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Punti nevralgici del dibattito HIV/AIDS

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Punti nevralgici

del dibattito HIV/AIDS

Prese di posizione in merito alla lotta contro l'AIDS in Svizzera

AIDS-

INFORMAZIONE SVIZZERA

ASSOCIAZIONE A FAVORE DELL'INFORMAZIONE SULL'INFEZIONE HIV

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Punti nevralgici

del dibattito HIV/AIDS

Prese di posizione in merito alla lotta contro l'AIDS in Svizzera

di

M. G. Koch, K. Aprii, K. Baerlocher, J. Barben, W. Flury, M. Geiser, D. Hauri, G. P. Jenny, T. Keller, H. Koblet, R. Köster, Ch. Probst, E. Rochat,

W. E. Schreiner, H. Schwarz, B. Simeon, W. Steinke, R. Streit, F. Thévoz, B. Truniger,

D. Walch, H. Wick, C. Wyler

AIDS-Informazione Svizzera

Zurigo 1993

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Autori: Koch, M. G. e altri

Editore: AIDS-Informazione Svizzera

© AIDS-Informazione Svizzera

ISBN 3-905085-19-4

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Sommario

Introduzione 3 1 Unlinked testing 3 2 Informed consent 5 3 II diritto di non sapere 9 4 Contact tracing 12 5 Partner notification 13 6 Contenuti dell'informazione 14 7 La necessità di dati 15 8 II profilattico 17 9 II bacio 18 10 La droga 19 11 La legge sulle epidemie 20 12 Una lobby sbagliata 22 13 Omosessualità 24 14 Competenza e responsabilità 24 15 Dibattito aperto 25 16 Finalità dell'AIDS-Informazione Svizzera 25 17 Logica della lotta contro le epidemie 27

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Queste prese di posizione costituiscono una piattaforma di discussione e sono formulate da membri dell'AIDS-Informazione Svizzera e dal suo comitato scientifico, tra cui figurano numerosi medici che ricoprono posizioni di primo piano a livello clinico.

Si veda altresì in merito a questa tematica il quadro dettagliato delle strategie di depistag- gio abbozzato da M. G. Koch, «II test per accertare l'infezione da HIV»* elaborato nel 1989 su incarico di tre paesi europei (edizioni AIDS-Informazione Svizzera); in merito alle finalità del gruppo di lavoro AIDS-Informazione VPM e dell'AIDS-Informazione Svizzera: J. Barben, K. Aprii: «AIDS - Paralisi di individuo e società nella lotta contro l'AIDS»*, Zurigo 1992, p.

284 (edizioni AIDS-Informazione Svizzera); in merito alla politica attuata in presenza di un'epidemia M. G. Koch: «AIDS - l'esplosione silenziosa»* Nomos-Verlag, Baden-Baden 1988, p. 248; in merito alla situazione epidemiologica attuale: M. G. Koch, «Dal lentivirus all'epidemia ritardata - bilancio del primo decennio di AIDS»*, Università di Vienna, Hygiene Aktuell 1989 (3): 2-40; «L'epidemia di HIV/AIDS - sua rilevanza per gli etero- sessuali»* Università di Vienna, Hygiene Aktuell 1991 (3+4): 77-99.

* disponibile solo in tedesco

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Punti nevralgici del dibattito HIV/AIDS

Prese di posizione in merito alla lotta contro l'AIDS in Svizzera

Introduzione

Allorché in una società democratica si ha a che fare con questioni com- plesse si assiste regolarmente a un conflitto di opinioni. Ciò è normale ed è quanto avviene ad esempio per l'epidemia di HIV/AIDS, per il pro- blema della droga, nel campo della sessualità e per tutte quelle questioni in cui occorre considerare sia le aspirazioni individuali che il riguardo per gli altri. Per quanto attiene alla lotta attuale contro la diffusione dell'infezione da HIV, si può sicuramente parlare di concordanza di intenti con l'Ufficio federale della sanità pubblica (UFSP). Tuttavia ri- guardo ai metodi per conseguire i fini l'opinione di ben oltre 380 medici, dentisti, giuristi, psicologi e pedagoghi, associati nell'AIDS-Informazione Svizzera, diverge nettamente da quella dell'UFSP e dell'«Aiuto AIDS Svizzera». In una società pluralistica, caratterizzata dalla molteplicità delle opinioni, un tale divario di vedute non dovrebbe creare turbamenti.

Vogliamo qui riprendere alcuni punti «nevralgici» - quindi importanti e delicati - del dibattito. Essi si ripresentano puntualmente e sembrano contraddistinguere la scelta di metodo tra una lotta all'epidemia più attiva e orientata all'intervento e un tipo di lotta più passiva, diremmo descrittiva, che si limita a rivolgere appelli e a sperare - strategie en- trambe sostenibili, in fin dei conti, e di cui occorrerebbe approfondire attentamente il pro e il contro. Si discuteranno perciò qui di seguito le conseguenze, nonché gli aspetti razionali ed etici che implicano i vari punti di vista, ma si prenderà altresì posizione per evitare un'interpreta- zione scorretta delle nostre opinioni e dei nostri fini.

1. Test a caso anonimi («unlinked testing»)

[Un problema elementare che dovrebbe essere risolto da tanto tempo.] In caso di

«unlinked testing» nessuno - né chi si sottopone al test né chi effettua il

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test - può collegare i risultati a una determinata persona. Il test si effet- tua nel più completo anonimato. Per questa ragione i comitati etici di vari paesi - per es. in Gran Bretagna, Svezia, Baviera, USA - non vi hanno scorto alcun pregiudizio per i diritti della persona e questo test è pra- ticato un po' ovunque. I risultati così ottenuti sono preziosi e non si segnalano problemi di rilievo.

In base a una concezione giuridica largamente condivisa questo tipo di test non prevede il consenso di chi vi è sottoposto. Due esempi degni di nota chiariranno meglio la questione.

(1) Parecchi anni fa in Svezia circa 1000 provette con il siero di pazienti, prelevato per altri scopi, furono messe in un contenitore con acqua calda:

tutte le etichette si inzupparono e si staccarono. I campioni di siero risul- tavano dunque del tutto anonimi e l'analisi accertò la presenza di 8 siero- positivi HIV. Nessuno sapeva di chi fosse il siero contaminato. L'anoni- mato delle persone infettate fu rispettato, ma nessuno si giovò delle preziose conoscenze acquisite.

(2) A Londra - tra il luglio del 1988 e il marzo del 1991 - vari test anonimi del sangue del cordone ombelicale di neonati comprovarono un notevole incremento della prevalenza HIV. Soltanto il 20% delle pazienti risulta- vano sieropositive ai loro ginecologi, per cui il numero supposto dei casi non poteva essere inferiore al 400% (Ades et al., N Engl J Med 1991, 337:

1563). Ma a causa del completo anonimato anche in questo caso non fu possibile avvertire nemmeno una delle circa 130 donne risultate sor- prendentemente positive al test HIV.

Per questa ragione numerosi cimici d'indiscussa esperienza hanno rifiu- tato a lungo questo tipo di test. Non volevano in effetti assumersi la responsabilità di nascondere a qualcuno la verità sul suo stato di siero- positività - che avrebbe però in seguito potuto evitare altri casi di AIDS.

Tuttavia ci si trovò poi d'accordo nel considerare in fondo un «unlinked testing» meglio di niente, poiché i test anonimi permettevano comunque di raccogliere dati epidemiologici sull'evoluzione dell'infezione.

