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Capitolo 1: Lo sviluppo sostenibile e il protocollo di Kyoto

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Academic year: 2021

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Capitolo 1:

Lo sviluppo sostenibile e il protocollo di Kyoto

Il settore energetico mondiale è attualmente in un periodo di transizione. Le riserve di combustibili fossili diminuiscono gradualmente ed il loro impiego è reso difficile da questioni ambientali ed economiche. Infatti, la sfida per il futuro sarà quella di conciliare le due contrastanti esigenze che vanno delineandosi a livello globale: la crescita della domanda mondiale di energia ed il relativo aumento dell’impatto ambientale, locale e globale, dovuto alle attuali fonti di energia. In questa ottica ed a fini cautelativi è nato il protocollo di Kyoto che, pur non essendo ancora stato ratificato dalla maggior parte dei paesi firmatari, ha avuto comunque il merito di promuovere iniziative concrete per avviare interventi finalizzati prioritariamente all’uso razionale dell’energia, al miglioramento dell’efficienza dei processi e al graduale passaggio verso combustibili a minor contenuto di carbonio. In questo capitolo, si cercherà di delineare le future strategie energetiche europee ed italiane nell’ottica di uno sviluppo sostenibile, che vede anche il nostro paese alla ricerca di tecniche innovative per lo sfruttamento di nuove fonti per poter superare l’era dell’energia fossile.

La sfida è molto ardua, vista la sempre crescente richiesta di energia elettrica e le caratteristiche dell’attuale parco di produzione elettrica italiano. Per un’analisi più accurata delle specificità del sistema elettrico italiano, nel suo complesso di apparati di produzione, vettoriamento e di utilizzo dell’energia elettrica si rinvia all’approfondimento inserito in appendice (Appendice A: “La produzione di energia elettrica in Italia”).

1.1 Il problema energetico mondiale

L’energia (dal greco <<εν>> (en) ed <<έργον>> (érgon) che significano, rispettivamente, “in” e “lavoro”) è un bene di fondamentale importanza per la società. E’ un’entità complessa da definire: è considerata come una capacità potenziale di compiere un lavoro. La storia dell’energia può essere suddivisa in nove grandi tappe a partire da un milione e mezzo di anni fa (per un milione e 200 mila anni i nostri progenitori -homo erectus- hanno vissuto a livello animale o poco più):

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1a tappa: l’uomo scopre il fuoco; il fabbisogno energetico pro-capite sale da 1.100.000 calorie/anno (necessarie per la sola alimentazione) a 2.200.000; 2a tappa: avvio dell’agricoltura, nel 7000 a.c.; il fabbisogno si raddoppia ancora e

arriva a 4.500.000 calorie/anno; 3a tappa: nasce la metallurgia, nel 4000 a.c.;

4a tappa: Antipatro di Tessalonica cita il mulino ad acqua, nel primo secolo a.c; 5a tappa: gli Arabi introducono il mulino a vento, verso il 650 d.c.;

6a tappa: nel 1300 viene impiegata, in Europa, la polvere da sparo, è la prima forma di energia artificiale;

7a tappa: verso il 1600 si introduce l’uso del carbon fossile nella produzione industriale; il fabbisogno energetico individuale subisce un’impennata da 5.000.000 a 15.000.000 di calorie all’anno;

8a tappa: inizio dell'utilizzazione del petrolio;

9a tappa: il 2 dicembre 1942 il fisico italiano Enrico Fermi innesca la prima reazione a catena artificiale della storia: nasce l’energia nucleare; il fabbisogno energetico si attesta a 35.000.000 di calorie annue pro capite;

Da quanto sopra riportato si evince che il progresso umano è andato di pari passo col consumo energetico. Ancora oggi si nota che nelle regioni del mondo sottosviluppate, al si sotto di una soglia minima del consumo energetico aumenta la mortalità infantile e diminuisce l’aspettativa di vita, come si nota dalla seguente figura.

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Con la propria forza muscolare un uomo può sviluppare 100 KWh all’anno, per non morire di fame necessita di 1000 KWh/anno sotto forma di cibo, per vivere dignitosamente ha bisogno di 50000 KWh/anno (equivalenti a 6,1 Tec - tonnellate di carbone equivalente - o 63 grammi di uranio in una centrale nucleare LWR). E' stato, quindi, sempre necessario moltiplicare il lavoro prodotto dalla forza muscolare attraverso lo sfruttamento delle altre fonti di energia.

Figura 1.2 - Implicazioni di un adeguato approvvigionamento energetico[2]

Riguardo ai consumi energetici, andrebbero comunque evitati sprechi ed inefficienze, ma non si può far a meno di constatare che un sufficiente approvvigionamento energetico fa parte dei più elementari diritti umani.

Oggi il consumo mondiale di energia si attesta a 10,3 miliardi di TEP (Tonnellate equivalenti di petrolio), pari a 1,7 TEP/anno pro capite. Tuttavia sussistono differenze enormi (fig. 1.3): si va dai 7,9 TEC all’anno pro capite negli USA, ai 0,6 in Africa.

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La domanda mondiale di energia è cresciuta rapidamente dal 1900 ad oggi (vedere figura seguente). L’attuale ritmo di incremento della richiesta energetica in Italia e, più in generale, nel mondo è ormai abbastanza costante da alcuni decenni.

Figura 1.4 - Consumi mondiali di energia, in Tep (tonnellate equivalenti di petrolio), dal 1850 ai giorni nostri [3]

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I combustibili fossili costituiscono la quasi totalità delle fonti di energia primaria nel mondo, come si evince dalle seguenti figure:

Anno 1980: 6.460 MTep

47% 28% 20% 3% 2% Petrolio Carbone Gas Nucleare Idro-Geo

Figura 1.6 - Consumi energetici mondiali dell’anno 1980 divisi per fonti [4]

Anno 1996: 8.474 MTep

39% 27% 24% 7% 3% Petrolio Carbone Gas Nucleare Idro-Geo

Figura 1.7 - Consumi energetici mondiali dell’anno 1996 divisi per fonti [4]

Fonti elettriche nel mondo (1973)

3% 38% 24% 21% 12% 2% Nucleare Carbone Petrolio Idro-Geo-Rin. Gas Biomasse

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Fonti elettriche nel mondo (1998)

17% 37% 9% 19% 16% 2% Nucleare Carbone Petrolio Idro-Geo-Rin. Gas Biomasse

Figura 1.9 - Produzione energia elettrica mondiale dell’anno 1998 divisa per fonti [5]

Nel guardare a possibili fonti di energia alternativa da sfruttare nel prossimo futuro, non si può prescindere da tre importanti questioni: la disponibilità, l’economicità e l’impatto ambientale. In realtà anche questo, come tutti i problemi complessi, non è semplicemente scindibile in sottoproblemi indipendenti l’uno dall’altro. Ad esempio, quantificare quale sia la reale disponibilità di una certa fonte energetica è funzione sia dei costi ritenuti “accettabili” per il suo approvvigionamento, sia dei costi (non soltanto economici) ritenuti accettabili per ciò che concerne l’impatto ambientale dovuto al suo ottenimento. D’altro canto, è impossibile stimare quale sia il reale costo di una fonte energetica senza considerare la sua disponibilità (soprattutto in funzione di quella delle altre possibili fonti) e le eventuali spese che è necessario sostenere per contenere entro limiti accettabili il suo impatto ambientale.

Affinché una fonte di energia primaria sia sfruttabile deve essere accumulabile, facilmente trasportabile, frazionabile, continua e regolabile.

