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Academic year: 2021

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Introduzione

Con il termine MRI (Magnetic Resonance Imaging) si indicano tutte le tecniche di imaging non invasive ottenute mediante esami NMR (Nuclear Magnetic Resonance).

Le tecniche MRI, a partire dalle prime applicazioni cliniche risalenti agli anni ’80, hanno cambiato in modo radicale la diagnostica neuro-radiologica e rappresentano un metodo alternativo e complementare alla TAC (Tomografia Assiale Computerizzata) per lo studio del sistema nervoso centrale e spinale.

I vantaggi delle tecniche MRI rispetto a quelle di imaging tradizionale riguardano l’utilizzo di radiazioni non ionizzanti, la multi-planarità e la multi-parametricità.

La multi-planarità, ottenuta mediante l’applicazione combinata di gradienti di campo magnetico lungo differenti direzioni, fa sì che si possano ottenere immagini di sezioni relative ad ogni singolo piano dello spazio.

La multi-parametricità è legata ad una caratteristica intrinseca delle metodiche NMR (Cap. 1, § 1). In queste ultime il sistema in esame viene perturbato rispetto alla posizione di equilibrio e viene poi misurato il segnale emesso durante la fase di rilassamento. Tale segnale, detto FID, risulta funzione di più parametri (densità protonica, tempi di rilassamento) e l’immagine ottenuta è appunto espressione di questi parametri (Cap. 1, § 2). Le sequenze MRI consentono di pesare maggiormente le immagini risultanti in funzione di uno qualsiasi tra i parametri: ciò permette di evidenziare le singole strutture anatomiche con un’ampia variazione di contrasto.

Con l’affermarsi delle metodiche di indagine MRI si è cercato il loro progressivo perfezionamento, arrivando all’utilizzo di sequenze denominate “ultraveloci”, in modo da minimizzare errori nei risultati dovuti a fenomeni biologici insiti nell’apparato umano, come il flusso sanguigno, la respirazione o il flusso del liquido cerebro-spinale. Si entra, perciò, nel campo del Fast Imaging (Cap. 1, § 3).

Le tecniche di indagini MRI permettono di ottenere buoni risultati per quanto concerne lo studio dell’anatomia del cervello umano a livello macroscopico; i parametri utilizzati in tali metodiche non risultano, però, influenzati dalle normali funzioni cellulari e dai processi

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patologici che avvengono a livello microscopico. In particolare a noi interesserà analizzare mediante indagini MRI il fenomeno della “diffusione”, ossia il moto caotico e disordinato delle molecole di un mezzo dovuto all’agitazione termica. L’elemento preponderante di tale processo è rappresentato dall’acqua, che comprende il 65-90 % in volume dei tessuti biologici e svolge la funzione di mezzo di trasporto dei composti biochimici, divenendo quindi l’elemento fondamentale di molte reazioni chimiche del corpo umano: da ciò si intuisce come studi di diffusione protonica permettano una valutazione dell’integrità e della funzionalità cellulare, sia in condizioni normali che patologiche.

Poiché la diffusione si manifesta come processo tridimensionale, la mobilità molecolare nei tessuti non è la stessa in ogni direzione: questa proprietà di anisotropia ha la sua origine nella presenza di ostacoli che limitano i moti molecolari in alcune direzioni.

Studi di processi diffusivi con immagini MRI sono stati resi possibili, a metà degli anni ’80, mediante l’implementazione di tradizionali sequenze MRI con l’aggiunta di una coppia di opportuni gradienti di campo magnetico, detti “gradienti di diffusione” (Cap. 2, § 1).

Il nuovo campo di applicazione viene indicato con la sigla DWI (Diffusion Weighted

Imaging), mediante cui possiamo ottenere immagini di risonanza pesate in diffusione

lungo diverse direzioni (Cap. 2, § 2) : sarà utilizzata a tale scopo una particolare sequenza “ultraveloce”, denominata EPI (Echo Planar Imaging). L’effetto globale osservato in un voxel di un’immagine DWI riflette, su basi statistiche, la distribuzione spaziale delle molecole di acqua presenti all’interno del voxel.

