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Conclusioni. La supplica: rituale e tragedia

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Conclusioni.

La supplica: rituale e tragedia

Il rituale e l'esperienza quotidiana dei Greci del quinto secolo

Iniziando il nostro studio sulla supplica, ci siamo posti l'obietivo di rifetere sul testo delle tragedie di Euripide, senza mai prescindere dal contesto in cui si svolgevano le rappresentazioni del dramma.

Abbiamo cercato di tenere presente, come punto di riferimento, il rito per come doveva svolgersi realmente, nella Atene dell'età di Euripide, tentando per quanto possibile di assumere, nello svolgimento del pensiero, un punto di vista che cercasse di avvicinarsi a quello di un ipotetico spetatore della tragedia del quinto secolo, in modo da poter ragionare sul complesso di immagini evocato dalla rappresentazione del rituale nel contesto della performance tragica.

Qeste osservazioni conclusive possono iniziare, quindi, con qualche rifessione sulle principali carateristiche del rito, e sul modo in cui la supplica si inseriva nell'esperienza quotidiana degli Ateniesi del quinto secolo, al di là dei giorni della festa in onore di Dioniso, in cui si svolgevano gli agoni tragici.

Riassumiamo, in breve, i trati fondamentali del rito che sono emersi dal confronto della documentazione tragica con fonti di natura diversa, alla luce anche delle principali interpretazioni pensate dai moderni, che abbiamo ricordato nella prima parte di questo lavoro370.

Il rituale della supplica si può suddividere, secondo la nostra ricostruzione, in tre fasi371. Negli istanti che seguono immediatamente la decisione di ricorrere al 370 Vd. il cap. 1.

371 Vd. il cap. 1 ed il cap. 3, che trata dei tempi del rituale (vd. in particolare il par. 3.5). Abbiamo parlato di tre fasi: approccio, richiesta e risposta. La suddivisione di NAIDEN 2006 prevede quatro passaggi, perché lo studioso suddivide la prima parte in approccio e stabilirsi del contato.

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rituale, il supplice si mete in movimento, e cerca di stabilire il contato con lo spazio sacro o, in alternativa, di stabilire un contato fsico con il supplicato. A partire da questa prima fase, hanno un valore determinante per l'efcacia del rito la postura del supplice, che assume una posizione abbassata, ed il contato con il supplicato o con lo spazio sacro372. Il supplice, tutavia, rimane svincolato dalla

protezione garantita dal rituale fnché il contato non viene stabilito e, di conseguenza, il comportamento di eventuali aggressori non esclude ancora la violenza373.

Per questo motivo, la prima parte del rituale assume spesso le carateristiche di una fuga, nel caso in cui il supplice tenti di raggiungere un santuario, oppure di una resa, accompagnata da un progressivo abbandono del movimento, nel caso in cui il supplice decida di andare incontro al suo aggressore, per toccargli le ginocchia374.

Nel momento in cui il contato è stabilito, il supplice segnala, solitamente atraverso un verbo performativo375, che il rituale si è avviato.

Perché la supplica si svolga è necessario, a questo punto, che tra i partecipanti al rito si avvii una comunicazione. Oltre al contato fsico, il supplice cerca il contato visivo: atraverso la vista, infati, il supplicato può non soltanto dare la disponibilità ad avviare la comunicazione, ma può anche prendere ato della condizione di chi compie il rituale, e può essere mosso a pietà e persuaso. Dalla parte opposta, per il supplice è necessario esporre il proprio corpo alla vista dell'altro: abbiamo osservato, infati, che per supplicare occorre mostrarsi, e in questo modo permetere che si instauri un contato visivo376.

372 A proposito del valore della postura e del contato vd. supra, par. 1.2 e le rifessioni che riguardano il corpo dei supplici al cap. 2.

373 Vd. le osservazioni del par. 3.2 sui movimenti generati nei pressi dell'altare. Vd. GOULD 1973

sulla possibilità di uccidere un supplice prima che questi stabilisca il contato. Cfr. anche PEDRINA 2005, pp. 86-93 per la rappresentazione di questi movimenti nelle rafgurazioni

vascolari.

374 Vd. a questo proposito il cap. 3, in particolare per l'immagine del supplice in fuga il par. 3.2, in generale sui tempi della supplica nelle fonti non tragiche vd. il par. 3.4.

375 Per la defnizione di verbo performativo vd. AUSTIN 1975, vd. supra, p. 8.

376 Sul contato visivo come presupposto della comunicazione vd. FRONTISI-DUCROUX 1995, FRONTISI-DUCROUX, VERNANT 1997. Vd. supra, per il caso in cui un personaggio che ha la

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Nella seconda parte del rituale si assiste ad un confronto tra supplice e supplicato, che si concretizza solitamente nell'esposizione da parte del primo dei motivi per i quali la richiesta è degna di essere accolta e, da parte del secondo, dell'elenco delle cause per cui si acceta o si rifuta la supplica.

Abbiamo visto che, in questa fase, sono diverse le forze che entrano in campo per spingere verso una conclusione positiva del rituale: da una parte si trovano gli argomenti impliciti nel rituale stesso, in particolare la pietà suscitata dalla situazione dei supplici e la minaccia della contaminazione; giocano un ruolo fondamentale anche gli argomenti avanzati dal supplice, che mirano a sotolineare l'esistenza di un legame tra lui ed il supplicato o, in alternativa, a prometere una compensazione futura in cambio della garanzia di salvezza377.

Gli argomenti dei supplici variano da un caso all'altro. In generale, sembrano essere i rapporti di φιλία a garantire l'efcacia del rituale: la supplica può risolversi in modo positivo perché esistono legami di parentela tra i partecipanti, oppure perché si sono creati vincoli di reciprocità tra i due individui o tra le due famiglie378.

L'esempio più limpido del funzionamento di questo meccanismo è contenuto nella risposta di Demofonte agli Eraclidi. Ci sono tre ordini di argomenti che spingono il sovrano ad accetare la richiesta: il primo è il rispeto per gli dei, il terzo è la gloria della cità di Atene. Il secondo argomento riassume due forze diverse: la relazione di φιλία tra la famiglia di Demofonte e quella dei supplici, costruita grazie ad un legame di parentela (τὸ συγγενές), che passa atraverso Pelope ed Alcmena, ed un vincolo di reciprocità (τὸ προυφελείν), in ragione del debito contrato da Teseo per essere stato salvato da Eracle dall'Ade379.

Nel corso della terza fase del rituale i tempi si dilatano, in particolare nella variante della supplica che prevede il ricorso all'altare. Il rito, infati, si prolunga

gesto di coprirsi e scoprirsi il capo vd. CAIRNS 2009, CAIRNS 2012. Per la resa del gesto in

tragedia vd. MASTRONARDE 1979 ed il conceto di “contato comunicativo”, vd. anche TELÒ

2002a e MEDDA 1997, che considera i modi di rendere sulla scena il pianto dell'atore tragico. 377 Vd. supra. par. 1.3.

378 Vd. a questo proposito il par. 1.3, e le osservazioni sull'efcacia del rituale contenute nel capitolo 4.

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potenzialmente fno alla morte del supplice, che minaccia di lasciarsi morire all'interno dello spazio sacro.

Da questo punto in poi è il supplicato a dover decidere. Se acceterà la richiesta, potrà stabilire a sua volta un contato con il supplice, aiutandolo a rialzarsi o ad abbandonare l'altare. In molti casi, il fato che la supplica abbia un esito positivo determina la creazione o il raforzamento di un rapporto di φιλία tra i due partecipanti al rito380.

