4. Oltre il libro, oltre la Stella
«Forte come la morte è l’amore»1
Nel Febbraio del 1925 a Francoforte sul Meno viene pubblicato Il nuovo pensiero,
l’opuscoletto scritto da Rosenzweig per tentare di arginare l’incomprensione e il cattivo accoglimento della Stella della redenzione e chiarirne i contenuti.2 A conclusione dell’opera Rosenzweig scrive:
Ciò che viene adesso è già al di là del libro «porta» che conduce dal libro al non-più-libro…Bisogna filosofare anche oltre, anzi, proprio oltre. Tutti devono filosofare, almeno una volta. Tutti devono gettare lo sguardo globalmente tutt’intorno partendo dal proprio punto di vista e dalla propria vita. Ma questo guardare non è fine a se stesso. Il libro non è un risultato raggiunto, neppure un risultato provvisorio. Anch’esso deve essere giustificato… Questa responsabilità
avviene nel quotidiano della vita.3
Ne Il nuovo pensiero, dunque la finitezza e la limitatezza del libro non è più sufficiente, non può pretendere mai di essere concluso in se stesso. Il libro può avere una funzione positiva quando apre le porte della vita e dell’esperienza concreta. Con le parole che abbiamo riportato l’autore de Il nuovo pensiero ricolloca il ruolo della filosofia come disciplina funzionale alla vita e all’uomo. Abbiamo visto diffusamente come nel pensiero Rosenzweig la critica alla pretesa di raggiungere la realtà muovendo da quella che risulta essere vuota determinazione logica- pretesa che è tradizionalmente associata all’idealismo di Hegel- conduce all’esistenza di un nuovo inizio: l’assoluta positività dell’esistenza che nessun io pone o produce e che soltanto posteriormente diviene conoscibile. Così Rosenzweig inizia da Dio, uomo e mondo come reciprocamente
1 F. Rosenzweig, La Stella…., op. cit., p. 167. 2 Cfr. capitolo primo, pp. 30-31.
trascendenti, per comprendere come essi si rivelino reciprocamente, come si aprano ad una relazione.
In questa nuova dimensione del filosofare tutti devono, dunque, «gettare lo sguardo globalmente tutt’intorno partendo dal proprio punto di vista e dalla propria vita e guardare il mondo non ancora compiuto», il mondo in cui c’è ancora «riso e pianto», in cui «le lacrime non sono ancora asciugate da tutti i volti».4 Questa condizione d’incompiutezza e di continuo divenire ci fa cogliere con un senso nuovo passato e avvenire: il passato, il già compiuto se ne sta davanti a noi dall’inizio alla fine e può essere ra-contato; l’avvenire, invece si può cogliere per ciò che-è-a-venire, soltanto attraverso l’anticipazione. Il futuro e il tempo dell’attesa, nel pensiero di Rosenzweig, affermano il loro primato rispetto al passato. Il futuro che deve ancora compiersi è presente nell’istante e in tutto ciò che è vivo e incompiuto, in tutto ciò che si rinnova. E la rivelazione diventa nascita continuamente rinnovata. Tutto ciò richiede una conversione di orientamento per cogliere l’irruzione dell’eterno nel tempo, una capacità di attesa, di ascolto, di apertura, di attività del tutto personale e irripetibile con cui ciascuno si mette responsabilmente dinanzi a se stesso, al mondo, a Dio, trasformando quel che può sembrare come pura passività e ascolto, nella forma più alta di coinvolgimento e partecipazione alla spinta che proviene dal cuore stesso dell’esistenza. Si comprende meglio, adesso, quale ruolo abbiano assunto ebraismo e cristianesimo all’interno del suo itinerario filosofico. Come Rosenzweig stesso è intendo a chiarire l’interesse teologico è finalizzato a far scaturire il nuovo pensiero, in opposizione al vecchio, partendo dalla rivelazione come evento che l’uomo esperisce.5 Il problema filosofico è quindi quello di comprendere il significato della rivelazione come contenuto
4 Cfr. F.Roosenzweig, La stella della redenzione, op.cit, p, 235.
5 F. P. Ciglia, nello studio quinto, al di là della «religione», contenuto nel suo saggio Fra Atene e Gerusalemme, op. cit., scrive che Rosenzweig opera un «rifiuto, assolutamente netto e deciso dell’attribuzione di un qualsivoglia significato “religioso” alla rivelazione ebraica e cristiana», cit., p. 166.
dell’esperienza per l’uomo.6 La Stella non soltanto non è un libro per ebrei, ma esso può dirsi tanto ebraico quanto cristiano ma, per dirla con le parole usate da Rosenzweig, è scritto dal punto di vista di un uomo ebreo per esprimere il nuovo pensiero.7 Rosenzweig si richiama all’ebraismo e al cristianesimo perché «in loro, nel loro anno, lo scorrere irriproducibile del tempo si configura in un’ immagine dotata di forma»; in altri termini il dialogo con queste due religioni è finalizzato a comprendere il senso dell’esperienza di Dio, Uomo, Mondo: «che aspetto hanno il Dio, il mondo e l’uomo ebraici o cristiani» e come essi modifichino e debbano modificare l’azione umana come conseguenza del loro esperire il rapporto tempo-eternità.8
La peculiarità di ebraismo e cristianesimo è data, secondo Rosenzweig, dal fatto che «persino quando sono diventati religioni, trovano in se stessi gli stimoli per liberarsi da questa loro aderenza al religioso», perché nel loro comparire sulla scena mondiale, esse, non si sono conformate come un’istituzione religiosa, ma erano qualcosa di «irreligioso»; l’ebraismo compare come «dato di fatto», in quanto si concretizza e si manifesta in un popolo storicamente esistente; il cristianesimo come «evento», attorno al quale si genera la comunità.9 Ebraismo e cristianesimo vengono quindi letti in una chiave non religiosa, tanto che Rosenzweig stesso sottolinea, nelle prime pagine de Il
nuovo pensiero, che il termine religione all’interno della Stella non vi compare
nemmeno; cristianesimo ed ebraismo sono percepiti come vie diverse attraverso le quali ogni uomo, ogni individuo, rispondendo pienamente e volontariamente delle proprie azioni, percepisce e vive la pienezza dell’eternità. Il filosofo ha il dovere di addentrarsi
6 Cfr. G. Sacco, Dall’eros tragico al santo: il nomos dell’amore nell’orizzonte escatologico d’Europa. Uno studio tra Lukács, Benjamin e Rosenzweig, in L'Europa contemporanea tra la perdita delle radici e la paura del futuro, a cua di B. Coccia, Istituto di studi politici, Roma 2007, pp. 118- 125.
7 «Ma, e il “libro ebraico”?...Ho recepito il nuovo pensiero in queste vecchie parole, così l’ho ridetto e
trasmesso in esse. A un cristiano, lo so, invece delle mie sarebbero venute alle labbra parole del Nuovo Testamento; a un pagano, penso, non certo parole dei suoi libri sacri…forse invece espressioni solo a lui peculiari. A me, però, sono affiorate queste parole». Cit. F. Rosenzweig, Il nuovo pensiero, op. cit.,p. 275.
8 Ivi, cit., p. 276. 9 Cit., ivi, p. 275.
all’interno del rapporto concernente la relazione Dio, uomo e mondo e sul conseguente rapporto del tempo e dell’eternità per definire il confine entro cui si esplica la possibilità della libera azione umana.10 La redenzione, come fine e meta della vita ebraica e della via cristiana, dà significato, valore, senso ad ogni azione umana che, se da un lato è espressione del singolo, dall’altro trova la sua possibilità di manifestarsi ed esprimersi solamente all’interno della comunità.11
Nel tentativo di seguire la proposta speculativa di Rosenzweig, all’interno di questo capitolo cercheremo di comprendere, anche attraverso i saggi e le pubblicazioni posteriori alla Stella, quali siano i risvolti pratici che il sistema rosenzweighiano intende annunciare.