Il rapido affermarsi di tali tecniche deriva dal fatto che, durante i moti molecolari, è possibile andare ad indagare le varie strutture su scala microscopica mediante l’acquisizione di immagini a risoluzione molto più alta rispetto ad immagini MRI di base. L’applicazione di maggior successo delle tecniche DWI a partire dai primi anni ’90 risiede in casi di ischemia cerebrale acuta.

In aggiunta alle immagini DWI, come analisi quantitativa, vedremo come sarà possibile la realizzazione di mappe ADC (Apparent Diffusion Coefficient), la cui intensità è funzione del valore del coefficiente di diffusione medio in ogni punto (Cap. 2, § 2).

La necessità di avere informazioni più precise ed approfondite sui processi diffusivi ha indirizzato lo studio verso l’ottimizzazione di una metodica per l’acquisizione del tensore di diffusione. Si entra, quindi, in un ulteriore campo di indagine, denominato DTI (Diffusion

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Tensor Imaging), che permette la realizzazione di mappe di traccia del tensore di

diffusione che non risentono dei limiti di direzionalità presenti nelle immagini DWI e nelle mappe ADC (Cap. 3). In ambito clinico le immagini di traccia sono divenute essenziali nella valutazione di casi di apoplessia acuta; immagini DTI sono state impiegate per studiare lo sviluppo del cervello umano, la sclerosi multipla, la sclerosi amiotrofica laterale e la schizofrenia.

Vedremo, dunque, come sarà possibile definire e rappresentare mappe di vari indici di diffusione anisotropa.

Con l’avvento delle tecniche DWI e DTI è stato possibile, alla fine degli anni ’80, individuare in vivo il carattere anisotropo dei processi diffusivi, sia nell’apparato cortico-spinale che nella sostanza bianca del cervello.

Il tessuto cerebrale è composto di sostanza grigia (GM, Grey Matter) e di sostanza bianca (WM, White Matter): la prima comprende i centri funzionali del sistema nervoso centrale, mentre nelle regioni di WM sono situati fasci di fibre che connettono tali centri. A causa della loro struttura anatomica, costituita da una specifica organizzazione di fasci di fibre parallele variamente ricoperte da strati di mielina, i processi diffusivi nelle zone di WM sono fortemente anisotropi: infatti la diffusione lungo la direzione delle fibre risulta molto maggiore rispetto a quella in direzione ortogonale.

Poiché gran parte delle normali funzioni cerebrali richiede che specifici centri funzionali siano in comunicazione con tutti gli altri, si può intuire l’importanza di una conoscenza dei percorsi individuati da i fasci di fibre di sostanza bianca (FSB).

Si è comunque dovuto attendere l’inizio del nuovo millennio per avere le prime pubblicazioni riguardanti i primi risultati in vivo di fiber tracking, ossia tecniche non invasive per il tracciamento di fasci di fibre nervose: il motivo di questo lasso di tempo tra il consolidamento di tecniche operanti sui tensori e la mappatura delle fibre risale all’evidente complessità insita nella connessione dei vari vettori d’informazione per ogni voxel (ricavati operando sui tensori) in modo da ottenere accettabili ricostruzioni tridimensionali delle fibre stesse. Attualmente, comunque, hanno trovato applicazione molti algoritmi per il tracciamento delle fibre e molti altri sono in fase di sviluppo.

Nell’ultimo capitolo (Cap. 4) verranno approfonditi questi ultimi aspetti; in particolare verrà analizzato un algoritmo per la traccia dei fasci di fibre di WM, sfruttando la loro proprietà di anisotropia in diffusione.

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Verranno, inoltre, affrontati e discussi i possibili problemi derivanti da un tracciamento in 3D delle fibre nervose e le tecniche conosciute per minimizzarli.

Infine verrà data un’applicazione di fiber tracking in campo clinico, mostrando come una lesione in uno specifico tratto di fibra possa condurre ad una disfunzione di tipo patologico.

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