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Tfr in azienda, vale la prima scelta Italia Oggi (Lavoro e Previdenza) 30/04/2008
ItaliaOggi
ItaliaOggi - Lavoro e Previdenza Numero 103, pag. 43 del 30/4/2008 Autore: di Daniele Cirioli
I chiarimenti in una delibera della Covip sulla destinazione del trattamento di fine rapporto Tfr in azienda, vale la prima scelta
Quando si cambia lavoro l'opzione non deve essere ripetuta
La scelta di mantenere il tfr e di non destinarlo alla previdenza integrativa non deve essere ripetuta dal lavoratore in caso di cambio lavoro (cessazione e nuova assunzione), continuando a valere fino a una sua esplicita revoca. Quando, invece, a seguito della cessazione di un rapporto di lavoro,
il lavoratore abbia riscattato integralmente la posizione costituita presso un fondo pensione, in caso di nuovo rapporto di lavoro dovrà ripetere la scelta sul tfr nel consueto termine di sei mesi. Lo precisa, tra l'altro, la Covip in una delibera del 24 aprile con cui fornisce chiarimenti sulle scelte di
destinazione del tfr da parte dei lavoratori che attivano un nuovo rapporto di lavoro.
Adempimenti per le imprese. I chiarimenti dunque interessano i lavoratori che cambiano lavoro, ma che hanno già fatto una scelta sul tfr (utilizzando la modulistica ufficiale: i moduli Tfr1 e Tf2) perché titolari di rapporto di lavoro al 1° gennaio 2007 o anche perché assunti successivamente a tale data in vigenza della riforma della previdenza integrativa introdotta dal dlgs n. 252/2005.
La Covip, innanzitutto, suggerisce come comportarsi ai datori di lavoro.
Quello che assume, spiega, è tenuto a verificare quale sia stata la scelta in precedenza compiuta dal lavoratore. A tal fine, dovrà farsi rilasciare un'apposita dichiarazione in merito, che conserverà negli atti, rilasciandone copia controfirmata per ricevuta al lavoratore. La dichiarazione andrà corredata da una relativa attestazione del datore di lavoro di provenienza.
Il quale, secondo la Covip, è opportuno che all'atto della cessazione del rapporto di lavoro la rilasci per attestare (appunto) la scelta compiuta dal lavoratore sulla destinazione del tfr. Laddove
l'attestazione non venga rilasciata, il lavoratore potrà allegare alla sua dichiarazione altra
documentazione comprovante la scelta a suo tempo effettuata, come per esempio una copia del modulo Tfr1 o Tfr2.
Scelta di mantenere il tfr. Quando il cambio lavoro interessa un lavoratore che, in precedenza, abbia già optato per conservare il tfr sotto forma di retribuzione differita, non andranno fatte nuove scelte:
il nuovo datore di lavoro continuerà a mantenere il tfr in questo regime. Fermo restando la
possibilità da parte del lavoratore di rivedere la sua decisione e, in qualunque momento, destinare il tfr a una forma pensionistica integrativa.
Riscatto integrale di posizione. Il lavoratore che avesse scelto di conferire il tfr a un fondo pensione e che, a seguito di cessazione del rapporto di lavoro, abbia successivamente riscattato integralmente la posizione individuale, deve attestare al nuovo datore di lavoro questa sua situazione. La nuova assunzione rappresenterà una nuova occasione per decidere sul destino del tfr, decisione da
prendersi entro sei mesi utilizzando il modulo Tfr2. Allo scadere dei sei mesi, se manca un'opzione esplicita il tfr del lavoratore maturato dal settimo mese in poi, finirà integralmente al fondo
pensione negoziale o, in assenza, a FondInps.
Perdita dei requisiti. Per il lavoratore che abbia già optato per il conferimento del tfr a un fondo pensione, la scelta a suo tempo effettuata rimane efficace anche nei confronti del nuovo datore di lavoro. Se il cambio di lavoro dovesse comportare la perdita dei requisiti di partecipazione al fondo pensione prescelto, tuttavia, il lavoratore dovrà indicare al nuovo datore di lavoro la nuova forma di previdenza cui intende far confluire il tfr maturando, considerando (evidentemente) le nuove
opportunità che gli derivano dal nuovo rapporto di lavoro. Anche per tale scelta la Covip indica il termine di sei mesi dalla data di assunzione. In tal caso, attenzione, la scelta non sarà tra destinare il tfr alla previdenza integrativa o mantenerlo come retribuzione differita; ma si limiterà
all'individuazione del nuovo fondo pensione. In mancanza di scelta, varrà il silenzio assenso e il tfr verrà destinato integralmente al fondo pensione negoziale o a FondInps.