4.1 La relazione come atto responsabile di ogni individuo
Il richiamo alle parole dell’antico testamento e alle forme che assumono Dio, uomo e mondo per ebraismo e cristianesimo consentono a Rosenzweig di proporre, allo scenario filosofico, la possibilità di interpretare la storia privilegiando la storia di uomini che entrano umanamente in relazione, anziché della storia dal punto di vista delle organizzazioni statali ed economiche, e lo sviluppo del processo storico non come una tensione verso cui procede la storia universale secondo un’idea di perfezionamento di ciò che è razionale, all’interno della quale ogni azione umana sembra essere giustificata dall’onda dello spirito che avanza inglobando il tutto, deresponsabilizzando di fatto ogni uomo dalle proprie azioni. 12
In una lettera ad Hans Ehrenberg del 14.02.1911 Rosenzweig scrive di concepire la
10 F. Rosenzweig, Dio, uomo, mondo, tr. it. a cura di G. Sola, p. 108:«La domanda veramente scottante
quando si riflette sull’uomo non è la domanda; Egli esiste?- che lasciamo ai sofisti[;] ma è la domanda sul suo libero volere, è questa la domanda veramente scottante, che viene tratta dai filosofi solo perché si rivolge a tutti noi nella vita. Davanti a decisioni o in altro modo sentiamo come questa domanda ribolla in noi e ci possa distruggere. Così riguardo all’uomo, la domanda veramente scottante è la domanda sulla libertà».
11 G. Caponigro, Unde malum? Libertà e tirannia in Franz Rosenzweig, Edizioni ETS, Pisa 2015, p. 157. 12 Cfr. D. Toti, op. cit, pp. 147-160.
storia universale, non come un processo impersonale, ma come frutto dell’attività umana;13 ovvero come il frutto di un’attività in cui ogni uomo è responsabile indiscusso delle proprie azioni, buone o violente che siano, in cui l’insensatezza della guerra non solo non può essere giustificata, ma deve anche essere combattuta.14 Il Dio del cristianesimo e dell’ebraismo si pone quindi come principio trascendente del Bene che si oppone al mondo delle dicotomie aspre e dei conflitti, e richiama l’uomo alla scelta di un’azione volta alla pace e alla giustizia. Esso viene richiamato con forza in opposizione allo Stato che si arroga il compito di «conferire eternità ai popoli nel tempo», mentre con il suo monopolio di diritto, violenza e coercizione non è in grado, pur volendola, di costituire una società pacifica.15 Per Rosenzweig, come abbiamo visto a più riprese richiamando il Globus, anche l’azione violenta s’inserisce all’interno di una dinamica di relazioni e di rapporti tra gli uomini che scelgono volontariamente e liberamente di farsi la guerra.
L’uomo della filosofia narrante è un uomo che esperisce continuamente la relazione con la realtà a lui esterna (gli altri uomini, il mondo e Dio). A questa relazionalità corrisponde la libertà dell’uomo che si esplica nella possibilità di rispondere o meno alla chiamata divina, cioè di scegliere se aprirsi all’amore per il prossimo e al mondo. Nelle lezioni dedicate alla Scienza di Dio, Rosenzweig, a proposito della problematica questione concernente l’esistenza di Dio, afferma che sia il credente che il non credente hanno diritto ad esprimere liberamente la propria idea e ad esporre le proprie ragioni; ma sottolinea con forza il dovere del credente di rendere manifesto Dio nell’esperienza
13 F. Rosenzweig, Der Mensch und sein Werk, op. cit., p. 117. Cfr. I. Kajon, La critica della tirannia in Franz Rosenzweig, op. cit., p. 226.
14 Cfr. Lettera di Rosenzweig a Gertrud Oppenheim 5.02.1917.
15 Nel suo studio sul problema nel pensiero di Franz Rosenzweig Grabriella Caponigro spiega che nella
comprensione rosenzweighiana dello Stato la violenza non costituisce solamente il principio originante lo Stato, esso è anche la finalità a cui il potere politico si vede chiamato, perché lo «Stato rappresenta il tentativo incessantemente rinnovato di “esorcizzare” la finitezza temporale dei popoli del mondo, e la paura che ne deriva, ponendosi garante della temporalità eterna». G. Caponigro, Unde malum? Libertà e tirannia in Franz Rosenzweig, Edizioni ETS, Pisa 2015, p. 156.
del non credente; ciò vuol dire che il rispetto del comandamento di Dio ad amarlo, osservando l’amore per il prossimo, deve diventare legge per l’uomo, regolatore delle proprie azioni, al punto tale da diventare questione di vitale importanza, non esimersi dal rispettarlo. Ma una scelta, per essere pienamente libera, deve necessariamente avere la possibilità di orientarsi in senso contrario o diverso. Adamo, come simbolo di ogni uomo chiamato per nome, può decidere di non rispondere al comandamento di Dio, può decidere di non ascoltarlo. L’uomo è libero di scegliere da che parte indirizzare la propria azione: in questa prospettiva, l’uomo diventa sì responsabile della realizzazione compiuta del processo creativo divino, ma ha sempre davanti a se la possibilità di potersi sottrarre a questa responsabilità.16 Egli è libero di agire ed è proprio per la sua libertà che è necessario educare l’uomo all’esercizio di questa responsabilità.
La riflessione intorno al linguaggio e la proiezione verso un universo non di sostanza ma di relazione porta con sé una forte istanza etica:
La dipendenza interumana, che è l’unica reale, la dipendenza della coscienza. La dipendenza dalla responsabilità della colpa. Qui l’uomo non è mai solo. E proprio qui, dunque, la sua libertà diventa per lui del tutto problematica.17
La relazione dialogica, che è relazione dell’io che si apre all’altro io, ovvero al Tu, carica l’individuo della responsabilità della scelta. L’uomo «nella scelta non è solo. La sua scelta viene registrata nel libro della vita», che è, poi, la vita del suo popolo e quindi destino del popolo. Tanto che Rosenzweig nelle righe immediatamente successive spiega perché si debba dire “io ho scelto” anziché “io sono scelto”, relegando la seconda espressione come affermazione di solitudine egli dice: «Questa solitudine deve stare
sempre alle mie spalle», chi parla così si distacca dalla comunità. L’Io sono, l’Io reale,
16 Cfr. C. Milani, Tra due mondi. Studio sul concetto di tà in Franz Rosenzweig, Vita e pensiero, Milano
2011, pp. 106-107.
pertanto, deve includere sempre un Tu, un tu possibile.18
L’uomo diventa pertanto corresponsabile, insieme all’altro uomo, del proprio destino, per questa ragione l’azione stessa della scelta è un’azione attiva e passiva al tempo stesso, in quanto io scelgo e sono scelto allo stesso tempo. Si comprende a questo punto l’importanza decisiva della riflessione intorno all’educazione, della formazione delle generazioni volta a far sì che ogni individuo scelga quella che Plata definisce la “parola giusta” nelle varie circostanze della vita, ovvero, scelga di compiere azioni volte alla pace e alla comunione:
Il volto del mondo oggi ha un tale aspetto che ci si dovrà per decidere di rimandare i valori di qualcuno, in sé auspicabili, non… a giorni migliori, bensì a secoli migliori. E che sarebbe urgente (beninteso: momentaneamente urgente) organizzare la scienza dell’ebraismo e quindi esortare uomini, fa lo stesso se ebrei e non ebrei, alla produzione senza fine su oggetti ebraici: ben difficilmente qualcuno affermerà tutto ciò. Meno che mai, oggi, abbiamo bisogno di libri… ma oggi molto, come sempre, abbiamo bisogno di uomini.19
Il pensiero di Rosenzweig si fonda sull’idea di Bildung personale dell’uomo, ovvero sull’idea della possibilità della formazione dell’uomo; secondo la visione rosenzweighiana della storia, l’uomo è artefice del proprio destino e responsabile di decisioni volontarie; questo fa si che l’idea di Bildung umana non venga concepita come processo di perfezionamento dell’umano che accade necessariamente. Fondamentale diventa quindi l’impegno pedagogico tanto che Rosenzweig nel 1920 fonda il Fries Jüdisches Lehrhaus. Quali sono le novità in ambito pedagogico scaturite dal nuovo pensiero? Nel saggio di Rosenzweig Volksschule und Reichsschule che doveva essere il programma di riforma della scuola tedesca, scrive:
18 F. Rosenzweig, Dio, uomo e mondo, op. cit., cit. pp. 141-142.
19 F. Rosenzweig, Bildung e nessuna fine, in F. Rosenzweig, Ebraismo, Bildung e filosofia della vita,
Giuntina, Firenze 2000, cit. p. 98. Cfr. P. Plata, Educare alla “parola giusta” nella prospettiva di Franz Rosenzweig, in La parola giusta: linguaggio e comunicazione tra etica e ermeneutica, Il Pozzo di Giacobbe, Trapani 2008, pp. 135- 156.
