi l'autonomia degli enti locali, appare rispettoso del reparto di competenze legislative stabilito all'articolo 117 della costituzione, essendo possibile ricondurre le norme in oggetto alle materie «ordine pubblico e sicurezza» e «legislazione

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30 elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane», di competenza legislativa esclusiva dello Stato.57 In questi ultimi anni, le questioni “irrisolte” dalla riforma del 2009 sono di nuovo emerse in modo preponderante. Oltre i contributi della giurisprudenza, della dottrina, degli studiosi o, ancora, di militanti delle associazioni antimafia che, di volta in volta, si citeranno nel testo a sostegno della necessità di un cambiamento della normativa, appare opportuno segnalare, de iure condendo, altre due recenti proposte.

La prima riguarda la proposta di legge “Villecco Calipari”, n. 152, presentata il 15 marzo 2013, assegnata alla I Commissione Affari Costituzionali in sede Referente il 7 maggio 2013. L’altra si riferisce, invece, al Rapporto“Per una moderna politica antimafia”, della Commissione, istituita con decreto del 7 giugno 2013 dall’ex Presidente del Consiglio dei Ministri Enrico Letta, per l’elaborazione di proposte per la lotta, anche patrimoniale, alla criminalità,58 presentato il 23 gennaio 2014.

Entrambe, partendo dal dato centrale che è rappresentato dalla inconsistenza dei risultati e dagli insuccessi ottenuti in questi anni di applicazione della disciplina, si pongono l’obiettivo di modificare la normativa contenente nel T.U.E.L. affinché lo scioglimento possa

      

57 Art. 117, comma secondo, lett. h) e p). Diversamente le norme relative alle aziende sanitarie locali e agli enti strumentali potrebbero risultare suscettibili di incidere sulle competenze concorrenti o residuale delle Regioni, anche se l'intervento statale appare giustificato dalla necessità di assicurare l'ordine pubblico e la sicurezza.

58 Costituita dal Presidente:Roberto GAROFOLI (Magistrato del Consiglio di Stato), Componenti:Magda BIANCO (Dirigente Banca d’Italia), Raffaele CANTONE (Magistrato di Cassazione) Nicola GRATTERI (Procuratore aggiunto Reggio Calabria), Elisabetta ROSI (Magistrato di Cassazione) ,Giorgio SPANGHER (Professore ordinario di procedura penale).

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31 rappresentare per gli enti interessati occasione di rinnovamento e di

sottrazione dal giogo che la criminalità organizzata impone con il controllo delle attività amministrative. Entrambe le elaborazioni

raccolgono le riflessioni emerse nella Commissione Antimafia e nella Commissione Affari Costituzionale prima della riforma del 2009, volendo quasi recuperare le occasioni mancate dell’ultima riforma. In particolar modo, la PDL n. 152, ponendosi come provvedimento specifico per tale fenomeno, a differenza del documento “Per una moderna politica antimafia” che ha un carattere eterogeneo, costituirebbe la tanto attesa riforma unitaria riguardante la materia degli scioglimenti. Quest’ultima, comprende modifiche rispetto alla responsabilità della gestione, all’accertamento dei presupposti, ai termini delle indagini e all’integrazione dei poteri del prefetto; un’attenzione particolare è poi prevista per la gestione straordinaria e per l’ineleggibilità.

Nella trattazione che segue faremo accenno, di volta in volta, anche a tali contenuti, considerandoli, sin da adesso, idonei a cambiare positivamente l’assetto vigente.

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