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3. Qualità dei prodotti suini

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3. Qualità dei prodotti suini

3.1 L’evoluzione del concetto di qualità

Nei tempi passati la carne suina veniva considerata come un alimento in grado di apportare un alto valore energetico grazie all’elevata quantità di grasso in essa contenuto.

Il grasso conteneva, infatti, una notevole quantità di acidi grassi saturi in grado di resistere all’ossidazione e all’irrancidimento, che rendevano possibile una conservazione più duratura del lardo, della pancetta e dello strutto. Non va inoltre dimenticato che la presenza di acidi grassi saturi risultavano particolarmente adatti all’alimentazione di fruitori che dovevano sostenere il peso di un’intensa attività fisica; per questo motivo vi era una stretta correlazione tra i “maiali da grasso” e lo stile di vita proprio dell’epoca. A causa di un progressivo evolversi della moderna società e con essa dello stile di vita, sono venute meno le necessità di apporti energetici; tutto ciò ha comportato un conseguente adeguamento delle caratteristiche della carne suina alle nuove esigenze alimentari della popolazione.

Negli untimi decenni la produzione di carne suina si è orientata versi tipi genetici che prediligono maggiormente un più elevato sviluppo muscolare ed una minore quantità di grasso. Questo fattore è da attribuirsi principalmente ad una errata campagna di informazione che rappresentava la carne suina come prodotto grasso e, in quanto tale, responsabile dell’insorgenza di malattie metaboliche tra cui l’arteriosclerosi ed alcune malattie coronariche.

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La stessa tendenza non ha investito quella parte di animali (suino pesante) destinati all’industria salumiera nazionale, in quanto nella trasformazione di questi ultimi i depositi adiposi ricoprono un ruolo fondamentale nella produzione dei prodotti carnei conservati

Nonostante ciò il peso vivo al macello di questi animali ha subito delle modificazioni nell’arco degli anni, questo è infatti passato dai 200 kg circa di qualche anno fa agli attuali 160 kg.

Questa diminuzione di peso ha portato ad un notevole decremento della qualità dei prodotti trasformati, da attribuirsi alle ridotte infiltrazioni di grasso ed alla eccessiva presenza di acqua presente nelle carni. È noto infatti che, la trasformazione della carne in prodotti stagionati necessita di una materia prima con determinate qualità chimiche. Attualmente la maggior parte della carne suina prodotta nel nostro paese, presenta un grasso ricco di acidi grassi insaturi e polinsaturi che, nonostante i loro effetti positivi sul piano dell’alimentazione umana, danno diversi problemi durante i processi di trasformazione. I prodotti stagionati ottenuti impiegando questa tipologia di grasso possono, infatti, presentare fenomeni idrolitici ed ossidativi che, nei casi più gravi, portano al completo irrancidimento .

La riduzione del peso degli animali al macello è comunque da attribuirsi a due fatturi principali :

• La richiesta da parte del consumatore di carni sempre più magre

• La riduzione dei tempi di produzione da parte dell’allevatore per diminuire i costi relativi alla gestione .

La predilezione verso carcasse che presentano una ridotta quantità di grasso a favore di una maggiore quantità di tagli magri, ha inoltre portato alla comparsa di diverse anomalie sia a livello del tessuto muscolare che di quello adiposo. Gli animali che presentano queste caratteristiche

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risentono maggiormente degli eventi che sono causa di stress; questo comporta la produzione di carni aventi qualità chimico fisiche più scadenti.

3.2 La valutazione della carcassa

Con l’accentuarsi degli scambi Comunitari, di suini macellati, si è presentato il bisogno di adottare un sistema comune a tutti gli stati membri per quello che concerne la valutazione e la classificazione della carcassa. Secondo i regolamenti CEE come carcassa suina deve intendersi :

“ Il corpo di un suino macellato, dissanguato ed eviscerato, intero o diviso a metà, senza lingua, setole, unghie, organi genitali, grasso peritoneale (sugna), reni diaframma ed organi toracici e addominali”.

I regolamenti CEE prevedono inoltre che, in tutti i macelli degli Stati membri dove si macellano più di 200 suini alla settimana, il valore commerciale della carcassa venga stabilito mediante la valutazione del tenore in carne magra. Questa deve essere misurata mediante l’impiego di metodi provati a livello statistico basati sulla misurazione di una o più parti anatomiche.

