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CONCLUSIONE “Decay is the beginning of all birth”

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Academic year: 2021

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CONCLUSIONE

“Decay is the beginning of all birth”

“Decay is the beginning of all birth”:1 ritengo che questo motto di Paracelso rispecchi e

sintetizzi i concetti trattati nei tre capitoli di questo elaborato, nonché l’argomento stesso della mia ricerca, ossia il legame tra l’imagery alchemica e la poesia metafisica. Quest’ultima è la tradizione letteraria a cui appartengono Donne e Vaughan, i quali hanno sì scelto il codice alchemico come espressione delle proprie inclinazioni e passioni, ma lo hanno fatto soprattutto per esprimere metaforicamente un processo di rinascita e individuazione del Sé, da essi stessi compiuto attraverso l’arte.

Abbiamo constatato che in entrambe le sue accezioni, essoterica ed esoterica, in alchimia la distruzione è una tappa fondamentale nell’Opus Alchemicum per poter raggiungere l’obiettivo finale: nell’alchimia essoterica, questo corrisponde alla produzione della pietra filosofale come apice della sublimazione dei metalli comuni in oro, mentre in quella esoterica consiste nella purificazione e nell’elevazione dell’anima individuale dell’adepto. In entrambi questi casi, l’obiettivo è raggiunto attraverso un processo che implica, tra le varie fasi (nigredo, albedo, citrinitas, rubedo), un momento cruciale di morte e distruzione, la nigredo. È questo il processo fondamentale, ravvisabile metaforicamente nella vita e nella produzione poetica di Donne e Vaughan come trait d’union sottile ma nondimeno evidente. Da quanto emerge nei componimenti qui analizzati, essi hanno impiegato, sebbene in modi differenti, questo codice culturale come mezzo per progredire in senso umano e artistico trasponendo poeticamente un comune processo di trasmutazione individuale.2

1 L’espressione è di Paracelso e metaforizza il concetto di alchimia come arte di trasformazione;

cfr. J.JACOBI (ed.), Paracelsus: Selected Writings, Routledge & Kegan Paul, London 1951, p. 217. 2 Con ciò non intendo dire che vi sia una piena identificazione, in queste opere, tra il soggetto empirico cioè l’autore biografico e il soggetto testuale, cioè l’io poetico. I componimenti ci forniscono però elementi che permettono di costruire il fantasma interno al testo e di confrontare quest’ultimo con il soggetto storico degli autori, a sua volta composto dall’ideologia e dalla concreta situazione esistenziale. Questo ci consente di far diminuire il distanziamento o débrayage tra soggetto dell’enunciazione e soggetto dell’enunciato. Cfr. M.PAGNINI, op. cit., pp. 31-40.

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Donne, nei componimenti qui analizzati (“Love’s Alchemy”, “A Nocturnal upon Saint Lucy’s Day” e “The Ecstasy”) utilizza il codice alchemico associandolo regolarmente al tema amoroso: esso diviene la modalità più consona a esprimere un sentimento che man mano si trasforma e si eleva, culminando nell’amore per Dio. Abbiamo visto infatti come, passando da “Love’s Alchemy” a “A Nocturnal upon Saint Lucy’s Day”, l’atteggiamento del poeta cambi radicalmente: da adepto essoterico egli si converte ad adepto esoterico.

In “Love’s Alchemy” un Donne cinico fa satira sugli amanti, protagonisti della sua poesia, equiparandoli ad alchimisti essoterici dediti soltanto alla realizzazione dell’oro materiale. In questa fase della sua produzione poetica, l’autore scrive di un Opus e, di conseguenza, di una nigredo sterili (“a winter seeming-summer’s night”, v. 12) in quanto sono compiuti a fini utilitaristici, e perciò saranno destinati a condurre a false nozze mistiche (“bridegroom’s play”, v. 17) e a una falsa pietra filosofale. Notiamo, quindi, come Donne, in questo componimento, sia ancora scettico riguardo all’alchimia e agli effetti salvifici che essa invece possiede, nella visione del mondo esoterica, sull’anima dell’adepto.