Siamo davanti a un dilemma di natura etica. Non si è potuto stabilire - né in Svezia né nel caso delle donne britanniche - se le portataci di virus HIV avrebbero voluto essere informate o meno della loro infezione. È da

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supporre che per lo meno alcune - se non la maggior parte - avrebbero fatto di tutto per conoscere il proprio stato di salute, non fosse altro che per non contagiare il partner. Proprio coloro che attribuiscono ai siero- positivi un forte senso di responsabilità nei riguardi delle persone sane, nonché la capacità e la volontà di agire come le circostanze lo richiedono, devono ammettere che la conoscenza della propria sieropositività può salvare vite umane. Certamente si da anche il caso raro del portatore di virus HIV irresponsabile o incauto che non vuole conoscere la verità sul suo stato e contagia senza scrupoli altre persone col virus mortale. È però profondamente immorale portare tali casi ad esempio per negare ai portatori del virus HIV la possibilità di salvare la vita dei loro cari, poiché si eleva a norma il comportamento più pericoloso e socialmente più nefasto.

Oggi le condizioni per effettuare il test sono talmente favorevoli che chiunque lo desideri può fare il test quando vuole. In molti paesi il test è gratuito, ma - cosa alquanto strana - non in Svizzera. Ciò può essere un indizio dello scarso interesse mostrato in passato nell'acquisire dati e conoscenze. Basti pensare che l'«Aiuto AIDS Svizzera» ha pubblicato un testo dall'eloquente titolo «Otto ragioni per non fare [!] il test». Un tale testo scoraggia chiunque volesse conoscere il proprio stato di salute.

In linea di massima il principio di negare connessioni («unlinked») impe- disce di vedere i rapporti di causa e effetto e di riconoscere tutti i parti- colari epidemiologici (tendenze diverse, vie di trasmissione dell'infe- zione, gruppi a rischio ecc), nonché di constatare impressionanti concatenazioni di infezioni evitabili, come quelle rilevate in Romania, Russia, Svezia, India e Danimarca. Ciò nonostante il cosiddetto «un- linked testing» è decisamente da preferire - con le riserve summenzio- nate - a una totale assenza di test. Da noi se ne parlava dal 1989, ma solo ora l'UFSP ha deciso di effettuare l'«unlinked testing».

2. Il consenso al test («informed consent»)

[Una questione complessa che non si può semplificare a piacimento.] Il 26. 5.

1989 la televisione della Svizzera tedesca DRS offrì ai telespettatori - nell'ambito della trasmissione settimanale «Freitagsrunde» - un contrad-

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dittorio sull'argomento del test «senza l'esplicito consenso» del paziente, cioè dell'alternativa aH'«informed consent». La maggioranza dei pre- senti in studio, ma anche dei telespettatori che telefonavano (oltre il 60%) si espressero a favore di un test senza esplicito consenso. Data l'impor- tanza fondamentale che riveste la questione nella prevenzione delle epi- demie - con le sue implicazioni dirette nell'attività medica - sia per- messo di mettere qui nuovamente a fuoco l'aspetto etico e razionale del problema.

In Germania (come pure negli Stati Uniti) i medici internisti hanno già da anni dichiarato - in considerazione dei risvolti pratici del lavoro medico - di ritenere il test HIV un esame di routine e parte integrante di ogni visita medica scrupolosa: lo esige infatti la loro coscienza professionale.

I dermatologi e venerologi del mondo intero, nonché i medici che ope- rano o assistono in sala operatoria, condividono questa posizione. Da ultimo è d'importanza decisiva stilare una diagnosi eziologica. Le loro argomentazioni, in base alle quali un paziente «normale» non desidera mettere in pericolo il personale curante, non sono state finora confutate in modo convincente. Quando un paziente va dal medico per - mettiamo - mal di testa, senso di vertigine, stanchezza o uno strano aspetto della pelle, il medico si guarda bene dallo spaventarlo con le più sinistre pos- sibilità che certi sintomi potrebbero suggerire: emorragia sottoaracnoi- dale, tumore cerebrale, leucemia o cancro della pelle. In genere la spie- gazione è infatti più semplice: sarà magari un'emicrania, o la pressione bassa, sonno insufficiente o un banale eczema.

Ma se si trattasse di qualcosa di più serio si dovrà pur parlarne. È un fatto che anche un buon medico può scoprire un giorno una malattia grave,

«rischio» ben noto che i pazienti hanno sempre accettato. Sarebbe insen- sato, indegno d'un professionista, ma anche crudele far balenare in ogni circostanza davanti agli occhi del paziente le più terribili visioni; ma sarebbe altresì segno di leggerezza e superficialità escludere una malat- tia più seria, per quanto più rara. «Un buon medico cercherà subito il [comune] passerotto, ma penserà anche al [raro] colibrì».

Non accuseremmo di malvagità quel medico che comunicasse al pa- ziente tutte le incertezze inerenti alla diagnosi differenziale, alle analisi di laboratorio e alle teorie scientifiche e che scaricasse sul paziente ogni

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responsabilità sulle decisioni da prendere? O che facesse osservazioni di questo genere: «Sarà maligno questo carcinoide? La paralisi sarà veramente una sclerosi amiotrofica laterale o forse lo stesso una sclerosi a placche atipica? Ha ancora un senso insistere nelle ricerche diagnosti- che considerato che un tumore del midollo spinale, del cervello e del pancreas non può più essere operato, che l'encefalopatia leucocitaria o la malattia di Paget è ormai incurabile?» Non si può pretendere tanto dal paziente, anche se il medico può sentirsi sollevato. La deontologia medica esige anzi tutt'altro comportamento. Il paziente si rivolge pro- prio a un medico di fiducia affinchè qualcuno si prenda cura della sua salute con la dovuta competenza e scelga, nelle intenzioni del paziente, il metodo di cura migliore. È pur vero che in genere (anche nell'ambito della problematica HIV) si discutono col paziente molte cose, segnatamente allorché le idee e i concetti individuali e normativi sono importanti; ma non sempre però nei casi in cui si ha a che fare con pro- babilità teoriche, incertezze scientifiche, paure e timori comunemente diffusi, solite inquietudini o speranze che ogni medico con una certa esperienza conosce.

Il rapporto di fiducia tra medico e paziente è molto più complesso di quanto comunemente si dice. Non consiste semplicemente nell'aspet- tarsi la massima franchezza da parte del medico. Da lui ci si attendono anche riguardi, riflessioni, attenta valutazione, squisita sensibilità, e se necessario anche un impegno e un coinvolgimento personali che non lo esimono però dall'assumersi la responsabilità verso la comunità. Per esempio, il medico non solo può, ma deve proibire all'epilettico di gui- dare, ed eventualmente segnalare agli organi competenti che il soggetto costituisce un pericolo per gli altri automobilisti; non solo può, ma deve (lo esige non solo l'etica, ma anche la legge!) cercare d'impedire un assassinio che uno psicolabile sta preparando. È quanto si attendono il coniuge, i vicini, l'opinione pubblica e in fondo lo stesso paziente che si rivolge fiducioso al suo medico. Sulla targa del suo studio è come se ci fosse una nota di questo tenore: «Qui ognuno può sentirsi sicuro e rispettato, nulla trapelerà all'esterno, a meno che qualcuno non mi- nacci altri di morte o intenda nuocere a terzi». Questa nota rispecchie- rebbe lo spirito delle vigenti leggi. Chi si sentirebbe imbarazzato per

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questa riserva? Forse qualche spacciatore di eroina o un sieropositivo dedito allo stupro, ma certamente non un membro responsabile della comunità.

Ben al contrario, è proprio il paziente che interrompe quel rapporto di reciproca fiducia che si instaura naturalmente e per tacito accordo tra medico e paziente se, andando dal medico perché afflitto da disturbi, si rifiuta di sottoporsi alle normali analisi (e il test dell'HIV è oggi l'unico metodo per far subito chiarezza in caso di sospetta infezione da virus HIV). Anche il medico è in diritto di esigere qualcosa dal paziente, per esempio lealtà e serietà, che naturalmente non possono essere regolate per legge: fanno parte di quel codice morale non scritto, ma in genere rispettato.

Il comune paziente è particolarmente sensibile a queste cose. È diffi- cile immaginare che vada dal medico per una pneumorragia e rifiuti poi una radiografia dei polmoni per timore di una diagnosi infausta.