Sempre secondo le direttive CEE, il tenore di carne magra di una carcassa è il risultato del rapporto tra il peso dell’insieme dei muscoli rossi striati, ottenuti mediante dissezione totale della carcassa e il peso della carcassa stessa.

Le direttive ed i regolamenti precedentemente accennati, consentono di poter attribuire alle carcasse sottoposte a valutazione, cinque classi che corrispondono alle lettere E U R O P; ad ogni lettera corrisponde una determinata percentuale di carne magra che viene determinata al macello mediante specifiche sonde. Ogni singolo paese ha inoltre la possibilità di introdurre la classe speciale S nel caso della valutazione di suini

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S % di carne magra > 60

E % di carne magra compresa tra 55 e 60

U % di carne magra compresa tra 50 e 55

R % di carne magra compresa tra 45 e 50

O % di carne magra compresa tra 40 e 45

P % di carne magra < 40

Il nostro paese rappresenta un caso particolare in quanto ha ottenuto la possibilità di applicare due differenti sistemi di valutazione : uno per il suino leggero ( 90 – 120 kg ) ed uno per il suino pesante ( 120 – 180 kg). Questo si è reso necessario per l’eccessivo danno economico che l’Italia avrebbe subito poiché per tradizione è vocata alla produzione del suino pesante destinato alla trasformazione ( soprattutto prosciutti).

Immagine 3.1 - Rappresentazione dei principali tagli sulla mezzana (da Balanini D.)

1) prosciutto; 2) lardo; 2’) guanciale; 3) pancetta; 4) lombata; 5) coppa; 6) spalla; 7) zampini; 8) testa

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3.3

La qualità della carne suina

La valutazione della qualità della carne suina prende in considerazione diversi aspetti che vengono raggruppati in cinque principali categorie riguardanti:

1) Caratteristiche igenico-sanitarie

• Assenza di germi patogeni

• Ridotta carica batterica

• Assenza di residui di additivi e farmaci

• Assenza di residui di pesticidi

• Assenza di residui di anabolizzanti

• Assenza di residui di metalli pesanti

• Contenuto lipidico

• Contenuto di acidi grassi saturi

• Contenuto di colesterolo 2) Caratteristiche nutrizionali • Contenuto proteico • Contenuto di vitamine • Contenuto di minerali • Valore calorico 3) Caratteristiche organolettiche OSSERVABILI ALL’ACQUISTO • Colore • Grana e tessitura

• Perdita di essudato dalla superficie di taglio

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OSSERVABILI AL CONSUMO

• Tenerezza

• Succulenza

• Sapidità

• Fragranza

• Assenza di odori sgradevoli 4) Caratteristiche etiche

• Ecosostenibilità degli allevamenti

• Tutela del benessere animale 5) Caratteristiche tecnologiche

• Contenuto di acqua

• Capacità di ritenzione idrica

• pH

• contenuto di acidi grassi insaturi

• Capacità di assorbimento del sale

Caratteristiche igenico-sanitarie

Il concetto di qualità legato allo stato igenico-sanitario della carne comporta una serie di fattori che vanno dall’assenza di sostanze nocive esogene, all’assenza di germi patogeni, ad una ridotta presenza della carica microbica. Per far sì che quest’ ultima influisca negativamente sui vari processi di lavorazione quali : frollatura, maturazione e trasformazione, è necessario che vengano adottate misure igieniche atte a ridurre l’insorgenza di eventuali problemi.

Particolare attenzione va quindi rivolta verso un adeguato controllo, che deve partire dagli ambienti di allevamento per arrivare fino alla pulizia

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degli ambienti del macello ed a quelli adibiti alla commercializzazione del prodotto finale.

Per quanto concerne il contenuto di acidi grassi saturi e colesterolo, contrariamente a quanto si pensava negli anni passati, la carne suina presenta caratteristiche migliori rispetto a quella bovina.

Questo è dovuto al fatto che, mentre il grasso intramuscolare (grasso non separabile al momento del consumo) presenta caratteristiche paragonabili e talvolta migliori di quello di specie ritenute magre, la maggior parte della componente adiposa del suino (circa i 2/3) deriva dal grasso intermuscolare che è facilmente separabile.