Una fonte di energia è tanto più pregiata quanto migliori sono le caratteristiche sopra indicate; le fonti che attualmente soddisfano opportunamente tali requisiti sono quella fossile, quella idroelettrica, e quella nucleare, mentre sono evidenti le difficoltà in tal senso di quelle rinnovabili (solare, eolico, biomasse).

Per il benessere di tutti è necessario, poi, che una fonte di energia sia anche abbondante, immune da monopoli, a basso prezzo e compatibile con l’ambiente. Questi vincoli diventano più stringenti se si prendono in considerazione le previsioni [4] secondo cui la domanda di energia nel 2050 triplicherà rispetto ai valori attuali.

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I motivi principali di questo aumento saranno:

• il generale aumento della popolazione terrestre (specialmente nei paesi in via di sviluppo e maggiormente popolosi, come si può constatare dalle figure che seguono);

• l’aumento della popolazione che vivrà nei centri urbani (come da tabelle riportate);

• l’aumento generale del benessere (oggi circa 2 miliardi di persone non hanno accesso a rifornimenti commerciali di energia);

• la crescita “esplosiva” della richiesta di energia da parte dei paesi in via di sviluppo (attualmente, ad esempio il consumo pro capite di Cina ed India è circa un decimo di quello degli USA).

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Figura 1.11 - Previsione del trend di aumento della popolazione mondiale dal 1950 al 2020

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Popolazione urbana 1960 (milioni) 1980 (milioni) 2000 (milioni) Evoluzione 1960-1980 Evoluzione 1980-2000 Europa 266 364 476 + 38% +30% America Latina 106 240 466 +125% +95% Cina 122 230 443 +87% +92% India 100 214 517 +114% +140% Nord America 133 183 239 +37% +30% Ex-URSS 104 173 240 +65% +38% Giappone 59 91 114 +54% +25% Africa tropicale 30 83 234 +180% +180%

Tabella 1.1 - L’urbanizzazione della popolazione mondiale [7]

1900 1950 2000

Londra 6.400 New York 12.300 Città del Messico 31.000

New York 4.200 Londra 10.400 San Paolo 25.800

Parigi 3.300 Agglom. Renana 6.900 Tokyo-Yokohama 24.200

Berlino 2.400 Tokyo 6.700 New York 22.800

Chicago 1.700 Shangai 5.800 Shangai 22.700

Vienna 1.600 Parigi 5.500 Pechino 19.900

Tokyo 1.400 Buenos Aires 5.300 Rio de Janeiro 19.000

San

Pietroburgo 1.400 Chicago 4.900 Calcutta 17.700

Filadelfia 1.400 Mosca 4.800 Bombay 17.100

Manchester 1.200 Calcutta 4.600 Djakarta 16.600

Birmingham 1.200 Los Angeles 4.000 Seoul 14.200

Mosca 1.100 Osaka 3.800 Los Angeles 14.200

Pechino 1.100 Milano 3.600 Il Cairo 13.100

Calcutta 1.000 Bombay 3.000 Madras 12.900

Boston 1.000 Città del Messico 3.000 Manila 12.300

Glasgow 1.000 Filadelfia 2.900 Buenos Aires 12.100

Liverpool 940 Rio de Janeiro 2.900 Bangkok 11.900

Osaka 930 Detroit 2.800 Karachi 11.800

Istanbul 900 Napoli 2.600 Delhi 11.700

Amburgo 890 Leningrado 2.600 Bogotà 11.700

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Nel vertice mondiale sullo sviluppo sostenibile di Johannesburg del 2002 è emerso che l’energia rappresenta allo stesso tempo il problema e la soluzione: essa infatti rende possibile lo sviluppo, ma è anche fonte di inquinamento. Attualmente circa 2 miliardi di persone non dispongono di accesso ai moderni servizi energetici, sono generalmente povere, vivono in aree rurali e fanno affidamento alla combustione della legna e delle biomasse per cucinare, scaldare, ed illuminare le proprie abitazioni, come si evince dalla seguente tabella che mostra la situazione energetica Etiope.

Tabella 1.3 - Fonti energetiche di un paese ad economia depressa: l’ETIOPIA

Altri punti fondamentali emersi nel suddetto vertice sono:

1. un aumento significativo del consumo energetico mondiale registrato a partire dal 1992;

2. un sensibile aumento del consumo di legna da ardere;

3. un’impennata di circa il 10% del consumo di combustibili fossili tra il 1992 ed il 1999;

4. la constatazione che l’80% della produzione energetica mondiale è affidata a combustibili fossili;

5. la conferma che il 95 % dell’energia utilizzata nei trasporti è di origine fossile;

6. il fatto che il 20% della domanda di petrolio e di gas proviene dalla regione asiatica, che, a sua volta, fa registrare il 50% della crescita della domanda energetica;

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7. la previsione di un raddoppio della richiesta di energia entro il 2035, una triplicazione entro il 2050, qualora rimanga costante l’attuale tasso di crescita del 2% annui;

8. la constatazione che l’energia nucleare copre il 17% del fabbisogno elettrico mondiale, mentre le rinnovabili (idraulica, biomasse, geotermale, eolica e solare) solo il 4%.

La risoluzione dei problemi emersi ed in particolare il soddisfacimento delle richieste di energia da parte dei paesi in via di sviluppo assieme ad uno sviluppo rispettoso e compatibile con l’ambiente rappresentano uno dei problemi più importanti, delicati ed urgenti che le generazioni attuali e future sono chiamate a risolvere.

Se le scelte riguardanti le fonti di approvvigionamento di tale energia continueranno ad essere guidate da criteri di breve respiro ed irrazionali, l'impatto, in termini ambientali e di sperpero delle risorse terrestri sarà, purtroppo, irreversibile. A tutt'oggi, la produzione di energia si basa ancora principalmente sull'uso dei combustibili fossili, ma il progressivo esaurimento dei giacimenti di più facile accesso e l'aumento della richiesta comportano un continuo incremento dei costi e un aumento dell'impatto sull'ambiente.

1.2 I cambiamenti climatici:

Sono sempre più numerose e credibili i rapporti scientifici che confermano che i cambiamenti climatici in atto sono causati principalmente dall’azione dell’uomo, soprattutto a causa del continuo ricorso in ambito energetico a fonti fossili.

Secondo un rapporto del 2001 dell’International Panel on Climate Change (IPCC), organismo scientifico internazionale incaricato da tutti i paesi del mondo allo studio delle mutazioni climatiche, emergono le seguenti conclusioni:

• le temperature medie della superficie terrestre sono aumentate di 0,6°C dal 1860, in misura maggiore rispetto a quello che è accaduto nel secolo scorso; • è evidente che gran parte del surriscaldamento è da ricondurre ad attività

antropiche;

• il tasso di incremento delle temperature potrebbero aumentare di dieci volte nel corso del prossimo secolo, addirittura anche di 6°C ;

• una delle conseguenze principali del surriscaldamento sarà un’atmosfera più attiva energeticamente con conseguente estremizzazione delle caratteristiche climatiche delle varie zone;

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• i cambiamenti climatici saranno più accentuati sulle terre emerse, colpendo maggiormente l’Europa meridionale, l’Asia centrale e buona parte dell’Africa;

• ci potrebbe essere una seria possibilità di arresto della corrente oceanica, che stempera i climi di molti territori, come, ad esempio, quelli dell’Europa del Nord;

• ci sarà un innalzamento dei livelli marini;

• occorre porre un serio rimedio a questo trend delle temperature, dovuto in buona parte ad i “gas serra”, attraverso una reale strategia mondiale che vada nella direzione del contenimento delle loro emissioni.