Si precluderebbe in partenza, e lo sa bene, le possibilità di una diagnosi corretta e del trattamento adeguato. Sarebbe altresì molto sorpreso se il medico, dopo aver ascoltato la descrizione dei disturbi, gli dichia- rasse: «Potrebbe purtroppo trattarsi di un tumore al cervello non operabile. Prima di fare la radiografia devo chiederle se davvero lo vuole sapere. Crede di poter reggere a una tale sentenza? E come potrà vivere con un tale fardello? Quali sarebbero le conseguenze per la sua vita sessuale?» Oppure prima del prelievo di sangue: «Ha già pensato che i valori dell'eritrosedimentazione potrebbero essere il segnale di un'affezione letale del midollo osseo? È sicuro di poter affrontare una simile situazione? Che ne sarebbe di sua moglie e dei suoi figli? Non vogliamo piuttosto rinunciarci e regolarci come se si trattasse di leucemia?» O se dicesse prima di una punzione lombare o di una diagnosi a ultrasuoni: «Lo sa che con questo metodo potremmo scoprire mali incurabili? Crede di poter accettare la verità? Vorrebbe poi davvero sottoporsi a una biopsia? Non vogliamo rinunciare e sperare che le cose non stiano così invece di apprendere eventualmente una sentenza di condanna?»

Nessuna, ma proprio nessuna di queste obiezioni rispetterebbe la deon- tologia medica, le tradizioni professionali, la psicologia della vita quoti-

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diana o le aspettative di pazienti ragionevoli. Eppure ragionamenti come questi, chiaramente assurdi, che fanno a pugni col buon senso, vengono ripetuti allo scopo di creare una situazione di privilegio per i sieroposi- tivi, gli omosessuali e i tossicodipendenti che li collochi al di fuori delle comuni concezioni giuridiche, dei doveri morali, delle norme vigenti e dell'esperienza medica. Il tentativo di creare una «situazione speciale»

per i sieropositivi non risponde tanto a una strategia politica di profilassi epidemiologica quanto piuttosto a un progetto di politica sociale che intende propagare lo stile di vita di determinate minoranze e prepara il terreno approfittando di una generale empatia con i malati di AIDS. Ma a lunga scadenza un simile tentativo è destinato a fallire.

Una persona matura sarebbe a ragione indignata, se nel corso di una visita di routine il medico escludesse soltanto una avitaminosi o un raf- freddore, ma si guardasse bene (per non inquietarlo) dall'ipotizzare altre malattie più gravi o addirittura mortali. Al contrario, il paziente è più indulgente se il medico non si accorge di una cosa da poco, ma non di un tumore maligno. Dalle reazioni al summenzionato dibattito televisivo risultò che gli svizzeri intervistati (tra i quali un giudice superiore di Zurigo e l'allora presidente dell'Associazione medica di Berna) la pen- sano allo stesso modo - e presumibilmente reagirebbe così anche la mag- gioranza di un pubblico ben informato. Molti si sono espressi in modo categorico: allorché ci si sottopone a un controllo medico si vuole innanzi tutto che siano escluse le malattie gravi, senza che peraltro il medico ci tolga il sonno per mezz'anno. E se non ci si fida pienamente del proprio medico si va da un altro. Perciò il test HIV dovrebbe far parte di ogni visita medica effettuata da un vero professionista.

3. Diritto di non sapere?

[Un limite difficile da porre che si deve effettuare analogamente a paragonabili ponderazioni dei beni giuridici.] Alla voce «autodeterminazione in fatto di informazione» figura spesso - con riguardo alle questioni relative al test HIV - l'argomento superficiale di un nostro diritto a non sapere, che ci metterebbe al riparo dall'apprendere qualcosa di spiacevole contro la nostra volontà. Qui non si mette minimamente in discussione il diritto

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all'integrità fisica (per cui ogni prelievo di sangue è un intervento che deve essere autorizzato dal paziente) e al non voler essere informato (di una diagnosi allarmante su un tumore cerebrale letale, per esempio). Ma è sommamente incoerente recarsi dal medico per sapere qualcosa e poi far di tutto per impedire una corretta diagnosi o rifiutare di prenderne atto. Il diritto di non sapere ha un limite naturale, secondo la conce- zione giuridica comunemente accettata. Allorché non è più in gioco la nostra vita soltanto, bensì quella degli altri, che possiamo esporre a un pericolo persino mortale, è un altro principio che deve prevalere:

l'«obbligo di sapere». Possiamo mettere a repentaglio la nostra, ma non la vita altrui, tanto meno per motivi opportunistici.

Da tempo ormai, per esempio, nessun automobilista si oppone più a un prelievo di sangue per un test di alcolemia, magari col pretesto: «Non lo voglio sapere» o «Avrebbe per me conseguenze disastrose» (conducente di bus o tassista). In questi casi vige l'obbligo di sapere (e la legge pre- scrive persino test di controllo obbligatori) se costituiamo o meno un pericolo per gli altri utenti della strada. In lìnea di massima dovrebbero valere gli stessi principi anche per i rapporti sessuali.

L'obbligo di essere informati si estende all'uso di farmaci che inducono sonnolenza, come altresì allo stato di salute generale o altri fattori che potrebbero influire negativamente sulla guida. Il dovere di valutare cor- rettamente la propria capacità di guidare presuppone naturalmente di essere davvero a conoscenza del contesto in cui agiamo. In nessun paese civile ciò è messo in dubbio e ovunque vigono precise norme legali in materia.

L'obiezione che una tale concezione porti a misure «repressive», a

«discriminazioni», addirittura a forme di «coercizione» vere e proprie, non tiene nel dovuto conto il semplice fatto che le misure in questione sono giudicate repressive soltanto nel momento in cui si cerca di sottrarsi a regole di comportamento comunemente accettate - rifiutando per esempio di pagare la bolletta telefonica. È quindi proprio colui che espone gli altri a rischio con premeditazione a escludersi dal consorzio civile, ed è vero che tali comportamenti provocano in tutte le società del mondo reazioni di rigetto o discriminazioni. Il termine di «coercizione»

indica in ultima analisi che soluzioni ritenute della massima importanza

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devono essere imposte, se necessario, anche contro la volontà altrui, ed è ciò che avviene in determinate situazioni.

È lecito pensare che in un futuro non troppo lontano il termine di «coer- cizione» in relazione al test HIV - come una volta per la reazione di Was- sermann contro la sifilide - verrà sostituito dal termine di «esame obbli- gatorio» o «obbligo», così come si parla di obbligo scolastico e non di istruzione forzata, di tariffa telefonica e non di balzello, di obblighi fiscali verso lo Stato e non di riscossioni forzate. Che si abbia qui a che fare con obblighi ce ne accorgiamo allorquando cerchiamo di non pagare le im- poste, la bolletta della luce o del telefono o i diritti di parcheggio. In generale la gente onora i propri obblighi (si da ciò che è «dovuto»).

L'obbligo è sentito come qualcosa che può essere accettato partecipando ognuno alle responsabilità comuni. Il termine di «coercizione» denota in- vece un atteggiamento renitente che potrà essere superato soltanto ren- dendosi conto che il test HIV giova sia a chi vi si sottopone (20 buone ragioni!) che a tutti gli altri, verso i quali abbiamo un dovere di solidarietà.

Molto criticabile è la dichiarata avversione di alcuni medici ad affrontare per tempo l'argomento coi propri pazienti. Ciò si capì allorché il profes- sor R. Lüthy - nel dibattito sul pro e il contro a cui abbiamo già accennato - si oppose al test ragionando così: «È piuttosto imbarazzante dover spie- gare al paziente, nel colloquio successivo al test, come deve comportarsi per non contagiare il proprio partner.» Chi argomenta in questo modo sembra voler evitare in primo luogo e a tutti i costi - anche al prezzo della verità - comunicazioni spiacevoli. Ma il voler evitare un tale disagio non è altro che un miope tentativo di risparmiarsi un imbarazzo a spese degli altri. Chi riflette un po' si sentirà piuttosto angosciato al pensiero di do- ver comunicare le stesse spiacevoli cose a un maggior numero di per- sone, se non trova il coraggio di discuterne prima. In altri termini: è meglio parlarne oggi con una persona, che un giorno inevitabilmente con molti.