Il passaggio alla concezione esoterica avviene grazie alla presa di coscienza da parte di Donne che l’attaccamento agli aspetti materiali della vita, come l’amore carnale, e associabili alla crisopoiesi alchemica, non conducano da soli l’anima alla salvezza eterna. È soprattutto nel secondo testo che ravvisiamo il senso positivo e creativo del “decay”, paracelsiano: l’io poetico deve necessariamente subire la morte di ciò che era prima per diventare un uomo nuovo. Il protagonista di “Love’s Alchemy” affronta, perciò, la propria distruzione in “A Nocturnal upon Saint Lucy’s Day”, testo significativo poiché incentrato, per l’appunto, sulla fase di nigredo e sulla rigenerazione che ad essa segue: il suo spirito è ora finalmente proiettato su un amore spirituale ed eterno. Tale processo ha il suo culmine in “The Ecstasy” in cui l’io poetico, dopo aver sperimentato tutte le fasi dell’Opus

Alchemicum, raggiunge una vera e propria estasi spirituale, a sua volta equiparabile

all’estasi religiosa. Dal primo al terzo componimento ravvisiamo, quindi, una crescita personale e spirituale di cui fa esperienza, con sempre maggiore intensità, l’io poetico, il quale passa da comune amante, legato ai piaceri terreni, alla condizione, più elevata, di un Santo in estasi amorosa per il divino.

Vaughan, invece, in Silex Scintillans, impiega il codice alchemico come metafora del processo, da egli stesso sperimentato, di forte introversione e autoanalisi avviatosi in

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seguito alla conversione. Come abbiamo constatato, i testi qui analizzati (“Disorder and Frailty”, “Cock-crowing” e “The Retreat”) sono collocati nella raccolta come i passaggi graduali, puntuali e ordinati di un preciso recipe alchemico. La maggiore intersezione tra il materiale ermetico e gli altri codici culturali impiegati è quella che si realizza in corrispondenza dell’isotopia religiosa. Quest’ultima è ravvisabile soprattutto nel fondamentale concetto, sotteso a tutti i componimenti analizzati, secondo il quale Dio, nel momento della creazione, ha impiantato nell’uomo la scintilla divina, il sacro seme. Il compito dell’uomo, e forse anche di Vaughan stesso, perlomeno nel modo in cui egli interpretava la propria vocazione, artistica e devota, consiste proprio nel cercare questo seme e innescarne la crescita, per poter infine riunirsi a Dio.

Così, in “Disorder and Frailty”, abbiamo visto come la scintilla sia presente nell’animo umano ma che, a causa della natura sinusoidale del rapporto tra l’uomo e Dio, sia anche al momento sopita. Il divario che il protagonista avverte tra il piano umano e quello divino, tra macrocosmo e microcosmo, tra materia e spirito, caratteristico delle prime fasi della

nigredo, deve essere prima colmato, dato che solo con il ripristino delle corrispondenze tra

materia e spirito, tra l’alto e il basso, l’uomo potrà, finalmente elevarsi riavvicinandosi a Dio.

Questa frattura inizia a ricomporsi in “Cock-crowing”. L’io poetico instaura ora una relazione stabile con Dio. Tuttavia, questo rapporto non è ancora equiparabile a quello che il divino ha con le altre creature. Egli, sebbene sia consapevole di possedere il sacro seme, sa anche che la sua anima è ancora oscurata dal velo del peccato, che a sua volta gli impedisce di scorgere l’illuminazione divina. Quest’ultima è una condizione che, secondo la dottrina platonica, sicuramente si sperimenta almeno una volta nella vita, ossia nell’innocenza primigenia, il momento in cui siamo più vicini a Dio e in cui la scintilla divina non è ancora stata offuscata dall’esperienza. La nostalgia individuale per tale cruciale periodo dell’esistenza è esplicitata in “The Retreat”, l’ultimo testo qui analizzato. In questo componimento, la più significativa immagine alchemica è quella del philosophical

child, che simboleggia la pietra filosofale appena prodotta e trae nutrimento dal philosophical tree. L’albero, a sua volta, rappresenta il corso, organico e olistico, del processo

alchemico e la corrispondente crescita dell’anima individuale dell’adepto che lo compie. Vaughan sembra quindi essere finalmente giunto alla meta tanto agognata: ha scoperto in

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sé il seme divino. Quest’ultimo grazie alla fede in Dio, ma soprattutto a quella nella volontà individuale, è cresciuto fino a diventare un vigoroso e robusto albero.