Proprio questo ultimo punto merita un necessario approfondimento: i gas serra, come il vapore acqueo (quasi l’1% in volume dell’atmosfera), l’anidride carbonica (0,035% in volume), ed il metano dovuto a processi biologici (2 ppm) consentono a buona parte del nostro pianeta di avere una temperatura media accettabile, in quanto ostacolano parzialmente la riflessione dei raggi solari. Infatti, delle radiazioni solari, solo il 50% viene assorbito direttamente dalla superficie terrestre, mentre della parte restante il 25% viene assorbito dall’atmosfera e il 30% viene riflesso nel cosmo. Proprio parte delle radiazioni riflesse, la cui frazione sul totale, il così detto “albedo”, dipende dal materiale di cui è ricoperta quella determinata porzione di crosta terrestre (l’albedo può andare dai 0,1 delle zone di forte vegetazione, ai 0,9 dei ghiacciai) [9], viene bloccata dai gas serra, che la riemettono in tutte le direzioni, compreso nuovamente la superficie terrestre.

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Oltre all’effetto dell’immissione nell’atmosfera di gas serra di origine antropogenica, non bisogna dimenticare la dinamica intrinseca del clima mondiale: la storia mostra un andamento quasi ciclico delle temperature con frequenze millenarie ed eventi anomali come l’ ”Effetto Serra Medioevale”, che vide registrare tra 1050 ed il 1090 un aumento al suolo di 1°C. Sicuramente le emissioni dovute ad attività umane potrebbero essere un elemento di disturbo per l’evoluzione dinamica del clima mondiale; per questo, molti studiosi spingono nella prudente direzione di uno sviluppo sostenibile, che riduca la quantità di gas serra.

Infatti, gli studi mostrano che l’emissione antropogenica annuale di anidride carbonica ammonta a 30 miliardi di tonnellate: queste risultano dovute nella maggior parte a consumi energetici fossili, tipo centrali termoelettriche, riscaldamento, trasporti. I gas serra antropogenici, ai quali si assegna un potere di modifica dell’equilibrio energetico dell’atmosfera pari a 2,35W/m2, concorrono per il 38% all’effetto serra; il restante 62% è dovuto al vapore acqueo, dovuto alla naturale vita del nostro pianeta.

altri 2,5% CO2 22% O3 7% N2O 4% CH4 2,5% Vapore acqueo H2O 62%

Figura 1.14 - Contributo all’effetto serra dei gas presenti nell’atmosfera [9]

CFC 11% N2O 4% O3 9% CH4 15% CO2 61%

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Inoltre, bisogna notare il trend in continua crescita delle concentrazioni di gas serra nell’atmosfera, che ha visto una vera e propria impennata negli ultimi decenni, in seguito alla rivoluzione industriale.

Si riportano di seguito grafici esemplificativi.

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Questi andamenti hanno causato delle modifiche della composizione chimica dell’atmosfera, la cui conseguenza più probabile è l’influenza delle dinamiche climatiche degli ultimi cinquant’anni [9].

Come si evince dalle seguenti figure, i territori maggiormente colpiti sono l’Europa meridionale, l’Asia centrale e buona parte dell’Africa.

Figura 1.17 – Variazione nella temperatura media annuale

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1.3 Il protocollo di Kyoto

Proprio gli allarmanti studi, che testimoniano le modificazioni climatiche mondiali dovute all’alterazione della composizione chimica dell’atmosfera derivante da attività antropiche, ha portato ad uno stadio di preoccupazione, a livello globale, su quali potrebbero essere le conseguenze di questo processo.

Con questo spirito nel dicembre del 1997 si è svolta per 11 giornate a Kyoto, in Giappone, la Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici. L’idea di fondo è stata quella di “impedire interferenze antropiche pericolose per il sistema climatico”. Si approvò, per consenso, un protocollo secondo il quale i paesi industrializzati si impegnavano a ridurre, per il periodo 2008-2012, il totale delle emissioni dei gas serra almeno del 5,2% rispetto ai livelli degli anni ’90. Tale protocollo fu aperto alla firma il 16 marzo 1998, e sarebbe entrato in vigore dal novantesimo giorno successivo alla data in cui almeno il 55% del paesi aderenti alla Convenzione (e per un totale almeno del 55% delle emissioni globali) lo avessero ratificato. Paesi in via di sviluppo, come Cina ed India (i più popolosi) non sono sottoposti a nessun tipo di vincolo e, dato che la crescita delle emissioni di questi ultimi è stata, negli ultimi anni, tripla rispetto a quella dei paesi avanzati (circa il 25% contro l’8%) c’è il rischio che gli tutti gli sforzi di quest’ultimi siano vanificati. L’Italia ha ratificato il protocollo di Kyoto il 1° giugno 2002 con la legge n. 120. I gas presi in esame sono:

• anidride carbonica; • gas metano; • protossido di azoto; • esafluoruro di zolfo; • idrofluorocarburi; • perflorocarburi.

Le grandezze considerate per tali gas sono: la vita media atmosferica, che rappresenta l’ammontare del tempo che ci vorrebbe perché la concentrazione di un dato inquinante ritorni al livello naturale: varia notevolmente da sostanza a sostanza, da 12 anni per il metano a 100 per l’anidride carbonica, da 120 per il protossido di azoto a 50000 per il tetrafluoruro di carbonio; è stato poi definito il GWP (Global Warming Potential) rappresentato dal rapporto fra il riscaldamento globale causato da un dato inquinante per un dato periodo (solitamente 100 anni) e l’anidride carbonica (il GWP di quest’ultima e quindi uguale ad 1, mentre quello del metano è

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pari a 21 - quindi assai più efficace della CO2 -, e quello di sostanze come l’esafluoruro di zolfo è pari a 23900) [9].

Il protocollo di Kyoto prevede, fra le altre cose: • il miglioramento dell’efficienza energetica;

• la protezione ed il miglioramento dei meccanismi di rimozione e di raccolta dei gas ad effetto serra;

• la ricerca, la promozione e lo sviluppo di forme energetiche rinnovabili; • la limitazione delle emissioni di gas metano.

All’inizio dell’aprile 2001 il protocollo di Kyoto era stato firmato solo da 33 paesi su 84, tutti in via di sviluppo. La situazione nel 2003 è riportata nella seguente figura.

Figura 1.19 - Paesi che hanno ratificato il protocollo di Kyoto (in verde)

Molte sono state le divergenze, in particolare fra l’Unione Europea che ha inteso la riduzione come “riconversione” degli impianti inquinanti, e un gruppo di paesi detto Umbrella Group (Stati Uniti, Canada, Giappone, Australia e Nuova Zelanda) che, al fine di ridurre l’impatto del protocollo di Kyoto sulle proprie economie, ha cercato di far passare l’idea dei cosiddetti “meccanismi di flessibilità”. Il principale di questi riguarda il commercio delle quote di emissione, contro le quali l’Unione Europea non si è opposta, ma ha sostenuto che tale commercio deve essere complementare e non sostitutivo degli sforzi fatti, fissando un tetto per le emissioni commerciabili. Gli USA hanno obiettato che con la chiusura degli impianti altamente inquinanti dell’ex Germania dell’Est l’Europa ha ottenuto “senza sforzi” la propria quota di emissioni. Altra questione riguarda i “sink”, ossia i pozzi in grado di assorbire l’anidride carbonica: il protocollo di Kyoto prevede che attraverso forestazione, riforestazione,

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uso e cambi d’uso del suolo, i paesi possano ricevere dei “crediti” da aggiungere alle proprie quote di emissione. Per alcuni paesi può essere più semplice far crescere nuove foreste, ad esempio in nazioni in via di sviluppo, che non ridurre le proprie emissioni. Il punto è che non è di facile determinazione il quantitativo di anidride carbonica effettivamente assorbito dall’atmosfera da un dato albero o foresta: i paesi dell’Umbrella Group si sono battuti perché fosse possibile controbilanciare le emissioni piantando nuovi boschi e gestendo meglio il territorio, ma i paesi dell’UE hanno avversato tale ipotesi sostenendo che fosse solo un modo per sottrarsi dagli obblighi di riduzione. Gli Stati Uniti si sono sempre opposti all’ipotesi di prevedere multe o sanzioni legali, preferendo far passare la posizione di un “autocontrollo” [11]. Il perché di certe posizioni può forse risultare più chiaro dopo l'analisi della figura seguente, dove sono rappresentate le percentuali di emissione dei vari paesi.