Il nocciolo del dibattito è dunque il seguente: è lecito pretendere da una persona seria e onesta che sia al corrente della sua condizione di siero- positivo, altrimenti l'epidemia non farà che espandersi. La coscienza del proprio stato, sicuramente un grave peso da portare, potrà evitare a molti altri - sempreché non venga rimossa - la stessa dolorosa espe-

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rienza. Si tratta in effetti di un fattore decisivo per un'epidemia ad effetto ritardato: le omissioni avranno conseguenze estremamente serie.

4. L'indagine sui partner («contact tracing»)

[Un complesso di questioni dalle molte sfaccettature, poiché varie sono le proce- dure ipotizzatili.] La ricerca di persone sospette di contagio (cioè delle per- sone con cui il malato ha o ha avuto relazioni, «contact tracing») è rego- lata per legge in quasi tutte le democrazie occidentali in caso di malattie infettive e veneree e non suscita alcuna opposizione. Essa dovrebbe di- ventare a maggior ragione un'operazione di routine sottoposta a norma- tiva - nei limiti della sua fattibilità - per un'infezione ad esito letale come quella da HIV. Lo statuto eccezionale riservato a questa malattia, che im- pedisce di fatto l'applicazione di misure di provata efficacia proprio in presenza di una minaccia mortale, avrà gravi conseguenze e alla lunga non potrà essere difeso.

Studi e ricerche sono già stati avviati in quasi tutti gli Stati Uniti, nei paesi scandinavi, in Baviera, in Scozia e in Belgio. I risultati non lasciano adito a dubbi: negli Stati Uniti, in Svezia, Norvegia, Danimarca e Belgio, ma anche in Romania, Russia e India è stato accertato un gran numero di portatori del virus HIV grazie a pochi, ma mirati test, e si è così con tutta probabilità evitato un'ulteriore e involontaria estensione del contagio.

Nell'Idaho il 23 % dei partner sottoposti a test sono risultati positivi, nella Carolina del Sud il 13%. Un successivo test su 36 di 55 sieronegativi, effettuato 6 mesi dopo, rivelò ulteriori 3 (8 %) sieropositivi. A seguito di questi risultati l'autorità americana preposta alla prevenzione delle epidemie, il CDC (Centers for Disease Control), ha adottato programmi di «partner referral» e «partner notification» - un'idea veramente geniale alla fine di un decennio di AIDS e dopo 4 o 5 decenni di diffusione del virus HIV! Nell'occasione si rinviò alle positive esperienze raccolte in precedenza per altre malattie veneree e fu espressa la sorpresa di non averci pensato prima. L'epidemiologo W. Cates sottolineò l'errore logico consistente nel considerare l'AIDS diversamente dalle altre malattie veneree («...that we are creating a false and harmful dichotomy in con- sidering AIDS apart from other sexually transmitted diseases»).

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5. Avvertire il partner di un sieropositivo («partner notification»)

[Un problema etico per cui dovrebbe esserci una soluzione.] La questione se il partner di un sieropositivo debba essere o meno informato dell'infezione da HIV (e come ciò possa essere garantito) è stata ampiamente dibattuta negli Stati Uniti fin dal 1987. Le opinioni divergono nettamente: chi dice

«Sì, assolutamente!» e chi invece afferma «No, in nessun caso! Si viole- rebbe la sfera privata dell'individuo!» Ma seppur lentamente si sta facendo strada il buon senso: logicamente infatti non può esser lasciata all'arbitrio del sieropositivo la decisione di esporre o meno il partner - senza nemmeno chiedere il suo consenso - a un pericolo mortale. Si può dire che pressoché tutti i tribunali chiamati a giudicare in materia negli ultimi anni sono giunti alle medesime conclusioni. (Si osservi l'illogicità nell'argomentazione della controparte: da un lato si reputa superfluo il consenso a contrarre una malattia mortale che comporta sofferenze per lunghi anni, anche un decennio, dall'altra si esige assolutamente il con- senso per sottoporre qualcuno al test HIV!)

L'incertezza che ancora regna in merito ai diritti e ai doveri dei siero- positivi è un altro esempio del modo tutto particolare con cui certuni affrontano problemi che hanno in qualche modo a che fare con l'AIDS.

Non è lecito maltrattare e prendere a schiaffi la propria moglie: perché sarebbe allora legittimo esporla a rischio di morte? Che col matrimonio si siano acquisiti diritti di vita e di morte sul proprio coniuge, come su un servo della gleba, e che si possa abusarne sessualmente a piacere, mettendo magari in gioco la sua vita, non trova riscontro in un nessun ordinamento giuridico. Può davvero dipendere dall'arbitrio del singolo esporre il coniuge al pericolo di morte? È questo un diritto fondamentale, un diritto umano? Il decidere autonomamente della sicurezza altrui fa davvero parte dell'inviolabile sfera privata? Si può forse in modo analogo decidere se il partner possa o no allacciare la cintura in macchina?

Ciò che finora era in primo luogo una questione di franchezza e di lealtà reciproche è diventata ora una questione di vita e di morte. Se la violenza

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sessuale è inammissibile, a maggior ragione dovrebbe esser proibito lasciare qualcuno in un'ignoranza dalle fatali conseguenze, tanto più che chi è a conoscenza della sua seriopositività è in una posizione di van- taggio ed è tenuto a tutelare la salute del suo partner.

Si tenga poi conto del fatto che c'è sempre un certo numero di coppie che stanno magari attraversando una crisi o sono in procinto di separarsi.

Proprio questi casi in cui uno dei partner è stato contagiato con il virus HIV da terzi non saranno affatto così rari. Non si possono escludere sentimenti di rivalsa, avversione, persino invidia e odio. È tollerabile che qualcuno trasmetta all'ultimo momento il virus HIV? Certamente no, è anzi idea universalmente condivisa che tali «libertà di coscienza»

hanno un limite allorché è in gioco la vita di un'altra persona.

L''American Medicài Association (di cui è presidente J. Davis e vicepresi- dente J. Sammons) si è espressa inequivocabilmente a favore del «contact tracing» e del dovere di informare il partner fin dal 1987. A loro giudizio il dovere del medico di informare i partner esposti a rischio è qualcosa di più di una semplice opzione: è una questione di deontologia professio- nale («This is more than an option. It is professional responsability.»)

6. Informazione e suoi contenuti

[Un vasto campo di questioni semplici e al tempo stesso complesse.] Vista l'attuale mancanza di vaccini e di trattamenti efficaci regna pressoché totale unanimità nel considerare oggi la prevenzione come l'unico mezzo affidabile per evitare il contagio, e nel ritenere altresì che una corretta informazione costituisca al momento attuale l'unico tipo di «vaccino». Le opinioni divergono però ancora nettamente in merito ai contenuti dell'informazione sulla profilassi epidemiologica. L'AIDS-Informazione Svizzera ha fornito fin dal primo momento a chi chiedeva consiglio un'in- formazione corretta e al passo con i risultati della ricerca. Nelle questioni non ancora del tutto chiarite (rischio di trasmissione del virus HIV no- nostante l'uso del profilattico, periodo di latenza della sieroconversione, vie secondarie di trasmissione come il bacio) essa ha assunto una posi- zione prudente - l'esperto di statistica direbbe «conservatrice» - poiché the absence of evidence is not the evidence of absence! Recenti risultati della

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ricerca hanno nel frattempo confermato che tale prudenza era giusti- ficata. Per queste ragioni VAIDS-Informazione Svizzera - a differenza dell'Ufficio federale di sanità pubblica (UFSP) e dell'«AIDS Aiuto Svizzera», costretti più volte a ritrattare le proprie informazioni ufficiali davanti all'evidenza dei fatti, e oltre tutto in modo in parte contraddittorio - non ha dovuto rivedere fino ad oggi le proprie racco- mandazioni.