La scuola non è la vita stessa: è educazione alla vita…Deve servire la vita contemporanea oppure cessa di essere la scuola vitale del presente. La questione è solo come possa essa prestare questo servizio al popolo… La brutale educazione utilitaria non raggiunge mai i propri scopi. Nel migliore dei casi, essa ammaestra solamente per questo o quel compito e lascia tanto più il suo allievo in balia di tutti gli altri; la vita, però che rimane pur sempre futuro anche per l’educatore utilitario, ha la sfrontata capacità di non lasciarsi prevedere ed esaminerà lo scolaro, con la massima probabilità, proprio nelle materie che “non ha avuto”. Per rendere lo scolaro così presente spiritualmente bisogna che sia capace di cambiar le parole in bocca al goffo esaminatore “vita” ed invece di lasciarsi interrogare, a sua volta interrogare.20
Nell’attività dialogica, tra l’io e il tu, non c’è un soggetto che forma ed uno che viene formato, ma entrambi, sia l’alunno che il maestro, formano e vengono formati. Scopo della casa libera degli studi ebraici, volto a preparare l’uomo dialogico, segue pertanto un preciso programma educativo mirato allo stimolo della conversazione fatta di domande e di risposte scaturite a partire dal terreno comune dell’esperienza umana.21 Le lezioni non vengono introdotte seguendo programmi consueti all’interno delle scuole, ma sono svolte utilizzando storie semplici e figure volte a stimolare la conversazione e le domande da parte degli studenti.22 La scuola non è più istituita secondo la logica della trasmissione della dottrina ebraica, bensì secondo la logica della relazione dell’incontro di uomini e finalizzata alla formazione della comunità, non di una comunità di eruditi su cose ebraiche, ma di uomini ebrei che ogni giorno rinnovano la testimonianza divina.
Per produrre la comunità di noi, l’uomo deve prima riscoprire innanzitutto la propria intima unità. Giancarlo Sola, nel saggio introduttivo all’edizione italiana degli scritti pedagogici di Rosenzweig, si pone la domanda sul perché il filosofo di Kassel si rivolge
20 Cit. F. Rosenzweig, Volksschule e Richsschule, in F. Rosenzweig Ebraismo, Bildung,e filosofia della vita, op. cit., pp. 273, 275.
21 R. Bertoldi, Introduzione a F. Rosenzweig, Dio, uomo e mondo, op. cit., p. 22.
22 Si pensi alle lezioni su Dio che iniziano con il racconto della conversazione tra una madre atea e la
innanzitutto all’uomo specificatamente ebreo; ritiene di trovare la risposta nel saggio
l’uomo ebreo di Rosenzweig, dove l’ebreo è l’unico uomo in grado di incarnare l’unità
che è intrisa di polarità interne tipiche dell’umano: «Domanda e risposta, dubbio e fede, vero e falso, bene e male sono le dicotomie che abitano l’essenza dell’ebreo quale uomo».23 Dopo la Rivoluzione Francese, con la legge sull’emancipazione degli ebrei, la questione ebraica era diventata un problema del singolo uomo che s’inserisce nella società:
L’antisemitismo del XIX secolo è qualcosa di unico nel suo genere colpisce il singolo a prescindere dalle sue caratteristiche etniche e lo colpisce come uomo ebreo.24
Con ebreo s’intente una totalità che seppur colpisca i singoli, li colpisce come totalità. L’ebreo assimilato, che fa il suo ingresso nella società, potremmo dire della storia universale, «esce dal suo mondo» e qui egli rischia di dissolversi, ma dal momento che è «un popolo che è così strettamente legato alle sorti del mondo, che può essere in dissoluzione solamente laddove un mondo si dissolve con esso», l’ebreo diventa il simbolo della dissoluzione del mondo, o meglio, del mondo occidentale. Per queste ragioni, all’ebreo è dato il compito di ripartire ricostruendo innanzitutto la propria unità che è l’unità di destino; egli deve riscoprire che l’ebreo individuo è artefice del destino del popolo.25 Nella visione di Rosennzweg anche se queste parole sono rivolte specificatamente agli ebrei e alla frammentazione interiore dell’ebreo, è chiaramente riconoscibile il suo tentativo di riscoperta dell’unità interiore dell’uomo anche non
23 G. Sola Pedagogia della Bildung in Franz Rosenzweig, in F. Rosenzweig, Ebraismo, bildung e filosofia della vita, op. cit., cit., p. 30.
24 Cit. F. Rosenzweig, L’uomo ebreo, in Ebraismo…, cit., p. 50.
25 Ivi, p. 70. «Oggi inizia nuovamente ad esserci l’ebreo; affinché possa esserci, egli deve venire raccolto,
deve raccogliersi. Dall’esterno deve fare ritorno a casa, tornare a se stesso… Oggi egli non è una figura singola, oggi è il desino del popolo, oggi fa ritorno a casa, In migliaia di singolo avviene lo stesso».
ebreo.26
Unità che è innanzitutto unità di fede e sapere, ma non alla maniera hegeliana, bensì dalla presa di consapevolezza piena che l’uomo li contiene entrambi; per questo non può esimersi dal fare altrimenti: deve stupirsi di fronte al miracolo della vita e tremare davanti alla legge della morte.27 Tra questi due momenti sconcertanti per l’esperienza umana è necessario porre un filo di congiunzione, che Rosenzweig individua nell’«amore». Nell’apertura all’altro, al nuovo e all’imprevedibile, per Rosenzweig si rende manifesto il principio, già enunciato nel Cantico dei Cantici, che «l’amore è più forte della morte» e che ciò che sembra perire e cadere nel nulla, è, in verità, redento e rinvia alla vita. Cosa fa l’amore?
Cosa può? Cosa non può! Esso esce… dove la mera organizzazione fallisce. Esso compie il miracolo di conservare e accudire le potenze della natura, di rispettare e di domare le peculiarità del carattere e la loro libertà… civiltà, dunque che non contraddice la natura, forma (quindi organizzazione) che non contraddice la libertà.28
L’unica possibilità di Bildung umana, risiede in questo principio di amore. L’homo
homini lupus, pur sempre presente all’interno della natura umana che non rispetta il
comandamento di Dio ad amare il suo prossimo, non può ambire ad alcuna forma di civilizzazione. Rosenzweig richiama l’attenzione al fatto che l’idea di progresso su cui si è finora basata la società, si fonda su fattori esteriori, ma quest’uomo è uguale all’uomo della preistoria, brutale alla stessa maniera. L’amore, che si esplica innanzitutto per mezzo del matrimonio, diventa l’elemento in grado a far sì che l’uomo sia pronto per la propria morte, in quanto da questa ne viene redento.
26 Cfr. lo Stenogramma della prima lezione, in merito alle lezioni tenute da Rosenzweig su Dio, uomo e
mondo nel 1922 relativamente alla scienza di Dio Rosenzweig dice:«noi qui non ci occupiamo in questo senso di questioni esclusivamente ebraiche. Ciò che è ebraico entra in gioco per il fatto che io e Loro, miei uditori, siamo, almeno in gran parte, ebrei, [e] perciò il tema, che di per sé non è affatto specificatamente ebraico, acquista carattere ebraico». F. Rosenzweig, Dio, uomo e mondo, op. cit., p. 106.