Figura 1.20 - Percentuali di emissione dei vari paesi

1.4 La strategia energetica italiana in seguito al Protocollo di

Kyoto

Durante la 7ª Conferenza delle Parti (COP7), svoltasi a Marrakesh nel novembre 2001, si è avviato il processo di ratifica del Protocollo di Kyoto, ma ad oggi ancora non entra in vigore, a causa soprattutto dell’ostruzione degli USA e della Russia. L’Italia, però, ha ratificato il protocollo di Kyoto il 1° giugno 2002 con la legge n.120: con questo atto, il nostro paese si impegnerebbe a ridurre le proprie emissioni di gas serra del 5,2% rispetto ai livelli del 1990, entro il 2012. In realtà, il nostro paese continua a correre verso un aumento incontrollato dei consumi e delle

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emissioni di CO2, come confermano i dati relativi ad aggiornamenti riferiti al 1998, trasmessi nel 2000 dal Ministero per l’Ambiente, che asserivano addirittura un aumento della CO2 prodotta in Italia pari al 6,3% rispetto al 1990, e una generale crescita dei gas serra pari al 4,5%: questo, di fatto, renderebbe doppio lo sforzo necessario per adempiere agli impegni di Kyoto.

Per comprendere meglio, basta constatare che negli ultimi venti anni nel nostro paese, come mostrato dal grafico seguente, i consumi dell'industria sono stati stazionari, mentre si è avuto un notevole incremento dei consumi energetici nel settore civile e in quello dei trasporti, due settori in cui il soddisfacimento dei bisogni è fortemente condizionato dalle scelte politiche; questo è il frutto della inadeguatezza delle politiche dei trasporti e della mancanza di provvedimenti per il miglioramento dell’efficienza energetica nel settore domestico.

Figura 1.21 - Consumi energetici in Italia divisi per settori

Tuttavia, i consumi energetici in questi ultimi anni sono cresciuti ad un ritmo inferiore alla crescita del PIL; la quantità di energia impiegata per unità di prodotto (intensità energetica) continua a calare, ponendo l’Italia tra i paesi europei con il minor fabbisogno energetico.

Ciononostante, dalla figura seguente si nota che ovviamente l’intensità elettrica, alla quale è legata il PIL, continua a crescere.

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Figura 1.22 - Trend grandezze elettriche rispetto al PIL dal 1995 al 2000

Interessante risulta essere la distribuzione dei consumi elettrici: circa un terzo dell’energia elettrica viene impiegata negli usi finali come calore a bassa temperatura, un altro terzo come carburanti e solo il 13,8% direttamente per utenze propriamente elettriche. Dal momento che ogni trasformazione energetica comporta delle perdite relative al rendimento delle macchine utilizzate, da questi dati emerge una preoccupazione per l’aumento degli usi finali elettrici. Di seguito, si riporta una tabella esemplificativa:

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La preoccupazione sopra menzionata viene confermata se si analizza come viene prodotta l’acqua calda negli usi domestici italiani, che mostra, ad esempio, una totale mancanza di ricorso al solare; gli usi termici, che costituiscono complessivamente il 92% di tutti gli usi finali domestici ed il 54,2% dei consumi totali, vengono soddisfatti attraverso il ricorso a fonti non rinnovabili, prevalentemente gasolio e metano. Ancora piuttosto diffuso è il ricorso a dispositivi elettrici come stufette, condizionatori, scaldabagni, forni e fornelli. Ma utilizzare l’energia in una forma pregiata come quella elettrica per ottenere negli usi finali energia di scarso pregio come il calore a bassa e media temperatura è di fatto un assurdo termodinamico. Bisogna, inoltre, evidenziare che l’attuale sistema di produzione di energia elettrica è basato nella quasi totalità sull’utilizzo del calore estratto da combustibili fossili, che viene trasformato in energia meccanica, attraverso delle turbine. In tal modo, viste le entità dei rendimenti di questi impianti, solo una quota compresa fra il 35% (centrali tradizionali) ed il 55% (centrali a ciclo combinato) del calore prodotto dal combustibile (petrolio, carbone o metano) viene trasformata in elettricità attraverso l’alternatore elettromagnetico, mentre la restante parte viene dispersa quasi sempre nell’ambiente, senza essere recuperata.

La maggior parte dell'energia elettrica viene prodotta attraverso un ciclo termoelettrico; ad essa va aggiunta la quota delle importazioni, che provengono quasi totalmente da centrali termonucleari francesi. In generale, in Italia è in corso da alcuni anni una continua variazione della composizione delle fonti energetiche per la produzione di energia elettrica, con la crescita del gas naturale e il calo del petrolio. A causa del minor prezzo si registra un aumento anche della quota del carbone. Questo andamento è stato confermato dai dati inerenti il bilancio di energia elettrica in Italia nel 2002, pubblicati il 19 Gennaio 2004 dal Gestore della rete di trasmissione nazionale (GRTN): questi attestano un fabbisogno totale di energia elettrica di circa 310,7 miliardi di KWh, mostrando un aumento dell’ 1,9% rispetto all’anno precedente; inoltre, confermano quella che è la singolarità del parco macchine di produzione dell’energia elettrica in Italia, che vede circa l’80% della potenza netta effettivamente disponibile sulla rete nazionale provenire da impianti termoelettrici. Per una più accurata analisi di questi aspetti si rinvia all’approfondimento inserito in appendice (Appendice A: “La produzione di energia elettrica in Italia”), in cui sono stati riportati per esteso i dati sopra menzionati.

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A livello degli usi energetici complessivi, si registra un aumento del consumo di petrolio, probabile riflesso dell’aumento generale dei veicoli in circolazione (in particolare aumentano i diesel), soprattutto dei veicoli commerciali (per il forte aumento del trasporto merci su gomma) e industriali. Una buona quota dell’aumento di consumo di gasolio deriva dal riscaldamento civile.

La dipendenza energetica dall’estero dell’Italia è ancora decisamente marcata, con l’85% dei consumi complessivi. La dipendenza petrolifera è pressoché totale, con un discreto ventaglio di paesi fornitori. Per il gas naturale, stante il suo aumento come fonte energetica e il calo della produzione interna, dovranno aumentare le forniture e soprattutto diversificarsi.

Figura 1.23 - Trend degli usi finali di energia per fonte dal 1980 al 2000

La Figura 1.23 evidenzia come in Italia ci sia stato in questi ultimi 20 anni un aumento consistente degli usi finali di elettricità e gas. L’analisi per settori della dipendenza energetica mostra come il settore più vulnerabile, perché totalmente dipendente dal petrolio, sia quello dei trasporti, seguito dalla generazione di elettricità.

L’Italia, se vorrà mantenere gli impegni assunti a Kyoto, dovrà porre un serio rimedio alla situazione energetica sopra descritta attuando rigorose strategie per un reale sviluppo sostenibile; questo significa impegnarsi soprattutto su tre fronti:

1. l’efficienza energetica; 2. la cogenerazione; 3. le fonti rinnovabili.