VAIDS-Informazione Svizzera non ha mai messo in discussione il valore generale dell'informazione. È per questo che offre un servizio d'infor- mazione e consulenza a cui ricorrono persone che si sentono coinvolte o anche solo allarmate. Fin dall'inizio essa ha tenuto a diffondere infor- mazioni corrette e non ad ogni costo tranquillizzanti. È deplorabile che ciò sia bastato per meritarsi l'ostilità dell'UFSP. Ci sia permesso qui di trattare alcuni di quei problemi che ci vedono su sponde opposte.

7. Necessità di dati - raccomandazione del test HIV

[Una questione di principio: abbiamo la volontà e il coraggio di acquisire le necessarie conoscenze?] Mentre le raccomandazioni ufficiali si mostrano piuttosto riservate in merito al test, ponendo l'«autorealizzazione ses- suale» al sommo della scala dei valori, VAIDS-Informazione Svizzera ha sempre difeso il primato della responsabilità verso le persone non contagiate. Essa raccomanda perciò un'attenta ponderazione dei beni giuridici, sempre necessaria in simili situazioni, ed è altresì del parere che il diritto alla segretezza e la ricerca del massimo di piacere sessuale vadano subordinati all'occorrenza al diritto altrui all'integrità fisica. Si tratta di questioni ricorrenti e cruciali nell'ambito dei diritti e dei doveri di ogni cittadino. Pur se oggi molte persone preferiscono invocare i pro- pri diritti piuttosto che rammentarsi dei loro doveri, seguendo in ciò un diffuso conformismo, occorre sottolineare che in situazioni di emer- genza, quand'era in gioco anche la vita degli altri, le persone libere e responsabili si sono sempre ricordate dei propri doveri e obblighi morali, tra cui l'autodisciplina e l'onestà.

Per queste ragioni YAIDS-Informazione Svizzera si batte per il riconosci- mento dell'epidemiologia quale scienza razionale in grado di proporre

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interventi di profilassi efficaci e salutari. Nella valutazione della profi- lassi anti-AIDS si assiste oggi ovunque nel mondo a una netta inversione di tendenza. Persino l'ex direttore del Global Programme on AIDS, J.

Mann, ammette oggi la scarsa efficacia della lotta contro l'AIDS e esige nuove strategie. Oggi in molti paesi del mondo occidentale non si attri- buisce più uno statuto speciale ingiustificato all'infezione da HIV che viene invece affrontata sempre più ricorrendo alle comuni norme di pro- filassi epidemiologic, di comprovata efficacia. Logicamente è di impor- tanza decisiva la raccolta di dati, premessa indispensabile per controllare l'evoluzione dell'epidemia (surveillance and monitoring).

Noi non reagiamo a tutti i mutamenti in atto, bensì a quei mutamenti le cui proporzioni per unità di tempo superano determinati valori di soglia.

Ciò spiega l'incapacità della società a reagire in modo adeguato a cata- strofi striscianti (sfruttamento incontrollato delle risorse naturali, feno- meni di erosione, guerre, epidemie, sovrappopolazione, conflitti razziali, nascita di slums, criminalità giovanile, inflazione, piogge acide, distru- zione della fascia di ozono ecc). Anche nel caso dell'epidemia in que- stione le reazioni delle autorità sanitarie sono state inadeguate fin dal principio, poiché esse hanno preso sempre di mira ciò che via via si manifestava (la malattia dell'AIDS) trascurando ciò che era alla base dei fenomeni manifesti (il contagio con HIV).

Il giorno che si sarà avverato ciò che oggi si profila all'orizzonte ci saremo forse già assuefatti all'idea e magari ci rallegreremo del fatto che le cose non stiano peggio. In ciò si manifestano due incapacità dell'uomo davanti a problemi complessi: da un lato, la mancanza di logica e di immaginazione per seguire coerentemente fino in fondo la probabile evoluzione di un fenomeno; dall'altro, l'incapacità di tener vivo a lungo il turbamento e l'orrore per certi fatti accaduti. Dopo un certo tempo qualsiasi situazione, per quanto penosa, diventa banale quotidianità (persino la fame e la guerra!). Per conservare la facoltà di giudizio non serve né il pessimismo né l'ottimismo, bensì una visione delle cose quanto più oggettiva e realistica possibile. L'AIDS-Informazione Svizzera ha sempre sostenuto questo punto di vista e continuerà anche in futuro a battersi con argomenti obiettivi per la diffusione di adeguate cono- scenze e per la discussione spassionata di un problema che è soprattutto

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medico-psicologico. Tra le esigenze immediate figura la raccolta di dati sicuri in merito all'epidemia e alla sua dinamica, ciò che non è possi- bile senza una diffusione capillare del test. La profilassi epidemiolo- gica non può farsi alla cieca né tanto meno divenire in primo luogo un problema politico.

8. Solo il profilattico?

[Una questione, che infondo non dovrebbe essere tema di discussione.] La cam- pagna ufficiale di «Stop AIDS» si riduce a raccomandazioni tecniche sull'uso del profilattico ed evita accuratamente di indicare ai giovani altre opzioni quali la fedeltà, la prudenza, l'accortezza, la lealtà, l'affetto e la fiducia nel partner. Eppure esse fanno ancor parte dei valori comu- nemente accettati e rispettati. Non è tollerabile che essi vengano discre- ditati quali «valori borghesi» da una minoranza antiborghese e militante.

Raccomandare puramente e semplicemente l'uso del profilattico ai mi- norenni può essere inteso come un «invito al ballo», poiché si suggerisce disinvoltamente che andare a letto col primo venuto è la cosa più natu- rale del mondo e che in simili casi non c'è tempo di conoscersi meglio, di riflettere o magari di nutrire delle riserve. Eppure ci sono ancora persone che hanno bisogno di tempo e di completa fiducia nel partner prima di aver rapporti intimi. Non è legittimo da parte di genitori e insegnanti raccomandare accortezza e pazienza? In un opuscolo distribuito dalle autorità («Una Rivista per i genitori», pubblicata dall'UFSP, con una pre- fazione del Dott. T. Zeltner) una madre si dice tranquilla perché ha potuto constatare che sua figlia, di anni 9 (!), sa «come calzare il „guanto" sul pene». Forse non tutti si mostrerebbero altrettanto tranquilli. Dobbiamo davvero accettare questi modelli di comportamento o simili ammaestra- menti o è lecito avere un'opinione diversa?

I pareri dell'UFSP e dell'«Aiuto AIDS Svizzera» qui criticati non fanno assolutamente parte del pensiero liberale di una borghesia illuminata, sempre invocato da alcuni circoli, ma sono invece l'espressione di un at- teggiamento di fondo irresponsabile, «libertino» e permissivo. All'indi- viduo viene per così dire prescritto un «rischio accettabile», con la bene- dizione delle autorità. Ma è facile immaginare che molti cittadini

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rifiuteranno un tale paternalismo e seguiranno piuttosto il proprio concetto in merito a questioni che riguardano la vita e la sicurezza per- sonale. E proprio ultimamente nuove ricerche relative alla qualità dei profilattici hanno confermato in pieno i dubbi e le riserve dell'AIDS- Informazione Svizzera sulla loro assoluta affidabilità. La nostra opinione non cambia: il profilattico è utile, fedeltà e senso di responsabilità sono da preferirsi.

Non è infatti vero che la propaganda ufficiale, incentrata esclusivamente sul profilattico, esercita una pressione psicologica su piccoli e adolescenti inducendoli a una precoce attività sessuale, sia per adeguarsi a una di- scutibile tendenza dei tempi, sia per venire incontro alle aspettative di coetanei che hanno già avuto esperienze in questo campo? Davvero una sottilissima membrana di lattice di media affidabilità può scongiurare un rischio mortale? Diciamolo chiaramente: non saper far altro che con- segnare un profilattico ai giovani che vanno a ballare equivale a una dichiarazione di fallimento sul piano politico e sociale e della pedago- gia sessuale. L'AIDS-Informazione Svizzera raccomanda altre norme di comportamento.