Nel caso in cui, invece, il supplicato decida di non accetare la richiesta, si pone il problema di interrompere il contato rituale evitando la violenza381. Per i

supplicati che non ritengono sufcienti le motivazioni proposte da chi compie il rito, l'unica strada è quella di sperare che il supplice abbandoni l'altare di propria iniziativa. Tuti i metodi violenti per costringere qualcuno a lasciare l'altare presentano infati il rischio della contaminazione382.

È in questa ultima fase che si nota con maggiore evidenza l'emergere, nel rito, di alcuni trati che sembrano avere un rapporto con la dimensione che defniamo pregiuridica383. Già nel quinto secolo, infati, la supplica è usata come istanza per

proporre una richiesta alla βουλή o all'ἐκκλησία, che si riservano, dopo aver accertato la legitimità del ricorso al rituale, di valutare la richiesta ed esprimere un giudizio384.

Nel caso in cui il rituale coinvolga spazi pubblici come un santuario o un altare citadino, sono diretamente le autorità che esercitano un potere sul luogo in questione ad intervenire nel merito della supplica. I deliti commessi contro chi ricorre al rito possono avere, infati, conseguenze sull'intera colletività. L'intervento del personale del santuario, dei magistrati o dell'assemblea, sembra avere lo scopo di aggirare il rischio della contaminazione, ed evitare che un supplicato poco incline ad accetare la richiesta possa commetere una violenza

380 Vd. l'esempio della prima supplica dell'Ecuba, supra par. 2.6. 381 A proposito della contaminazione vd. supra, 1.4.

382 Per qualche esempio di strategie per allontanare un supplice dall'altare vd. supra, par. 4.5. 383 Per la nozione di predirito vd. GERNET 1968, pp. 175-260, GERNET 2000, con la premessa di

Riccardo Di Donato, e TADDEI 2009b.

384 Per la supplica come procedura pregiuridica vd. supra, par. 1.5, in particlare cfr. la ricostruzione di NAIDEN 2006.

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all'interno dello spazio sacro385.

È apparso, dalle scene delle tragedie euripidee e dal confronto con altre fonti, che la terza fase del rituale è quella maggiormente sotoposta a variazioni, e risulta la meno defnita perché dipende diretamente dal giudizio espresso dal supplicato, da cui derivano precise conseguenze sia per il supplicato stesso che per la colletività coinvolta dal rito.

A costituire l'aspeto maggiormente problematico della supplica, dal punto di vista delle istituzioni della πόλις, è il fato che essa permete ad ogni categoria di presentare una richiesta, che per la forza cogente del rituale necessita di essere ascoltata.

In quanto procedura straordinaria, e sopratuto in quanto rituale religioso, regolato dalle leggi degli dei percepite come leggi panelleniche, la supplica costituisce un'opportunità per le categorie che solitamente rimangono a margine delle atività della πόλις: donne, stranieri, schiavi e, infne, condannati, in particolare per crimini che comportano una contaminazione.

Poteva accadere, e probabilmente accadeva di frequente, che in merito ad una supplica le leggi del rituale contrastassero in qualche misura con le leggi della πόλις. È, forse, per questo motivo che le autorità citadine tendevano, quando possibile, ad intervenire per decidere della sorte dei supplici: esse potevano farlo in modo direto, pronunciando un giudizio, oppure potevano emanare leggi che regolassero e limitassero il ricorso al rituale386.

Un passo che abbiamo già citato in precedenza, e che può essere efcace, a mio avviso, per sotolineare la contraddizione sollevata dal rito in qualche caso, è il commento irato di Ione, nel momento in cui la madre, colpevole di aver tentato di ucciderlo, raggiunge l'altare. Secondo Ione, ai colpevoli non dovrebbe essere lecito trovare rifugio presso i santuari degli dei, ma bisognerebbe, anzi, che questi venissero scacciati dagli spazi sacri:

{Ιων} φεῦ·

385 Vd. supra, par. 4.5.

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δεινόν γε θνητοῖς τοὺς νόμους ὡς οὐ καλῶς ἔθηκεν ὁ θεὸς οὐδ' ἀπὸ γνώμης σοφῆς· τοὺς μὲν γὰρ ἀδίκους βωμὸν οὐχ ἵζειν ἐχρῆν ἀλλ' ἐξελαύνειν· … 387.

È in nome del rispeto delle leggi della πόλις che le autorità citadine si riservavano di intervenire, risolvendo con un giudizio la questione generata dal rituale, problematica e rischiosa per la colletività intera388.

La supplica era, in conclusione, nota ai citadini ateniesi sia nella sua dimensione di rituale religioso, con precise carateristiche formali e specifche implicazioni, sia come procedura in rapporto con le leggi e con le istituzioni della πόλις. Il rito faceva parte, per questo e per altri motivi, dell'esperienza di ogni citadino ateniese.

Una delle principali ragioni per le quali la supplica può essere considerata come un'esperienza pressoché quotidiana per i citadini è senz'altro il fato che il rituale toccava alcuni dei luoghi chiave per la vita della πόλις389.

Il rituale invadeva, infati, spazi che per diversi motivi risultavano centrali per ogni citadino ateniese: i santuari più frequentati, gli altari dei templi più importanti, ma anche il luogo in cui si riuniva l'assemblea citadina, e la casa stessa del destinatario della supplica.

Le dinamiche spaziali, come abbiamo visto, sono tut'altro che irrilevanti ai fni dell'efcacia del rituale390. I comportamenti del supplice ed i suoi movimenti

rappresentano, in termini di semantica del rito, una forma di costrizione. Il supplice viola le principali norme che regolano il rispeto degli spazi sacri, degli spazi domestici o dello spazio personale del supplicato. Ricordiamo qui, come esempio, il comportamento di Odisseo al suo arrivo alla reggia dei Feaci:

387 Eur. Ion 1312-1315. Vd. supra, par. 3.2.

388 Sul coinvolgimento della comunità nel rituale della supplica è ritornato di recente NAIDEN

2014, in relazione ad una iscrizione di Dikaia, in Tracia, (SEG 57, 76, VOUTIRAS 2008,

CHANIOTIS 2011, 156) in cui i citadini sono vincolati da un giuramento a non accogliere gli stranieri. Per l'intervento della comunità in merito al rituale di supplica vd. gli esempi riportati supra, par. 4.5.

389 Vd. per la defnizione degli spazi della supplica in tragedia, il capitolo 4. 390 Vd. supra, cap. 4.

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chiedendo, in quanto ἱκέτης, di essere tratato accolto in casa come ospite, Odisseo raggiunge diretamente il focolare, e lì si siede (ἕζετο391) aspetando di

essere ascoltato392. L'ateggiamento del supplice si rivela completamente diverso

rispeto a quello degli ospiti, che rimangono sulla soglia e vengono invitati ad entrare dal padrone di casa. Dato che il supplice ha ormai raggiunto il focolare, centro dello spazio domestico, Alcinoo è costreto a tratare Odisseo come un ospite, e ad ammeterlo al bancheto393.

L'invasione di certi spazi, pericolosa perché compiuta da individui non sempre pienamente integrati nel tessuto della πόλις, non doveva quindi passare inosservata, e certo costituiva un problema per gli Ateniesi.

Abbiamo tratato, nell'ultimo capitolo, delle complesse dinamiche spaziali che regolavano il ricorso al rituale della supplica in relazione alla πόλις di Atene, e della dialetica tra spazi centrali e periferici. Mentre i rituali che si svolgevano nei santuari alla periferia della πόλις davano modo alle autorità citadine di decidere se integrare i supplici o respingerli al di fuori dei confni, il ricorso al rito nei luoghi centrali della πόλις era visto come una minaccia: ricordiamo, a titolo di esempio, l'istituzione del corpo di guardia che evitava che ladri e schiavi in fuga raggiungessero l'Acropoli di Atene394.

