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SITOGRAFIA .................................................................................................................................. 78 BIBLIOGRAFIA .................................................................................................

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Indice

INTRODUZIONE ... 2

CAPITOLO 1 ... 4

Inquadramento ... 4

1.1 L’ambiente carsico ... 5

1.2 Microclima delle doline ... 11

1.3 Area studio ... 20

CAPITOLO 2 ... 32

Metodologia... 32

CAPITOLO 3 ... 38

Risultati ... 38

3.1 Temperature massime e minime registrate ... 43

3.2 Frequenza e intensità dell’inversione del gradiente termico ... 45

3.3 Cicli termici dolina delle Turbiglie ( 48 h) ... 50

3.4 Cicli termici dolina del Biecai (48 h) ... 58

3.5 Confronto fra le due doline esaminate ... 66

DISCUSSIONE... 69

CONCLUSIONI ... 75

BIBLIOGRAFIA ... 78

SITOGRAFIA ... 78

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INTRODUZIONE

egli ambienti carsici il clima rappresenta un fattore fondamentale per la genesi e l’evoluzione delle forme del rilievo. Nonostante la quantità di precipitazioni rappresenti il fattore meteorologico più importante ai fini dell’efficacia del processo di carsificazione, legato alla maggiore o minore solubilità del carbonato di calcio, negli ultimi decenni un altro parametro meteorologico sta focalizzando l’interesse degli studiosi di tutto il mondo (Yao, W., and S. Zhong, 2009;Pospichal, B., 2004). Tale fattore è rappresentato dalla temperatura che si registra, in particolari situazioni, all’interno di depressioni chiuse, chiamate doline, a contorno circolare, sub circolare o allungato, formatesi direttamente o indirettamente in seguito a processi di soluzione e di norma privi di un corpo idrico al loro interno. Grazie alle analisi di alcuni appassionati e professionisti della meteorologia, si è capito che le potenzialità termiche di queste “cold air pool”, come vengono definite nella letteratura anglosassone, in termini di picchi di freddo e le escursioni termiche ad esse collegate, presentavano un interesse straordinario: si è quindi iniziato a prendere in considerazione la possibilità di sviluppare dei veri e propri progetti, amatoriali e professionali, che mirassero a studiare le particolarità microclimatiche di queste conche. La spinta verso le prime misure e l'approfondimento scientifico venne dall'osservazione degli effetti, spesso dannosi, sulla vegetazione presente in queste conche, come negli anni ‘20 nella foresta di Anzig-Ebersberg, vicino a Monaco di Baviera, dove un'opera di riforestazione fu notevolmente ostacolata. Molte giovani piante di pino, infatti, morivano o crescevano con molta difficoltà e questo lo si scoprì a posteriori, grazie ai rilievi strumentali, per le intense gelate notturne che si verificavano ancora nei mesi di maggio e giugno, cioè in piena attività vegetativa (Geiger,1965). D’altronde il fatto che sul fondo delle doline le temperature siano spesso sensibilmente più basse che a quote comparabili lungo i versanti era noto da tempo. I soldati tedeschi, durante la Grande Guerra, usavano le doline per testare i motori in condizioni di temperatura estrema, simili a quelle che dovevano affrontare in Siberia (Steinacker, 2007). Per far capire sin da subito l’entità di tale fenomeno termico, si può citare la stupefacente temperatura di -49,6 °C registrata in Trentino il 10 Febbraio 2013 all’interno di una dolina denominata “Busa nord di Fradusta” (2607 m) e che rappresenta la temperatura minima assoluta più bassa mai raggiunta in Italia e una delle più basse registrate ufficialmente in Europa centrale (Rizzonelli, 2013). All’interno delle doline però si manifesta un altro fenomeno, se vogliamo ancora più interessante rispetto ai minimi termici, cioè l’inversione del gradiente termico altimetrico, ovvero la temperatura, procedendo dal bordo verso il fondo della dolina, si abbassa, similmente a quanto avviene salendo di quota, e questo può portare ad un differenza anche di parecchi gradi in meno tra la sommità ed il fondo della dolina stessa.

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E’ noto che in generale si possono formare inversioni termiche nei livelli più bassi della troposfera per lo più in inverno, quando il suolo durante le notti si raffredda molto rapidamente e con esso anche gli strati d’aria più a diretto contatto con esso. Le inversioni si formano frequentemente nelle valli o in pianura, con particolari condizioni meteorologiche, ma in questi ambienti si presentano molto spesso dei fattori di disturbo, come per esempio le brezze delle valli alpine, che vanno a rimescolare l’aria e di conseguenza dissolvono l’inversione termica (Renon, 2011). All’interno delle doline l’inversione risulta essere più stabile, poiché la depressione forma una sorta di “catino” che va a isolare in maniera molto efficace l’atmosfera interna, anche se spesso è sufficiente una moderata ventilazione per rimescolare il “lago di aria fredda”, far scomparire l’inversione e provocare bruschi rialzi termici, soprattutto sul fondo.

L’obiettivo della tesi è quello di illustrare i dati ottenuti nel corso di un anno di monitoraggio termico di due doline delle Alpi Piemontesi e di proporre alcune preliminari elaborazioni dei valori di temperatura rilevati sul fondo delle stesse in relazione con i dati termici misurati sul bordo esterno di queste depressioni, investigando su eventuali correlazioni tra tali elaborazioni termiche e le particolari morfologie nelle zone limitrofe alle aree di studio, l’altitudine e la stagionalità. Quest’analisi è stata realizzata grazie ai dati ottenuti dall’Associazione MeteoNetwork Onlus che sta realizzando un progetto di monitoraggio termico in cinque doline delle Alpi Piemontesi, tra le quali la dolina delle Turbiglie e la dolina del Biecai, prese come riferimento per la presente tesi. La conoscenza approfondita del fenomeno di inversione termica potrebbe aiutarci a comprendere, e in qualche modo contrastare, l’inquinamento atmosferico localizzato, che si manifesta durante i fenomeni di inversione termica specialmente in aree particolarmente industrializzate. Infatti quando il gradiente termico da negativo diventa positivo, non vi è più il mescolamento degli inquinanti atmosferici, che rimangono quindi confinati in prossimità del suolo. Le inversioni non soltanto impediscono agli inquinanti di disperdersi; esse fungono anche da contenitori in cui ulteriori inquinanti si accumulano e nel caso di inquinanti secondari formati da processi chimici atmosferici, come ad esempio lo smog fotochimico, in presenza di luce, reagiscono tra di loro formando altre specie chimiche nocive. Altre applicazioni interessanti, legate alla conoscenza dettagliata dell’inversione termica nelle doline, potrebbero riguardare lo studio approfondito della vegetazione presente all’interno delle doline stesse, per studiarne le differenze con la flora presente esternamente, che presenta adattamenti sia morfologici che fisiologici (Polli E., Guidi P., 1996). Oltre all’interesse prettamente scientifico, la conoscenza sempre più approfondita delle condizioni microclimatiche peculiari di questi luoghi va ad aumentare le informazioni in possesso di escursionisti e turisti, con la possibilità di sviluppare progetti turistici sostenibili, creando dei veri e

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propri “Percorsi del freddo” (Targatocn, 2010), consentendo una maggior conoscenza delle doline e delle particolari condizioni ambientali presenti in esse, ai più sconosciute.

CAPITOLO 1

Inquadramento

La presente tesi ha come oggetto di studio l’elaborazione dei valori di temperatura dell’aria registrati sia sul fondo di due doline nelle Alpi Piemontesi (in provincia di Cuneo), sia da due stazioni della rete ARPA (Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale) Piemonte, situate in prossimità delle due doline prese in esame, poste ad un’altezza rispettivamente di circa 980 e 1760 m. L’obiettivo principale di tale elaborazione è l’analisi e la caratterizzazione delle inversioni del gradiente termico altimetrico che si verificano annualmente all’interno delle due doline, cercando di analizzare la frequenza e l’entità del fenomeno durante un intero anno e rilevare eventuali evidenze che ricolleghino tale fenomeno a particolari periodi dell’anno o alla quota delle doline.

Le due doline si trovano nel territorio delle Alpi Liguri (Fig.1), che si estendono tra il Colle di Tenda e il Colle di Cadibona, a cavallo tra Liguria, Piemonte e Francia. Il nome Alpi Liguri non deve trarre in inganno, infatti la parte più cospicua della catena si estende non in Liguria ma in Piemonte; il nome deriva dal popolo degli antichi Liguri, che abitavano queste montagne prima ancora dei Romani.