27 Ivi, p. 80. 28 Ivi,pp. 80-85.
L’uomo chiamato pertanto alla consapevolezza della propria morte, ovvero della propria vita, riscopre la sua libertà che è innanzitutto libertà per l’azione, intendendo per azione quelle scelte di «vitale» importanza «che fanno di noi qualcosa di diverso da quello che siamo». Se la possibilità della scelta umana di decidere non fosse libera, l’uomo, al di là dei movimenti meccanici legati alla sopravvivenza, non si distinguerebbe dal «sasso che cade, il flutto che scorre, il chiasso che fan le ruote». Egli facendo esperienza della morte dell’altro desidera la vita, ma non deve ricercarla nel regno degli ideali bensì nella vita stessa. Anche ogni agire, infatti, va verso il futuro e il prossimo che l’anima cerca, è sempre quello che ogni volta le sta davanti, la precorre e viene soltanto anticipato in quello che al momento le sta concretamente davanti. Mediante tale anticipazione sia crescere che agire divengono eterni.
Il progetto di Bildung della scuola ebraica deve essere pertanto mirato alla produzione di questa comunità di noi, perché l’uomo ebreo può ritrovare la propria interezza solo nella relazione dialogica con il prossimo; per questo egli necessita soltanto di «uno spazio per parlare e di un tempo per parlare».29 Di uno spazio in cui gli uomini s’incontrano, non per parlare di ebraismo ma per testimoniare «che, in loro, l’uomo ebreo è vivo», per riunirsi con gli altri uomini ebrei nell’ora per parlare, e in quest’ora egli potrà si parlare, ma dovrà anche ascoltare e in questo movimento comune d’interazione questi uomini si sanno uniti.30 E solo nella scoperta di quest’unità, che è unità di molteplicità, l’uomo intero, scopre che il suo destino è legato ad una dimensione comunitaria e che le sue scelte lo legano a questa comunità.
4.2. Rapporto tra politica e comunità religiosa
La religione, nella visione rosenzweighiana, viene in aiuto all’uomo incapace di trovare
29 Cit. F. Rosenzweig, Bildung e nessuna fine…, in Ebraismo…, op. cit., p. 109. 30 Ivi, p. 111.
all’interno dell’ordine del mondo l’ordinamento etico in grado di frenare la dissoluzione verso la quale rischia di precipitare. Come abbiamo visto nel capitolo precedente, nella terza parte della Stella, per Rosenzweig lo Stato si pone come il tentativo di fuggire la mutevolezza della vita fino ad arrogarsi il diritto di essere garante dell’eternità. Ma il vero volto della storia mostra che lo Stato ha solamente una vita più lunga dei singoli uomini che ne fanno parte, non che esso non sia destinato a perire, perché come tutto ciò che è terreno anche Stati, popoli e lingue sono destinati a declinare nella notte del nulla.
Quella filosofia che ricercava all’interno della Storia un filo conduttore che rispondesse ad una razionalità insita nella natura, non poteva non fallire perché pretendeva di assopire la temporalità del singolo facendosi garante dell’eternità. Ma la vita del singolo deve vivere di questa doppia dimensione temporale che da un lato è riconoscimento della propria temporalità finita e, dall’altro, è desiderio di eternità. Il ruolo dello Stato, pertanto, è confinato soltanto in una dimensione mondana, organizzativa della vita di uomini e d’individui. Secondo questa prospettiva non solo l’azione violenta dello Stato per l’uomo rimane ingiustificabile, ma risulta altrettanto chiaro che l’ordinamento etico dell’uomo non deve essere rintracciato in ciò che è profano.31 Detto in altri termini, la legalità, posta come legge da pochi uomini, non può farsi garante dell’ethos dell’umanità, e soprattutto non è in grado di definire quale ethos debba rispettare il singolo uomo che si tiene alle spalle l’ordine mondano. In altro, ovvero in un principio esterno al mondo l’uomo può e deve rintracciare quei comandamenti che superano l’uomo razionale e fondano l’uomo umano, ovvero quell’uomo che simultaneamente è
31 Il politico come l’artista rappresentano soltanto delle visioni del mondo:« Non dovrebbe uno di questi creatori di mondo creare realmente [un] mondo, [un] mondo reale? E il mondo, che forse non è reale, [non dovrebbe] diventare reale nell’atto creativo dell’umanità? Al quale atto viene appunto lasciato posto proprio dal non-essere-ancora-reale-mondo…L’unità mancante dei mondi si ristabilisce forse nella lotta delle visioni del mondo, delle realizzazioni del mondo. Poiché ogni visione del mondo vuole rendere reale il suo mondo». F. Rosenzweig Dio.., op. cit., cit., pp. 147-148.
pienamente sé e pienamente mondo.
La Rivelazione divina viene quindi chiamata con forza dall’esterno in aiuto dell’uomo che ha bisogno innanzitutto di ridare un senso alla propria esistenza. L’uomo che accoglie la rivelazione, è l’uomo che si rivela all’altro uomo come io che ha bisogno di un tu per essere riconosciuto e che solamente all’interno della comunità di fede; quella comunità, cioè, che si fonda sulla spinta volontaria dell’uomo a stringersi con l’altro uomo, non per un bisogno egoistico, ma per rispondere al suo bisogno di accogliere l’altro uomo e, allo stesso tempo, donarsi ad esso attraverso l’amore e sopperire al bisogno di eternità. Così il problema del dialogo con Dio, nasce come bisogno dell’uomo di porre a fondamento di ogni azione umana una legge ‘perenne’:
La legge di Dio è particolare, quindi esclusiva- esclusiva come ogni comando… Ed è universale, universale come tutto ciò che pretende di “valere per sempre”. Perché essa non vale in taluni e talaltri casi (benchè la questione dei “casi” la assedi da tutti i lati), ma vale oggi in modo assoluto, che però significa per sempre. La legge dello Stato vale finchè c’è questo Stato. La legge ebraica non vale finchè esiste l’ebraismo, ma essa esige e fa in modo che l’ebraismo esista. 32
L’uomo che scopre la sua interdipendenza dagli altri uomini, quest’uomo scopre la responsabilità delle proprie azioni e di conseguenza scopre anche il limite della propria libertà.33 Si comprende, quindi, come Rosenzweig ponga la comunità religiosa in una dimensione differente rispetto allo Stato. Si genera una definitiva differenziazione della religione dallo Stato; la politica per la costituzione di leggi volte al convivere civile, deve trovare alimento e ispirazione nell’ordinamento etico indicato dalla religione: e comunque le regole indicate dalla politica devono sempre rispettare le singolarità individuali, perenni, nella consapevolezza che la perennità della singolarità è espressa dal nome che portano, che supera la morte e ricorda agli uomini che sono innanzitutto e
32 F. Rosenzweig, Dio, uomo e mondo, op. cit., cit,, p. 91. 33 Cfr. ivi, pp. 131-132.
soprattutto persone.34
Emilia D’Antuono a tal proposito sottolinea come la figura dell’ebraismo, come popolo che, non essendo legato da un confine territoriale, si pone in una dimensione metastorica, esige non la cancellazione della politica, ma la liberazione da quella politica che si impone come destino per l’uomo e mette in dubbio ogni giustificazione della guerra.35 Risulta pertanto doveroso sottolineare che la critica di Rosenzweig, non è una critica rivolta tanto allo Stato, quanto piuttosto allo Stato concepito sulla scia della filosofia hegeliana, ovvero a quello Stato, divenuto minacciosamente onninclusivo, che si fa garante dell’eternità. In Hegel e lo Stato, Rosenzweig, ripercorrendo il processo evolutivo del pensiero di Hegel, fa emergere come l’idea di stato politico compiuto concepito da Hegel nei Lineamenti di filosofia del Diritto, è il frutto di un processo di secolarizzazione del cristianesimo, che si traduce in una concezione messianica del divenire storico, in cui ogni popolo, assume un ruolo fondamentale nel corso della Storia.36 Gli Stati che si fanno garanti del cammino di Dio nel mondo, finiscono in questo modo per giustificare la guerra come una guerra “santa”.37 Così Rosenzweig, nella terza parte della Stella richiama l’attenzione sul fatto che gli Stati non possono farsi garanti dell’eternità in quanto ciò che è mondano, proprio per il fatto che è soggetto al divenire storico, è destinato a perire. Inoltre proprio perché trova il suo principio in un’azione violenta, esso difficilmente può farsi garante della pace.