Entrando in contato con i luoghi che costituiscono i punti di snodo fondamentali per le atività della πόλις, la supplica poteva irrompere nella vita di un citadino in qualsiasi momento: nel caso della partecipazione all'assemblea o ad una celebrazione religiosa, ma anche in occasione di un pellegrinaggio presso un santuario, nella pratica quotidiana del culto o, infne, nella vita familiare. Oltre al rapporto con i luoghi ed i momenti della vita della πόλις, la supplica

391 Il verbo ἕζομαι viene utilizzato nell'epica per indicare l'improvviso arrestarsi del movimento. In corrispondenza di una supplica esso sembra indicare, sia nell'epica che nella tragedia, il momento in cui il supplice stabilisce il contato con lo spazio sacro. Sugli usi del verbo in relazione ai tempi del rituale vd. supra, par. 3.4.

392 Hom. Od. VII, 146 e ss. Per un esempio del regolare comportamento degli ospiti, che si fermano sulla soglia prima di entrare in una casa, vd. Hom. Od. VI, 22 e ss. Sul rapporto tra ξενία ed ἱκετεία vd. GOULD 1973, GIORDANO 1999a, pp. 71-134. Vd. supra, par. 1.3.

393 Hom. Od. VII, 159-166. Abbiamo rilevato l'importanza della sussistenza in relazione al rituale di supplica nel paragrafo sulla morte dei supplici (4.5). L'oferta di cibo sembra, in questo caso, integrare il supplice come ospite, vd. supra, par. 1.3.

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entra in relazione con un altro registro spaziale e temporale, che costituisce uno degli elementi fondanti del pensiero dei Greci del quinto secolo: il patrimonio del mito.

Una prima evidenza della rilevante presenza del rituale nel contesto dei racconti mitici può essere data dal ricorrere frequente di scene di supplica nell'epica. Come abbiamo sotolineato a più riprese nel primo capitolo, infati, nell'Iliade si fa più volte riferimento al rito, nella forma della cosiddeta “supplica in bataglia”, mentre nell'Odissea ricorre piutosto la supplica presso il focolare domestico395.

Due degli episodi più celebri dell'Iliou Persis, quello della morte di Priamo sull'altare di Zeus Herkeios396 e quello dello stupro di Cassandra397, sono

rappresentati, inoltre, come violazioni di una supplica.

Più complessa è, invece, la questione dell'inserimento del rituale nel contesto miti celebri che sono stati rappresentati in tragedia come, ad esempio, la supplica di Oreste a Delf o quella di Telefo presso la casa di Agamennone. In questo caso, infati, il racconto del mito risulta fortemente infuenzato dalla sua rappresentazione drammatica. È un'evidenza, ad ogni modo, che nel quinto secolo, in corrispondenza della rappresentazione del dramma nel teatro di Dioniso ad Atene, il rituale venisse considerato come uno degli elementi dei miti più conosciuti e rappresentati: si pensi agli esempi già riportati, del ciclo troiano o di quello degli Atridi, ma anche al caso del ciclo tebano, con la supplica di Edipo a Colono398.

Abbiamo parlato in precedenza dell'utilizzo come τόποι nei discorsi funebri di due celebri episodi di supplica presso la cità di Atene, quello dei Sete eroi argivi e quello dei fgli di Eracle, menzionati nei λόγοι ἐπιτάφιοι allo scopo di dimostrare l'impegno della cità di Atene nel far rispetare le leggi panelleniche, che tutelavano stranieri, supplici ed ospiti399. In questi due casi, come nel caso 395 Vd. supra, cap. 1.

396 Vd. supra, p. 253. 397 Vd. supra, p. 244.

398 Sull'Edipo a Colono, vd. anche VERNANT, J.-P., VIDAL-NAQUET 1986, pp. 149-211.

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dell'Edipo a Colono, anch'esso ambientato in Atica, i miti in cui il rituale si inserisce non fanno soltanto parte di cicli molto noti: con la πόλις atenise come centro, questi miti vengono sfrutati, in un'otica di propaganda, allo scopo di defnire l'identità citadina400.

Più in generale, nei racconti mitici, che nel nostro studio abbiamo analizzato sopratuto come μῦθοι dei drammi, il rito sembra trovare la sua efcacia nel creare, nel consolidare o nel ristabilire legami di φιλία tra i vari personaggi401. Se

invece il rituale non raggiunge un esito positivo, nei racconti si rappresentano gli esiti funesti dell'interruzione dei legami di φιλία, fno alla deriva violenta, al sacrilegio, all'uccisione sull'altare.

È anche in questo senso che si può parlare di forti contati tra la supplica e la quotidianità dei citadini: erano infati le relazioni di φιλία a regolare molti aspeti della società ateniese, e di quella greca in generale.

I rituali di supplica possono far parte, inoltre, delle vicende di un passato recente, che può avere efeti anche sul presente. Ricordiamo, qui, le rivendicazioni reciproche di Ateniesi e Spartani nei momenti iniziali della guerra del Peloponneso402: gli episodi di supplica terminati in modo violento, in alcuni casi

molto lontani nel tempo, hanno conseguenze ancora sul presente delle due cità, che necessitano di essere purifcate.

Se manteniamo ancora, in questa rifessione, la prospetiva del citadino ateniese, possiamo notare un ultimo elemento di un certo rilievo: abbiamo parlato più volte in questo studio di un'esperienza consolidata che riguarda la supplica, ma appare evidente, sia dagli esempi che abbiamo riportato poco sopra sia, sopratuto, dalle considerazioni svolte nei capitoli precedenti, che gli Ateniesi immaginavano raramente il rituale svolto dai citadini403.

Dato che i supplici appartenevano, nella maggior parte dei casi, a categorie che rimanevano a margine rispeto al corpo degli Ateniesi, la supplica doveva avere

400 Sul meccanismo di defnizione dell'identità ateniese nei λόγοι ἐπιτάφιοι vd. LORAUX 1981. 401 Per il ruolo della φιλία nella supplica vd. supra, par. 1.3.

402 Vd. supra, p. 26.

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un forte impato sui citadini, che per essere tali doveva essere uomini che avevano raggiunto l'età adulta. La forza del rituale, che spingeva verso l'integrazione del supplice, costringeva infati il supplicato a confrontarsi con individui che rappresentavano una forma dell'alterità rispeto al gruppo dei πολίται; il contato previsto dal rito costituiva quindi un problema, e doveva essere percepito come causa di forti rischi.

Supplica e rappresentazioni drammatiche

Tuti gli aspeti che abbiamo ricordato per motivare la frequenza con cui il rituale ricorreva nell'esperienza degli Ateniesi del quinto secolo si ritrovano quasi immutati se prendiamo in considerazione il contesto della performance tragica.

Nei drammi di Euripide, infati, si riscontra un gran numero di scene di supplica, e la rappresentazione del rito in tragedia appare come un fenomeno piutosto rilevante.

Non c'è bisogno di insistere a lungo sul fato che il patrimonio mitico, e in una misura importante gli episodi già tratati nei poemi omerici, costituissero il materiale di base per i μῦθοι delle tragedie. Risulta naturale, quindi, che nel dramma si rispecchi l'ampia frequenza di scene di supplica che abbiamo riscontrato nel mito.

Un ulteriore dato deve allertarci sull'importanza del fenomeno della rappresentazione del rituale nel contesto della performance tragica: delle cosiddete suppliant plays soltanto una, l'Andromaca, fa parte delle sete tragedie euripidee trasmesse atraverso il canone alessandrino. Le altre, Eraclidi, Supplici,

Eracle ed Elena, fanno parte delle cosiddete alphabetical plays, tramandate dal

manoscrito Laurenziano404 che riporta le tragedie in ordine alfabetico e che, di

conseguenza, restituisce una panoramica sull'opera di Euripide detata soltanto da criteri casuali. A questo secondo gruppo appartengono, inoltre, lo Ione e l'Ifgenia in Aulide, tragedie che abbiamo visto avere un peso particolare per quel che riguarda la presenza di rappresentazioni di supplica, mentre appartiene alla

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categoria delle tragedie del canone l'Ecuba, della quale abbiamo parlato difusamente.