9. Innocuità del bacio?

[Un problema a cui si è dato come al solito una risposta affrettata.] Le afferma- zioni dell' AIDS-Informazione Svizzera sui rischi del bacio sono valide tut- tora. L'UFSP e l'«Aiuto AIDS Svizzera» hanno invece dovuto rivedere in continuazione le proprie posizioni sulla base dei più recenti risultati della ricerca scientifica. In fondo era poco serio e plausibile da un punto di vista scientifico asserire che «il virus non si trasmette» con la saliva e che i baci con scambio di saliva (anche quelli profondi e appassionati) siano innocui. La pretesa che la saliva di una persona in cui è forse pre- sente un virus mortale non costituisca alcun pericolo era dettata più da un'illusione che dalla riflessione e poteva esser considerata - ad esser generosi - una pericolosa ingenuità. Oggi gli esperti sono sempre più concordi - davanti all'evidenza crescente dei dati epidemiologici (USA, Germania, Russia, Francia), ma anche dei dati sperimentali (Norvegia, USA, Italia) - nel ritenere la saliva un possibile veicolo d'infezione.

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Ciò avrebbe dovuto indurre l'UFSP e l'«Aiuto AIDS Svizzera» a ritrat- tare subito le proprie affermazioni, ma finora non l'hanno ancora fatto. La rettifica di queste e altre affermazioni fuorvianti che espongono la popolazione a rischi mortali è già da lungo tempo una necessità, ma una potente lobby impedisce o ritarda manifestamente questa indi- spensabile correzione - un'intromissione di eccezionale gravita nei compiti di profilassi epidemiologica dell'autorità federale. Non sarà facile spiegare un giorno perché essa abbia tollerato una tale inge- renza.

10. Si può paragonare la tossicomania alla mania delle pulizie?

[Una grande e complessa problematica senza un nesso obbligato con la questione AIDS.] In opuscoli diffusi dalle autorità sul problema della droga si paragona senza batter ciglio la tossicomania - che fa quotidianamente delle vittime, distrugge la personalità e produce criminalità, anche omi- cida - alla mania delle pulizie o addirittura alla melomania (!). (Vor- remmo sapere quanti sono stati derubati o assassinati da maniaci delle pulizie o da melomani!). E la collettività, che è in procinto di perdere il controllo sul consumo di droga in costante aumento, dovrebbe far sua una tale incredibile minimizzazione del problema, oltre tutto finanziata dal contribuente! Non è un caso che l'argomento della liberalizzazione della droga è regolarmente ripreso e dibattuto proprio in quei paesi (USA, Olanda, Italia, Danimarca, Germania e Svizzera) che hanno con tutta evidenza i maggiori problemi nell'arginare le tossicomanie e la con- seguente criminalità.

Il dibattito sulla droga si svolge poi evitando con cura ogni riferimento alle esperienze acquisite in materia, vale a dire a tutti quei tentativi miseramente falliti di liberalizzare la droga (USA 1914-1923, Inghilterra 1959-1964, Svezia 1965-1967). Analoghi tentativi in corso a Copenaghen e ad Amsterdam stanno ormai toccando il limite di tolleranza anche per una società estremamente permissiva, basti pensare alle restrizioni di libertà dei cittadini che - se vecchi e indifesi - non possono più muoversi liberamente per le strade senza rischiare la vita.

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È ormai chiaro che l'UFSP ha abbracciato le tesi dei fautori di una libera- lizzazione della droga e si è quindi piegato alla volontà dei sostenitori (in parte attivi anche nella lobby degli omosessuali) di soluzioni fittizie che avranno conseguenze disastrose e irreversibili. Così sotto il manto della lotta contro l'AIDS si appoggia anche la liberalizzazione della droga, benché i due problemi possano essere benissimo affrontati sepa- ratamente. Per fortuna la pericolosità della droga consiglia almeno la prudenza.

Il nocciolo della questione «droga» - la tendenza all'assuefazione e alla necessità di aumentare la dose, nonché il declino psichico del tossico- mane con il suo corollario sul piano sociale e medico - viene sempre rimosso, per cui non si riesce a scorgere chiaramente l'aspetto dinamico e tragico di questo «contagio sociale» a evoluzione lenta. Il probabile punto di arrivo - in base all'esperienza - di quel lungo e irreversibile cammino che va dai primi tentativi alla dipendenza viene semplice- mente taciuto. In contrasto con questa linea VAIDS-Informazione Svizzera difende la strategia applicata con successo in altri paesi tendente a una società il più possibile libera dalle droghe, anche se ciò suscita le ire dei sostenitori «progressisti» di una liberalizzazione.

11. Limiti dell'informazione - applicazione della Legge sulle epidemie

[Problemi in sé semplici, ma che tendono a divenire complessi in situazioni limite, allorché occorre applicare criteri giurìdici oltre a quelli etici e psicologici.]

C'è bisogno di informazione e l'informazione è in sé un bene. Ma non tutti tendono l'orecchio e anche chi sembra farne tesoro non agisce sem- pre in maniera coerente. Le esperienze finora raccolte hanno dimostrato ciò che logicamente ci si aspettava: è possibile ridurre i rischi, ma non azzerarli. I comportamenti si modificano, ma solo lentamente, e non tutti sono disposti a cambiare abitudini. Vi è dunque un limite obiettivo agli sforzi di persuasione in vista di un'efficace prevenzione.

Occorre prendere atto del potere relativo della parola sulle azioni umane per non farsi suggestionare da visioni poco realistiche. È natu- ralmente poco sensato puntare esclusivamente sulla disponibilità di chi

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è tossicodipendente e il cui problema consiste proprio nel non poter più disporre liberamente di se stesso. Notoriamente nemmeno l'istinto sessuale sottosta sempre all'autocontrollo e alla ragione. E così ancora una volta, anche in relazione all'AIDS, l'etica fondamentale del sistema normativo medico e legale si rivela irrinunciabile.

Quest'etica è alla base della Legge sulle epidemie generalmente accet- tata, la quale ha una lunga e ricca storia e ha dovuto sempre tener conto degli stessi comportamenti e delle stesse debolezze umane. L'AIDS- Informazione Svizzera ne richiede una prudente e accorta applicazione anche per l'attuale problema HIV/AIDS. Vi è sicuramente fra i sieropo- sitivi un potenziale di disponibilità, ragionevolezza, senso di respon- sabilità e solidarietà che bisogna utilizzare prima di ricorrere - quale ultima ratio - a misure legali.

Purtroppo però ci sono individui - e pochi ormai ne dubitano - per i quali è vano appellarsi unicamente alla ragione e al senso di responsabi- lità (basti pensare al traffico automobilistico, alla tossicomania o a situa- zioni di forte sollecitazione emotiva). Ma nemmeno si può dubitare del diritto e altresì del dovere delle autorità sanitarie di impedire un'ulte- riore diffusione del virus (avvenga essa per negligenza o con premedita- zione). Coloro che non si comportano come le loro condizioni richiede- rebbero devono esser indotti a rispettare le leggi a salvaguardia degli altri, se necessario anche senza il loro consenso. È questa la conclusione a cui sono giunti più volte vari tribunali in Svizzera, negli USA, in Germania, Inghilterra, Svezia, Danimarca, Finlandia e Manda, come si legge nelle motivazioni delle sentenze relative a casi di questo genere.

Che ciò non violi i diritti e le libertà di ognuno e sia del tutto conforme alla comune concezione del diritto, che prevede e approva limitazioni della libertà non solo per gli omicidi, ma anche per crimini contro la pro- prietà, è di disarmante evidenza. Non è eccessivo parlare di comporta- mento colposo allorché, per esempio, ci fidiamo ciecamente che un eroinomane seguirà sicuramente l'invito ad agire in modo responsabile.