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Sulla precedenza contrari aperti e Pip Sole 24 Ore, Il (Plus) 05/05/2008
Plus
sezione: ATTUALITA data: 2008-05-03 - pag: 15 autore:
Consultazione. Critiche allo schema Covip Sulla «precedenza» contrari aperti e Pip
La proverbiale pietra dello scandalo si trova all'articolo 11, comma 1.h dello Schema di regolamento sulle modalità di adesione alle forme pensionistiche complementari. Al passo
"incriminato" si invita il collocatore di fondi aperti o Pip, a fornire «informazioni comparative circa le caratteristiche essenziali di quest'ultima rispetto a quella collettiva indicata dal soggetto interessato, almeno con riguardo al diritto a ricevere l'eventuale contributo del datore di lavoro e alle differenze di costo tra le forme». In altre parole obbliga gli emissari di Sgr o di compagnie a proporre in prima istanza i fondi pensione di categoria. Circostanza particolarmente indigesta a chi propone fondi aperti e Pip e cerca di ritagliarsi un ruolo nel secondo pilastro previdenziale. «Come sempre andremo a
comunicare ciò che ci impone la Covip – dice Danilo Masci, responsabile della rete di Arca Sgr –. Certo, non andremo a enfatizzare le qualità dei prodotti degli altri, ma
valorizzeremo i nostri». A denti stretti c'è chi sottolinea anche lo scarso tempo lasciato per la consultazione, che scade il 5 maggio prossimo: 10 giorni scarsi, ponti compresi, per le osservazioni a un testo atteso da mesi. Non tutti sono però contrari alla posizione Covip:
«Quando proponiamo un nostro fondo aperto in azienda – dice Roberto Gallo,
responsabile previdenza complementare di Reale Mutua – illustriamo con chiarezza e trasparenza che esiste un fondo negoziale, parliamo dei costi, facciamo un confronto con il nostro. E poi portiamo acqua al nostro mulino: presentando i punti di forza del nostro fondo e di come i lavoratori, aderendo collettivamente, può ugualmente avere il contributo datoriale».
Un altro punto dello schema che inizia a far discutere e che potrebbe venir limato al termine della consultazione riguarda i ruoli dell'attività di vigilanza. La Covip infatti vigila sui prodotti previdenziali ma non sui collocatori: i promotori finanziari sono vigilati dalla Consob, gli agenti assicurativi dal'Isvap, la Legge Maroni e la legge sul risparmio si dilungano diffusamente su questa materia. Su cui ora interviene la Covip, senza però esplicitare i quali punti le norme vanno modificate.
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L'hedge? Garantirà il potere d'acquisto Sole 24 Ore, Il (Plus) 05/05/2008
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sezione: ATTUALITA data: 2008-05-03 - pag: 15 autore:
INTERVISTA Carlo Alberto Bruno Schroders
«L'hedge? Garantirà il potere d'acquisto»
«Utilizzare hedge fund e altri strumenti alternativi è necessario ai fondi pensione: nella media dei portafogli oltre il 90% del rischio è concentrato sui mercati tradizionali. Ciò significa che
attualmente la diversificazione dalla fonte di rendimento sistematico è insignificante:
questo è un fattore di rischio troppo trascurato. Occorre riequilibrare i portafogli sulla capacità di creare valore e sulla ricerca di nuovi mercati». Carlo Alberto Bruno, oltre a guidare Schroders Alternative, segue la previdenza complementare sin dalle riforma degli anni 90 ed è tra l'altro consigliere di due fondi pensione negoziali, Previambiente ed Espero. «La questione non consiste nell'identificazione di un prodotto in più o meno da inserire in portafoglio ma riguarda la coerenza tra il portafoglio stesso e gli obiettivi del fondo pensione.
Cosa significa?
Quello che conta è una corretta diversificazione del portafoglio. Se questo è concentrato su una sola fonte di rischio è un problema per gli aderenti.
Non basta diversificare tra azioni e obbligazioni?
No, perché la correlazione tra le due asset class è instabile. Fino al 2000, per oltre 20 anni, i rendimenti obbligazionari e i prezzi delle azioni si muovevano in direzioni opposte: ciò significa che la variazione del valore attuale degli obiettivi previdenziali poteva essere controbilanciata da una variazione degli attivi. Dal 2000 a oggi la correlazione è diventata positiva: portafogli solo investiti tradizionalmente hanno quindi meno chances di
adeguarsi al trend delle prestazioni. Inoltre, dal 2000, i rendimenti reali medi delle
obbligazioni nel mondo sono collassati al di sotto della media dei tassi di crescita reali del Pil e le performance cumulate azionarie globali sono nulle. Queste dinamiche impattano sulla possibilità che i fondi pensione, sia per quanto riguarda quelli a prestazione definita, sia per quelli a contribuzione definita, siano in grado di conseguire gli obiettivi.
Questo significa rivedere l'organizzazione interna dei fondi italiani&
Ovviamente non basta, come si fa oggi, pensare che il rischio di portafoglio sia il tracking error dal benchmark. Bisogna avere una visione del profilo di rischio assoluto del fondo rispetto all'obiettivo: perlomeno, la conservazione del potere d'acquisto del montante contributivo dalla fase lavorativa alla pensione.