Il gruppo delle tragedie non sotoposte alla selezione degli Alessandrini è, in linea di massima, più afdabile se si intende parlare della frequenza di un fenomeno all'interno dell'opera di Euripide, di cui conosciamo soltanto una minima parte. Va completamente invertita, di conseguenza, un'afermazione contenuta nelle premesse allo studio di Paola Cassella405, secondo la quale la

presenza di una supplica presso l'altare costituirebbe un criterio di selezione dei drammi che ci sono stati tramandati. Sembra, piutosto, che la presenza di rituali di supplica costituisse una cifra frequente nei drammi che non sono stati selezionati dagli Alessandrini, molto più di quanto non accada per le tragedie del canone.

Tra i criteri che potrebbero aver incoraggiato la rappresentazione della supplica in tragedia ci sono, senz'altro, le carateristiche dello spazio scenico, che abbiamo riassunto nel quarto capitolo di questo lavoro.

Anche se è ancora aperta la questione della possibile presenza di un altare fsso all'interno dell'orchestra406, appare evidente che, in molti casi, lo spazio scenico

rappresenta un luogo sacro, corredato da un altare o da una statua del dio.

Nel caso in cui la tragedia fosse ambientata di fronte ad una casa, inoltre, non era infrequente che fosse presente un altare di fronte alla porta della σκηνή, e che si venisse a creare quindi una streta relazione tra lo spazio sacro, visibile sulla scena, e lo spazio domestico, invisibile407.

Più in generale, le carateristiche dello spazio scenico come spazio del margine, spesso immaginato ai confni della cità o fuori dalla porta di una casa, sono stretamente correlate con le implicazioni del rituale, che mete in discussione l'immissione del supplice in un gruppo che può fare riferimento all'οἶκος o alla

405 CASSELLA 1999.

406 In particolare vd. p. 54. Sulla coincidenza tra l'altare dei supplici ed una strutura fssa, al centro dell'orchestra, focalizzata di volta in volta come altare o come tomba, oppure ignorata in qualche caso, vd. REHM 1988 e WILES 1997.

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πόλις408.

Assistiamo, in questo caso, ad una streta relazione tra le esigenze drammatiche e le carateristiche del rito. Tra i numerosi esempi che abbiamo riportato nel capitolo quarto, vale la pena ricordare il caso dell'Eracle409. Nella prima parte

della tragedia è in questione la sopravvivenza dell'οἶκος dell'eroe, messo in pericolo dalle minacce di Lico. A livello spaziale si genera una tensione tra diversi movimenti: da una parte si trovano le speranze della famiglia di Eracle, che vorrebbe poter restare all'interno della propria casa o, secondo l'alternativa proposta da Anftrione, fuggire in esilio da Tebe, mentre, dalla parte opposta, Lico vuole impedire ai supplici di lasciare la cità e, allo stesso tempo, desidera allontanarli dall'altare che si trova sulla soglia della casa.

Le opposte tensioni che si generano tra Lico e la famiglia dell'eroe vengono rappresentate per mezzo di una supplica che si svolge presso l'altare di Zeus, e risulta chiaro che esiste uno streto rapporto tra le esigenze spaziali del dramma da una parte e, dall'altra, la rappresentazione dei movimenti previsti nel rito della supplica.

Un secondo punto che sembra ofrire una motivazione per la consistente presenza delle scene di supplica nel contesto delle rappresentazioni drammatiche è la coincidenza di status tra i supplici e i personaggi che in tragedia sono spesso al centro dell'azione. Nonostante la presenza, sulla scena tragica, degli eroi del mito, essi sono rappresentati, per le esigenze stesse del dramma410, nella fase del

declino della loro fortuna, in una condizione che molto spesso coincide con quella degli stranieri, degli schiavi o dei soggeti a contaminazione. Su questa linea, occorre fare un discorso a parte per le diferenze di genere: le donne hanno un ruolo fondamentale nei drammi euripidei411, e la componente femminile

costituisce la più larga parte dei personaggi che ricorrono ad un rituale di

408 Sullo spazio scenico come spazio del margine vd. le rifessioni di PADEL 1990, WILES 1997.

409 Vd. supra, pp. 244 e ss. 410 Aristot. Poet. XIII, 10.

411 Vd. POWELL 1990, e DES BOUVRIE 1990. Sul ruolo dei costumi e delle maschere per la rappresentazione delle donne in tragedia vd. BASSI 1998 e WYLES 2011. Vd. sopratuto gli studi di Nicole Loraux (LORAUX 1985; LORAUX 1990; LORAUX 1999), che rifete sul ruolo della

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supplica.

Oltre ad avere lo scopo di stabilire una relazione tra supplice e supplicato, il rituale, con gli ateggiamenti e le parole, è teso a cercare di suscitare la pietà. L'ateggiamento sotomesso dei supplici, che tende ad impietosire chi assiste al rito, si inserisce a pieno dirito nei meccanismi della voce tragica, defnita da Nicole Loraux come una “voce addolorata412”.

Il modo di comportarsi dei supplici viene spesso associato a quello di chi ha subito un luto, ed è da questo punto di vista che la supplica, in particolar modo nella sua dimensione femminile, rappresenta al meglio ciò che ancora Nicole Loraux ha defnito il lato antipolitico della tragedia greca.

Abbiamo ripetuto più volte, anche in queste osservazioni conclusive, che i supplici hanno nella maggior parte dei casi uno status diverso da quello dei citadini ateniesi. Anche il loro ateggiamento, inoltre, doveva causare un senso di straniamento nel pubblico delle rappresentazioni drammatiche. Secondo le nostre osservazioni, in particolare quelle sul corpo dei supplici, il rituale sembra considerato come inadato a un citadino, dal momento che gli ateggiamenti richiesti dal rito assumono una connotazione servile e femminile. Abbiamo ipotizzato, di conseguenza, che fosse proprio questa percezione della supplica a far sì che, al di fuori del repertorio tragico, questa fosse raramente rappresentata nella forma della supplica fsica, che ricorre soltanto in corrispondenza di rituali compiuti da donne o da individui di rango servile413.

È ancora in questo senso che, a mio avviso, si può tentare di motivare la forte presenza di scene di supplica in Euripide con un perfeto inserimento del rituale, con le sue implicazioni e con le immagini che esso evoca negli spetatori per associazione, nel meccanismo di messa in discussione dell'identità citadina portato avanti dalla tragedia greca414.

Sulla scena tragica sono infati presenti personaggi che per la categoria a cui appartengono, ma anche per il modo in cui si comportano e per come parlano,

412 LORAUX 1999.

413 Vd. il cap. 2, a proposito del corpo dei supplici. 414 Su questo vd. LORAUX 1999.

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rappresentano una negazione o una minaccia rispeto ai principi costitutivi dell'ideologia della πόλις.

Se la tragedia aveva, come credo, la funzione di interrogare e di metere in discussione i principi dell'identità citadina ateniese, questo scopo veniva raggiunto non tanto atraverso la proposta di modelli positivi di cità e di citadini. I modelli venivano, piutosto, rimessi in questione, atraverso un meccanismo di confronti e diferenze che tendeva a defnire i punti di contato e le distanze tra il pubblico e i personaggi degli episodi mitici rappresentati sulla scena.

Abbiamo parlato più volte del fato che il funzionamento di questo meccanismo si risolvesse nella percezione di una distanza tra i supplici ed i πολίται che assistevano alle rappresentazioni tragiche.

