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Osservazioni conclusive
Due sono i principali tipi di prove scientifiche valutate all’interno dei tribunali: l’informazione genetica e quella neuroscientifca.
L’informazione genetica configura il maggior rischio di essere violenti o aggressivi, ma non costituisce un elemento deterministico, non esiste un collegamento diretto tra gene e comportamento, una data variante genica può aumentare il rischio di quel dato comportamento in presenza di specifiche sollecitazioni ambientali.
Allo stesso modo le neuroscienze valutano la correlazione fra varianti della struttura cerebrale e alterazioni comportamentali, nel nostro caso in senso aggressivo, riconoscendo alle prime un ruolo di maggiore predisposizione all’insorgenza delle seconde. Ma come l’informazione genica non determina il comportamento in modo diretto, così il danno neurologico non è direttamente condizionante, ma indica solo un maggior rischio di poter assumere un dato comportamento.
Questo costituisce un problema per i tribunali poiché la prova che stiamo presentando non comporta un rapporto diretto di causa-effetto, è semplicemente uno dei tanti fattori che potrebbe influenzare il comportamento. Senza dimenticare che esistono una lunga lista di studi che dimostrano che a parte la genetica e le neuroscienze, quando si è sottoposti a certe pressioni ambientali come l’abuso infantile o la cattiva educazione, si verifica comunque un analogo incremento del
70 rischio a essere violento. Tenendo conto di ciò bisogna basarsi unicamente su queste prove per prendere delle decisioni? Per ritenere un soggetto non imputabile o riconoscergli una riduzione della pena?
Ciò che queste prove forniscono è la possibilità di comprendere perché la persona ha agito in un determinato modo e ha fatto quel che ha fatto, ma nulla aggiungono al perché lo ha fatto.
In conclusione, la combinazione di studi funzionali cerebrali e tecniche molecolari genetiche in soggetti imputati è utile per capire come il background genetico che ereditiamo dalla nascita moduli il comportamento e la risposta cerebrale nell’identificazione di stimoli esterni. Tali studi ci hanno quindi dato un potente mezzo per scandagliare gli aspetti molecolari intimi della funzione cerebrale, indicano una possibile causa ma non la giustificazione del comportamento assunto. Ecco perché essi costituiscono validi mezzi di valutazione aggiuntivi da considerare nell’analisi complessiva del soggetto, delle circostanze in cui ha agito ma non possono costituire da soli valida prova a sostegno di una riconosciuta non imputabilità.
Le neuroscienze vanno a coadiuvare la valutazione psichiatrica classica dell’imputato, fornendo al giudice, attraverso la figura del neuroscienziato, una visione più oggettiva dei dati.
In altre parole, “la valutazione comportamentale e clinica non può essere sostituita
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tecniche neuropsicologiche e neuroscientifiche dovrebbero, per il momento, essere viste come metodologie di approfondimento e di supporto” .
In questo modo non si corre il rischio di trasformare le neuroscienze in un “mito risolutore”, ma si è pronti ad ascoltarne alcune fondamentali indicazioni, utili in un ottica di completamento della perizia52.