A questo punto risulta comprensibile, come la fede, il comandamento di Dio che irrompe dall’esterno, diventa sì direttiva dell’azione politica, ma nei termini in cui l’uomo, che è anche colui che è chiamato a svolgere ruoli di direzione nello Stato, adempiendo il comandamento di Dio ad amare il proprio prossimo, può dirigere
34 F. Rosenzweig, La Stella…, op. cit., p. 371: l’«eternità del popolo eterno deve rimanere sempre
estranea ed irritante per lo stato e la storia universale».
35 Cfr. E. D’Antuono, Che cosa resta?..., op. cit., p. 118. 36 Cfr. G. Caponigro, op. cit., pp. 167- 178.
l’azione politica nel rispetto dell’uomo e del suo prossimo.38 Ma la Storia messianica del cristiano, così come la metastoricità in cui vive il popolo ebraico non entrano direttamente nelle fila dell’azione politica. Possiamo dedure pertanto che nella visione rosenzweighiana, la fede proprio perché definisce l’ethos dell’uomo, sia essa ebraica o cristiana, non può rimanere del tutto estranea dall’impegno pubblico.
Nella conferenza tenuta da Rosenzweig nel 1919 a Kassel alla società «Humanität» relativamente alla questione della metastoricità della lingua ebraica dice:
L’ebraico non è però una lingua viva come le lingue degli altri popoli, mancandogli in effetti la principale caratteristica di ciò che vive: poter morire. Questa lingua- vincolata ad un servizio religioso che evoca a sé il diritto di durare eternamente- si è innalzata al di sopra della vita e del tempo: ha rifiutato il dono funesto della mortalità. E come la lingua così vengono sottratte al flusso del tempo anche le altre forze in cui il popolo vive la propria vita nel tempo: l’ethos e la legge. Un popolo cerca di definire il proprio futuro in leggi perennemente nuove: trasforma in legge la sua volontà. Ed il popolo vive all’interno di quanto è stato stabilito. Ciò che un tempo dovette essere ordinato come legge sotto forma di paragrafi si trasforma, col tempo, in un ethos a cui il popolo si adegua senza pensare alle leggi. Questa continua trasformazione della legge nell’ethos significa unicamente che il popolo vive nel tempo…Questo processo si è però bloccato nello Stato teocratico ebraico. Come la lingua, così anche l’ethos e la legge sono divenuti «sacri»; per principio, essi non sono più soggetti a cambiamenti.39
Lo Stato ebraico, posto accanto allo Stato della storia universale, diventa il simbolo dello Stato il cui ethos, non essendo soggetto a mutamento, si pone fuori dal flusso temporale e di conseguenza dalla possibilità di perire.
38 «Cosa deve fare il profeta, oggi? Egli deve intervenire laddove il “convertito” rischia di diventare un
semplice “convertito”. Deve nuovamente sottoporre corpo, spirito e anima- Stato, legge e lingua- all’immediata signoria di Dio. Deve “evangelizzare” lo Stato, evolvere la legge, rendere religiosa la lingua. Deve dare una missione allo Stato, libertà alla legge, vita alla lingua… A questo punto, tuttavia, dove e quando sempre egli supera lo Stato ( senza distruggerlo), libera la legge (senza liberarsi della legge), vivifica la lingua (senza perdersi nel silenzio) a questo punto e solamente a questo punto, l’uomo ebreo diventa (senza smettere di essere uomo ebreo, perché la “conversione” rimane il suo presupposto)… diventa uomo in generale». F. Rosenzweig, L’uomo ebreo, in Ebraismo…,op. cit. cit., pp. 73-74.
39 F. Rosenzweig, Spirito ed epoche della storia ebraica, tr. it. a cura di G. Caronello, in «il Mulino»,
Cercando una coerenza dell’intero pensiero di Rosenzweig, anche alla luce di quanto detto in Globus e nella terza parte della Stella della redenzione, possiamo dedurre che Rosenzweig distingua nettamente lo Stato etico, in cui s’identifica il popolo ebraico, e lo Stato politico. L’ebreo come simbolo di popolo legato da un legame di sangue spirituale, è destinato ad errare; potremmo altresì dire che l’esilio è un parte fondamentale del suo essere popolo ebraico: gli ebrei, che si diramano in tutte le parti del mondo, in tutti gli stati della terra, non si riconoscono tra loro come stranieri per la lingua utilizzata nel linguaggio giornaliero.
Vivere in terra straniera significa riconoscere che il mondo, come terra, non è mai di un micro “noi”, e che percepire il mio mondo anche come mondo dell’altro porta a non difendere la terra come una proprietà e un possesso e a concepire i confini territoriali solamente nei limiti della gestione organizzativa dei cittadini; se da una parte, si rende necessario delimitare i confini, per la necessità degli uomini di organizzarsi e di gestirsi tra di loro, bisogna tenere presente che, dall’altra, esiste la realtà umana, che supera i confini e abbraccia il globo intero. Nel commento alla terza parte della Stella, abbiamo visto come per Rosenzweig ebraismo e cristianesimo, il primo come incarnazione della vita eterna e il secondo come simbolo della via eterna, non sono indotti ad un netto distacco, bensì al dialogo e alla comunicazione. Le stesse lezioni che Rosenzweig teneva nel Lehrhaus, pur essendo volte agli ebrei, prevedevano la partecipazione di chiunque volesse essere aperto a quel dialogo che è innanzitutto ascolto. Inoltre nel
Nuovo pensiero richiamato all’incipit di questo capitolo, abbiamo voluto sottolineare
come per Rosenzweig la Stella della redenzione non rappresenti un testo di religione bensì un sistema di filosofia che dialoga con la religione e non soltanto con la religione ebraica, ma anche con le altre religioni, tra cui l’Islam, giungendo al riconoscimento della superiorità del messaggio che possiamo attingere dal dialogo con le forme pure, e
non istituzionalizzate, di ebraismo e cristianesimo.40 Riteniamo che si possa affermare che l’impegno religioso di Rosenzweig è determinato dalla sua necessità di dar una risposta alla domanda di senso della sua vita ma che è determinata anche da un problema politico. Sembra che Rosenzweig, voglia dimostrare l’inconsistenza della teoria dello Stato politico compiuto hegeliano, proprio per il fatto che la legge dell’ethos non può avere i caratteri della particolarità che sono tipici dello Stato territoriale. La legge dell’ehtos s’impone pertanto come legge universale che non può giungere ad una totale identificazione con la legalità pubblica.
In una lettera a Helen Sommer del 16.01.1918 Rosenzweig riconosce la possibilità di ammettere la coesistenza, dello stesso uomo, sia dell’ebraismo che del germanesimo e che, quindi, nell’esistenza umana è possibile la coappartenenza di più polarità che, così come Dio e uomo e mondo, o filosofia e religione, devono stare accanto e dialogare.41 Il riconoscimento delle due polarità coesistenti nell’unico uomo, ethos e morale, è anche ciò che induce Rosenzweg a criticare la componente sionista e ad impegnarsi per una riconciliazione di tutto l’ebraismo muovendosi sul suolo tedesco.