Può avere valore di conclusione richiamare qui due degli esempi che meglio dimostrano l'ampiezza di questa distanza, a proposito dei personaggi che compiono il rituale negli Eraclidi e nelle Supplici. Nel primo caso il gruppo dei supplici, la cui parte maschile si trova sulla scena mentre quella femminile è immaginata all'interno del tempio di Zeus, è composto da personaggi caraterizzati a più riprese come stranieri, come apolidi, addiritura come schiavi in fuga (δραπέται)415. Nel secondo caso a compiere il rituale, ma anche a

costituire il coro della tragedia, sono donne straniere, in luto per la morte dei fgli416. In entrambe le situazioni il gruppo di supplici è costituito da personaggi

che per ateggiamenti, condizione, addiritura per le vesti che indossano417,

risultano in forte contrasto con il pubblico che assisteva alla rappresentazione, in cui dobbiamo immaginare una maggioranza di citadini e che era, in generale, composto da uomini e donne che stavano partecipando ad una festa418.

È emersa più volte l'incompatibilità tra la supplica ed il contesto festivo. Il senso

415 Vd. supra, par. 4.1. Cfr. MENDELSOHN 2002.

416 Sulla condizione delle madri dei Sete vd. MIRTO 1984, MENDELSOHN 2002. In generale sulla voce lutuosa delle madri in tragedia vd. LORAUX 1990.

417 Sull'importanza e sull'utilizzo dei costumi in tragedia vd. WYLES 2011.

418 Sulla composizione del pubblico delle tragedie vd. supra, p. 86. Cfr. SOMMERSTEIN 1997,

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di straniamento ed il forte impato patetico che derivavano dall'invasione dello spazio scenico da parte dei supplici si possono leggere, in alcuni versi delle

Supplici euripidee. Le donne del coro sotolineano la loro estraneità rispeto al

contesto della festa durante la quale si svolge la vicenda. ὁσίως οὔχ, ὑπ' ἀνάγκας δὲ προπίπτουσα προσαιτοῦσ' ἔμολον δεξιπύρους θεῶν θυμέλας419·

Anche Teseo, al momento del suo ingresso in scena, sotolinea il caratere inquietante della voce lamentosa delle madri in luto.

τίνων γόους ἤκουσα καὶ στέρνων κτύπον νεκρῶν τε θρήνους, τῶνδ' ἀνακτόρων ἄπο ἠχοῦς ἰούσης; … … τί χρῆμα; καινὰς ἐσβολὰς ὁρῶ λόγων· μητέρα γεραιὰν βωμίαν ἐφημένην ξένας θ' ὁμοῦ γυναῖκας οὐχ ἕνα ῥυθμὸν κακῶν ἐχούσας· ἔκ τε γὰρ γερασμίων ὄσσων ἐλαύνουσ' οἰκτρὸν ἐς γαῖαν δάκρυ, κουραί τε καὶ πεπλώματ' οὐ θεωρικά420.

Se questi versi della tragedia vengono leti tenendo presente non soltanto gli eventi del dramma, ma anche e sopratuto il contesto festivo in cui si svolgevano gli agoni tragici, emerge a mio avviso con chiarezza la dimensione straniante e problematica della voce lamentosa delle madri dei Sete421.

Il ragionamento può essere esteso all'ateggiamento dei supplici in tragedia422, 419 Eur. Supp. 63-64.

420 Eur. Supp. 87-89,92-97.

421 Sulla fgura delle madri in luto nella tragedia greca vd. LORAUX 1990.

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distante dall'ateggiamento regolarmente tenuto da un citadino ateniese sia nel contesto delle relazioni sociali, sia per quanto riguarda il rapporto con il sacro423.

Abbiamo visto che una delle funzioni principali del corpo di chi supplica, esposto alla vista del supplicato, è quella di persuadere e di muovere a pietà. Un esempio efcace della forza persuasiva esercitata dal corpo del supplice è, a mio parere, la conclusione del discorso con cui Ecuba, nella tragedia di cui è protagonista, supplica Agamennone:

εἴ μοι γένοιτο φθόγγος ἐν βραχίοσιν καὶ χερσὶ καὶ κόμαισι καὶ ποδῶν βάσει ἢ Δαιδάλου τέχναισιν ἢ θεῶν τινος, ὡς πάνθ' ἁμαρτῆι σῶν ἔχοιτο γουνάτων κλαίοντ', ἐπισκήπτοντα παντοίους λόγους424.

Se, anche in questo caso, allarghiamo la prospetiva dal contesto del μῦθος al contesto, più largo, della performance drammatica si può facilmente ricavare un'impressione sul ruolo determinante dei supplici, con la loro condizione infelice e sopratuto con gli ateggiamenti, i gesti, e le parole, nel coinvolgere gli spetatori, suscitando il sentimento della pietà425.

Se le nostre osservazioni sulla coincidenza delle carateristiche formali e delle implicazioni del rituale della supplica con i temi che vengono solitamente sviluppati in tragedia hanno un qualche fondamento, vale la pena concludere questa rifessione con una indicazione di prudenza.

Abbiamo ribadito più volte che la tragedia, ed Euripide in particolare, costituisce una delle fonti principali non soltanto per le atestazioni del rituale di supplica, ma anche per lo sviluppo di discorsi sulla natura e sulle regole del rito.

423 Vd. supra, per le diverse immagini dell'ateggiamento dei supplici nel contesto delle relazioni sociali e del rapporto con il sacro, par. 2.3.

424 Eur. Hec. 836-840.

425 Per quanto riguarda i sentimenti connessi con la supplica sono interessanti le osservazioni di CAIRNS 1993 sull'αἰδῶς. Sull'efcacia degli ateggiamenti dei supplici per suscitare la pietà del

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In molti casi, tutavia, le dinamiche del rituale sono infuenzate dalle necessità della trama e, più in generale, dalle carateristiche formali del dramma.

Può essere quindi rischioso, a mio avviso, pensare di studiare il rituale della supplica atribuendo lo stesso peso ad ogni fonte, senza considerare le caratistiche proprie di ciascuna delle forme di espressione che ci restituiscono un'immagine del rito.

Ritengo sia efcace, per rifetere sul correto ateggiamento da adotare nello studio del rituale e delle sue rappresentazioni, ricordare un episodio che riguarda la storia degli studi sul rito della Grecia antica. Una svolta importante nella storia delle interpretazioni del sacrifcio greco si è verifcata negli anni '70, con la pubblicazione, a distanza di pochi anni, di Homo necans di Walter Burkert, nel 1972, e nel 1979 de La cuisine du sacrifce en pays grec, a Parigi426.

Nell'agosto del 1980 si incontrano a Ginevra, nel contesto di un convegno organizzato dalla Fondation Hardt, l'autore di Homo Necans e Jean-Pierre Vernant, autore nel libro colletivo di quella che veniva allora defnita l'École de

Paris di uno dei saggi più estesi, che trata della divisione delle parti sacrifcali

nel mito di Prometeo. Vernant partecipa al convegno con un intervento intitolato Théorie generale du sacrifce et mise à mort dans la θυσία grecque427. Nel

corso della discussione che segue la sua conferenza, Vernant risponde ad una domanda di Burkert con una formulazione che, semplifcando, riassume bene le diverse posizioni dei due studiosi:

Sacrifer, c'est fondamentalement tuer pour manger. Mais, dans cete formule, vous metez l'accent plutôt sur tuer, et moi sur manger428».

Vernant ha assolutamente ragione nel sotolineare che i due aspeti dell'uccisione e dell'alimentazione convivono nel complesso di immagini del sacrifcio greco.