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1.1 L’ambiente carsico

Etimologicamente il termine carsismo prende il nome dalla regione del Carso (che comprende buona parte delle province di Trieste e Gorizia, il territorio della Slovenia occidentale e della Croazia nord-occidentale), dove il fenomeno è particolarmente sviluppato.

Alla base dei processi carsici vi è la particolare proprietà del carbonato di calcio che porta quest’ultimo a reagire chimicamente con l’acqua, quando questa abbia un certo tenore di anidride carbonica, dando origine a bicarbonati idrosolubili. Infatti la combinazione dell’anidride carbonica, che si trova nel terreno o nell’aria circostante, con l’acqua, determina la formazione di acido carbonico: questo può attaccare i carbonati calcite e dolomite, insolubili (per entrambi la solubilità in acqua pura e a temperatura ambiente è molto bassa, dell'ordine di 10-20 mg/l) e trasformarli in bicarbonati solubili.

CaCO3 + H2O + CO2 Ca(HCO3)2

Le condizioni in base alle quali il fenomeno carsico può svilupparsi ed evolversi sono: estesa presenza di rocce calcaree (o comunque solubili) con un grado di fatturazione tale da garantire la circolazione delle acque, morfologie dolci, un clima idoneo a favorire i processi di soluzione del carbonato di calcio.

Figura 2 Curve di saturazione per soluzioni di carbonato di calcio a diverse temperature, in funzione dell'anidride carbonica presente in soluzione (F.Trombe, 1952)

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Entrando un po’ più nel dettaglio, possiamo individuare quattro categorie di importanti fattori che condizionano l’evoluzione del sistema carsico epigeo ed ipogeo:

1) Fattori geologici

a) Litologia del calcare in esame;

b) Stratigrafia e spessore della formazione carbonatica ai fini di un confronto fra le varie formazioni;

c) Piani di stratificazione e fratture;

d) Attività tettonica associata al processo di carsogenesi; 2) Fattori geomorfologici

a) Dislivelli e tipo di rilievo dovuto a fenomeni tettonici recenti o a forme erosive; 3) Fattori climatici

a) Determinano la quantità di acqua disponibile;

b) Influiscono sulla temperatura dell’aria e sulla quantità di anidride carbonica, necessarie per il processo di dissoluzione/precipitazione del carbonato di calcio;

c) Possono essere causa di particolari alterazioni della roccia (il fenomeno del gelo-disgelo può ridurre a scaglie la roccia calcarea);

4) Fattori biologici

a) Influiscono sulla velocità del fenomeno di dissoluzione, in quanto aumentano la quantità di anidride carbonica presente;

Quando si osserva, in prima battuta, un paesaggio carsico, non bisogna mai dimenticare che esso, al contrario di altri, non è solo quello che si vede superficialmente, ma anche e soprattutto quello che non si vede, formando nel suo insieme un complesso funzionale costituito da:

• Un’area di alimentazione, che comprende le forme carsiche superficiali o epigee, attraverso le quali l’acqua penetra all’interno dello strato calcareo;

• Una zona non satura o vadosa;

• Una zona satura detta freatica, dove si formano dei veri e propri fiumi sotterranei, i quali possono affiorare in superficie attraverso sorgenti ben definite.

La maggior parte dei fenomeni carsici conosciuti, sia di superficie che di sottosuolo è dovuta all'azione delle acque di origine meteorica, ma importanti sono anche quei fenomeni legati alla presenza di acque marine in prossimità della linea di costa, oppure là dove si ha la risalita di acque profonde che vengono in contatto con acque di origine meteorica in corrispondenza di grandi faglie.

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Si generano così particolari forme di erosione sulla superficie del terreno, lungo le fessure che conducono l’acqua all’interno della roccia e dentro cavità sotterranee, dove per precipitazione del bicarbonato e sua ri-trasformazione in calcite, hanno luogo processi di deposizione chimica con forme caratteristiche (stalattiti e stalagmiti) nelle cavità sotterranee o anche all’esterno (travertino). Superficialmente il paesaggio carsico è caratterizzato da distese pietrose e brulle in cui si succedono scogli, creste, gradinate e macigni isolati (Panizza, 2007).

Un’altra proprietà dei processi carsici legata all'aspetto superficiale dei terreni è l’elevata infiltrazione di acqua nel terreno pari al 50% di quella piovuta, e in certe situazioni si arriva al 90%. Tutto questo fa sì che l'acqua non scorra sulla superficie (ruscellamento superficiale) e quindi il risultato è che uno dei principali agenti modellatori del paesaggio terrestre, ovvero l'erosione ad opera dell'acqua, sia fortemente ridotto. Esistono molti fattori strutturali che contribuiscono a rendere le forme carsiche superficiali assai varie e caratteristiche: la presenza di vegetazione, il clima, la pendenza dei versanti, le fratture di origine tettonica. Le forme carsiche di superficie hanno dimensioni molto variabili e, per questo motivo, si può utilizzare una prima importante distinzione tra macroforme (come doline, uvala, polje, valli carsiche) e micro forme (quali vaschette, solchi a doccia, fori, scannellature, karren). Si definiscono paracarsiche le forme derivanti da soluzioni di rocce solubili non calcaree, come gesso o salgemma, mentre forme analoghe in rocce non solubili come loess e basalti, generate esclusivamente da fenomeni di erosione meccanica, vengono chiamate pseudocarsiche. Tra tutte le macroforme, quelle maggiormente riscontrabili in ambiente carsico risultano essere le doline. Il termine “dolina”, il cui nome deriva da “dol” che in slavo significa “valle” è stato codificato e introdotto nella letteratura internazionale dallo studioso serbo J. Cvijić nel 1893, nel suo libro fondamentale Das Karstphänomen, che ha segnato uno dei momenti significativi della nascita della carsologia moderna. In seguito altri studiosi slavi hanno proposto nomi più specifici come “vrtaca” o “kraska”, che tuttavia non sono mai entrati in uso nella terminologia internazionale. Le doline sono cavità chiuse a contorno circolare o subcircolare, o allungato, con diametro massimo compreso tra pochi metri e oltre un chilometro, con fondo drenante, formatesi direttamente o indirettamente in seguito a processi di soluzione, e pertanto di norma prive di un corpo d’acqua, come un lago, ospitato al suo interno. La forma in pianta può essere circolare, ellittica o irregolare, mentre la sezione verticale mostra sviluppi in altezza molto variabili, anche in rapporto al diametro. Le forme tridimensionali più comuni che ne risultano, distinte anche in base al diverso rapporto diametro/profondità, sono:

troncoconica o a piatto (forma ampia e poco profonda con il fondo piatto; il rapporto

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emisferica o a ciotola/scodella (forma relativamente più profonda con i versanti

complessivamente concavi; in genere il rapporto diametro/profondità è compreso fra 2 e 5)

conica o a imbuto (forma i cui versanti sono uniformemente inclinati verso un punto

centrale; il rapporto diametro/profondità è spesso inferiore a 2)

a pozzo (le pareti sono sub-verticali per cui la forma tende a diventare cilindrica; la profondità può essere considerevolmente superiore al diametro)

Figura 3 Geometria delle doline senza deposito di riempimento (nella parte alta dell’immagine) e con deposito di riempimento (nella parte bassa dell’immagine).

Sul fondo può essere presente una grande quantità di sedimento argilloso rossastro, residuo insolubile del processo di dissoluzione (Panizza, 2007) e di conseguenza è facile comprendere perché moltissime di queste conche siano state interessate per secoli dalle coltivazioni.

I vecchi autori (Cramer, 1941; Castiglioni, 1986; Ford, 1989) distinguevano le doline in base a quattro modelli genetici diversi:

Formazione per dissoluzione: La morfogenesi di tali doline è legata alla presenza nella compagine rocciosa di piani di discontinuità prossimi alla verticale. L’azione delle acque meteoriche, lungo tali piani, provoca il progressivo allargamento per carsismo e di conseguenza un drenaggio rapido delle acque all’interno della massa rocciosa. Si tenga presente che si verifica una concentrazione dell'acqua (aumento della quantità che scorre su una certa unità di superficie) dalla periferia verso il centro; in questo senso il centro della dolina diventa veramente un luogo di “erosione accelerata”.

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Sotto la superficie il meccanismo chimico di dissoluzione dà luogo alla nascita di pozzi, gallerie, sale, complessi sotterranei a volte di dimensioni gigantesche.