Lévinas nella conferenza tenuta nel 1959 al secondo Colloquio degli intellettuali di
lingua francese - apparsa con il titolo «Tra due mondi» (la via di Franz Rosenzweig) -
puntualizza come in Rosenzweig la nozione di religione ha un significato altro rispetto a quello cui siamo abituati e che, in altri termini, è quello avversato dai cosiddetti laici; Lévinas pone l’accento sul significato della filosofia rosenzweighiana come «vita che viene dopo il libro» e qui spiega che per Rosenzweig il filosofo non è in grado di
40Rosenzweig condanna dell’islamismo proprio l’assenza di dialogo di Allah con l’umanità. Così
nell’Islam l’amore per il prossimo, non si risolverebbe in un vero amore per il prossimo, come risposta dell’uomo a Dio, quanto più si trasforma in un assoggettamento dell’uomo al comando divino Cfr. F. Rosenzweig, La Stella…, op. cit., p. 178.
41 Cfr. F. Rosenzweig, Der Mensch und sein Werk…, op. cit., pp. 505-510. Cfr. F. Rosenzweig, Bildung e
nessuna fine, in Dio, uomo e mondo, op. cit., p. 99:«Soltanto il limitato può trovare il suo confine nel limitato. L’illimitato si limita solamente con l’illimitato. L’uomo ebreo non trova i suoi confini nel Tedesco o nel Francese, trovandoli unicamente nell’uomo che è soltanto illimitato, altrettanto… umano di lui stesso…Lo incontrano in loro stessi solamente uomini che pretendono di essere altrettanto onnicomprensivi e che pure lo sono, al di là delle separazioni dei popoli e degli Stati».
abbracciare solamente con il proprio occhio l’intera realtà del mondo perché questa unità può essere prodotta solamente come unità della vita, ovvero unità degli esseri umani che si uniscono.42
4.3 Il nuovo pensiero e l’identità dell’Europa
Lungo l’intero arco del percorso di questa nostra ricerca sul filosofo di Kassel, medico per obbligo, maestro e pensatore per vocazione, ci sembra di cogliere un concetto unificatore che abbiamo tentato più volte di sottolineare o forse meglio, come dice Bertoldi, «molto di più di un concetto, tale da diventare quasi una parola d’ordine del pensiero rosenzweighiano: esperienza. Non scienza, non sapere “idealistico” sempre ossessionato dalla “domanda-che-cos’è? (Was ist?-Frage)”, dalla domanda sull’essenza su “che cosa ‘propriamente’ sia una cosa”, ma vita (Leben), esperienza vissuta che esperisce la reciprocità reale, cioè le molteplici relazioni vicendevoli tra gli elementi della realtà».43E’ la filosofia esperiente (erfahrende Philosophie) la filosofia che si affida totalmente all’esperienza, che come metodo del pensare scientifico utilizza il metodo del senso comune e che coincide con la sana intelligenza comune.44
“Esperienza”, la parola d’ordine del pensiero rosenzweighiano prevale su tutto: possono coesistere molteplici diversità come il diritto della fede e il buon diritto dell’ateismo, ma ogni diversità deve incontrarsi nella vita stabilendo confronto e dialogo. La parolina
e posta accanto a Dio, uomo e mondo ci richiama a riflettere sulla possibilità di pensare
che l’unica unità possibile è l’unità generata dalla relazione tra le diversità. Richiamare al linguaggio della grammatica, al dialogo, significa richiamare le diversità al dialogo e alla relazione perché solamente in questo modo l’intero mondo è in grado di scoprirsi
42 Cfr. E. Lévinas,“Tra due mondi” La vita di Franz Rosenzweig tr. it. a cura di E. Greblo, in «aut-aut»,
211-212, 1986.
43 R. Bertoldi, Introduzione, in F. Rosenzweg, Dio, uomo e mondo, a cura di R.Bertoldi, op.cit., cit., p. 21. 44 F. Rosenzweig, Il nuovo pensiero, in La Scrittura…, op. cit., p. 149.
unico e unito. Che significa per noi dopo il libro? Dopo il libro, significa che l’uomo deve sbrigarsi a costruire la relazione, deve sbrigarsi a mettersi in dialogo con gli altri uomini, deve sbrigarsi a mettere in relazione il mondo intero e creare l’unità del mare. Lungo l’arco di questo percorso abbiamo sempre cercato di porre l’accento sull’importanza del dialogo, per Rosenzweig, con tutte le forme di alterità di pensiero: ebreo sionista e ebreo della diaspora, ebreo e cristiano, filosofo e teologo. Dialogo significa innanzitutto accettazione dell’altro, fiducia nell’altro, bisogno dell’altro e tolleranza. Sono questi i valori principali emersi dal dialogo con il pensiero filosofico di Rosenzweig che ad ogni momento rivendica con forza l’importanza della individualità in confronto all’universalità di cui siamo pur sempre portatori e creatori. Prevale su tutto la filosofia esperiente, il dialogo impostato e declinato «filosoficamente», innanzitutto come modalità di relazione tra le parti di cui sono fatti pensiero e vita.45 E’ l’esperienza che si rivolge a relazioni e non più a fattualità, è l’esperienza che, nella misura in cui istituisce relazioni, si configura come pensiero del parlare. 46
Non possiamo dimenticare, tuttavia, le manchevolezze non ancora risolte che da più parti sono state avvertite; un importante punto irrisolto riguarda il nesso tra rivelazione e ragione, dopo che esse sono state poste su due piani completamente separati tra loro, altro punto riguarda il rapporto tra rivelazione da un lato e dall’altro la cultura, il pensiero filosofico, e la storia.47 Riferendosi a Rosenzweig, Calabi, riproponendo il punto di vista di Löwith dice:
la fede nel Libro ha dato luogo a una religione, quella di un popolo senza terra, che non ha a che fare con il tempo e con la storia: giacché essa è già una vita eterna, che si ripresenta continuamente nella sola identità della libertà dell’obbedienza alla legge e che si riconosce continuamente nella cadenza del calendario che celebra
45 Cfr. E.D’Antuono, Che cosa resta?..., op. cit. p. 111.
46 Cfr. A.Fabris, L’esperienza del nuovo pensiero, op. cit. p. 156.
tale libertà. Rosenzweig si trova, grazie al proprio consapevole e ripropostosi ebraismo, nella posizione di poter difendere la Stella di Davide dell’eterna verità nel mezzo del tempo. Però alla definizione della base di un atteggiamento di «libero distacco dagli avvenimenti del tempo» non soltanto per chi crede, ma anche per chi pensa, il pensiero di Rosenzweig non può essere risposta. Giacché a tale definizione si chiede l’individuazione di «un criterio filosofico per giudicare gli eventi», mentre il suo è un pensiero che poggia sul terreno della fede: il terreno di una riflessione ancorata ad una religione che perciò forma il sacrificio dell’intelletto. 48
Anche se molti sono i problemi irrisolti che richiedono riflessione ed approfondimento certamente
l’eredità rosenzweighiana è un lascito prezioso in un tempo di perdurante penuria, quale mostra di essere questo travagliato inizio di terzo millennio. Ascoltare la domanda muta o gridata del tempo e volgersi alle istanze operanti nel nuovo pensiero per cercare possibili vie, diviene esercizio di una modalità di quel pensare «responsoriale» alla cui introduzione sulla scena della storia Rosenzweig ha dato un contributo specifico.49
L’eredità rosenzweighiana, che sembra suscitare particolare e rinnovato interesse dopo la tragedia incalcolabile della seconda guerra mondiale e gli orrori dello sterminio degli ebrei, trova un momento forte di attenzione, nel convegno di Kassel del 1986, svoltosi in occasione del centenario della nascita del filosofo; è una fase storica in cui comincia a prendere corpo l’idea di Europa e cominciano a manifestarsi forme estese d’insofferenza ai blocchi contrapposti che si erano delineati dopo la fine della guerra. Tre anni dopo il convegno di Kassel e il rinnovato interesse per l’eredità di pensiero di Rosenzweig, il crollo del muro di
48 Cit., L. Calabi, Intervista, 8.04.2014, in Löwithiana, http://karllowith.jimdo.com/l%C3%B6withiana/1-interviste-italiane/lorenzo-calabi/.