Altro fattore che va tenuto sotto controllo riguarda la presenza di residui di sostanze nocive per la salute umana. E’ il caso di varie sostanze ormonali e di farmaci che possono essere impiegati sia durante le fasi di allevamento che nella lavorazione delle carni. A tal proposito è possibile limitarne la presenza solo mediante una metodologia di allevamento che rivolga particolare attenzione alla riduzione dell’utilizzo di queste sostanze. A tutela di un corretto comportamento durante le fasi di lavorazione e commercializzazione l’Italia ha recepito con il D.Lgs. 155/97 la Direttiva CEE sul sistema di autocontrollo (HACCP) da parte delle stesse aziende interessate.

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Caratteristiche nutrizionali

Per quanto concerne le caratteristiche nutrizionali, possono essere valutate mediante analisi chimica; i fattori che sono maggiormente presi in considerazione sono essenzialmente il contenuto proteico, quello vitaminico e la quantità di sali minerali. Dalla tabella riportata di seguito è possibile osservare le differenze derivanti dall’analisi chimica relativa alla carne suina ed a quella bovina.

Tabella 3.1 - Composizione chimica della carne suina e bovina su 100 g di campione

g mg vitamine mg proteine lipidi Fe Ca P B1 B2 PP Vitello 18 4 2,3 14 214 0,15 0,26 6,3 Vitellone 22 3 2,3 11 175 0,1 0,17 4,3 Vacca 20 10 2,1 10 180 0,1 0,18 4,4 Suino magro 20 3 1,6 12 233 1,35 0,2 4,5 Suino pesante 18 15 1,7 8 176 0,4 0,11 4,8 Caratteristiche organolettiche

La valutazione delle caratteristiche organolettiche è da attribuirsi a parametri che fanno capo ad una valutazione prettamente soggettiva da parte del consumatore ed a una soggettiva portata avanti con l’ausilio di specifiche attrezzature. Fra quelle precedentemente citate, quelle che più frequentemente vengono prese in considerazione sono il colore e la consistenza.

Il colore è una delle caratteristiche più importanti della carne poichè con esso il consumatore valuta il suo grado di freschezza.

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La valutazione del colore viene effettuata mediante l’impiego di un colorimetro che misura la riflettanza; questa analisi è in grado di valutare la quantità di luce riflessa da parte del campione analizzato.

Esso è principalmente dovuto alla presenza di mioglobina e cromoproteine che sono entrambe pigmenti di natura proteica. La concentrazione della mioglobina, che è la diretta responsabile dell’intensità del colore della carne, risente molto della presenza di alcune variabili; essa varia tra 1 e 20 mg/g di carne a seconda del sesso, dell’età e della razza. La tonalità cromatica viene invece determinata dalla proporzione in cui sono presenti le tre differenti forme di mioglobina:

• Ossimioglobina

• Metamioglobina

• Deossimioglobina

Il peso alla macellazione ed il tipo di allevamento praticato rivestono un ruolo molto importante nella colorazione della carne. Il contenuto di mioglobina tende ad aumentare con il crescere del peso di macellazione ed in quegli animali che farnno maggior movimento, come quelli allevati allo stato brado. Da non sottovalutare sono in ogni caso anche le differenze di colore dipendenti dalle caratteristiche genetiche proprie dei diversi animali; essi infatti presentano differenti fibre cellulari che compongono le unità funzionali del muscolo. Queste fibre possono dividersi in:

Fibre di tipo 1- sono presenti nella maggioranza dei muscoli deputati ai movimenti lenti, con elevata resistenza allo sforzo e con bassa capacità di contrazione; sono di colore rosso e ad ossidazione lenta.

Fibre di tipo 2 b – presentano un ø maggiore rispetto alle precedenti e si trovano in quei muscoli utilizzati per movimenti lenti e facilmente affaticabili. Hanno un contenuto di mioglobina inferiore alle fibre di tipo 1 e sono di colore bianco e caratterizzate da una

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Fibre di tipo 2 a – hanno un metabolismo sia aerobico che anaerobico e presentano caratteristiche intermedie rispetto alle prime due.