Nel contesto della dolina la dissoluzione opera in due zone distinte: il fondo provocando l’abbassamento ed il trasporto in profondità dei materiali provenienti dai fianchi, ed il bordo dove il meccanismo agisce allargando la forma.

La dolina è costituita da una parte esterna (epigea) ed una parte interna costituita dalla parte assorbente (ipogea) cioè una o più cavità a pozzo che iniziano in corrispondenza della sommità del cono rovesciato e si prolungano in profondità nella massa rocciosa.

I fianchi delle doline di dissoluzione sono normalmente poco acclivi e la sezione in pianta è generalmente circolare o sub- ellittica. Una stratificazione sub- orizzontale determina nelle doline condizioni di simmetria sia orizzontale che verticale poiché la circolazione interstrato risulta essere minima. L’asimmetria delle doline (in sezione) è sempre condizionata da una stratificazione più o meno inclinata perché, in questo caso, anche i piani di strato concorrono nel drenaggio idrico e nella dissoluzione. Molto spesso si assiste, soprattutto per le doline asimmetriche, ad uno spostamento nella loro evoluzione nel senso dell’immersione della stratificazione, con un costante e progressivo avanzamento della dolina verso una determinata direzione, il conseguente abbandono di un punto di drenaggio e l’acquisizione di uno nuovo, in corrispondenza di un altro sistema di fratture parallelo al primo.

Formazione per crollo: la genesi di questo tipo di dolina per quanto riguarda la struttura superficiale visibile, è dovuta ad un collasso meccanico della massa rocciosa, mentre il meccanismo profondo di origine rimane sempre quello dissolutivo, anche se a volte può intervenire una componente erosiva e quindi meccanica. Per meglio comprendere il fenomeno pensiamo ad un corso d’acqua sotterraneo che mediante i meccanismi sopra menzionati scava dei vani più o meno grandi (sale e gallerie). La volta di questi vasti ambienti si auto-sostiene, ma con il passare del tempo (migliaia di anni) la superficie esterna dell’orizzonte carsico tende ad abbassarsi consumata dagli agenti atmosferici, mentre sulla volta di questi vuoti sotterranei, il processo dissolutivo continua ad operare; si arriva così ad un punto nel quale lo spessore della volta non è più sufficiente a reggere il proprio peso e crolla riempiendo in parte il vano sottostante.

Hanno spesso una forma circolare a pozzo, con pareti sub – verticali e depositi grossolani sul fondo, con la forma allungata, che può presentarsi qualora si verifichi il collasso della volta di tratti di gallerie.

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Le doline di crollo possono, successivamente, evolversi verso forme più ampie e con fianchi meno acclivi per fenomeni di erosione dinamica sui versanti o per fenomeni di collasso gravitativo verso il centro della dolina stessa.

Formazione alluvionale: sono delle conche chiuse che si formano in materiali alluvionali in seguito all'originarsi, in rocce solubili sottostanti, di cavità carsiche di soluzione sub-superficiale o di crollo.

Formazione per subsidenza in roccia: sono cavità che si formano in rocce coerenti e permeabili ma non solubili (es.: arenarie), che poggiano su rocce solubili; lo scavo di cavità carsiche nelle rocce solubili provoca fenomeni di crollo e subsidenza nelle formazioni rigide sovrastanti.

La classificazione moderna distingue tre tipi principali di doline di soluzione:

Dolina di depressione idrogeologica: corrisponde alla dolina di soluzione, vista in precedenza, con l’unica differenza che vi si riconosce il ruolo fondamentaledella zona più superficiale della roccia solubile, individuando una zona sub-superficiale, resa maggiormente porosa di quella sottostante dal processo della soluzione, detta “epicarso”, con spessore compreso tra qualche metro e una decina di metri.

Dolina di ricarica puntuale: si origina in corrispondenza dell’inghiottitoio di un piccolo corso d’acqua, alimentato anche dalle acque di ruscellamento superficiale provenienti dai versanti della dolina. È evidente che questo tipo di dolina presenta analogie con una piccola valle cieca e si sviluppano,in genere, in rocce dove non si forma facilmente l’epicarso, o la cui importanza idrogeologica resta moderata, ma possono invece evolversi poche cavità drenanti. Buona parte delle doline sviluppate nei gessi appartengono a questa categoria. • Doline di intercettazione di strutture idrogeologiche: sono il risultato di una

focalizzazione del drenaggio determinata da una particolare situazione litologico-strutturale, come la presenza di un livello impermeabile con pochi “varchi” per l’acqua, o il contatto stratigrafico tra due formazioni diversamente fratturate.

Le doline di soluzione sono le più comuni all’interno dell’ambiente carsico, ma non tutte le rocce carbonatiche riescono a supportare questo tipo di doline. William (1985) suggerisce che esse non si sviluppano se la conducibilità idraulica verticale è molto grande nella zona vadosa, se la permeabilità verticale è sempre uniforme e sufficientemente densa in tutto lo spazio oppure se ci troviamo in presenza di pendii con una pendenza di oltre 20°. Spesso non appare chiara la reale genesi delle doline; in particolare le grandi depressioni oloceniche, pur presentando una genesi di crollo, risultano profondamente modificate dalla successiva erosione fino a perdere le caratteristiche

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morfologiche e morfometriche originali. Contorni particolarmente sinuosi rivelano la composizione di più doline ed in particolare dall’unione o coalescenza di più doline, nascono depressioni più complesse e articolate, chiamate uvala.

1.2 Microclima delle doline

L’interesse scientifico per le doline non riguarda solo l’aspetto prettamente geologico e geomorfologico, ma coinvolge anche la meteorologia. Nelle doline, come in tutte le altre conformazioni del suolo (pianura, fondovalle, pendio montano) il raffreddamento notturno ed i riscaldamenti diurni vengono regolati dallo scambio energetico che si instaura fra l’aria e lo strato più superficiale del terreno, principalmente tramite irraggiamento. Di giorno l’energia in arrivo dal sole (radiazione ad onda corta), e in parte dalle nubi, è maggiore di quella in uscita (radiazione ad onda lunga) ed il bilancio risulta positivo, con conseguente riscaldamento del suolo. Durante la notte il bilancio radiativo è invece negativo, soprattutto in caso di cielo sereno, con la perdita di calore del suolo che al più viene contrastata dalla radiazione proveniente dalle nubi in caso di cielo coperto; la temperatura del suolo quindi scende rapidamente, raffreddando anche i primi strati di aria immediatamente a contatto con esso. Il raffreddamento per irraggiamento che avviene sul suolo, viene in piccola parte compensato da un flusso di calore geotermico ovvero una quantità di calore che giunge in superficie dall’interno del pianeta (nucleo e mantello), per poi irradiarsi verso la superficie (crosta terrestre) e quindi verso l’atmosfera. Il riscaldamento diurno propagandosi nel terreno, si ammortizza e subisce uno sfasamento temporale, tanto che a 20-30 cm di profondità la massima giornaliera viene raggiunta con un ritardo di 6-12 ore, in relazione ai materiali che costituiscono il substrato (Geiger, 1965). Questo calore si sprigiona nelle ore notturne e non permette un raffreddamento eccessivo che porterebbe altrimenti a escursioni termiche notturne elevatissime. Quando vi è neve, le caratteristiche del suolo perdono importanza e gran parte dei processi di scambio radiativo e di trasmissione del calore avvengono sullo strato pellicolare esterno della neve e all’interno del manto nevoso. La neve ha un’albedo elevatissimo, una buona emissività e una scarsa conducibilità; queste caratteristiche le troviamo ai massimi livelli nella neve fresca farinosa, mentre in caso di neve vecchia tali prerogative sono più attenuate. L’aspetto peculiare delle doline è la loro capacità di raffreddarsi in maniera rapida ed intensa, più di ogni altro luogo sulla superficie terrestre. La spiegazione va ricercata sia nel limitato volume di aria (contenuto dalla depressione, di solito ampia e poco profonda) che il suolo riesce a raffreddare e alla ventilazione scarsa o nulla che caratterizza spesso queste forme concave del terreno sia nella particolarità del

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suolo carsico, che avendo una bassissima conducibilità termica limita i flussi geotermici, descritti in precedenza, che contrastano il raffreddamento (e quindi si raffredda sensibilmente di più rispetto ad altri tipi di suoli). Nelle valli e in pianura la massa d’aria che il suolo tende a raffreddare è enorme ma le brezze, per quanto deboli, rimescolano gli strati d’aria prossimi al suolo, limitando e rallentando il loro raffreddamento.