Sono pur sempre in gioco altre vite umane.

Si potrebbe dunque, argomentando in modo equilibrato, tornare a una profilassi epidemiologica ragionevole. Ben presto essa apparirà di nuovo

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come eticamente ineccepibile e, considerati gli effetti positivi, altresì auspicabile. Non si riesce a capire perché le vigenti e ovvie norme di pro- filassi epidemiologica, già applicate per altre - e meno gravi - malattie veneree e da nessuno contestate, non possano servire ad impedire la diffusione di un'infezione mortale come quella da HIV.

12. Una lobby sbagliata: il lupo pecoraio

[Problemi veramente superflui.] Appare sempre più evidente che l'«Aiuto AIDS Svizzera» ufficiale sta curando gli interessi di gruppi molto parti- colari a spese degli altri. Nato dall'unione di una dozzina di organizza- zioni di omosessuali, questo cartello operante oggi su tutto il territorio nazionale è assurto a una specie di autorità pubblica combinando un'at- tività lobbistica di puri interessi di parte con funzioni ufficiali e agisce in unione personale con l'Ufficio federale della sanità pubblica (UFSP).

Mangiando direttamente alla greppia dello Stato, alimentata dalle en- trate fiscali, questo gruppo ha occupato fin dall'inizio la scena, presen- tandosi come difensore degli interessi particolari di alcune minoranze e cercando di monopolizzare l'argomento AIDS. Operando in stretto contatto con i mass media il gruppo può non solo diffondere le sue opinioni nelle cronache quotidiane, ma ha le mani anche nella produ- zione di materiale informativo che con il pretesto d'informare sull'AIDS propaganda in modo quasi pornografico uno stile di vita permissivo, promiscuo e omosessuale. Non si tratta in altri termini di politica sani- taria o di profilassi epidemiologica, atta a ridurre il numero di nuove infezioni, ma di azioni che hanno per mira una trasformazione sociale.

Servendosi di una falsa etichetta e sfruttando il turbamento generale, nonché il senso d'imbarazzo verso gente gravemente malata, si sta cer- cando di evitare un dibattito critico indifferibile per imporre tacita- mente le pretese assolutamente illegittime di alcune minoranze.

Giovandosi della consulenza del prof. F. Gutzwiller, medico sociale, l'«Aiuto AIDS Svizzera» ha pubblicato lussuosi opuscoli a colori su carta lucida («Sesso sicuro per Leather») in cui si fa apertamente propaganda per perversità come la fustigazione («Sferza le sue belle chiappe sode»,

«Le strie rosse sono eccitanti ed esaltanti»), l'uso del coltello («Piercing

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come gioco erotico»), nonché «anilingo, dilatamento anale, il bere urina,

«fist fucking»» (si raccomandano «unghie tagliate molto corte e ben cu- rate» per «servire più culi»), baciare gli stivali, legare il partner, giochi a cane-padrone e via di questo passo («Ti piace giocare con la merda?»).

È stato solo su sollecitazione deWAIDS-Informazione Svizzera che ci si è degnati di guardare un po' meglio questa pubblicazione per decidere poi, scandalizzati, di mandare al macero un simile prodotto costoso e perverso.

Questa lobby «competente in compassioni e turbamenti» non scorge pericoli per nessuno, l'unica cosa che le sta a cuore sono i diritti umani.

Senza posa tenta di occultare la propria responsabilità etica e i suoi indi- scutibili obblighi verso terzi. Proprio l'aperta ostilità di alcuni individui a rischio verso ogni piano d'intervento, per quanto ragionevole esso sia, e la loro condanna delle normali misure di profilassi epidemiologica hanno del donchisciottesco e si ritorcono in fondo contro i loro più legit- timi interessi. Dove essi riescono a imporre le proprie idee, l'infezione da HIV è più diffusa. Eppure non vogliono darsene per vinti - neanche dopo aver visto morire anno dopo anno i loro esponenti in Germania e negli USA.

Un altro esempio di miopia è la banalizzazione del consumo di droga («Consideriamo innocui i prodotti della canapa indiana» [marijuana, hashish,

«erba»]). Si pretende ad alta voce l'abbandono di valori comuni che invece la maggioranza della popolazione ritiene tuttora di grande rile- vanza.

La comunità, che per inciso finanzia queste operazioni, non è sempre in grado di capire che alcuni circoli stanno tentando una trasformazione sociale con una nuova pedagogia sessuale che si fa beffe di tanti retti principi e rispettabili convinzioni (che non sono solo dei «benpensanti»!).

È più che dubbio che così facendo l'UFSP rispetti la volontà della mag- gioranza di questo paese. Chiunque sia di parere diverso viene regolar- mente ingiuriato e messo a tacere. Eppure il compito di questo ufficio federale è di salvaguardare la salute dell'intera popolazione. Esso è quindi tenuto a opporsi - nell'interesse di tutti - ai tentativi di influenza che esercitano su di lui gruppi di attivisti militanti a difesa di interessi privati. (Si provino a immaginare le grida sdegnate che si leverebbero in

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tutto il paese se l'industria farmaceutica tentasse di condizionare simil- mente la politica dell'UFSP!).

13. Situazione di privilegio per gli omosessuali?

[Un problema gonfiato artificialmente.] L'AIDS-Informazione Svizzera consi- dera i gusti di una persona nella sfera sessuale come una questione pri- vata in cui non interferire. Altrettanto legittimo dovrebbe apparire il nostro punto di vista, secondo cui le preferenze sessuali non possono dispensare dall'osservare le norme etiche e giuridiche. Il miglior modo per gli omosessuali di prevenire reazioni isteriche nei propri confronti consiste appunto nel far capire alla comunità (in prevalenza eteroses- suale) che in una questione di tanta rilevanza - come evitare un'infe- zione mortale - sono anch'essi e senza alcuna remora dalla stessa parte, cioè con tutti gli altri. Proprio gli omosessuali sono i più esposti al rischio, dimodoché non esiste alcuna antitesi di principio tra i loro interessi legittimi e quelli della collettività.

14. Responsabilità permanente

[Un'importante questione di responsabilità che si fa luce solo a poco a poco.]

Chiunque sia investito del compito di salvaguardare la salute della co- munità - ufficio, autorità, singola persona - ha l'obbligo di organiz- zare nel miglior modo possibile la profilassi epidemiologica. Non può assolutamente esimersi dal farlo. Si esige anzi professionalità e una certa capacità d'intervento, che sono espressione dei suoi obblighi, della com- petenza e della responsabilità. Tutti coloro che non potranno spiegare in modo convincente perché non abbiano fatto tutto il possibile e il do- vuto nella prima fase di questa mortale epidemia devono attendersi azioni di risarcimento di dimensioni mai viste. In Francia sono stati recentemente condannati a pene detentive di vari anni e ad alti risarci- menti tre alti funzionari della sanità per lo scandalo del sangue infetto, e risarcimenti hanno dovuto versare case farmaceutiche in Canada e negli USA. Persino l'ex primo ministro Fabius e il competente ministro della sanità, la signora Dufois, dovranno rispondere in tribunale dei loro atti.

Non è difficile prevedere che le numerosi azioni di risarcimento intentate

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oggi in numerosi paesi europei apriranno una lunga serie di procedi- menti in cui si chiederà ragione ai protagonisti dei loro atti - ma soprat- tutto delle loro omissioni. Allora si vedrà chiaramente se la loro reazione era adeguata e commisurata alla gravita degli eventi.

15. Libertà di opinione - un bene da difendere perennemente

[Un problema che resterà tale in eterno.] Le condizioni e gli impedimenti di una libera circolazione delle informazioni e delle opinioni costituiscono un tema d'interesse generale. Chiunque desideri prendere posizione in inerito a questioni importanti senza essere intimidito - diritto sancito dalla Costituzione - dovrebbe poterlo fare senza sentirsi minacciato sul piano personale e professionale.