Altro fattore di particolare rilievo ai fini analitici è senza dubbio quello della consistenza della carne; essa è determinata essenzialmente dalle caratteristiche fisiche del muscolo quali:

• Densità

• Plasticità

• Elasticità

• Tenerezza

L’entità di quest’ultimo parametro viene valutata mediante la misura dello sforzo necessario per tagliare un determinato campione di superficie nota. La resistenza al taglio è da attribuirsi principalmente alla quantità di tessuto connettivo, allo stato di contrazione del muscolo ed all’integrità di proteine che formano le miofibrille muscolari.

Caratteristiche etiche

Le caratteristiche etiche, pur non avendo un ruolo diretto sulla qualità della carne, sono state fondamentali per modificare buona parte delle tipologie di allevamento. La maggiore attenzione da parte del consumatore verso le tecniche utilizzate per l’ottenimento del prodotto finito, ha portato molti operatori del settore suinicolo ad operare scelte che rivolgessero maggior attenzione nei riguardi del benessere animale. La qualità del prodotto risulta sempre più legata alla qualità dei processi produttivi che vengono utilizzati, con un sempre maggiore interesse nei confronti dell’ambiente, delle materie prime e delle strutture utilizzate. (Franci, 2004).

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Caratteristiche tecnologiche

Le caratteristiche tecnologiche sono forse quelle che ricoprono la maggiore importanza, in quanto determinano la buona riuscita o meno di tutti i processi di trasformazione.

Tra queste, quelle che maggiormente vengono prese in considerazione sia dal settore salumiero, sia da quello che si occupa della carne fresca, sono essenzialmente la capacità di ritenzione idrica ( WHC- water holding Capacity ) ed il pH.

La capacità di ritenzione idrica rappresenta la capacità della carne di trattenere l’acqua in essa contenuta e viene misurata mediante l’impiego di due differenti metodi :

• Per pressione su filtro di carta ( Grau e Hamm)

• Determinazione con lo strumento Kapillar Volumeter

Il primo di questi due metodi consta nel sottoporre a pressione un campione di carne di peso noto e posizionato sopra un disco di carta assorbente; la misura dell’alone (ottenuta per mezzo di un planimetro) lasciato dal campione, in seguito alla compressione, sarà inversamente proporzionale alla capacità di ritenzione idrica della carne.

La determinazione con Kapillar Volumeter, invece, si basa sulla compressione e sull’assorbimento per capillarità del liquido liberato da un campione di spessore definito. L’acqua assorbita da un diaframma di gesso poroso viene così misurata e serve per la determinazione della capacità di ritenzione.

Questo parametro riveste particolare importanza se si considera che i cali di sgocciolamento, che possono variare tra l’ 1,1 ed il 10,2 %, oltre a rappresentare un danno economico diretto, conferiscono caratteristiche negative anche dal punto di vista dell’aspetto.

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Il punto isoelettrico delle proteine è circa 5,3; in prossimità di questo valore, le forze di repulsine all’interno delle proteine sono minime, di conseguenza lo spazio all’interno dei miofilamenti del muscolo è ridotto e tali condizioni determinano una capacità di ritenzione idrica minore. In questo caso, la carne in esame, trasuda acqua dalla superficie di taglio. Per valori minori o maggiori del punto isoelettrico, si determina un aumento delle forze di repulsione interne alle proteine e ciò porta ad una maggior separazione dei miofilamenti con conseguente aumento della capacità di ritenzione idrica.

Le variazioni di pH che si verificano nella fase post mortem dell’animale sono alla base della manifestazione di due importanti anomalie relative alla qualità della carne :

• La PSE (Pale Soft Exudative)

• La DFD (Dark Firm Dry)

Nel caso in cui il pH presenti una diminuzione rapida è possibile osservare l’insorgenza della sindrome PSE, mentre nel caso contrario a manifestarsi sarà la DFD. I parametri utilizzati per valutare le alterazioni sopra citate, sono quindi il pH a 45 minuti ed a 24 ore dopo la morte dell’animale. In tal modo è possibile separare le carcasse affette da anomalie da quelle sane, che hanno un pH45 di 6 - 6,5 ed un pH24 di circa

5,6 – 6 (CRPA, 2001). La trattazione di queste due anomalie verrà approfondita nei seguenti paragrafi.