426 BURKERT 1972, DETIENNE, VERNANT 1979. 427 VERNANT, J.-P. 1980.

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Aggiungiamo qui una nota, che può essere utile alla nostra rifessione. Anche dai pochi dati che abbiamo raccolto per quel che riguarda l'interferenza con la supplica risulta chiaro che, in Euripide, il sacrifcio è essenzialmente un modo di uccidere429. Se si volesse studiare il sacrifcio considerando soltanto le sue

rappresentazioni tragiche, di conseguenza, ne risulterebbe senz'altro un'interpretazione che esclude l'importanza dell'aspeto alimentare, e che fnirebbe per privilegiare, quindi, le esigenze e le carateristiche della forma di espressione, prescindendo dai dati di realtà430.

Il rito in tragedia: immagini e forma

Molte delle nostre osservazioni, in particolare nei capitoli che tratano del corpo dei supplici e dei tempi del rituale, si sono concentrate sulle carateristiche formali del rito nella sua resa in tragedia.

Qello che è emerso, fn dall'inizio di questo lavoro, è uno squilibrio tra il rituale per come appare rappresentato nel contesto della performance tragica e, invece, ciò che sappiamo di come la supplica poteva realmente svolgersi ad Atene nel quinto secolo431.

La supplica è, come ogni rituale, una sequenza ordinata e simbolica di gesti e di parole, con una propria efcacia. Una delle carateristiche che risaltano, di questo rito in particolare, è l'importanza del corpo che può essere, in qualche caso, il solo elemento che determina l'efcacia. Abbiamo scelto di approfondire il tema della resa tragica delle carateristiche formali del rito, quindi, ragionando sui gesti e sugli ateggiamenti di chi lo compie, in particolare per quel che riguarda la supplica nella sua variante fsica, in cui la postura ed il contato hanno un'importanza fondamentale432.

429 Vd. a questo proposito ZEITLIN 1965, le osservazioni di FOLEY 1985 e LORAUX 1985.

430 Devo queste rifessioni ad un incontro, avvenuto durante il mio periodo di stage al Centre ANHIMA a Parigi, con Stella Georgoudi, tra gli autori della Cuisine du Sacrifce, che ha dedicato negli ultimi anni molti sforzi a ripensare e a sfumare, alla luce di diversi repertori di fonti, le interpretazioni del rituale. Si veda, ad esempio, GEORGOUDI 2005, a proposito dell'occultamento della violenza nel sacrifcio greco.

431 Vd., a proposito della asimmetria tra i rituali e le loro rappresentazioni tragiche, le osservazioni di DI DONATO 2010.

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Abbiamo lavorato, in questa fase, seguendo due linee interpretative: si è cercato, in un primo momento, di ragionare sul corpo del supplice come immagine polivalente, che richiama alla mente dello spetatore diverse associazioni e connessioni433, per poi passare ad una seconda linea di ragionamento, che

considerasse l'efcacia della postura e del contato434.

A proposito di questo ultimo punto abbiamo cercato di dimostrare come gli ateggiamenti fsici del supplice e del supplicato appaiano in molti casi modellati sulla linea di efcacia del rituale. Tra gli esempi che abbiamo ricordato vale la pena, qui, richiamare per sommi capi quelli dell'Ecuba, tragedia in cui il rituale, nella sua forma che abbiamo defnito “supplica fsica”, sotolinea alcuni degli eventi fondamentali del dramma435. La supplica di Ecuba a Odisseo, che richiama

simmetricamente una supplica rivolta dall'eroe ad Ecuba in passato436, restituisce

l'immagine di una direta reciprocità tra supplice e supplicato, intesa in modo così limitato da escludere dalla garanzia di assistenza reciproca anche Polissena, per la quale la madre richiede la salvezza. Pochi versi dopo, con un'immagine costruita in modo quasi speculare, Odisseo si ritrae e si volta, per evitare una possibile supplica da parte di Polissena:

{Πο.} ὁρῶ σ', Ὀδυσσεῦ, δεξιὰν ὑφ' εἵματος κρύπτοντα χεῖρα καὶ πρόσωπον ἔμπαλιν στρέφοντα, μή σου προσθίγω γενειάδος. θάρσει· πέφευγας τὸν ἐμὸν Ἱκέσιον Δία437·

Successivamente Ecuba sceglie di supplicare Agamennone, con lo scopo di chiedere vendeta per l'uccisione del fglio. In questo ultimo episodio troviamo sulla scena il cadavere di Polidoro, sul quale la madre canta il lamento funebre438. 433 Vd. supra, par. 2.3.

434 Vd. supra, par. 2.6. 435 Vd. supra, par. 2.6.

436 A proposito della simmetria tra le due suppliche vd., a p. 48, le osservazioni sull'uso del verbo ἀνθάπτομαι.

437 Eur. Hec. 342-345.

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I movimenti di Ecuba, la cui ricostruzione è incerta, passano dal registro del luto a quello della supplica, nella quale viene probabilmente coinvolto, a livello gestuale, anche il corpo del fglio. Polidoro costituisce in questo caso il motivo principale per il quale il supplicato sceglie di accogliere la richiesta, in ragione di un rapporto di φιλία che si sarebbe venuto a creare tra il fglio di Priamo ed Agamennone, per tramite di Cassandra439.

Nelle tre scene la supplica ha un esito diverso, perché coinvolge diverse forze e diversi argomenti. In ognuna di queste rappresentazioni del rituale il corpo del supplice restituisce, per mezzo degli ateggiamenti e della relazione con il corpo del supplicato e con gli altri elementi della scena, un'immagine chiara delle principali linee di efcacia della supplica, che rende evidente lo stabilirsi o meno di un legame tra i due partecipanti al rituale.

La nozione di polivalenza delle immagini è alla base del metodo che Louis Gernet ha adotato e teorizzato per studiare le immagini mitiche come documenti di protostoria sociale440. Nel nostro caso abbiamo applicato il conceto

di immagine in un senso che corrisponde solo in parte alla formulazione gernetiana: abbiamo defnito infati in questo modo i diversi frammenti del rituale per come veniva rappresentato in tragedia. La nozione di immagine utilizzata in questo senso ci è parsa, in ogni caso, particolarmente adata al nostro studio sulla tragedia, non soltanto per il fato che il dramma trova il suo materiale costitutivo all'interno degli episodi del mito che sono oggeto del metodo gernetiano, ma anche per la particolare efcacia del riferimento al dato visivo nell'ambito di un discorso che trata di rappresentazioni teatrali. La tragedia infati, in parallelo con le rafgurazioni vascolari e in generale con le arti fgurative, costituisce per i Greci del quinto secolo uno dei mezzi principali atraverso i quali i racconti mitici potevano essere rappresentati, ed apparire quindi alla vista di un pubblico di spetatori.

2002, pp. 180-181 sul cadavere che trasforma lo spazio nell'Ecuba. 439 Eur. Hec. 824-835. Vd. supra, p. 99.

440 Vd. GERNET 2004. Per gli studi di Gernet sulla leggenda greca come documento di protostoria

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Abbiamo inteso, quindi, le immagini del rituale in tragedia come unità minime, composte dai gesti, dagli ateggiamenti ma anche dalle parole dei personaggi, nel tentativo di cercare di considerare tuti gli aspeti del rito restituiti atraverso la forma di espressione della tragedia.

In particolare abbiamo studiato il corpo del supplice come immagine polivalente a partire da un dato che ci è parso interessante, e che abbiamo già ricordato poco sopra: la quasi totale assenza di atestazioni di suppliche compiute senza il ricorso all'altare, se si esludono i due vasti repertori dell'epica omerica e della tragedia.