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1.4 L’efficienza energetica

Il 4 aprile 2002 l’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas ha presentato le sue “Proposte per l’Attuazione dei Decreti Ministeriali del 24 Aprile 2001 per la Promozione dell’Efficienza Energetica negli Usi Finali”. Questo documento introduce per la prima volta delle regole per la gestione della domanda, fissando degli obiettivi quantitativi nazionali per il miglioramento dell’efficienza energetica, e degli obiettivi specifici di risparmio per le imprese distributrici di elettricità e gas, che servono più di 100.000 clienti. Elemento interessante è l’emissione di titoli di efficienza energetica, che l’Autorità rilascia a fronte dei risultati certificati dei progetti realizzati dai distributori o da ESCO (Energy Service Companies). Interessante il ruolo affidato alle ESCO, soggetti fino ad oggi praticamente assenti nel nostro paese, che dovrebbero invece rivestire un ruolo fondamentale in un sistema energetico sostenibile: le ESCO, o società di servizi energetici, sono soggetti specializzati nell'effettuare interventi nel settore dell'efficienza energetica, sollevando in genere il cliente dalla necessità di reperire risorse finanziarie per la realizzazione dei progetti e dal rischio tecnologico, in quanto gestiscono sia la progettazione/costruzione, sia la manutenzione per la durata del contratto (compresa usualmente fra i cinque ed i dieci anni); essendo di fatto venditrici di servizi energetici, le ESCO hanno tutto l’interesse all’istallazione di apparecchiature ad alta efficienza, in quanto permette a loro stesse di avere guadagni maggiori.

I titoli di efficienza energetica sono espressi in unità di energia primaria risparmiata. Essi sono negoziabili attraverso contratti bilaterali o sul mercato.

Il documento dell’autorità, di fatto, spinge alla diffusione presso gli utenti finali di apparati, o interventi sulle strutture, in grado di consentire un uso più efficiente dell’energia, con l’obiettivo quindi di ridurre la quantità di energia distribuita.

Con un reale e completo incentivo all’utilizzo delle tecnologie più efficienti e con più alto rendimento exergetico (qualità dell’energia utilizzata), sia nell’ambito degli usi finali domestici ed industriali, che nell’ambito edilizio, l’Italia potrebbe risparmiare fino al 46% della domanda di elettricità prevista in un periodo di 15-20 anni.

Approssimativamente, la metà della risorsa sul lato della domanda dell’Italia basterebbe a stabilizzare la domanda di elettricità prevista per il 2010 ai livelli di metà degli anni ’90, anche se la richiesta di energia elettrica continuasse a crescere secondo le previsioni.

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I maggiori potenziali di risparmio risiedono nei motori elettrici, negli elettrodomestici e nell’illuminazione, che costituiscono il 90% del potenziale stesso. Nel concreto, i risparmi nel settore residenziale potrebbero rappresentare il 26% del totale, mentre quelli del settore commerciale e industriale rispettivamente il 35% e il 39% del totale.

In termini strategici, sarebbe, dunque, concretamente conseguibile entro il 2010 un risparmio energetico dei consumi di energia elettrica del 20%.

1.5 La cogenerazione

Un sistema chiave per un uso più efficiente dei combustibili fossili è la cogenerazione (produzione combinata di calore ed elettricità). Rispetto alle centrali termoelettriche classiche, che hanno rendimenti fra il 35% ed il 55% (con valori superiori al 48% raggiunti solo nei cicli combinati con turbine a gas di ultima generazione), la produzione di calore ed elettricità in cogenerazione può portare, nei casi più favorevoli, ad efficienze complessive addirittura superiori al 90%, consentendo un risparmio di combustibile compreso fra il 10% ed il 40% rispetto alla produzione separata in impianti termoelettrici e caldaie convenzionali. Secondo i dati EUROSTAT, la cogenerazione nel 1994 in Europa rappresentava appena il 9% della produzione elettrica lorda. Nel 1999, secondo le stime di COGEN Europe era ancora sostanzialmente ferma al 10%, con valori massimi in Danimarca (50%), in Olanda e in Finlandia (40%). La cogenerazione è particolarmente indicata in aree urbane già dotate di reti di teleriscaldamento o in aree industriali che presentano una elevata richiesta di elettricità, calore e vapore. Il regime di monopolio della produzione di elettricità (per esempio in Francia) ha spesso ostacolato la cogenerazione, offrendo il calore come sottoprodotto a prezzi molto alti ed offrendo l’elettricità in eccedenza a prezzi molto bassi. La Commissione ha stimato un potenziale per la cogenerazione pari a 900-1000 TWh, corrispondente dal 29% al 33% della domanda di elettricità al 2010. Recenti sviluppi tecnologici possono portare a potenziali ancora più alti: sia gli impianti da 5 a 400 MWe, sia quelli da 0,1 a 5 MWe, offrono la possibilità di più elevati rapporti elettricità/calore, creando quindi opportunità assai più ampie di applicazione. La Commissione Europea ha suggerito l’obiettivo di raddoppiare per il 2010 la quantità di energia prodotta dalla cogenerazione. Questo comporterebbe una riduzione delle emissioni di CO2 pari a 150 Mt/anno, corrispondente al 5% delle emissioni totali della Comunità nel 1990. In Italia i numerosi nuovi impianti

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termoelettrici in costruzione o programmati, non prevedono la cogenerazione, e per le eccessive dimensioni (400-800 MW) non ne rendono conveniente l’applicazione in quanto le utenze raggiungibili dalle reti di fornitura del calore (in genere poche decine di migliaia di persone) consentirebbero l’utilizzo solo di una minima parte del calore prodotto, rendendo poco conveniente l’investimento. D’altra parte, però, a livello legislativo il decreto Bersani (marzo 1999) stabilisce “l’obbligo di utilizzazione prioritaria dell’energia elettrica prodotta a mezzo di fonti energetiche rinnovabili e di quella prodotta mediante cogenerazione”; inoltre, specifica che la “Cogenerazione è la produzione combinata di energia elettrica e calore alle condizioni definite dall’Autorità per l’energia elettrica ed il gas, che garantiscono un significativo risparmio di energia rispetto alla produzione separata”: nel concreto l’Autorità stabilisce il livello minimo dell’Indice di Risparmio dell’Energia, l’IRE, al di sopra del quale può definirsi un impianto cogenerativo:

min 1 IRE E p E E IRE ts t es e C > + − = η η

dove Ee è l’energia elettrica annua prodotta;

EC , l’energia primaria dei combustibili (potere calorifico); Et , l’energia termica utile annua prodotta;

es

η , il rendimento elettrico di riferimento Ee /EC (dipende dal combustibile e dalla taglia);

ts

η , il rendimento termico di riferimento Et /EC pari a 0,9 (0,8 per usi civili); p, il coefficiente che tiene conto della tensione di connessione.

L’IREmin è stata fissata al 5% per impianti antecedenti il decreto e al 10% per quelli nuovi.

Questa priorità di dispacciamento potrebbe essere molto utile per lo sviluppo e la diffusione di sistemi cogenerativi di piccola taglia, ad uso domestico e residenziale come, ad esempio, quelli basati sulle Fuel Cell di tipo PEM, oggetto di questa tesi.