3.4 Fattori che influiscono sulla qualità della carne

Ormai da diversi anni Risulta evidente che la qualità del prodotto finale è legata da una stretta correlazione con caratteristiche estrinseche inerenti un’adeguata gestione sia della materia prima, che dei sistemi produttivi. A tal proposito risulta opportuno analizzare quali sono i principali fattori che influiscono sull’ottenimento di un prodotto finito di qualità.

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• Il tipo genetico

• L’alimentazione

• Le tecniche di allevamento

• Età e peso di macellazione

• Fasi che precedono la macellazione

Il tipo genetico

La scelta di un adeguato tipo genetico è probabilmente uno dei principali fattori che influenzano la qualità della carne. Soprattutto negli ultimi anni il settore suinicolo si è spinto verso una selezione genetica altamente specializzata, in grado di soddisfare le maggiori esigenze sia da parte dei produttori che del mercato.

Nel nostro paese, le razze che maggiormente vengono impiegate sono senza dubbio la Large White e la Landrace, spesso incrociate con la Duroc per ottenere di ibridi commerciali più adatti alle differenti condizioni di allevamento.

Sia la L.W. che la Landrace danno ottimi risultati sia per quello che concerne la qualità della carne che della carcassa; la Landrace presenta qualche problema per la carne nei ceppi belga, tedesco ed olandese, mentre è stato migliorato e reso idoneo alla trasformazione il ceppo italiano. Spesso, con la realizzazione di ibridi derivanti da incroci di queste due razze con la Duroc, porta ad ottenere di prodotti finiti aventi migliore consistenza del grasso, colore e caratteristiche organolettiche.

Inoltre non va dimenticato che queste tre razze (quelle del ceppo italiano) presentano un’incidenza della PSE e del gene Hal ¯ pari solo al 2% contro il quasi 90% del ceppo belga della Landrace e della Pietrain.

E’ comunque fondamentale scegliere la razza che meglio si adegua alle caratteristiche di allevamento; infatti qualora ci si trovi nella situazione di

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caratteristiche di rusticità. Nonostante le differenze inerenti le performance produttive tra razze migliorate e rustiche, va sempre tenuto in considerazione che queste ultime sopperiscono ai minori incrementi con particolari caratteristiche tecnologiche ed organolettiche della carne, molto apprezzate da un sempre maggior numero di consumatori.

L’alimentazione

Anche l’alimentazione, come il tipo genetico, riveste un ruolo di fondamentale importanza ai fini di un prodotto finale di qualità.

Una scorretta somministrazione degli alimenti predestinati può causare una serie di effetti negativi che si ripercuotono inevitabilmente sul prodotto finale

• Somministrazione “ad libitim” - Pur fornendo buoni incrementi ponderali e di conseguenza tempi di allevamento ridotti, va ad influire negativamente sulla qualità della carcassa favorendone l’adiposità. Inoltre, a causa del rapido raggiungimento del peso di macellazione da parte degli animali, la carne non si presenta sufficientemente matura per le fasi di trasformazione e conservazione.

• Somministrazione limitata - questo è il caso opposto al precedente ; un razionamento eccessivamente severo, oltre ad esercitare effetti negativi sia per la durata del ciclo che per le rese al macello, porta ad un notevole peggioramento della qualità dei grassi di deposito. E’ stato dimostrato che tanto più lenta è la deposizione del grasso sottocutaneo, tanto più alto è il rapporto tra acidi grassi insaturi ed acidi grassi saturi (Wood e Enser, 1992). Questo comporta un aumento della fluidità dei grassi ed un maggior rischio di irrancidimento.

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• Tempi di somministrazione - In natura il suino ha un’alimentazione continua che occupa la maggior parte del suo tempo. Mediante l’azione di grufolamento esso è infatti in grado di procurarsi il cibo nei vari ambienti naturali. Il problema sorge nel caso dei grandi allevamenti confinati dove gli animali vengono spesso nutriti con alimenti liquidi o pellettati che riducono drasticamente i tempi di somministrazione a pochi minuti. Tutto ciò causa una serie di problemi fisiologici e comportamentali che vanno dallo stress alla comparsa di patologie digestive.