Nelle ore immediatamente successive al tramonto, all’interno della dolina si assiste alla perdita di calore da parte del suolo, con conseguente formazione di un lago di aria fredda sino al punto più basso del bordo della dolina, oltre il quale l’aria fredda tracimerà (Clements, C.B. et al., 2002). Questo punto è chiamato sella di esondazione o outflow depth. La sella di esondazione, per la formazione del lago di aria fredda, dovrebbe avere un’altezza di almeno 10-15 m circa rispetto al fondo della dolina. Alla formazione di questo lago di aria fredda non concorre solo l’aria raffreddata dal suolo della dolina, ma anche quella raffreddata dai pendii. Nelle piccole doline a forma di imbuto sono solo i pendii a “fabbricare” l’aria fredda, che man mano scorre verso il fondo e riempie, appunto, la dolina. In caso di pendenze troppo elevate dei pendii della dolina, la massa d’aria fredda, che per gravità scende lungo il versante, diventa troppo veloce e tende a rimescolare i bassi strati, erodendo il lago di aria fredda. Alcuni studi hanno dimostrato che il pendio non dovrebbe essere inclinato oltre i 20-25°, proprio per evitare questo fenomeno. In caso di pendio maggiore di 20-25° e lunghezza di circa 100-150 m si vengono a formare delle vere e proprie valanghe di aria fredda che si manifestano con un rinforzo improvviso del vento, procurando un aumento termico notevole, che può arrivare ad essere anche di 30°C in 30 minuti (Renon, 2011). Le temperature minime estreme si registrano sul fondo della dolina, dove ristagna l’aria più fredda, avendo una densità maggiore rispetto all’aria calda. In presenza di neve al suolo i valori possono risultare anche 25-35°C inferiori rispetto a quelli rilevati in “libera atmosfera” o su una cima nelle vicinanze, a parità di altitudine. La presenza di aria particolarmente fredda sul fondo delle doline è indice principale della formazione di inversioni termiche all’interno di queste depressioni. L’atmosfera, in generale, può essere classificata in base alla sua stratificazione termica, ovvero secondo il profilo verticale della sua temperatura. Viene chiamata troposfera lo strato inferiore vicino alla superficie terrestre con uno spessore variabile tra gli 8 km (sopra i poli) e i 18 km (sopra l’equatore). Nella troposfera la temperatura, normalmente, diminuisce all’aumentare della quota (gradiente termico verticale negativo) e in essa si manifestano la maggior parte dei fenomeni meteorologici. Si definisce “atmospheric boundary layer” quella parte di troposfera direttamente influenzata dalla presenza della superficie terrestre, che risponde alle forzanti di superficie con tempi scala di circa un’ora o meno, dove con forzanti di superficie si intende la forza di attrito, i processi di evaporazione e di traspirazione, il trasferimento di calore, le emissioni di

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inquinanti e le distorsioni del flusso d’aria indotte dall’orografia (R. B. Stull, 1988). Lo spessore del

boundary layer può variare da una decina di metri a qualche chilometro, a seconda del luogo, del

ciclo diurno e del tempo meteorologico. All’interno di questo strato di atmosfera, in particolare nella parte bassa, si possono formare le cosiddette inversioni termiche che causano un’alterazione del normale gradiente termico. In genere nella troposfera, con l’aumentare della quota, si ha un calo termico di circa -6,5°C ogni 1000 m.

Ciò si verifica perché il sole scalda la superficie terrestre e questa a sua volta cede il calore all’aria, scaldandola dal basso. Questo è appunto il comportamento classico, ma talvolta si verifica che salendo di quota, in uno strato di un certo spessore verticale si verifichi la situazione opposta; ossia la temperatura aumenti, invece che scendere. Le inversioni termiche si generano frequentemente in inverno durante lunghi periodi anticiclonici. Le notti lunghe invernali ed i cieli sereni, favoriscono una rapida perdita di calore da parte del suolo che si raffredda molto più rapidamente rispetto alla massa d’aria sovrastante. In conseguenza di ciò lo strato d’aria a diretto contatto con il suolo si raffredda maggiormente rispetto a quelli sovrastanti, generando una fascia d’inversione termica. Più l’alta pressione è robusta durante la stagione invernale e più risultano marcate e frequenti le inversioni termiche. Altro meccanismo con cui si può generare un’inversione termica è durante un’avvezione d’aria calda. Quando una certa regione viene invasa da aria più calda, questa tende a salire sopra a quella preesistente più fredda, generando il fenomeno. Essendo spesso associata ai domini anticiclonici invernali, l’inversione termica si associa ed anzi rinforza la stabilità dell’aria, inibendo i moti verticali ed anche la ventilazione nei bassi strati, impedendo un ricambio dell’aria. Sono queste le condizioni meteorologiche favorevoli sia alla formazione delle nebbie che all’accumulo degli inquinanti nei grandi centri urbani. Soltanto l’arrivo di una perturbazione o un vivace ricambio d’aria rimuovono l’inversione termica.L'inversione termica può essere smantellata dalla radiazione solare diurna, oppure, in maniera ancora più efficace, dal vento, che determina un rimescolamento dell'aria. A parità di condizioni meteorologiche (tipo di massa d’aria, nuvolosità, umidità dell’aria, velocità del vento e torbidità atmosferica), il raffreddamento notturno dell’aria vicino al suolo è funzione essenzialmente di 7 fattori, in ordine di importanza:

• Morfologia del sito

Porzione di cielo visibile (Sky-view factor)

• Caratteristiche del suolo e tipo di sottosuolo

• Altitudine

• Latitudine

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• Umidità dell’aria

Tra tutti i fattori, che determinano un’inversione termica e di conseguenza la formazione di una pozza di aria particolarmente fredda all’interno delle doline, visti in precedenza, quello maggiormente determinante è senza dubbio il cosiddetto “Sky-View Factor” (SVF) che indica la porzione di cielo visibile dal fondo della dolina (definito anche "fattore di vista" o "fattore di forma" nella teoria degli scambi radiativi). Esso varia tra 0 (cielo non visibile) e 1 (orizzonte piatto a 360°). In una dolina, più alto è l'SVF e maggiore la perdita di calore verso lo spazio.

Tale valore è calcolato tramite la seguente formula: fv = cos²α

dove α è l’angolo medio di elevazione dell’orizzonte topografico (Marks e Dozier, 1979). Una dolina piccola e profonda ha un SFV basso e quindi un raffreddamento notturno “frenato”, mentre una dolina ampia e poco profonda ha un SVF elevato ed è soggetta ad un raffreddamento più accentuato. In definitiva, più bassa sarà l’elevazione media dell’orizzonte topografico, più alto sarà questo valore e maggiore sarà la perdita di calore verso lo spazio (emissione radiativa ad onda lunga). Nel caso di una dolina boscata, cioè ospitante una ricca vegetazione arborea, il rilascio di calore da parte del suolo, e quindi il suo raffreddamento, sarà molto ridotto, in quanto intercettato dai tronchi, dai rami, e dalle foglie degli alberi; l’emissione radiativa di questi ultimi contribuirà anch’essa a contrastare il raffreddamento della dolina, in maniera minore nelle zone più interne (tronchi) e maggiore in quelle periferiche (foglie e rami più alti). Il contributo dei processi evapo-traspirativi della vegetazione, con dispersione di vapore acqueo verso l’atmosfera della dolina (con apporto di calore sensibile e latente), possono essere ritenuti trascurabili nel periodo invernale. Il fondo di una dolina “nuda”, quindi, si raffredderà molto di più, soprattutto in inverno, rispetto ad una dolina piena di biomassa (vegetazione), mentre nelle zone più elevate della depressione le differenze saranno minori.Dagli studi, particolarmente dettagliati, condotti all’interno della conca denominata Gruenloch in Austria, da Ottobre 2001 fino a Giugno 2002 (Steinecker, 2007), è stata delineata una classificazione schematica delle varie formazioni di “laghi di aria fredda” all’interno delle doline. Nel immagine che segue (Fig.4), vengono schematizzati i possibili andamenti della temperatura a varie altezze lungo i versanti della dolina Gruenloch tra il tramonto (SS, sunset), e l’alba del giorno successivo (SR, sunrise).

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Figura 4 Diagramma schematico indicante la classificazione degli eventi di “cold air pool” nella dolina Gruenloch (secondo Steinaker, 2007).