Cioè il rendimento del fondo deve essere nel corso del tempo mediamente in linea con il tasso di crescita medio dei salari degli aderenti.
Per far ciò, il direttore del fondo avrà maggiori oneri e responsabilità?
Certo, ma soprattuto il Cda è chiamato a maggiori responsabilità; e ciò significa che il fondo deve investire maggiori risorse, strumenti e persone, nella costruzione strategica del portafoglio e nel monitoraggio. Da realizzare in casa o in outsourcing.
E chi non ha le risorse da destinare a questi obiettivi?
Spetta alla Covip verificare che i fondi pensione siano all'altezza del compito per cui sono stati istituiti.
Riuscirà a forzare le resistenze dei sindacati, poco propensi a questo tipo di novità?
Occorre concentrare l'attenzione sul fatto che il rischio di portafoglio è il rischio di fallire gli obiettivi. E questo è un rischio finora negletto, che è il caso di iniziare ad affrontare.
«Sono necessari per diversificare il rischio nei negoziali»
Carlo Alberto Bruno, per Schroders si occupa di gestioni previdenziali
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Quote al Fondo se ci sono iscritti Sole 24 Ore, Il
05/05/2008
Il Sole-24 Ore
sezione: NORME E TRIBUTI data: 2008-05-03 - pag: 29 autore:
Anche quando l'azienda non aderisce all'intesa sindacale Quote al Fondo se ci sono iscritti
Maria Rosa Gheido
Le quote di contribuzione ai fondi pensione che i contratti collettivi pongono a carico del datore di lavoro, pur avendo una struttura contributiva, hanno natura retributiva ancorché con effetti previdenziali. Il che fa sì che non rientrino nel concetto di «retribuzione
minima» prevista dall'articolo 36 della Costituzione, quanto piuttosto nel comma 2 dell'articolo 38 della stessa Costituzione.
Lo ha chiarito il ministero del Lavoro con l'interpello 11 del 2 maggio, che risponde a un quesito del Consiglio nazionale dell'Ordine dei consulenti del lavoro sulla natura delle quote contributive, diverse dal Tfr, destinate al finanziamento delle forme pensionistiche complementari. Le quote, secondo il ministero, hanno una funzione diversa rispetto al
«minimo retributivo » costituzionalmente garantito dall'articolo 36, che la consolidata giurisprudenza identifica con gli elementi retributivi di generale applicazione: retribuzione minima, mensilità aggiuntive, ferie e così via.
Diversamente, la contribuzione ai fondi pensione, pur rimanendo del tutto volontaria, è intesa ad attuare l'articolo 38 della Costituzione, in particolare il comma 2 che sancisce il diritto dei lavoratori a che siano «preveduti e assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria
». Sul diverso posizionamento, di previdenza pubblica e privata, e sul grado di tutela costituzionale assicurata ai due sistemi molto si è discusso, traendo spunto anche dal loro diverso posizionamento nell'articolo 38. La sentenza 393/2000 della Corte costituzionale considera realizzato un collegamento funzionale tra previdenza obbligatoria e previdenza integrativa essendo, oramai, consolidata la tendenza ad assegnare a quest'ultima «il
compito di concorrere, in collegamento con quella obbligatoria, alla realizzazione degli scopi enunciati dall'articolo 38,secondo comma, della Costituzione». Già nel 1995, la Corte costituzionale, nel sancire la ragionevolezza dell'esclusione, dal reddito imponibile, dei contributi versati alla previdenza complementare, affermava che ciò era giustificato dall'esigenza, già riconosciuta dalla stessa Corte con la sentenza 427 del 1990, di favorire lo sviluppo dei fondi di previdenza complementare.
La natura retributiva della contribuzione ai fondi pensione negoziali fa si che, pur essendo la stessa inserita nell'ambito dei fondi con origine contrattuale, il datore di lavoro è
obbligato al versamento dei contributi nella misura prevista dal contratto col-lettivo, quando il lavoratore aderisce al fondo negoziale impegnandosi egli stesso al versamento della quota posta a suo carico.
L'obbligo interessa sia i datori di lavoro iscritti a una delle organizzazioni che stipulano il contratto collettivo, sia quelli che, esplicitamente vi fanno riferimento o, di fatto, lo
applicano. Ne sarebbero esclusi solo i datori di lavoro non iscritti all'organizzazione sindacale che stipula gli accordi istitutivi dei Fondi e che non applicano, nemmeno di fatto, gli stessi accordi. I quali dovranno, peraltro,porre particolare attenzione al rispetto dell'articolo 36 garantendo, comunque, ai lavoratori, una retribuzione equa e
proporzionata alla qualità e quantità della prestazione.
IL CHIARIMENTO
Secondo il dicastero i contributi che il datore è tenuto a versare hanno natura retributiva con effetti previdenziali