Le tecniche di allevamento

Le tecniche di allevamento suino possono dipendere da diversi fattori quali : le scelte tecniche dell’imprenditore, la presenza o meno di terreno, le condizioni pedoclimatiche ed infine la realtà socio-economica dell’ambiente in cui ci si trova ad operare.

E’ ovvio che quando si vanno a modificare fattori che prendono in considerazione condizioni ambientali, alimentazione ed esercizio fisico, si influenzano inevitabilmente le qualità necessarie al benessere animale ed a tutto ciò che questo comporta. Un metodo di allevamento, tale da assicurare un elevato livello di benessere agli animali, ha tutte le caratteristiche per diventare una componente aggiuntiva nella valutazione della qualità richiesta dal consumatore di carni suine.

Particolare attenzione a questo aspetto viene posta attualmente con l’allevamento di tipo brado, che garantisce un muscolo di maggiore consistenza a seguito della possibilità di movimento da parte degli animali; in ogni caso, buoni livelli di benessere possono essere raggiunti anche nell’allevamento confinato rispettando le opportune precauzioni.

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stato brado e quelli confinati, vengono riportate di seguito due tabelle riferite alla razza Cinta Senese (Convegno nazionale Cuneo, 2003).

Tabella 3.2 - Performance di macellazione in suini di razza Cinta Senese allevati con sistema brado e confinato (Convegno nazionale Cuneo, 2003)

confinato brado

Età giorni 312 509

Peso alla macellazione Kg 135,5 127,3

Resa % 81,22 81,64

Tagli magri % 57,76 54,05

Tagli grassi % 36,79 40,97

Tagli ossei % 5,14 4,94

Tabella 3.3 - Caratteristiche chimico-fisiche della carne di Cinta Senese allevati con sistema brado e confinato (Convegno nazionale Cuneo, 2003)

confinato brado pH 45 6,22 6,24 pH 24 5,78 5,83 Croma 12,38 15,57 Umidità % 73,25 71,75 Proteine % 22,78 23,02 Estratto etereo % 3,19 4,17 Calo di cottura % 26,04 28,12 Acqua libera cm² 9,94 9,55

Sforzo di taglio a crudo kg 9,74 9,83

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Età e peso di macellazione

Per quello che concerne la produzione suinicola nazionale, si rende necessario che età e peso di macellazione siano giustamente correlati. Il raggiungimento del peso vivo adatto alla macellazione deve tener conto del tempo occorrente alla corretta maturazione della carne; ovvero un adeguato rapporto tra la componente muscolare e quella adiposa. Ormai da diverso tempo, è stato dimostrato che l’innalzamento del peso di macellazione porta all’impiego di maggiori quantità di alimento per ottenere l’unità di accrescimento. Inoltre, a pesi troppo elevati, l’accrescimento dell’animale è legato ad eccessivi depositi di grasso che contribuiscono alla riduzione del valore commerciale della carcassa.

I depositi più precoci sono quelli intracellulari, poi quelli intermuscolari ed infine quelli intramuscolari (Franci, 2004).

Questo appare evidente anche considerando che recenti studi hanno dimostrato che, in un intervallo che varia tra i 90 ed i 137 Kg, la percentuale di magro viene ridotta dello 0,035% contro un aumento dello spessore del grasso a livello della decima costola di 0,07 mm ogni kg di aumento del peso vivo.

Per quello che concerne le proprietà chimiche della carne, è stata fatta una comparazione degli effetti delle differenti età a pari peso di macellazione (valutato per due differenti pesi di macellazione: 100 e 130 KG) ( Candek-Potokar, 1997)

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Tabella 3.4 - Composizione chimica (g/100g) del muscolo lungo dorsale di suini macellati a diversi pesi e diverse età.( Candek-Potokar, 1997)

Peso vivo al macello 100 kg 130kg

Piano alimentare Ad libitum Razionato Ad libitum Razionato

Età al macello 160 187 209 242 Acqua 74,2 74,3 73,4 73,7 Proteine 22 22,1 22,5 22,3 Lipidi 2,37 1,99 2,89 2,23 Collagene 0,5 0,45 0,49 0,46

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Fasi che precedono la macellazione

La qualità della carne suina è fortemente influenzata dalle condizioni che precedono la macellazione; queste sono regolamentate a livello nazionale dal D.Lgs 388/98 che recepisce le normative comunitarie in materia.