Ci siamo concentrati quindi sui casi in cui il rito ricorre in Euripide atraverso il gesto di cadere a terra. Per comprendere il senso dell'uso tragico di questa immagine del rito abbiamo cercato di capire quale potesse essere la percezione che uno spetatore della tragedia ricavava vedendo, nel teatro di Dioniso, i supplici che cadevano ai piedi di qualcuno. Qello che è emerso, e che abbiamo ricordato anche nel paragrafo precedente, è una connotazione negativa dei gesti e degli ateggiamenti imposti dal rituale della supplica, che vengono in più circostanze defniti come servili o femminili, in alcuni casi prescindendo dallo

status di chi compie il rituale.

Lavorare sulle unità minime della rappresentazione del rito e sulla possibile ricezione delle immagini da parte degli spetatori ci ha permesso di metere in risalto un dato che è, a mio avviso, signifcativo, e che può fornire in una certa misura una spiegazione della mancata coincidenza tra la realtà del rito e la sua rappresentazione tragica.

Secondo il metodo di Gernet le immagini mitiche possono essere messe in rapporto tra di loro atraverso due procedimenti: le connessioni, che legano le immagini di uno stesso mito, e le associazioni, che sovrappongono immagini simili, appartenenti a miti diversi441.

Nei drammi che abbiamo analizzato, i frammenti del rituale servono a richiamare le associazioni di immagini, piutosto che le connessioni. Le sequenze

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delle immagini del rito appaiono determinate dal μῦθος più che dal regolare svolgimento del rituale.

Vengono sviluppate invece, di volta in volta, le associazioni sollevate dal rito nei suoi diversi aspeti, su cui si insiste e ci si soferma in molte scene tragiche. L'esempio migliore del funzionamento di questo fenomeno è, a mio avviso, ciò che abbiamo riscontrato a proposito della resa dei tempi del rituale. Nel dramma non appare necessario, infati, che la supplica venga rappresentata in tuti i suoi elementi, né che i tempi prescriti per un correto svolgimento del rito vengano rispetati442.

Riprendiamo, in questo ragionamento conclusivo, l'esempio del modulo della supplice in fuga443. Nelle rafgurazioni vascolari si trova spesso l'immagine di

una donna che, inseguita, corre verso un altare per supplicare444.

In Euripide ci sono due scene che sembrano corrispondere a questa immagine, nell'Elena e nello Ione445. In entrambe le tragedie, la fuga delle donne risulta

fortemente condizionata dalle convenzioni della messa in scena, che abbiamo tentato di ricostruire. Anche se l'episodio è immaginato come veloce e concitato, infati, esso veniva probabilmente reso dalla recitazione degli atori in modo molto stilizzato, tanto che erano previsti diversi scambi di batute tra le donne e gli aggressori prima che queste raggiungessero l'altare446.

La fuga all'altare corrisponde alla fase iniziale del rituale in cui al supplice si può ancora far violenza447. Abbiamo ricostruito, grazie anche a paralleli con

l'iconografa, il gioco di forze che si crea a questo punto del rituale, in cui il supplice è inseguito, ma può diventare a sua volta violento contro l'aggressore448.

Anche chi insegue è preso tra due diversi movimenti: da una parte egli tenta di tratenere il supplice, per evitare che questo prenda contato con l'altare, e

442 Vd. supra, par. 3.5.

443 Il secondo esempio, riportato nel par. 3.3, trata dell'ultima fase del rituale. 444 Vd. PEDRINA 2005.

445 Vd. supra, par. 3.2.

446 Su questo vd. MASTRONARDE 1979. 447 Supra, par. 3.4.

448 Abbiamo tracciato un parallelo tra questo movimento di volgersi da una parte all'altra ed il termine προστρόπαιος, utilizzato nel lessico della contaminazione, vd. e vd. GERNET 1917,

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dall'altra invece tenta di spingerlo in avanti, per ucciderlo come una vitima sacrifcale. Intorno all'altare si crea quindi una tensione, tra supplice e supplicato, che si risolve nella seconda parte del rito.

Nello Ione si insiste su questo aspeto, e il rituale è rappresentato soltanto nella sua prima fase: Ione insegue la madre per ucciderla mentre questa, immaginata come un serpente dagli occhi fammeggianti449, si rifugia sull'altare e lo minaccia

di riversare nello spazio sacro un «αἷμα προστρόπαιος450».

Nell'Elena, invece, la scena della fuga all'altare richiama un altro aspeto, che abbiamo visto evocato anche nelle rappresentazioni vascolari. Lo scopo dell'inseguimento della donna è, solitamente, lo stupro. La sessualità è il tema che sembra occupare più spazio nella scena della tragedia: appena vede Menelao venirle incontro, Elena fugge verso la tomba di Proteo, pensando che l'uomo sia un aggressore che vuole costringerla al matrimonio451. La scena si conclude,

invece, con il riconoscimento del vincolo matrimoniale che già esiste tra i due protagonisti, e con l'abbraccio tra marito e moglie452.

Il momento iniziale dell'avvicinamento del supplice all'altare, e in generale i diversi momenti e i ritmi del rituale, vengono deformati sulla scena tragica, per costruire un discorso che sollevi alcuni aspeti non sempre richiamati esplicitamente nel regolare svolgimento della supplica, che fanno tutavia parte del complesso di implicazioni del rituale.

Ci è stato molto utile, nel corso della rifessione sulla rappresentazione tragica dei momenti del rituale, il confronto con le immagini vascolari. Anche in quel caso, infati, la singola immagine del rito ha senso soltanto se messa in relazione con i diversi elementi della scena, ed il rituale viene utilizzato come un nucleo portatore di signifcato, in rapporto costante con tuti gli altri aspeti del mito rappresentato. Così, per esempio, le rafgurazioni della supplica di Oreste a Delf sembrano restituire, anche con il modo in cui viene rappresentato il rituale

449 Eur. Ion.1262.

450 Vd. Eur. Ion 1260. Sul signifcato di προστρόπαιος vd. supra, p. 134. 451 Eur. Hel. 625-643.

452 Sull'importanza del contato fsico in tragedia e sulle scene in cui due personaggi si abbracciano vd. KAIMIO 1988.

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atraverso rapporto tra il supplice ed il luogo sacro, immagini diverse che sviluppano di volta in volta diversi aspeti del mito: abbiamo visto, in particolare, che in alcune immagini si insiste sul tema della follia dell'eroe, richiamato atraverso il rapporto tra la fgura di Oreste e quella delle Erinni, mentre in altre rappresentazioni la presenza di Apollo, ed i richiami al rituale del sacrifcio, evocano il momento della purifcazione dell'eroe453.

Allo stesso modo si può sostenere, a mio avviso, che anche in tragedia il rituale della supplica sia utilizzato come uno degli elementi signifcanti di un linguaggio. Di certo, come abbiamo ricordato, la supplica faceva parte dell'esperienza dei Greci del quinto secolo, e la competenza rituale degli spetatori poteva permetere al poeta di deformare il rito, sicuro che gli spetatori avrebbero colto i motivi e le dinamiche della deformazione.

Il rituale della supplica ci appare come un nutrito complesso di immagini, coerenti se pensate nel contesto del rito nel suo regolare svolgimento.

Ognuno dei frammenti del rituale poteva, tutavia, richiamare a sua volta associazioni, che andavano a svilupparsi in sensi di volta in volta diferenti, in parte per adatarsi alle convenzioni delle rappresentazioni drammatiche ma, sopratuto, per modellarsi secondo le esigenze del μῦθος rappresentato nella tragedia.

Le diverse immagini del complesso della supplica potevano essere usate, in conclusione, anche in modo indipendente l'una dall'altra, per costruire atraverso i mezzi della performance tragica una rappresentazione del mito che rispondesse alle esigenze della forma di espressione della tragedia.