Inversione indisturbata: questi eventi sono caratterizzati generalmente da un forte tasso di raffreddamento delle zone basse della dolina, specialmente durante le ore successive al tramonto, tassi di raffreddamento che diminuiscono con l’aumentare dell’altitudine interna alla dolina. In questo caso il lago di aria fredda si mantiene durante la notte, per l’assenza di venti (1-2 m/sec) e la presenza di cielo perfettamente sgombro da nubi. Il livello di umidità può variare dal 20% al 90%, poiché in assenza di nubi essa può essere considerata come un parametro poco influente.

Infine poche ore dopo l’alba, il riscaldamento del fondo della dolina provoca nella maggior parte dei casi la rottura dell’inversione e la ricomparsa di un gradiente termico altimetrico (dal fondo verso il bordo) negativo.

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Formazione in ritardo: tale formazione si ha quando durante la notte vi è per esempio il passaggio di un fronte nuvoloso, che inizialmente ostacola la formazione dell’inversione, ma col trascorrere della notte si forma un lago di aria fredda simile all’inversione indisturbata analizzata in precedenza.

Dissoluzione anticipata: questo caso per verificarsi necessita di un “disturbo” molto forte, capace di interrompere nel giro di poco tempo il lago di aria fredda notturna. Passaggi frontali o insorgenza di venti di Foehn, sono le due principali cause che determinano tale fenomeno.

Evento misto: caratterizzato dalla presenza di forti ma brevi folate di vento, che molto spesso interagiscono con la morfologia del territorio circostante la dolina e formano dei vortici che vanno a mescolare l’aria all’interno della dolina stessa, colpendo specialmente gli strati superiori.

Disturbo superiore: questi tipi di disturbi relativi alla parte superiore del lago di aria fredda, sono dovuti a venti sopra l’inversione termica, ma che a differenza del caso appena visto, legato agli eventi misti, riguarda venti costanti ma non sufficientemente forti da rimuovere gli strati superiori dell’inversione. Essi producono solo un leggero riscaldamento e/o una diminuzione del gradiente di temperatura verticale nella parte superiore del lago di aria fredda.

Disturbo inferiore: questi eventi producono un temporaneo innalzamento della temperatura confinato solo alle parti inferiori del bacino che va man mano attenuandosi con l’aumento dell’elevazione dal fondo. Le cause che portano a questi tipi di disturbi non sono ancora del tutto note. Potrebbero essere causati dalle radiazioni riflesse verso il basso da corpi nuvolosi in transito sopra il bacino, o da corpi nuvolosi che si formano all’interno del bacino stesso. In alternativa si potrebbe ipotizzare, come causa scatenante, la presenza di qualsiasi fenomeno che va ad aumentare la turbolenza sul pendio inferiore del bacino, non avendo, al contrario, nessun effetto sulla parte superiore.

Erosione a strati: tale tipo di erosione è caratterizzato da un lento processo di rimozione della parte superiore del lago di aria fredda, strato dopo strato, a causa delle turbolenze generate nell’interfaccia fra il lago di aria fredda e l’atmosfera presente sopra di esso, da venti forti.

Finestre di aria fredda: la formazione di brevi finestre di aria fredda può verificarsi anche nelle notti non ideali (con vento forte e presenza di nuvole) per la costruzione di inversioni termiche. Questo perché basta un breve periodo di cielo sereno e relativa calma (circa 30 minuti) per avviare il processo di formazione.

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Quando le condizioni meteo tornano ad essere avverse il lago di aria fredda scompare e la sua profondità dipende proprio dalla durata dell’evento di formazione.

La spinta verso le prime misure e l’approfondimento scientifico sul particolare clima delle doline, venne dall’osservazione degli effetti, spesso dannosi, sulla vegetazione presente in queste conche, come negli anni ’20 nella foresta di Anzig-Ebersberg, come già detto nel primo capitolo. Seguirono altri esperimenti e campagne di misura in zone pianeggianti e collinari della Germania e dell’Austria, fino al monitoraggio della Gstettneralm, una zona di montagna vicino a Lunz (Austria), sull’Hetzkogel, un altopiano carsico a 1200-1400 m di altitudine. Per quanto il fenomeno fosse in parte conosciuto, deve essere stato grande lo stupore di quei ricercatori che alla fine degli anni ’20 e per molti anni a seguire videro i termometri da loro installati in alcune depressioni, segnare ripetutamente temperature inferiori a -40°C, con fenomeni di inversione termica stupefacenti. Nella depressione più grande, denominata Grünloch, fra la fine di febbraio e l’inizio di marzo del 1936, fu registrata una temperatura di -52.6°C, considerata tuttora la più bassa misurata nell’Europa centrale. Dopo lunghe interruzioni e qualche temporanea ripresa delle misure, il monitoraggio delle doline di quell’altopiano è ricominciato una decina d’anni fa grazie al Dipartimento di Meteorologia e Geofisica dell’Università di Vienna, autore anche di campagne intensive di misura.

Il fenomeno del freddo nelle doline è stato poi oggetto di ricerche a partire dagli anni ’80 anche in Slovenia (Sinjur, M.Ogrin, D.Ogrin, 2006) , in Giappone (Iijima, 2000) e negli Stati Uniti occidentali (Clements, C. B., C. D. Whiteman, J. D. Horel, 2003). Inoltre l’Università di Graz ha iniziato un monitoraggio in un’altra zona montuosa dell’Austria, sull’altopiano del Dachstein, in Stiria(Litschauer 1962).

Oltre alle aree carsiche il fenomeno dell’inversione termica è stato studiato anche in conche di diversa origine: nell’ottobre 2006 il Meteor Crater, in Arizona, l’enorme cratere da impatto meteorico è stato sede di un monitoraggio meteorologico intensivo, facente parte del METCRAX (Meteor Crater Experiment), un progetto di ricerca triennale sostenuto dalla Mesoscale Dynamics Division of the U. S. National Science Foundation, i cui dati sono ancora in fase di analisi (Whiteman, C. D, et al., 2008).

Per quanto riguarda l’interesse per lo studio del particolare microclima nelle doline sul territorio italiano, non poteva che svilupparsi in prima battuta sul Carso triestino e goriziano. Nel 1964 vennero installati degli strumenti nella “Carsiana”, una dolina vicino a Trieste e proprio quell’anno venne inaugurato un giardino botanico di notevole interesse.

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“L'interesse scientifico per il progetto deriva dal fatto che la Carsiana ospita, in uno spazio ristretto, una varietà di microclimi, fenomeni geologici e aspetti botanici che riproducono tutti i caratteri salienti del Carso” (Renato R. Colucci, 2004)

L’8 novembre 1999, ARPAV (Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale Veneto) installa sul Piano di Valmenera (905 m slm), ovvero sul fondo della più grande depressione dell’Altopiano del Cansiglio, una stazione meteorologica automatica, a tutt’oggi l’unica centralina meteorologica del Veneto posizionata in una dolina collegata via radio, in tempo reale, con le stazioni ARPAV di Teolo e di Belluno. Fin da subito, in concomitanza con un periodo di bel tempo fra la fine di novembre e l’inizio di dicembre, i dati raccolti da questa stazione sbalordiscono i media e l’opinione pubblica per le temperature minime molto più basse di quelle registrate nelle valli notoriamente fredde delle Dolomiti (Renon, 2011). Il primo marzo 2005 la stazione misura una temperatura minima di -35.4°C, durante una breve, ma intensa ondata di freddo. Nell’ottobre dello stesso anno ARPAV installa un registratore di temperatura ed umidità relativa sulle rive dello sperduto Lago di Fosses, a oltre 2000 m di altitudine, sull’altopiano di Sennes e Fosses, poco più a nord di Cortina. Il 15 gennaio 2006 questo strumento misura una temperatura minima di -37.3°C. Quasi contemporaneamente all’installazione delle stazioni di monitoraggio nelle depressioni fredde da parte dell’ARPAV, sorgono indagini simili in numerose altre doline delle Prealpi Venete, del Friuli Venezia Giulia e del Trentino per iniziativa dell’Associazione Meteorologica Onlus “Meteotriveneto” che instaura collaborazioni con il Consiglio Nazionale delle Ricerche, l’Osservatorio Meteorologico Regionale del Friuli, e l’Unione Meteorologica Friuli Venezia Giulia, fino a stipulare, nell’autunno 2010, una convenzione con ARPAV stessa.

Anche nelle regioni centro-meridionali le zone carsiche sono presenti in larga misura, e così altre associazioni meteorologiche Onlus (“L’Aquila Caput Frigoris” e “Meteoweb”) promuovono monitoraggi degli altopiani e delle depressioni abruzzesi tutte in provincia dell’Aquila (Monti Simbruini, Monti Carseolani) e di alcune doline del Massiccio del Pollino e nei Monti dell’Orsomarso, fra Basilicata e Calabria.