Il principale fattore, che influisce negativamente sull’ottenimento di una carne di buona qualità, è senza dubbio lo stress; esso infatti è in grado di dar vita a modificazioni dei processi biochimici del muscolo che avvengono nella fase successiva alla macellazione.

Le condizioni esterne che sono la maggior fonte di stress si possono sostanzialmente riassumere in :

• Condizioni legate alla fase di trasporto

• Condizioni climatiche del periodo di macellazione

• Trattamenti al macello immediatamente precedenti alla fase di macellazione

Condizioni legate alla fase di trasporto I

Corretti metodi ed un’adeguata durata della fase di trasporto sono da ritenersi fondamentali per ridurre al minimo lo stress dell’animale. E’ accertato che i danni maggiori sono provocati dalle fasi di carico e scarico anche se il tempo impiegato per il trasporto gioca pur sempre un suo ruolo. Lo stress derivante dalle fase di carico potrebbe essere ridotto mediante l’impiego di rampe di salita (dai box al camion) con pendenze inferiori al 15% e, qualora si renda possibile, lasciare che gli animali procedano in gruppo al momento della fase di carico in virtù della natura gregaria di questi animali.

Una eccessiva durata del viaggio comporta invece un aumento dell’incidenza del carattere DFD anche se diminuisce quella del PSE; un

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Risulta infine di particolare importanza la messa a digiuno degli animali precedente la fase di trasporto e macellazione. Questo porta due fondamentali vantaggi che sono :

1. La riduzione della contaminazione delle carni per via del contenuto gastro- intestinale e di conseguenza anche la riduzione dei rischi di contaminazione da Salmonella ecc.

2. Aumentare la resistenza fisica dell’animale durante il viaggio; infatti il viaggio risulta già un momento critico ed affrontarlo con processi digestivi in corso comporterebbe un ulteriore fattore negativo per l’animale.

Tabella 3.5 - Mortalità durante il trasporto in relazione alle ore di digiuno pre-carico (Robertson, 1987)

ORE DI DIGIUNO

PRECARICO SUINI N° SUINI MORTI N° MORTALITA' %

>DI 12 9.394 16 0,17

DA 6 A 12 3.007 4 0,13

DA 2 A 6 8.569 57 0,67

Il periodo ottimale di digiuno corrisponde a circa 16 – 24 ore, anche perché tempi più prolungati causerebbero ingiustificate perdite di peso. Il digiuno, infatti, costringe l’animale a ricorrere alle riserve corporee di energia ed il primo ad essere utilizzato è il glicogeno che si trova perlopiù stoccato nel fegato ed in misura minore nel muscolo. Questo è il motivo per cui si assiste ad un repentino calo di peso già dopo poche ore.

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Condizioni climatiche del periodo di macellazione

Le condizioni climatiche relative al periodo di macellazione rivestono un ruolo importante sulla qualità finale dei prodotti suini; è stato dimostrato (Russo e coll, 1983) che compare una maggiore incidenza di carni affette da PSE nei periodi più caldi dell’anno, mentre al contrario l’insorgenza della DFD si verifica principalmente a temperature più fredde.

Temperature elevate impediscono il meccanismo di termodispersione dell’animale portando ad un’accelerazione della glicolisi post mortem ed al conseguente abbassamento del pH che avviene troppo rapidamente. Diversamente, nei periodi più freddi, gli animali che non sono adeguatamente alimentati, tendono ad esaurire le riserve energetiche muscolari che si rivelano insufficienti per l’ottenimento di un giusto grado di acidificazione al momento della macellazione.

Trattamenti al macello

Un altro fattore da non sottovalutare per quanto riguarda le possibili cause di stress da parte degli animali, sono senza dubbio le fasi immediatamente precedenti la macellazione.