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1.6 Le fonti rinnovabili

Ogni strategia energetica sostenibile, compatibile in particolare con il controllo del drammatico riscaldamento globale del pianeta, non può prescindere da un massiccio ricorso alle fonti energetiche rinnovabili, che non presentano emissioni di gas serra. Eppure tali fonti attualmente coprono appena il 6% dei consumi dell’Unione Europea. In ben altra considerazione esse dovrebbero essere tenute, non solo in virtù dei benefici ambientali, ma anche per garantire la diversificazione delle fonti e quindi una maggiore sicurezza degli approvvigionamenti. Di seguito si riporta un grafico esemplificativo degli obiettivi prefissati dalla Commissione Europea a riguardo delle fonti di energia rinnovabile, nell’ambito della produzione di energia elettrica.

Figura 1.24 - Obiettivi preposti dalla Commissione Europea sulle fonti rinnovabili per la produzione di energia elettrica, confrontati ai dati 1997

L’attuale potenziale tecnico delle fonti rinnovabili nella UE è stimato intorno al 29% della domanda finale di energia. La Commissione Europea, nel suo Libro Bianco sulle Fonti Rinnovabili di Energia ha stabilito l’obiettivo di coprire con queste fonti il 12% dei consumi interni entro il 2010; per il settore elettrico, questo corrisponde ad un obiettivo del 22,1%, da confrontare con il 13,9% del 1997. La stessa Commissione ha definito questi obiettivi “ambiziosi ma realistici”. Si prevede che il contributo maggiore al raggiungimento degli obiettivi fissati verrà dalle biomasse. I recenti sviluppi, in particolare nel campo dell’energia eolica fanno ritenere che questi obiettivi possano essere superati se si manterranno gli incentivi.

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Il raddoppio della percentuale di fonti rinnovabili utilizzata potrebbe consentire un risparmio nelle emissioni di gas serra pari a 200-300 milioni di tonnellate di CO2, che costituirebbero una quota significativa degli impegni Europei nel Protocollo di Kyoto.

Per quanto concerne la situazione italiana, nel giugno 1999 è stato pubblicato il “Libro bianco per la Valorizzazione Energetica delle Fonti Rinnovabili”: tra i programmi annunciati in questo provvedimento, vi erano anche quelli dei “Comuni Solarizzati” (che prevedeva l’installazione di 70.000 mq di pannelli termici) e dei “Diecimila Tetti Solari” (che prevedeva l’installazione di 10.000 impianti fotovoltaici), che avrebbero dovuto colmare il grave ritardo rispetto agli altri paesi europei nell’ambito dello sfruttamento dell’energia solare.

Nello stesso anno il decreto Bersani ha stabilito la priorità di dispacciamento dell’energia prodotta da fonti rinnovabili, ha creato nuove forme di incentivazione per questo tipo di energia (Certificati Verdi) ed ha allargato il concetto di rinnovabile anche “alla trasformazione in energia elettrica dei prodotti vegetali o dei rifiuti organici ed inorganici”.

Dai dati inerenti il 2002, pubblicati dal GRTN (Appendice A), si evince che la produzione di energia rinnovabile nel nostro paese è fornita principalmente dall’idroelettrico e dal geotermico (626 MW installati nel 2000), per il quale l’Italia detiene un primato storico (i primi impianti di Larderello risalgono ai primi del ‘900). Anche l’eolico, ha avuto negli ultimi anni un buon sviluppo: la produzione dall’eolico nel 2002 è aumentata del 19,2% rispetto a quella del 2001; a riguardo si ricorda che il più grande impianto in Italia è quello di Casone Romano (FG) costituito da 10 generatori monopala da 350 KW (per una potenza totale di 3.5 MW, pari a circa 3000 utenze domestiche), costato 6.5 miliardi di lire (equivalenti a 3357000 euro).

Per quanto concerne la produzione elettrica da solare, invece, si registra nel 2002 un calo pari al 16,7% rispetto al 2001 (4 GWh nel 2002 a fronte dei 4,8 GWh del 2001): questo andamento è dovuto principalmente ad un problema di costi: una centrale di grande taglia occupa 10 m2/KW, ha un costo di impianto di 6000÷7000 euro per KW installato, e un costo dell’energia di 0.020÷0.022 cent/KWh. Con le tecnologie attuali non si prevede che il costo possa scendere in maniera sensibile.

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1.7 Il ruolo dell’idrogeno nel panorama energetico mondiale

lo sviluppo dell’idrogeno (dal greco “ύδωρ” (údor) e

“γένος” (ghénos), “generatore di acqua”), come vettore energetico, sta ricevendo attenzione crescente per i suoi potenziali benefici a livello ambientale; l’idrogeno, inoltre, potrebbe soddisfare tre requisiti fondamentali: impatto ambientale teoricamente tendente a zero, producibilità da una pluralità di fonti, anche rinnovabili, possibilità di distribuzione in rete.

In realtà, si è ancora lontani dal poter verificare i requisiti sopra descritti, in quanto le tecnologie ad idrogeno sono, di fatto, ancora in una fase sperimentale: se da una parte, vi sono già buoni risultati nell’ambito dell’utilizzo energetico di questo vettore, soprattutto nel settore dei trasporti, dall’altra, nell’ambito dei processi di produzione da fonti rinnovabili, non vi sono ancora risultati competitivi dal punto di vista tecnico-economico; a questo bisogna aggiungere i problemi legati allo stoccaggio ed al trasporto di un gas così leggero (le molecola di H2 pesano 14,4 volte meno di quelle dell’aria), esplosivo, infiammabile ed estremamente volatile come l’idrogeno. Sarà difficile sviluppare in poco tempo una vera e propria struttura energetica basata sull’idrogeno, soprattutto se non si otterranno esiti scientifici tali da dimostrare che un investimento in tal senso sia concretamente giustificato da benefici reali, frutto di un opportuno compromesso tecnico-economico ed ambientale: solo un notevole miglioramento delle tecnologie di produzione da fonti rinnovabili, che mostrino una effettiva validità ecologica ed una buona competitività dei processi potrebbero dare adito allo sviluppo di un sistema energetico integrato, composto non solo dal vettore elettrico, ma anche da quello ad idrogeno.

Il settore in cui attualmente l’idrogeno sta riscuotendo più successo è quello dei trasporti, dove i vantaggi in termini di tutela ambientale risultano più immediati: in questo ambito, la combustione ad idrogeno e le fuel cell, i cui rendimenti elettrici stanno crescendo grazie allo sviluppo di nuove tecnologie, stanno riscuotendo via, via maggiore interesse grazie al grande vantaggio di avere emissioni zero; in realtà, parlare di mobilità ad emissioni zero risulta essere non propriamente corretto, in quanto ci si riferisce al fatto che mezzi di trasporto alimentati ad idrogeno non producono inquinanti, ma non si considerano le sostanze generate nel processo di reperimento del combustibile; bisogna, comunque, considerare che il controllo degli

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inquinanti risulta vantaggioso nel caso in cui le emissioni sono concentrate. Di fatto, il maggior vantaggio della mobilità ad idrogeno è quello di relegare le emissioni di inquinanti alla fase di produzione industriale del combustibile e, quindi, di salvaguardare l’ecosistema urbano, pur ottenendo mezzi di trasporto con prestazioni paragonabili a quelle dei propulsori a benzina e gasolio, e con meno problemi di accumulo energetico rispetto alle vetture elettriche.

Il perfezionamento della tecnologie delle celle ed i buoni risultati ottenuti nei rendimenti, sia in termini assoluti, sia di indipendenza dalla taglia e di costanza al variare del carico, stanno spingendo i programmi di ricerca dei principali Paesi industrializzati nel mondo, compreso quelli dell’Unione Europea, ad approfondire le potenzialità di tali tecnologie anche nelle applicazioni stazionarie, come, ad esempio, quella dei sistemi cogenerativi steam reformer – celle a combustibile, oggetto di questa tesi.