Un altro progetto di monitoraggio scientifico iniziato nel 2010 è stato sviluppato dall’Associazione Onlus MeteoNetwork in collaborazione con il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa e con il patrocinio della Provincia di Cuneo e dei Comuni di Canosio, Ormea e Roccaforte Mondovì. (di seguito)

Il “Progetto di Monitoraggio Termico delle Conche e delle Doline della Provincia di Cuneo” si prefigge lo scopo di monitorare termicamente alcune conche, depressioni o doline presenti sul territorio montano della Provincia di Cuneo.

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Da raffronti ed ipotesi fatte è verosimile credere che alcune località cuneesi possano raggiungere in pieno inverno ed in determinate situazioni meteorologiche temperature inferiori anche ai -30/-35°C. Il progetto si inserisce appieno tra le attività di divulgazione scientifica della meteorologia promosse dalla Sezione Regionale Piemontese dell'Associazione ONLUS MeteoNetwork ed è ispirato agli analoghi studi e monitoraggi effettuati a partire dal 2006 in Veneto, Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia dall'Associazione MeteoTriveneto e dall'Arpa Veneto.

I territori inizialmente monitorati con installazioni mobili sono:

Comune Quota m slm Minima record Strumentazione Inizio monitoraggio Frequenza campionamento Accessibilità invernale Conca del Biecai Roccaforte Mondovì (CN) 1950m -32,03°C 05/02/2012 Omega OM-63 in schermo solare passivo 17/10/2010 10 minuti buona con scarse condizioni di innevamento Conca delle Carsene Briga Alta (CN) 1960m dati non disponibili Omega OM-63 in schermo solare passivo

28/08/2011 10 minuti molto scarsa o nulla Conca delle Turbiglie Pamparato (CN) 950m -32.81°C 06/02/2012 Omega OM-63 in schermo solare passivo 17/04/2011 5 minuti ottima Fonda Brancia Canosio (CN) 2400m -37,48°C 30/12/2013 Omega OM-63 in schermo solare passivo

28/09/2013 10 minuti molto scarsa o nulla Gardetta Canosio (CN) 2300m -22.50°C 05/02/2012 Omega OM-63 in schermo solare passivo 11/09/2011 Fine monitoraggio 28/09/2013

10 minuti molto scarsa o nulla

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1.3 Area studio

Le Alpi Liguri sono formate da un insieme di unità tettoniche, trasportate ed impilate verso l’esterno dell’arco alpino, successivamente dapprima retroflesse, poi coinvolte nelle deformazioni di età e direzione appenninica. In esse sono presenti complessi rocciosi derivati dal continente paleo europeo (dall’esterno all’interno: domini delfinese – provenzale; sub – brianzonese; brianzonese esterno, intermedio, interno), dal suo margine s.s. (dominio piemontese s.l. la cui parte più esterna è detta prepiemontese) e dall’oceano piemontese ligure (rappresentato da due grandi gruppi: successioni ofiolitifere pre – flysch e successione dei flysch).

Figura 5 Carta geologica Alpi Liguri. Leggenda aree studio: (51) Calcari, calcari dolomitici e dolomie; calcari marnosi, marne e scisti bituminose; (85) Rioliti alcaline e iperalcaline, rioliti, localmente con riodaciti: piroclastici, talvolta con intercalazione di epiclastiti; (69) Conglomerati, arenarie, peliti, brecce e calcari silicizzati, a luoghi con lenti d’antracite; (48) Calcari, calcari dolomitici e dolomie.

Le manifestazioni più evidenti del carsismo delle Alpi Liguri sono offerte dalle formazioni calcaree pertinenti al dominio brianzonese, con età comprese tra il Trias medio e il Cretaceo superiore, che costituiscono da un lato le elevate dorsali che sovrastano il bacino superiore del Tanaro e le alte valli del Monregalese e della Roja, dall’altro i più bassi contrafforti sui quali è articolato il versante tirrenico tra la zona sorgentifera delle Bormide e la grande falcatura costiera che si estende tra Albenga e Capo Noli. Le rocce che compongono gran parte delle Alpi Liguri (gruppi del Marguareis e del Mongioie) vedono una compresenza di litotipi impermeabili e carbonatici, tale da

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costringere l’acqua meteorica a seguire il basamento impermeabile e ad originare così le variegate morfologie carsiche ipogee ed epigee.

Tali aree presentano una notevole varietà delle forme superficiali che, a parità dei fattori geo-litologici, sono essenzialmente legate sia alla ipsometria della zona sia al tipo di calcare incontrato (calcari scistosi cretacei o calcarei giuresi). Anche le morfologie sotterranee presentano aspetti assai differenti; in genere si riconoscono nelle aree di assorbimento con andamento prevalentemente verticale con pozzi che possono raggiungere anche notevoli profondità, mentre nelle zone di risorgenza sono presenti grotte ad andamento sub orizzontale. La circolazione delle acque è legata alle condizioni strutturali locali ed in particolare alla posizione del limite o della soglia di permeabilità. Si trovano quindi sistemi completamente sommersi, presenti al di sotto dei talweg di corsi d'acqua; sistemi con base sommersa o sospesi, caratterizzati da una zona di assorbimento e di trasferimento semi attiva o attiva e da una zona satura di dimensioni più o meno rilevanti; e infine sistemi completamente fossili, che testimoniano l'abbassamento del livello di base e l'esistenza di un carsismo profondo sicuramente non più giovane dell’ultimo interglaciale (Eusebio, 1995). In realtà all’interno del territorio preso in esame in questo lavoro, se consideriamo gli strati di rocce più superficiali, troviamo raramente litotipi totalmente impermeabili e di conseguenza il reticolo idrografico risulta scarsamente sviluppato, con corpi idrici temporanei ed effimeri (come ad esempio il Lago Biecai). Dal punto di vista morfologico le Alpi Liguri costituisco nel loro versante settentrionale un grande anfiteatro montuoso in cui creste e valli convergono verso la pianura alluvionale di Cuneo, dove pure confluiscono i principali corsi d’acqua: Stura, Gesso, Pesio e Tanaro. La due doline prese in esame, (dolina delle Turbiglie e dolina del Biecai) hanno entrambe una sezione troncoconica e ricadono rispettivamente all’interno delle aree carsiche di bassa quota, che vanno dai 500 ai 900 m slm, e in quelle di media quota, dai 1000 ai 2000 m slm. I carsi di bassa quota interessano le aree a carattere prealpino, nei tratti medio e basso dei principali bacini idrografici. La morfologia superficiale è caratterizzata da un carso coperto, in genere da spessi depositi eluvio-colluviali, poco permeabili, sui quali si sviluppa una fitta vegetazione prativa e boschiva (roverella, castagno, betulla, faggio), estremamente varia anche come numero di specie e di associazioni, dato che vi si trovano serie di vegetazione del piano collinare di tipo medio-europeo, del piano collinare di tipo supra-mediterraneo o sub-mediterraneo e persino del piano mediterraneo. Il paesaggio carsico si presenta con rilievi collinari separati da solchi torrentizi solitamente asciutti, cocuzzoli pietrosi e brulli; le morfologie più tipiche sono costituite da valli secche e da depressioni chiuse formate in genere da più conche associate e da serie di pianalti con pendenza poco accentuata, o forte assorbimento, privi di scorrimenti idrici superficiali.

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Nelle zone più depresse sono localizzate doline idrovore che smaltiscono le acque temporanee trasportate da piccoli corsi d'acqua. Nella copertura eluvio-colluviale sono frequenti sprofondamenti e piccole doline a imbuto in continua evoluzione. Il deflusso superficiale si concentra in genere in inghiottitoi e fessure presenti in alvei torrentizi o al fondo delle depressioni.

Il carsismo di media quota è in genere caratterizzato da rilievi con forme abbastanza dolci, che si raccordano con i fondivalle attraverso ripidi pendii. Le rocce calcaree risultano in genere coperte da detriti derivanti dagli effetti della gelifrazione e dai residui insolubili. Presentano una copertura vegetale molto varia che spazia dalle faggete ai rodoreti fino alla tipica prateria alpina, dato che in essi si trovano serie di vegetazione proprie sia del piano montano che del piano subalpino (in quest'ultimo, è molto interessante la serie del pino mugo). Le microforme superficiali sono scarse a causa delle rapide modificazioni della roccia per intensi processi crioclastici, mentre abbondanti sono le macroforme rappresentate dalle doline. Le loro dimensioni sono assai variabili, le pareti ed il fondo sono generalmente erbosi, con limitati affioramenti di rocce calcaree.