Il repentino passaggio dal luogo di allevamento al successivo box di sosta nel macello ed in fine alla gabbia di stordimento, provoca nell’animale un forte stato di eccitazione. Questo, a sua volta, determina un aumento della temperatura corporea ed uno stato di acidosi che portano una rapida diminuzione del pH muscolare. Infine, ultimo fattore di stress è senza ombra di dubbio quello causato dalla fase di stordimento mediante scarica elettrica, che comporta anch’esso un repentino abbassamento del pH in seguito alle violente contrazioni muscolari.

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3.5 L’incidenza della PSE e della DFD sulla qualità della

carne.

La sindrome PSE è principalmente dovuta ad una suscettibilità di tipo genetico alle differenti situazioni di stress a cui gli animali sono sottoposti antecedentemente alla fase di macellazione. Questa patologia viene infatti riscontrata negli animali che presentano suscettibilità genetica al gene hal, responsabile della reazione positiva all’anestetico alotano.

Fino a non molto tempo fa questa suscettibilità veniva testata in laboratorio mediante il test alotano che consentiva però di individuare solamente gli omozigoti nn, ma non gli eterozigoti Nn non sensibili all’anestetico. Attualmente è possibile individuare anche questi ultimi mediante l’impiego di tecniche genetiche (PCR); questo consente di eliminare totalmente il gene n dalla popolazione.

Gli effetti della PSE si evidenziano immediatamente dopo la macellazione; il pH raggiunge valori pari a 5-5,5 nell’arco di circa 20 minuti e si assiste ad un notevole accumulo di acido lattico conseguenza di una glicolisi post mortem molto rapida. Questo fattore, correlato a temperature della carcassa ancora elevate (35° C) porta ad una parzia le denaturazione di alcune proteine e ad una bassa capacità di ritenzione idrica della carne. Le carni affette da PSE si presentano di colore pallido e molto essudative, ciò determina problemi sia nella vendita della carne fresca, in quanto non gradita dal consumatore, sia nelle fasi di trasformazione.

Infatti, la carne affetta da PSE, non risulta idonea neanche alla produzione di prodotti crudi stagionati,determinando secchezza ed eccessiva fibrosità. Infine si riscontrano ulteriori problemi dovuti ad un aumento nella concentrazione del sale che è conseguenza di una maggiore solubilizzazione nella copiosa quantità di essudato.

Differente si presenta il caso della DFD, essa infatti è dovuta solo ed elusivamente a fattori di stress senza avere nessun origine di tipo genetico. Prolungate condizioni di stress, provocano infatti l’esaurimento delle riserve di glicogeno presenti nell’apparato muscolare, comportando

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la compromissione del normale svolgimento della glicolisi; infatti essa si rivela insufficiente nella fase post mortem così come la liberazione di acido lattico. Questo provoca un anormale sviluppo del pH che a distanza di 24 ore si mantiene ancora su valori attorno a 6-6,5, dando così origine alla proliferazione di una maggiore fauna batterica ed a una minore possibilità di conservazione del prodotto.

Questo solitamente avviene a causa di metodi errati nello svolgimento delle mansioni precedenti la fase di macellazione, oppure in seguito a viaggi troppo lunghi che sono la fonte primaria dello stress da parte degli animali.

La carne affetta da DFD si presenta di colore scuro, con pH elevati ed un’alta capacità di ritenzione idrica che conferisce alla carne un’apparenza secca. Così come per la PSE anche la carne DFD presenta problemi inerenti la fase di lavorazione; essa infatti comporta putrefazioni durante la salagione a causa della proliferazione batterica conseguente al basso valore del pH. Al contrario questo tipo di carne si presta bene ai prodotti trattati con il calore dove determina una riduzione delle perdite di acqua durante la fase di cottura.

Figura

Tabella 3.1 - Composizione chimica della carne suina e bovina su 100 g di campione
Tabella  3.2  -  Performance  di  macellazione  in  suini  di  razza  Cinta  Senese  allevati  con                    sistema brado e confinato (Convegno nazionale Cuneo, 2003)
Tabella  3.4  -  Composizione  chimica  (g/100g)  del  muscolo  lungo  dorsale  di  suini  macellati a diversi pesi e diverse età
Tabella  3.5  -  Mortalità  durante  il  trasporto  in  relazione  alle  ore  di  digiuno  pre-carico  (Robertson, 1987)

Riferimenti

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