Il coraggio civile di tutti coloro che si sono impegnati néìl'AIDS-Informa- zione Svizzera, i quali conformemente alla loro etica professionale si battono per gli interessi della comunità - dunque anche degli agenti di polizia, del personale di ambulanza e carcerario, delle infermiere, delle assistenti odontoiatriche, degli assistenti sociali, dei chirurghi e degli anestesisti, e più in generale per gli interessi legittimi delle persone non contagiate - è messo a dura prova dalle campagne di diffamazione inscenate dall'«Aiuto AIDS Svizzera», dall'UFSP e da certi organi dei mass media. Il tiro continuo con accuse infondate e diffamatorie a cui essi sono sottoposti non giova certo al credito e alla reputazione dell'«Aiuto AIDS Svizzera», dell'UFSP o di mass media palesemente disinformati.

Si è giunti così - e la cosa non può non preoccupare - a soffocare opinioni e strategie che in una società ben informata potrebbero benissimo risul- tare maggioritarie.

16. Le finalità dell'AIDS-Inforinazione Svizzera

[Divergenze destinate a durare.] L'AIDS-Informazione Svizzera si vede tut- tora costretta a porre altri accenti che non l'UFSP e l'«Aiuto AIDS Sviz- zera». Confermata dai fatti essa continua a dubitare dell'efficacia, in ma- teria di profilassi epidemiologica, di adesivi, magliette, spille, feste di gala, manifesti, bus per la pubblicità di «Stop AIDS» ecc. Essa si batte

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invece per una coerente lotta all'epidemia ricorrendo alla razionalità scientifica, ai metodi sperimentati e a un'informazione corretta e scevra di contraddizioni. Quest'opera d'informazione prosegue, a dispetto del fatto che numerosi membri dell'AIDS-Informazione Svizzera siano stati fatti segno di attacchi massicci e abbiano dovuto addirittura temere per la propria esistenza (diffamazioni calunniose, minacce anonime per tele- fono, minacce di licenziamento). È un diritto sancito dalla Costituzione poter difendere pubblicamente le opinioni qui espresse e nient'affatto radicali.

Contrariamente all'UFSP, finito chiaramente sotto l'influsso di organiz- zazioni di omosessuali, VAIDS-Informazione Svizzera sostiene una linea condivisa dalle associazioni mediche americana (AMA), inglese (BMA) e tedesca (Hartmannbund), nonché dalla FMH e dalle associazioni profes- sionali dei ginecologi, infeziologi, internisti, dermatologi-venerologi, cardiochirurghi e specialisti di trapianti, epidemiologi e studiosi di biostatistica di area germanofona. Molti segni fanno pensare che a lungo andare queste idee si imporranno, perché i mutamenti in corso tendono proprio in quella direzione.

L'AIDS-Informazione Svizzera condivide dunque le strategie applicate con successo in una trentina di stati negli USA, nonché nei paesi scan- dinavi: Manda, Svezia, Norvegia e Finlandia. In nessuno di questi paesi si sono avverate le predizioni apocalittiche che è dato ascoltare in continuazione qui da noi. I paesi nordici non contano soltanto fra le più antiche democrazie europee, essi sono altresì da tempi imme- morabili un baluardo del pensiero umanistico e lungimirante che si è rivelato prezioso proprio nell'affrontare le epidemie.

Dovrebbe esser lecito sostenere queste tesi anche in Svizzera. Che i fau- tori di una libertà personale illimitata e «ad ogni costo»,.anche a costo di un'ulteriore diffusione dell'infezione da HIV, siano di parere diame- tralmente opposto è nella logica delle cose e rientra nei limiti di un con- flitto di opinioni democratico. I mass media hanno però il dovere di non semplificare il dibattito di questioni tanto scottanti riferendo in modo unilaterale o riportando acriticamente tesi diffamatorie. C'è bisogno della collaborazione di tutti per tener alto il vessillo della libertà di pen- siero - un impegno che non dovrà venir mai meno!

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17. Logica della lotta contro le epidemie

[Problemi di giusta collocazione.] L'aver mescolato un'epidemia da virus con dispute di natura politico-sociale, l'aver trascurato le esigenze fon- damentali dell'epidemiologia, nonché i fattori psicologici e le basi giuri- diche, e altresì la rinuncia affrettata «per quieto vivere» a buona parte delle norme di profilassi epidemiologica di provata efficacia - tutti questi errori dalle conseguenze funeste, commessi nella prima fase dell'epidemia, dovranno essere pian piano e non senza fatica corretti.

Molte misure necessarie sono state tralasciate o adottate troppo tardi o controvoglia, e non meraviglia che i responsabili continuino a mini- mizzare la portata delle loro omissioni.

Ma presto si riscopriranno i vecchi principi e le esigenze della lotta contro le epidemie, perché problemi come la malattia, il contagio, l'assi- stenza, il bisogno e la morte si ripropongono pressoché identici ad ogni epoca. I criteri di giudizio e le sofferenze umane non sono cambiati. La loro struttura di base, con le sue interconnessioni, risponde alla raziona- lità scientifica e include logica, biologia e psicologia. Ormai si riconosce e si ammette di trovarsi in un circolo vizioso per cui s'intravede già la fine dello statuto speciale attribuito all'infezione da HIV: essa troverà la sua giusta collocazione e allora si agirà di conseguenza. Più di un re- sponsabile se ne sta rendendo conto e sfumando oggi il suo discorso tenta un'operazione di trasformismo che impedisca di vedere come egli sia stato via via costretto ad adottare quelle misure prima osteggiate con veemenza. (Tra qualche anno si considererà di dubbio gusto «rivangare il passato».)

Ricapitolando possiamo definire così la posizione dell'AIDS-Informazione Svizzera riguardo alla lotta contro l'HIV/AIDS: i fini irrinunciabili di ogni intervento epidemiologico efficace sono e saranno sempre:

(1) stabilire dov'è l'agente patogeno (causa) (2) comprendere come si trasmetta (vie del

contagio)

(3) neutralizzare per quanto possibile - e in modo rapido - cause e vie del contagio.

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Appare sempre più chiaro che tale è il punto di vista della maggior parte degli svizzeri. Gli organi ufficiali di questo paese preposti alla lotta contro l'AIDS farebbero bene a uniformarsi alla volontà generale e a sot- trarsi alla tutela di minoranze di tendenze omofile e maniache del sesso.

Le sciocchezze che si propinano alla comunità qualificandole come «pre- valenti» sono forse tali nei mezzi di comunicazione, ma non certo nel cuore degli svizzeri. L'opinione pubblicata non corrisponde per nulla alla pubblica opinione. La quasi totalità dei cittadini è molto ben disposta e in grado di riflettere in modo sereno e obiettivo su un problema com- plesso. Un cuore sensibile e partecipe non impedisce certo di ragionare con la dovuta calma.

settembre 1993

Doti med. M. G. Koch (Karlsborg/Svezia), Dott. med. K. April (Zurigo), Prof. Dott. med. K.

Baerlocher (San Gallo), Dott. med. J. Barben (Zurigo), Dott. med. W. Flury (Langenthai), Prof. Dott. med. M. Geiser (Berna), Prof. Dott. med. D. Hauri (Zurigo), Dott. med. G. P.Jenny (San Gallo), Dott. med. T. Keller (Zurigo), Prof. Dott. med. H. Koblet (Berna), Dott. med. R.

Köster (Zurigo), Prof. Dott. med. Ch. Probst (Aarau), Dott. med. E. Rochat (St-Légier), Prof.

Dott. med. W. Schreiner (ZoUikon), Prof. Dott. med. H. Schwarz (Schlieren), Dott. med. B.

Simeon (Walenstadt), Dott. W. Steinke (Schenkon), Dott. med. R. Streit (Burgdorf), Dott.

med. F. Thévoz (Losanna), Prof. Dott. med. B. Truninger (Lucerna), Dott. med. D. Walch (Vaduz), Dott. med. H. Wick (Wädenswil), Dott. med. C. Wyler (Zurigo).

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Riferimenti

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