Per un approfondimento sulle proprietà dell’elemento idrogeno si rinvia all’Appendice B, “Proprietà fisico-chimiche dell’idrogeno e principali tecnologie di produzione”; è opportuno, però, evidenziare da subito che questo elemento, il più abbondante nell’universo (la maggior parte delle stelle risultano esserne costituite in una percentuale pari anche al 75% della propria massa) e il più diffuso, insieme all'ossigeno ed il silicio sulla crosta terrestre è molto raro allo stato elementare sul nostro pianeta in quanto l'attrazione gravitazionale terrestre, minore di quella delle stelle e dei grandi pianeti, è insufficiente a trattenere molecole come quelle dell'idrogeno, 14,4 volte più leggere di quelle dell’aria: questo è il motivo per cui l’idrogeno non può essere considerato come una fonte, ma solo come un vettore energetico, che deve essere prodotto da altre sostanze come l’acqua, il metano, ecc. Proprio i processi di produzione dell’idrogeno risultano essere ad oggi la fase meno competitiva della catena energetica legata a questo elemento: per questo motivo in Appendice B sono state confrontate le principali tecnologie di produzione. Da questo confronto risulta che attualmente il processo più valido dal punto di vista tecnico ed economico è lo steam reforming di idrocarburi.

1.8 Cenni giuridici sul rinnovabile e le assimilate

Prima della liberalizzazione del mercato dell’energia

Nell’ambito legislativo italiano si sono susseguite nel tempo più normative a riguardo delle fonti rinnovabili e dell’uso razionale dell’energia.

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Di fatto, da un punto di vista giuridico la voce uso “razionale dell’energia” si può considerare come una vera e propria fonte energetica.

Una delle prime norme in materia furono le leggi 9 e 10 del 9 gennaio 1991. In queste erano contenuti anche le disposizioni attuative del Piano Energetico Nazionale (PEN) approvato il 10 agosto 1988; quest’ultimo si era ispirato su tre criteri fondamentali:

• promozione dell’uso razionale dell’energia e del risparmio energetico; • adozione di norme per gli autoproduttori;

• sviluppo progressivo di fonti di energia rinnovabile.

L'aspetto più significativo introdotto dalla Legge n.9/91 era una parziale liberalizzazione della produzione dell'energia elettrica da fonti rinnovabili e assimilate nel panorama monopolistico esistente: questo tipo di impianti per diventare operativi necessitavano solo della comunicazione agli enti preposti e non dell’autorizzazione. La produzione da fonti convenzionali, invece, rimaneva vincolata all'autorizzazione del Ministero dell'Industria, del Commercio e dell'Artigianato (MICA).

Di seguito si riportano i punti salienti della legge 9:

l'art.20, modificando la legge n.1643 del 6 dicembre 1962, consentiva agli autoproduttori di vendere le eccedenze all'Enel. L'impresa autoproduttrice, se costituita in forma societaria, poteva produrre anche per uso delle società controllate o della società controllante. Questo principio attenuava solo in parte il monopolio dell'Enel, perché vincolava la cessione delle eccedenze energetiche all'Enel stessa. Tali eccedenze venivano ritirate a un prezzo definito dal Comitato Interministeriale dei Prezzi (CIP) e calcolato in base al criterio dei costi evitati, cioè dei costi che l'Enel avrebbe dovuto sostenere per produrre in proprio l'energia elettrica che acquistava. In questo modo si cercava di fornire benefici economici a quei soggetti che, senza ridurre la propria capacità produttiva, adottavano tecnologie che riducevano i consumi energetici.

L'art. 22 introduceva, invece, incentivi alla produzione di energia elettrica da fonti di energia rinnovabili o assimilate e, in particolare, da impianti cogenerativi. I prezzi relativi alla cessione, alla produzione per conto dell'Enel, al vettoriamento ed i parametri relativi allo scambio venivano fissati dal Comitato Interministeriale Prezzi (CIP), il quale doveva assicurare prezzi e parametri incentivanti. Gli impianti con potenza non superiore ai 20 KW “venivano esclusi dal pagamento dell'imposta e

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dalla categoria di officina elettrica, in caso di funzionamento in servizio separato rispetto alla rete pubblica”.

Nel 1992, con il provvedimento n. 6, il CIP fissò in 8 anni dall'entrata in funzione dell'impianto, il termine per la concessione degli incentivi; allo scadere di questo periodo il prezzo di cessione rientrava nei criteri del costo evitato. Sempre nello stesso provvedimento il CIP stabilì la condizione di efficienza energetica per l'assimilabilità alle fonti rinnovabili calcolata con un indice energetico che premiava le soluzioni a più alto rendimento elettrico.

La legge n.9/91 prevedeva, inoltre, una convenzione tipo con l'ENEL, approvata dal Ministero dell'Industria con proprio decreto il 25 settembre 1992, che regolava la cessione, lo scambio, la produzione per conto terzi e il vettoriamento dell'energia elettrica prodotta dagli impianti che utilizzavano fonti rinnovabili o assimilate. Tale convenzione stabiliva, tra l'altro, che la tensione di riconsegna dell'energia sulla rete ENEL doveva essere superiore a 1 kilo Volt indipendentemente dai vincoli tecnici o da eventuali problemi di sicurezza. Questa condizione limitava gli incentivi per quegli impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili o assimilate al servizio di edifici civili, che lavoravano a bassa tensione e che, quindi, avrebbero dovuto installare una cabina di trasformazione, i cui costi non giustificavano l’investimento.

L'art. 23 era dedicato alla circolazione dell'energia elettrica prodotta da impianti che usavano fonti rinnovabili e assimilate. "All'interno di consorzi e società consortili fra imprese e fra dette imprese, consorzi per le aree e i nuclei di sviluppo industriale (….) aziende speciali degli enti locali e a società concessionarie di pubblici servizi dagli stessi assunti" (comma 1), l'energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili e assimilate poteva circolare liberamente. Qualora il calore prodotto in cogenerazione fosse ceduto a reti pubbliche di riscaldamento, le relative convenzioni dovevano essere stipulate sulla base di una convenzione tipo approvata dal Ministero dell'Industria e i prezzi massimi del calore prodotto in cogenerazione erano determinati dal CIP, tenendo conto dei costi del combustibile, del tipo e delle caratteristiche delle utenze.

La legge n.10 gennaio 1991 conteneva una serie di norme in materia di uso razionale dell’energia e di risparmio dell’energia e di sviluppo delle fonti rinnovabili:

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il titolo I era interessante in quanto per la prima volta prescriveva alle regioni ed alle province di predisporre, d’intesa con l’Enea, i piani regionali o provinciali relativi all’uso di fonti rinnovabili. I piani dovevano contenere:

• il bilancio energetico;

• l'individuazione dei bacini energetici territoriali, ovverosia quei bacini che costituivano, per caratteristiche, dimensioni, esigenze dell'utenza, disponibilità di fonti rinnovabili e risparmio energetico realizzabile;

• la localizzazione e la realizzazione degli impianti di teleriscaldamento;

• l'individuazione delle risorse finanziarie da destinare alla realizzazione di nuovi impianti di produzione di energia;

• la destinazione delle risorse finanziarie, secondo un ordine di priorità relativo alla quantità percentuale e assoluta di energia risparmiata, per gli interventi di risparmio energetico;

• la formulazione di obiettivi secondo priorità d'intervento;

• le procedure per l'individuazione e la localizzazione di impianti per la produzione di energia fino a 10 MW elettrici.