L'assorbimento delle acque superficiali è in parte diffuso, in parte concentrato in inghiottitoi attivi, posti lungo aste torrentizie secondari. La posizione delle strutture carsiche principali, localizzate trasversalmente rispetto agli assi vallivi, favorisce la perdita sub-alveare di acque provenienti da bacini contigui. Questa singolare situazione condiziona una cospicua circolazione delle acque sotterranee: ne sono testimonianza numerosi sistemi drenati ed altrettante sorgenti caratterizzate da portate elevate non correlabili con le ridotte dimensioni dell'acquifero carsico.

Nonostante attualmente non siano presenti ghiacciai all’interno del territorio delle Alpi Liguri è possibile riconoscere delle chiare morfologie glaciali nelle vicinanze delle montagne più alte. L’area attualmente di maggior interesse è rappresentata dal massiccio che culmina con la Punta Marguareis, dove non è raro trovare gli elementi tipici delle morfologie glaciali costituiti da circhi glaciali, dossi rocciosi montonati, valloni dal profilo parabolico, valli sospese, marmitte ecc.. Molto spesso sui rilievi costituiti da rocce carbonatiche, a quella glaciale si è sovrapposta una morfologia di tipo carsico (spesso con formazione di karren nudi e doline), ma non di rado si è verificato il contrario. In tal senso il paesaggio di alta quota assume in questi casi un aspetto particolare, facilmente riscontrabile ad esempio nella dolina del Biecai, al pianoro della Chiusetta e nella conca delle Carsene. (M.Vanossi, 1990).

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Dal punto di vista climatico le Alpi Liguri risultano complesse da classificare a causa delle notevoli differenze microclimatiche riscontrabili anche in zone distanti pochissimi chilometri.

Questo spicchio di arco alpino rappresenta il primo importate ostacolo orografico per le correnti umide che dal Mar Ligure spirano verso settentrione, entrando in contatto con i flussi di aria fredda che arrivano da Nord Ovest

(

Kappemberger G., Kerkmann J. 1997).

Appena 40 chilometri separano la cima del Marguareis (2651 m), massima vetta delle Alpi Liguri, dalla Riviera Ligure di Ponente: è in questo breve spazio che si svolge il cruciale passaggio tra il clima alpino e quello marittimo, di cui la vegetazione locale è testimone. I valori di temperatura media annua rilevati sulle Alpi Liguri, rispecchiano molto l’orientamento delle valli, ma soprattutto sono collegate all’altitudine del luogo in cui sono misurate.

Figura 6 Valori medi di temperatura riferiti al periodo 2000 – 2012.

L’istogramma (Fig.6) mostra quattro diverse stazioni di rilevamento della temperatura scelte in modo da permettere la simulazione di un gradiente termico verticale, mostrando le temperature medie annue dal 2000 al 2012. In questo caso prendendo in considerazione le sole due stazioni ARPA prese come riferimento in questa elaborazione, si può evidenziare il fatto che il 2012 sia stato un anno mediamente più freddo rispetto alla temperature medie annue del periodo 2000 – 2012. Infatti lungo questo periodo si calcola una temperatura media di 9,6 e 5,2°C rispettivamente per Pamparato e Rifugio Mondovì, mentre la serie termica annua del 2012 presenta una media di 7,2°C per la stazione di Pamparato e un 2012, con esclusione degli ultimi tre mesi riferiti al 2011, con una media di 3,3°C per la stazione di Rifugio Mondovì.

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Il regime delle precipitazioni, in genere, segue un andamento stagionale con le piogge maggiori concentrate durante le stagioni primaverile ed autunnale, e fasi di maggior siccità durante i periodi invernali ed estivi. Contrariamente a quanto accade però su buona parte dell’arco alpino centro-occidentale, il trimestre invernale qui non si rivela necessariamente come quello meno precipitativo: specie nelle vallate del versante settentrionale infatti, la minor piovosità si registra spesso nei mesi estivi. I millimetri di pioggia inoltre seguono una sorta di gradiente altimetrico, ovvero nelle quote più basse (800-1000m), la pluviometria media annua sulle Alpi Liguri oscilla tra i 1100 ed i 1400 mm, mentre sui crinali più alti (> 2000 m) è possibile ipotizzare un valore massimo pluviometrico di circa 2500 mm.

Figura 7 Accumuli di pioggia misurati dalle stazioni ARPA di Pamparato e Rifugio Mondovì.

La figura 7 mostra i millimetri di pioggia accumulati durante un intervallo di tempo che va dal 2000 al 2014, misurati dalle stazioni ARPA di Pamparato e Rifugio Mondovì. In questo caso se consideriamo l’altimetria delle due stazioni di rilevamento, ovvero 1760 m slm per Rifugio Mondovì e 975 m slm per quanto riguarda Pamparato, si intuisce in maniera netta come la piovosità media annua sia maggiore alla quota di 1760 m in cui si registra una pluviometria media di 1168 mm contro i 1088 mm misurati a quota 975 m durante il periodo considerato, non calcolando in esse le precipitazioni solide.

Per quanto riguarda la quantità di neve che mediamente si deposita al suolo nelle Alpi Liguri, come già anticipato infatti, non è raro che proprio su questi crinali le masse d’aria più fredde di origine nord-orientale e quelle meridionali più umide, si incontrino, dando vita ad abbondanti ed estese

0 500 1000 1500 2000 2500 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 m m d i p io g g ia Pamparato Rifugio Mondovì

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nevicate su tutto il territorio fin dalle quote più basse, specie nel trimestre invernale e nelle prime settimane di primavera.

Figura 8 Accumulo (cm) di neve fresca in tre località diverse delle Alpi Liguri.

La figura 8 mostra la somma dei centimetri di neve fresca che si sono accumulati giornalmente durante il 2010, 2011 e 2012. L’anno 2010 risulta particolarmente nevoso con dei valori che a quota 2337 m slm arrivano a toccare i 767 cm, con soli 7 centimetri in più rispetto ai 760 cm di Rifugio Mondovì. Anche il 2012 appare come un anno abbastanza nevoso con Rifugio Mondovì che fa segnare un accumulo di neve fresca di 602 cm. Il manto nevoso si conserva in genere da metà novembre a metà aprile.

La Provincia di Cuneo conta una ventina di valli che, a raggiera, si dipartono dall’alta pianura del Piemonte sud – occidentale. Le due doline prese in esame ricadono all’interno del territorio delle valli Monregalesi che si estendono per circa 35.000 ettari, su cinque valli: Casotto, Corsaglia, Ellero, Maudagna e Roburentello, dove i venti freddi di montagna si mitigano con le brezze marine provenienti dalla costa.

0 200 400 600 800 1000 2010 2011 2012 cm di neve fresca A n n o Argentera (1680 m) Gardetta (2337 m) Rif.Mondovì (1760 m)

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Figura 9 Mappa delle Alpi Liguri con indicate le aree carsificabili (in rosso) e i siti a cui si fa riferimento nel testo.

Tramite la figura 9 è possibile individuare la disposizione geografica delle due doline e le relative stazioni ARPA Piemonte utilizzate come riferimento. Inoltre sono evidenziate in rosso le principali aree carsiche presenti all’interno del territorio delle Alpi Liguri.

La conca delle Turbiglie si trova su un crinale che separa la Valle Casotto dalla Valle Roburentello. Quest’ultima si presenta come una corta valle caratterizzata prevalentemente da carsismo superficiale “coperto”, rivestito cioè da uno strato eluviale non molto permeabile sul quale si sviluppa una rigogliosa vegetazione prativa e boschiva (Vigna, 1985)

In Val Casotto i fenomeni carsici si estendono soprattutto alla testata della Valle, tra le Rocce di Perabruna e Cima Ciuaiera.

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Figura 10 Mappa con le relative isoipse indicante la dolina delle Turbiglie (cerchio rosso).

La dolina in questione si trova, più precisamente, in prossimità di una vecchia strada che collega il comune di Torre Mondovì alla frazione di Serra nel comune di Pamparato, passando sulle pendici del Monte Savino. Ha un orizzonte topografico tendenzialmente basso, fatta eccezione per il versante ovest della dolina stessa. La conca è profonda circa 30 m, con un diametro di circa 180 m e un perimetro di circa 650 m. Il fondo è inclinato con una pendenza stimabile tra i 3° ed i 5° verso l'inghiottitoio della Tana della Turbiglie (W – SW) propriamente detta, ingresso della grotta omonima.