Sia in Donne che in Vaughan è evidente che il meccanismo catartico implicato nel “decay” sia fondamentale per innescare nell’uomo quella scintilla che gli consente di vedere il mondo in una luce diversa e perfino migliore. La morte genera una nuova nascita e, di conseguenza, un nuovo battesimo dell’anima, dato che a quest’ultima viene tolto il velo del peccato che la separava dal divino. Tutto ciò è trasmesso nei testi poetici con magistrale abilità: Donne e Vaughan hanno avuto la capacità di creare opere pluriisotopiche, testi nei quali il livello di significazione riconducibile al codice metafisico, con il suo linguaggio opaco, allusivo e fortemente connotativo, è riservato a chi possiede gli strumenti necessari per poterlo comprendere e decifrare, riducendone l’ambiguità attraverso la ricostruzione dei nessi di codice. Sulla scorta dei messaggi trasmessi, possiamo interpretare questi componimenti come un’eredità spirituale dal valore incommensurabile, che ci fornisce nuovi spunti per conoscere noi stessi e il mondo che ci circonda. Attraverso la parole poetica di questi due autori abbiamo la possibilità di andare oltre le apparenze che dominano la vita quotidiana, guardando dentro di noi. La vera medicina, il vero elixir, è, quindi, la rivoluzione di noi stessi, il ritrovamento del nucleo interno al nostro essere, in termini junghiani, il culmine dell’individuazione del Sé.

Tale processo di introiezione è reso appunto possibile dall’uso strategico che questi due grandi poeti hanno fatto dell’immaginario alchemico, sebbene ciascuno in modi differenti. Donne è più distaccato, emotivamente e razionalmente, dalla materia. Ciononostante, essa è comunque parte della sua visione del mondo ed è fondamentale per la concretizzazione e la proiezione immaginativa delle sue esperienze di vita sui testi. Vaughan, invece, è completamente immerso nell’imagery alchemica, tanto da farla sua non soltanto a livello artistico, ma soprattutto sul piano personale. L’Opus Alchemicum diventa il processo attraverso il quale egli chiarifica a se stesso e al lettore i moti della sua anima che a loro volta culminano nel ritrovamento di se stesso.

La grandezza di questi poeti, dunque, sta nell’aver dato forma cosciente, attraverso la parola poetica, ai processi più profondi e inconsci del loro mondo interiore. Essi hanno affrontato un viaggio introspettivo che li ha resi consapevoli ciascuno dei propri limiti ma, soprattutto, delle proprie potenzialità. In tutto ciò l’alchimia è fondamentale, perché rappresenta un evento cruciale, capace di concretizzare, oggettivandoli sotto forma di ficta,

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i facta della loro crescita personale e la scoperta del proprio inconscio: possiamo paragonare l’Opus a un processo di iniziazione spirituale che apre all’uomo la strada verso la conoscenza più profonda dell’essere. Essi diventano alchimisti di se stessi, interagendo consciamente con le dinamiche più oscure e profonde della propria psiche e giungendo alla produzione della pietra filosofale interiore.

Questo viaggio introspettivo, che secoli fa aveva trovato una struttura operativa concreta nell’alchimia, oggi è giustificato dalla psicoanalisi. Gli studi di Jung sono fondamentali in questo senso. Egli, infatti, scrive: “Only after I had familiarized myself with alchemy did I realize that the unconscious is a process” (Jung 1977, p. 235). È stato anche attraverso lo studio dell’alchimia che Jung è riuscito a comprendere davvero il lavoro dell’inconscio nella psiche umana: le fasi dell’Opus sono la proiezione oggettivata delle fasi di una trasformazione psicologica soggettiva. Per lui l’alchimia diventa una forma di psicologia grazie alla quale si possono indagare e comprendere i moti dell’anima. Sono queste componenti, introverse e gnoseologiche, i tratti distintivi dell’alchimia nella sua variante filosofico-esoterica e sono appunto queste stesse componenti a rendere i componimenti di Donne e Vaughan così interessanti.

In conclusione, questa ricerca ha messo in luce la natura e l’importanza del rapporto che lega l’imagery alchemica alla produzione artistica di Donne e Vaughan. Essa è il codice più importante rispetto agli altri che ha esercitato un’influenza fino ad oggi ancora largamente sottovalutata dai critici. Per questi motivi, l’analisi qui condotta, principalmente sul livello intertestuale dei componimenti, fa intravedere molti potenziali sviluppi futuri, sul piano della ricerca. Ad esempio, bisognerebbe ora indagare anche il piano pragmatico, esaminandone sia le strategie comunicative sia la configurazione della particolare esperienza di lettura che questi testi, semanticamente densi e formalmente complessi, mettono in atto nel rapporto con il lettore, proprio attraverso l’uso strutturale ed espressivo di molti principi fondamentali della comunicazione esoterica.

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