Berlino, che divideva la Germania in due stati contrapposti, diventa l’evento rappresentativo di quell’epoca e di quella stagione. Il crollo del muro segna la fine di quell’idea di potenza della ragione in quanto ragione, che ha avuto un ruolo preponderante sulla scena europea sin da quando l’Europa si chiamava Grecia, e che Hegel «erede e compimento della storia di occidente, ha portato a concetto».50 A conclusione del nostro percorso di ricerca ci sembra utile riprendere nel pensiero di Rosenzweig gli elementi che si richiamano ad una idea di Europa che rendono ancora più ricco il lascito prezioso del suo pensiero. Il Globus di Rosenweig, di cui ci siamo occupati nel secondo capitolo, si apre con una riflessione sull’inizio e la
fine della storia umana che si avvia con il dinamismo inarrestabile della delimitazione, della separazione, della suddivisione, e della differenziazione delle
diverse aree del suolo terrestre, e con la conseguente proliferazione di frontiere ma anche di gioco relazionale tra esseri umani, che non ha solo la funzione di differenziare e separare, ma anche di collegare.51
Rosenzweig quindi, dopo avere analizzato dal punto di vista geopolitico l’origine e la costituzione degli Stati politici, che inesorabilmente continuano a modulare e rimodulare i propri confini, pone accanto a questa storia un’altra storia, che è la storia del contatto dei differenti popoli, delle idee che s’incontrano e che entrano in dialogo, riproducendo un mondo che ancora non aveva raggiunto nel luogo delle idee la sua forma sferica ma che sembrava aver preso, pur nel conflitto quella direzione.52 Il tentativo di Rosenzweig di ritrovare l’unità all’interno di quello che, per usare un termine coniato da Schmitt, sembra essere un pluriversum di Stati e di visioni del
50 V.Vitiello, L’Europa e la filosofia di oggi, in «Teoria», XXVIII/2008/2, III/2, Pisa 2008, cit., pp.7-8. 51 F.P.Ciglia, Fra Atene e Gerusalemme, op. cit. p. 29. Così scrive Ciglia: Da questo stesso dinamismo
scaturisce anche un complesso gioco relazionale fra gli esseri umani, che ha la funzione di identificare, differenziare, separare ed infine collegare reciprocamente gli ambiti del «mio» e del «nostro», da un lato, e, dall’altro, quelli del «tuo», del «vostro», del «suo» e del «loro».
mondo irriducibilmente differenti, al punto tale da non essere in grado di trovare una sintesi, si risolve all’interno del comandamento dell’amore da cui scaturisce il sistema di valori.
In questo lungo processo di relazioni, Rosenzweig individua, nella conquista della Gallia da parte di Cesare, il progetto iniziale di Europa. Quella conquista, che rappresenta una rottura rispetto al passato, pone le premesse per un processo di universalizzazione, avviando un percorso culturale complessivo, come sintesi impareggiabile, dai tratti originalissimi e dal profilo fortemente dialogico, che riesce a mettere in circolo l’ecumene mediterranea orientale di cui Roma si era appropriata, arricchita dall’orizzonte spirituale ebraico e dall’annuncio della buona notizia del cristianesimo che trasfigura la grande eredità imperiale dei Cesari.53
Ma oltre il profilo dialogico, altro tratto fondamentale del, progetto costitutivo dell’Europa, tanto da assumere i caratteri di tensione costitutiva ed essenziale, è la capacità di rilanciare, su una dimensione planetaria, l’eredità culturale elaborata nell’ambito dell’ecumene mediterranea, diventando protagonista nella diffusione incontro, integrazione, dialogo fra culture diverse lontane e a volte conflittuali, che aveva trovato origine nella primissima ecumene mediterranea.54 La presenza di un
pluriversum di Stati, infatti, può determinare un processo positivo, perché la pluralità di
Stati costituisce, in forma macrocosmica, la stessa irriducibilità d’identità che abbiamo scoperto tra gli uomini. Ne consegue che l’Europa, come insieme di Stati, deve esistere per mettere in relazione le molteplicità non per uniformarle ma per mettere in dialogo le diversità che comunque devono restare tali. Ciglia nel suo saggio Fra eurocentrismo e
globalizzazione sottolinea che «l’essenza ultima dell’Europa, quale emerge come dalla
rilettura del nuovo pensiero, risiede nella sua spiccata vocazione dialogica, nella sua
53 Ivi, pp. 35-39. 54 Ivi, p. 39.
capacità di stabilire interrelazioni significative e feconde tra culture differenti e talora in conflitto, nella sua fisionomia intrinsecamente transculturale».55
Come abbiamo visto, Rosenzweig contesta radicalmente la possibilità che lo Stato giuridico e lo stato di natura possano identificarsi, così come delineato nella teoria hegeliana dello Stato a partire dagli scritti del 1802-1803 (e da noi richiamato nel secondo capitolo); questo vuol dire che ethos e legalità per Rosenzweig non potranno mai identificarsi e che lo Stato politico non può rappresentare alcuna forma di eticità assoluta. Di conseguenza lo Stato non può diventare onnicomprensivo delle volontà dei singoli, perché questo Stato, proprio in quanto gestito da uomini che per propria natura tendono a sintetizzare la realtà concettualizzandola, così come fa il filosofo che cerca di appropriarsi di tutto il creato sintetizzandolo in un principio primo che ingloba e annulla tutte le differenze, questo Stato politico non può fare altro che rappresentare la particolarità e, di conseguenza, non può essere in grado di dare una risposa esauriente all’urgente problema del senso dell’uomo.
Rosenzweig oppone all’inesauribile violenza determinata dalla modulazione e rimodulazione dei confini del pluriversum di Stati che si fanno la guerra, la verità dell’eternità secondo la quale l’unica redenzione possibile è quella generata dall’amore del prossimo. Se mettiamo a confronto il Globus e la Stella della redenzione notiamo che in Rosenzweig c’è una meta-storia che si sviluppa accanto alla Storia e con questa deve interagire, di una meta-storia che si sviluppa come «alternativa alla nozione centrale di tutta la metafisica occidentale…un al di là dell’Essere…-e- della Storia e di conseguenza un al di là della guerra».56 Il divenire straniero dell’ebreo rispetto alla
55 F. P. Ciglia Fra eurocentrismo e globalizzazione, in F. Rosenzweig, Globus, op. cit., cit., p. 154. 56 Cit. S. Mosès, Al di là della guerra. Tre saggi su Levinas, tr. it. a cura di D. Di Cesare, il melangolo,
Genova 2007, cit., p. 11. L’autore si sofferma a spiegare che per Rosenzweig l’esistenza del popolo ebraico si presenta appunto come la possibilità di un esistenza collettiva metastorica che si tiene fuori dall’agitazione bellica delle nazioni. A tal proposito Fulvio Tessitore nella prefazione al saggio di D’Antuono, Ebraismo e filosofia. Un saggio su Franz Rosenzweig, scrive:«Il suo problema [riferendosi a
propria etnia di sangue terreno e al possesso della terra e all’identificazione con una lingua determina la presa di consapevolezza di non poter appartenere pienamente alla cultura dei popoli della terra «tutela l’ebreo in quanto straniero dal diventare sordo a chi parla un’altra lingua e muto al domandare dello sconosciuto».57 Il popolo ebraico quindi diviene il simbolo della possibilità della costituzione di una comunità altra rispetto a quella conosciuta sotto il flusso dello scorrere temporale, generata dalla libera unificazione degli uomini e in grado di sottostare comunque alle leggi dello Stato. All’interno della riflessione di Rosenzweig è possibile rintracciare un macro “noi” generato dalla messa in relazione dell’io con il “tu” che si pone accanto, senza opporsi in senso violento, al micro “noi” che pur sempre rimane sulla scena mondiale in quanto altra polarità insita nella vita degli uomini. Questo macro “noi” diventa il simbolo per la costituzione di una comunità che si eleva al di sopra degli Stati, degli interessi economici e dell’alleanza per la difesa. In questa maniera la comunità umana immaginata da Rosenzweig, sostenuta, nella forma del popolo, dall’ebraismo e, nella forma della comunità, dal cristianesimo, con l’ethos improntato al dialogo e all’unificazione degli uomini in quanto umanità, esercita la sua influenza sull’azione politica.