Ad una distanza di qualche centinaio di metri si trova un’altra piccola depressione profonda circa 15 – 18 metri e qualcosa in meno per quanto riguarda il lato esposto a nord, caratterizzato dalla presenza di vegetazione boschiva. Tornando alla conca delle Turbiglie, essa presenta un fondo completamente piatto, e una visione dall’alto ci permette di intravedere a fatica i due inghiottitoi presenti all’interno della dolina, coperti da una folta vegetazione presente solo in quella zona.

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Figura 11 Dolina delle Turbiglie.

La foto (Fig.11) è stata scattata dalla strada e quindi in direzione Ovest. Nella zona d’ombra sono presenti i due inghiottitoi parzialmente coperti dalla vegetazione; il primo immediatamente alla base della parete rocciosa, il secondo dalla parte opposta.

Figura 12 Localizzazione della stazione ARPA di Pamparato e della dolina delle Turbiglie (AMBIENTE ITALIA 3D sviluppato dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare).

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L’immagine precedente (fig.12) mostra la collocazione della dolina delle Turbiglie rispetto alla stazione ARPA di Pamparato, evidenziando il fatto che tra di essi il territorio non presenti particolari morfologie, tali da rappresentare un ostacolo per le condizioni meteorologiche, che quindi presumibilmente risultano abbastanza simili nei due luoghi.

Confinante con la Valle Pesio a occidente e con la Valle Maudagna a oriente, si trova la Val Ellero, che prende il nome dal torrente omonimo e sul cui territorio si trova la dolina del Biecai.

La valle decorre seguendo l’orientamento Sud – Nord per una lunghezza di circa 20 km, senza presentare valli confluenti di rilievo, fatta salva la vallata minore descritta dal corso del fiume Lurisia. La larghezza massima della Val Ellero è di 5 km, quella minima di 2 km, misurando l’intero bacino idrografico circa 85 km2. Il torrente Ellero nasce dal Piscio, un piccolo torrente che sgorga dall’omonima Rocca, situata più o meno a metà della falda del Monte Biecai. Questa rocca, con i suoi 2343 m slm risulta essere una della vette più alte della valle.

Il Piscio diventa Ellero dopo aver percorso poco più di mezzo chilometro dalla testata, e tale sarà il nome che conserverà fino alla sua confluenza nel Pesio, il quale a sua volta si getta, dopo un breve tratto, nel Tanaro (Miola, 2013).

All’interno della dolina del Biecai si forma durante le stagioni più piovose, o come conseguenza dello scioglimento delle nevi, il lago omonimo, quest’ultimo fortemente condizionato dalla natura delle rocce che lo circondano. L’acqua che in esso si raccoglie soltanto in certe condizioni ambientali, permea infatti attraverso il suolo molto permeabile e sgorga nelle sorgenti più a valle; può così accadere che in estate il lago sia quasi completamente asciutto e sul fondo cresca rigogliosa la vegetazione delle torbiere.

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Figura 13 Mappa con le relative isoipse indicante la dolina del Biecai (cerchio rosso).

La dolina del Biecai è profonda circa 40/45 m (1990 m slm il bordo esterno e 1950/55 m slm il fondo), un diametro di circa 480 metri con un orizzonte topografico abbastanza ampio e fondo leggermente inclinato in direzione Est – Nord Est, per la presenza di un inghiottitoio.

La dolina, come già detto in precedenza, per la sua altitudine ricade all’interno dei sistemi carsici di media quota.

La dolina del Biecai ha il suo punto più basso intorno ai 1958 m slm, in corrispondenza del lago Biecai, sul lato Nord – Est troviamo rilievi con un altitudine di circa 2020 m slm, mentre sul lato Ovest troviamo le montagne con altitudine man mano sempre più elevate, fino ad arrivare ai 2651 m slm del Monte Marguareis, lungo il confine con la Francia, dalle cui pendici può soffiare un vento con caratteristiche di Föhn, vento secco e talora violento che scende dal crinale principale delle Alpi verso i fondivalle.

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Figura 14 Dolina del Biecai.

La foto (Fig.14) scattata in direzione Est, mostra la dolina del Biecai con l’omonimo lago all’interno e la Punta Havis de Giorgio in ricordo dell’ alpinista monregalese morto nel 1939.

Figura 15 Localizzazione della stazione ARPA di Rifugio Mondovì e della dolina del Biecai (AMBIENTE ITALIA 3D sviluppato dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare).

La figura 15 mostra una foto ricostruita al computer (in direzione Sud), con Punta Havis de Giorgio che svetta in mezzo tra la dolina del Biecai e la stazione ARPA di Rifugio Mondovì.

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CAPITOLO 2

Metodologia

Per le misurazioni di temperatura all’interno delle due doline sono stati utilizzati dei data logger con le caratteristiche mostrate in tabella 2.

Sito Tipo di

sensore Precisione Risoluzione

Altezza dal suolo

Tipo di

schermatura Latitudine Longitudine Quota Dolina delle Turbiglie Omega OM-63 +/- 0,5°C +/-0,001°C 185cm Schermo solare passivo 44°17′39.81″ 7°54’28.99’’ 950m Dolina del Biecai Omega OM-63 +/- 0,5°C +/-0,001°C 350 cm Schermo solare passivo 44°11′10.94″ 7°42’59.54’’ 1950m

Tabella 2 Caratteristiche data logger utilizzati per le registrazioni delle temperature sul fondo delle doline.

I data logger termici sono dei dispositivi dotati di un sensore per la misurazione della temperatura in un intervallo che va da – 40 a +85°C, e di una memoria su cui i dati rilevati vengono registrati, fino ad un numero massimo di 43343 dati.

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Figura 17 Piatti superiori dello schermo solare passivo e data logger visibile immediatamente sotto.

E' possibile impostare un intervallo di tempo per le registrazioni ed a seconda della frequenza di registrazione, si determina un intervallo temporale in cui la memoria del data logger si satura. I

data logger si differenziano dalle stazioni meteorologiche per l'impossibilità di essere interfacciati

in tempo reale su internet e per la necessità, quindi, di scaricare periodicamente i dati tramite un computer portatile. Tra i vantaggi di questi piccoli strumenti c'è la possibilità di posizionarli in luoghi dove sarebbe impossibile configurare on line una stazione meteo completa collegata permanentemente ad un pc e quindi installarli anche in zone estreme, dove le condizioni meteorologiche nelle stagioni più fredde a causa della copertura nevosa, impediscono il regolare transito. I data logger sono inseriti all’interno di appositi schermi solari, formati da 8 piatti di colore bianco, realizzati in materiale plastico, distanziati l’uno dall’altro di un certo spessore per permettere all’aria di fluire senza alcuna difficoltà al loro interno, ma allo stesso tempo proteggendo il sensore che rileva la temperatura, dai raggi diretti del sole. I piatti che costituiscono lo schermo non sono tutti uguali, poiché quelli centrali sono forati per consentire l’inserimento del sensore, mentre quelli posti all’estremità non lo sono; essi hanno il compito di schermare il sensore non solo dai raggi solari (piatti alti), ma anche dal calore riflesso dal suolo (piatti bassi).I data logger all’interno degli schermi solari sono posizionati sul punto più basso delle doline, su dei pali telescopici sostenuti da tre tiranti ad un’altezza dal suolo di 185 cm all’interno della dolina delle Turbiglie e 350 cm sul fondo della dolina del Biecai.

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Figura 18 Stazione di rilevamento termico installata sul fondo della dolina delle Turbiglie.

La tabella 3 mostra invece le caratteristiche delle stazioni meteorologiche ARPA Piemonte di Pamparato e Rifugio Mondovì, prese come riferimento rispettivamente per la conca delle Turbiglie e per la conca del Biecai.

Provincia Comune Bacino Codice

stazione Stazione UTM X ED50 UTM Y ED50 Quota slm (m) Parametri registrati Data inizio

CN Pamparato Tanaro 311 Pamparato 412659 4904107 975

Livello pioggia 14/10/1997 Temperatura dell’aria 14/10/1997 CN Roccaforte Mondovì Tanaro 309 Rifugio Mondovì 398757 4894142 1760 Direzione vento 13/11/2002 Altezza neve 15/10/1997 Livello pioggia 15/10/1997 Temperatura dell’aria 15/10/1997 Velocità del vento 13/11/2002 Tabella 3 Dati relativi alle stazioni ARPA Piemonte di Pamparato e Rifugio Mondovì.

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