I piani regionali dovevano essere supportati da specifici piani energetici comunali realizzati dai Comuni con popolazione superiore a cinquantamila abitanti, inseriti nei rispettivi piani regolatori generali. Le Regioni e gli enti locali delegati, inoltre, avevano il compito di concedere contributi in conto capitale a sostegno dell'utilizzo delle fonti rinnovabili di energia nell'edilizia (art. 8) e del contenimento dei consumi energetici nei settori industriale, artigianale e terziario (art.10) e nel settore agricolo (art.13). Nell’ambito edilizio, ad esempio, i contributi previsti andavano da quelli per la coibentazione di alta efficienza, a quelli per l’istallazione di impianti ad alto rendimento nell’ambito termico, di sistemi di cogenerazione e di apparati fotovoltaici.

Il titolo II della legge 10, invece, era inerente il contenimento del consumo di energia negli edifici condominali e di quelli pubblici; per questi ultimi le Amministrazioni Pubbliche erano tenute, dall’entrate in vigore della legge, a minimizzare il fabbisogno energetico dei propri edifici ed a ricorrere, fermi restando impedimenti tecnici o economici, alle fonti rinnovabili o assimilate.

Una certa attenzione va dedicata ai CIP 6/1992.

Per gli impianti trattati nella legge 9 e10 del 1991, cioè quelli inseriti nella nicchia liberalizzata sopra descritta, il prezzo a cui era possibile vendere energia elettrica alla

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rete nazionale era regolato dal provvedimento n. 6 del 1992 del Comitato Interministeriale dei Prezzi (CIP). I prezzi venivano stabiliti in base al criterio del costo evitato, ma nel caso di nuova produzione da impianti alimentati da fonti rinnovabili o assimilate era previsto, per i primi otto anni, un prezzo incentivante, variabile a seconda della tipologia di impianto. Il provvedimento in questione è stato, di fatto, ritirato nel 1996. Solo gli impianti che hanno concluso un Contratto preliminare con l’ENEL entro il 31.12.96 ricevono ancora il pagamento stabilito dal provvedimento, nessun altro impianto o progetto può beneficiare di queste tariffe. Attraverso i CIP 6 sono state date numerose licenze, che hanno dato un notevole input anche ai cicli combinati (considerati forzatamente assimilati) ed alla cogenerazione.

Dopo la liberalizzazione del mercato dell’energia

In seguito alla ratifica della Direttiva europea n. 92 del 19.12.1996, avvenuta con il Decreto Bersani (D.L. 79, 16 Marzo 1999), sono state inserite nuove forme di incentivazione per l’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili. Per quanto concerne la definizione di rinnovabile, poco è stato modificato rispetto a quella data dal CIP 6: “Fonti energetiche rinnovabili sono il sole, il vento, le risorse idriche, le risorse geotermiche, le maree, il moto ondoso e la trasformazione in energia elettrica dei prodotti vegetali o dei rifiuti organici ed inorganici” (Art.2, punto 15 del Decreto Bersani). Invece, per la cogenerazione si stabilisce quanto segue: la “cogenerazione è la produzione combinata di energia elettrica e calore alle condizioni definite dall’Autorità per l’energia elettrica e del gas, che garantiscano un significativo risparmio di energia rispetto alle produzioni separate.” Il punto fondamentale riguardante l’energia verde nel decreto Bersani è, però, l’art.3 comma 3: “…l’obbligo di utilizzazione prioritaria dell’energia elettrica prodotta a mezzo di fonti energetiche rinnovabili e di quella prodotta mediante cogenerazione.”. Il sistema di incentivazione della produzione di energia verde, introdotto dall’art.11 del decreto 79/99, prevede il superamento del vecchio criterio di incentivazione tariffaria Cip 6 ed è basato sui Certificati Verdi, titoli emessi dal GRTN che attestano la produzione di energia da fonti rinnovabili. Ogni Certificato Verde certificata la produzione di 100 MWh. I Certificati Verdi sono dei titoli annuali che vengono attribuiti all’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili utilizzando impianti entrati in esercizio dopo il 1 aprile 1999. Sono dei titoli "al portatore" cioè totalmente

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disgiunti dalla corrispondente energia elettrica "verde" prodotta e potranno perciò essere negoziati liberamente, anche cambiando proprietario più volte prima del loro annullamento.

Gli impianti che avranno diritto a ricevere i Certificati Verdi saranno quelli che fanno uso di fonti rinnovabili secondo la definizione stabilita dall’art.2 del DL 79/99, ma solo se sono entrati in esercizio (anche a seguito di potenziamenti, riattivazioni o rifacimenti) dopo il 1 aprile 1999. Per un impianto è possibile richiedere i Certificati Verdi solo per i primi 8 anni di piena produzione.

Gli impianti ammessi nelle graduatorie del CIP 6/92 non riceveranno i Certificati Verdi corrispondenti che saranno, invece, attribuiti al Gestore della Rete di Trasmissione Nazionale (GRTN).

Per poter richiedere al GRTN l’emissione dei Certificati Verdi, il proprietario dell’impianto dovrà precedentemente ottenere il riconoscimento di impianto da fonti rinnovabili. Una volta ottenuto tale riconoscimento, il titolare dell’impianto potrà richiedere, sempre al GRTN, l’emissione dei Certificati. La richiesta dei Certificati Verdi può essere di due tipi:

• richiesta a consuntivo: il titolare richiede al GRTN l’emissione dei Certificati Verdi relativi alla produzione di energia elettrica verde nell’anno precedente;

• richiesta a preventivo: il titolare richiede al Gestore l’emissione di Certificati Verdi relativi all’anno in corso o, per il successivo, su un quantitativo di energia elettrica verde ancora da produrre, in base ad una producibilità attesa.

In tutti i casi, ogni Certificato è relativo alla produzione effettuata in un determinato anno di riferimento e può, quindi, riferirsi o ad una quantità di energia elettrica già prodotta, o ancora da prodursi.

Per quanto concerne, invece, la domanda di energia verde, questa è costituita dall’obbligo per produttori ed importatori di energia elettrica di immettere annualmente una “quota” di energia prodotta da fonti rinnovabili pari al 2% di quanto prodotto e, o importato da fonti convenzionali nell’anno precedente. L’obbligo, secondo l’art.11 del decreto Bersani, si applica alle importazioni e alle produzioni di energia elettrica, al netto della cogenerazione, degli autoconsumi di centrale e delle esportazioni eccedenti i 100 GWh. Gli stessi soggetti possono adempiere al suddetto obbligo anche acquistando in tutto, o in parte, l’equivalente quota o i relativi diritti da altri produttori o dal gestore dalla rete di trasmissione nazionale. Quest’ultimo, come abbiamo visto, incassa i Certificati Verdi relativi agli

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impianti CIP 6; a riguardo, però, non bisogna dimenticare che proprio il GRTN continua a garantire la tariffa CIP 6, coprendone i costi mediante la componente tariffaria A3.

Infine, bisogna chiarire che i Certificati Verdi sono pienamente compatibili e cumulabili con qualsiasi altra forma di contributo o incentivazione prevista, sia regionale, che nazionale, che europea; l’unica incompatibilità per gli operatori privati riguarda i contributi del CIP 6/92.

Figura

Figura 1.1 – Correlazioni fra condizioni di vita ed approvvigionamento energetico[1]
Figura 1.3 – Disponibilità energetica pro-capite in TEP [3]
Figura 1.5 - Trend dei consumi energetici mondiali previsto dal World Energy Outlook 2001
Figura 1.6 - Consumi energetici mondiali dell’anno 1980 divisi per fonti [4]
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Riferimenti

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