Bartoszweski, nel discorso introduttivo al convegno internazionale su Rosenzweig del 2008, confrontando l’Europa di oggi con quella di ieri, con l’Europa dei nazionalismi e dei totalitarismi, dei confini chiusi e della diffidenza, ha parlato di un’Europa che si estende al di là dei confini territoriali, che investe buona parte dell’Occidente tra cui Usa, Canada, Australia, di un Europa che a partire dalle norme di Schengen ha aperto i suoi confini favorendo la mobilità di milioni di persone, che si fonda su i valori della
Rosenzweig] non è quello di rinnegare l’assolutizzazione della storia. Il suo problema è quello di fondare una metastoria che salvi l’assoluto in quanto assoluto (l’assoluto di Dio) senza sacralizzare la storia e laicizzare il divino».
tradizione ebraico-cristiana e sui principi democratici i quali trovano la loro origine e i loro fondamento nell’Atene di Pericle.58
Partendo da questa riflessione sottolinea la necessità che tutti i paesi appartenenti all’Unione Europea devono adoperarsi perché tutti i popoli, le persone e gli Stati, siano pronti a comprendere e a cooperare con gli altri attraverso una generale sollecitazione al rispetto di una cultura comune che si eleva al di sopra delle diversità che non devono essere appianate. Oggi, all’interno dell’Unione Europea, diventa urgente pensare un
ethos in grado di conglobare le diversità, per non ricadere nel rischio di ripetere il
movimento incessante della storia, dei paesi che cercano di estendere la propria supremazia sulla scena mondiale, dei paesi che si fanno la guerra e che stipulano alleanze. Pensatori come Hobbes e Schmitt ci avvertono che queste alleanze altro non sono che forme di tregua dalla guerra e riproposizione, sulla scena mondiale, di una politica che diventa soltanto politica per la supremazia e per la difesa che è spietata contro gli esseri umani, spietata con i suoi cittadini, spremuti fino all’osso da sistemi politici improntati solamente alla costituzione di potenze economiche, spietata verso tutti coloro che vengono identificati come stranieri.
Ma Emilia D’Antuono richiamandosi alle terribili esperienze del Novecento, ma anche a questo desolante esordio del XXI secolo, con l’immensa sequela di esclusioni, persecuzioni, stragi, «come se il lascito di sciagure ma anche di grandi pensieri del XX secolo fosse rimasto chiuso con infiniti sigilli», si chiede che cosa resta del nuovo pensiero alla prova della storia. «Che cosa resta se il disconoscimento dell’altro è una quotidiana pratica, realizzata ed esibita»,che cosa resta se si persegue il dettato
«demoniaco della “nientificazione” dell’umano». Che cosa resta se
58 W. Bartoszeswki, Europe as a Cultural Junction, in Rosenzweig Jharbuch/Rosenzweig Yearbook 3, Die idee Europa/ The notion of Europe, Verlag Karl Alber, München 2008, pp. 19-27.
«il disconoscimento assume la terribile forma dell’esclusione che giunge a negare la comune umanità del sé e dell’altro, un’esclusione che troppo spesso si tinge di morte, assumendo il colore sempre uguale ed il timbro muto del disperante silenzio di corpi portati dal mare, senza più tracce di quella dolente identità che il suono delle lingue un attimo prima dell’urto delle onde avrebbe comunque disvelata, senza volto, ridotti all’unum dell’indifferenziata categoria di migranti, invano incamminatisi verso l’alterità. Cosa resta della «trasmutazione d’essenza» dell’umanesimo, avviata dall’assunzione della dualità come l’«in principio» di un nuovo percorso e dall’obsolescenza del sé, a cui per- viene Rosenzweig dissolvendo l’autoreferenzialità del filosofare e l’egoi- smo pratico, di fronte alle stragi che dai domestici televisori mostrano, in uno spazio falsamente remoto, in un tempo che strappa per un attimo la quieta trama del presente a cui pure appartiene, l’annichilimento in un unico fumo di uomini e città, storie individuali e storie di popoli».59
E si domanda se il «pensiero, anche “nuovo”, abita veramente in un altrove che non trova, con il mondo, nessuna correlazione» e se «è ipotizzabile, come evento di un autentico novum, l’apparire nel cielo della storia di un ponte tra il pensiero e l’agire degli uomini, che riesca, infine, a correlare singoli e popoli, aprendo, dentro il labirinto del tempo umano, vie non scavate dal sangue ma tracciate da una condivisa volontà di vita, orientate dal riconoscimento dell’altro».60
Gianluca Sacco, richiamando Marramao, afferma che «tra passato e futuro, tra radici e paura, l’Europa si attarda nel cogliere l’opportunità che la storia le offre: diventare una grande e democratica comunità metastatuale». 61 Rosenzweig, con la sua filosofia esperiente, ci induce a pensare l’essere umano come il frutto di due polarità come homo
homini lupus, e come bisognoso dell’altro, innanzitutto perché solamente in relazione
all’altro egli può inverare se stesso, scoprirsi come io che ha bisogno di un tu, e questo
59 E. D’Antuono, Che cosa resta?..., op. cit., cit., p. 119. 60 Ibidem.
61 G. Sacco, Dall’eros tragico al santo: il nomos dell’amore orizzonte escatologico d’Europa. Uno studio su Lukàcs, Benjamin e Rosenzweig, in, L’Europa contemporanea tra la perdita delle radici e la paura del futuro, a cura di B. Coccia, Istituto Studi politici S.Pio V, Roma, 2007, cit., p. 99.
tu non si limita entro i confini spaziali e temporali, il tu è tutti i “tu” possibili di fronte a me. Questa comunità europea oggi deve vivere di questo “sentimento” che accompagna la legge senza mai mischiarsi con essa; tutti gli uomini oggi, e tra questi anche il politico dovrebbero essere indotti alla costituzione di una comunità che, sull’esempio di quella comunità che si stringe sotto il comandamento dell’Amore, mira all’unione degli uomini e non all’opposizione alla separazione e alla diffidenza.
Ridando voce alla lezione rosenzweighiana e riprendendo il cammino legato all’idea di Europa voluta da uomini come Adenauer, Churchill, De Gasperi, Bech, Beyen, Hallstein, Monnet, Manshlot, Spinelli, Schuman e Spaak e resa ancora più forte dopo la caduta del muro di Berlino, bisogna pensare ad un’ Europa che abbia un ruolo nella storia del mondo, non come sistema di potenze che pongono alleanze rimodulabili così come sono rimodulabili i confini territoriali, ma di paesi che decidono di coesistere e di supportarsi reciprocamente nonostante le proprie diversità, non per rivaleggiare in ‘potenza’ con le potenze della terra, ma l’Europa che, come ha sottolineato Papa Francesco, torni ad essere madre e sappia mostrare il volto di terra ospitale. «Di una nuova, diversa ospitalità ove costumi, leggi stili di vita e di arte, popoli e istituzione si trovano accanto. Europa terra di nessuno perché di tutti coloro che in essa dimorano da ospiti, ospitanti ed ospitati insieme».62
E il pensiero contemporaneo? Rosenzweig ha trasmesso in eredità al presente la sua filosofia esperiente con le questioni irrisolte che richiedono ancora ricerca e approfondimento (per non chiedere alcun sacrificio all’intelletto), ma anche con la sua dimensione sempre viva del grande tema del «dialogo» - come modalità del pensiero e di un vivere rinnovato - e dell’ attesa paziente che si accompagna alla determinazione di
andare, uscendo allo scoperto ed entrare nel mondo con la carica comunitaria del dialogo.63