Rituali e interferenze

Nel complesso di elementi che si combinano nel linguaggio costruito nel dramma, un posto di rilievo è occupato dai gesti, dalle parole e in generale dalle immagini di altri rituali.

Abbiamo già parlato dell'interferenza che si genera, nel caso delle Supplici euripidee, tra il registro della supplica e quello del luto. Il canto e la danza delle

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madri dei Sete nella parodo della tragedia è costruito come una sovrapposizione dei due rituali, nessuno dei quali è rappresentato secondo un criterio di coerenza con il dato di realtà: relativamente alla supplica, che è richiamata atraverso il riferimento alla postura e all'ato di cadere a terra, non sembra che venga stabilito il contato rituale né con il corpo di chi è supplicato né con l'altare, così come per il lamento funebre manca uno degli elementi, fondamentale anche in questo caso per la necessità dello stabilirsi di un contato, rappresentato dal cadavere del morto.

Oltre al luto, si possono facilmente riscontrare nelle immagini di supplica in tragedia interferenze con altri rituali che accompagnavano diverse fasi della vita degli Ateniesi del quinto secolo.

Nel paragrafo sul corpo del supplice, ad esempio, abbiamo accennato al fato che, nell'Ifgenia in Aulide, la supplica entra in relazione con il rituale del matrimonio, e con il tema della sessualità: Ifgenia, che è stata condota all'accampamento dell'esercito dei Greci per sposarsi, si rifuta, quando scopre il vero motivo per il quale si trova in Aulide, di supplicare Achille: il contato tra i due corpi previsto dal rituale genera αἰδώς nella ragazza, che preferisce far supplicare la madre al suo posto454. Nel corso della tragedia, inoltre, il matrimonio genera

un'interferenza anche con il rituale sacrifcale, nel momento in cui la πομπή che accompagna la ragazza fuori dalla scena, verso il luogo del sacrifcio, viene costruita come una processione matrimoniale455.

Abbiamo visto, in conclusione al quarto capitolo di questo studio, che la morte del supplice all'altare viene in molti casi immaginata nella forma del sacrifcio. A determinare l'interferenza tra i due rituali è l'immagine del sangue che scorre sull'altare: il sangue, che è parte del rito nel sacrifcio, appare nel caso della supplica soltanto come minaccia di un esito violento. Se infati da una parte l'uccisione è uno degli elementi fondamentali della pratica sacrifcale, nella supplica la morte sull'altare di chi compie il rito mete a rischio di contaminazione sia il direto artefce della violenza che l'intera comunità.

454 Eur. IA 992-997. Vd. supra, p. 91.

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Nel momento in cui le minacce di morte rivolte ai supplici vengono immaginate come un delito sull'altare viene messa in evidenza, quindi, tuta la forza del rito e la sua potenziale carica funesta.

Tra gli esempi che abbiamo riportato per evidenziare l'emergere del lessico sacrifcale nel contesto delle scene di supplica vale la pena richiamare per sommi capi il caso dell'Andromaca456, in cui dalla minaccia della messa al rogo della

supplice si passa, quasi senza soluzione di continuità, alla minaccia della morte cruenta sull'altare, atraverso l'uso del verbo σφάζω: «{Αν.} σφάζ', αἱμάτου θεᾶς βωμόν, ἣ μέτεισί σε457».

L'esempio più efcace in questo senso è, a mio avviso, quello dell'Eracle458.

Qesta tragedia è uno dei rari casi in cui si può assistere alla morte dei supplici, anche se questa non avviene in direta corrispondenza con lo svolgimento del rituale. La famiglia di Eracle viene minacciata di essere messa al rogo, motivo per il quale Anftrione e Megara decidono di abbandonare l'altare, chiedendo però al loro aggressore che venga loro concesso di poter vestire e preparare i bambini per la cerimonia funebre. Qando i supplici rientrano in scena, tutavia, i bambini vengono rappresentati più volte come vitime in atesa del sacrifcio: «εἶἑν· τίς ἱερεύς, τίς σφαγεὺς τῶν δυσπότμων;459». La messa a morte dei supplici

viene evitata dall'intervento di Eracle, che sembra forzare verso una risoluzione positiva della supplica. Sappiamo, tutavia, cosa accade nella seconda parte della tragedia: i bambini e Megara, che rientrano in casa insieme all'eroe, vengono uccisi da Eracle, colpito dalla follia nel corso della celebrazione di un sacrifcio. Ci sembra, in conclusione, che il caso dell'Eracle, e in generale la sovrapposizione dei registri di diversi rituali in tragedia, ponga due problemi diversi ma collegati. L'interferenza tra la supplica e gli altri rituali avviene in alcuni casi diretamente sulla scena, atraverso i gesti e le parole dei personaggi; in altri casi, invece, il rito, rappresentato sulla scena secondo le esigenze tecniche del dramma, entra in

456 Vd. supra, par. 4.4.1.

457 Eur. Andr. 260. Vd. supra, par. 4.5. 458 Vd. supra, par. 4.4.2.

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relazione con rituali che si immagina si svolgano negli spazi invisibili agli spetatori, la cui immagine viene ricostruita atraverso le parole di un messaggero.

Abbiamo notato, in questo senso, una massiccia presenza di sacrifci che vengono compiuti negli spazi pensati come contigui allo spazio scenico. Si pensi, ad esempio, al caso dell'Eletra euripidea, nella quale Oreste uccide le sue due vitime mentre queste stanno compiendo un sacrifcio: Egisto si trova nel τέμενος delle Ninfe, sulla via per Argo, mentre Clitemestra si trova all'interno della casa del contadino, rappresentata dall'edifcio della σκηνή460. Sarebbe

interessante, quindi, approfondire le carateristiche formali dei riti che avvengono al di fuori della scena, ed il loro rapporto sia con i dati di realtà che con le pratiche rituali per come erano costruite sulla scena tragica, sotoposte alle convenzioni della performance teatrale461.

In questo lavoro abbiamo cercato di far emergere l'importanza della rappresentazione del rituale nel contesto del dramma del quinto secolo.

In molti casi, un tentativo di comprensione delle dinamiche religiose che regolano gesti, parole e ateggiamenti, ha potuto dare qualche spunto anche per la comprensione del testo e della messa in scena della tragedia.

Abbiamo parlato, nel corso di queste osservazioni conclusive, di un linguaggio del dramma, costruito grazie ad una fta rete di riferimenti all'esperienza degli spetatori e, in particolare, grazie al riferimento ad una competenza del rito e del culto. Studiare la forma di un rituale, percorrere le strade aperte dalle associazioni delle immagini che lo compongono, interpretare i discorsi che si costruiscono sulle sue regole e sul suo signifcato, può portare, a mio parere, a fare un passo nella direzione di una comprensione del contesto in cui si è prodoto il dramma antico, e può portare allo stesso tempo a decifrare una parte

460 Vd. supra, p. 270.

461 Sono, a questo proposito, molto interessanti gli studi che rifetono sulla rappresentazione della morte di Ifgenia nell'Agamennone, riferita dal messaggero. Sulla questione è tornato di recente MEDDA 2012, ed è molto interessante la teoria di BONANNO 2006: la studiosa sostiene che l'immagine del sacrifcio, nel discorso del messaggero, sia costruita secondo le stesse dinamiche delle immagini che si svolgono sulla scena.

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del linguaggio che compone la tragedia, come unione di spetacolo e di parole. Capire che posto occupino i rituali nella costruzione di questo linguaggio, come risultino modifcati dal fltro del dramma, e come vengano intrecciati ed associati tra loro per costruire nuovi elementi di signifcato può, a mio avviso, dare qualche risultato sia per comprendere i diversi elementi che compongono il rituale sia per aggiungere qualche punto alla comprensione del fenomeno, complesso, della tragedia.

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