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Modalità insediamentali e funerarie nell’area del Tadrart Acacus

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Modalità insediamentali e funerarie nell’area del

Tadrart Acacus

Quando, nella solitudine e vastità del paesaggio desertico del Tadrart Acacus, si incontrano tracce delle numerose civiltà che quest’area ha ospitato fin da tempi remoti (non solo le meravigliose opere d’arte rupestri, ma anche i più comuni resti di depositi antropici), si resta sbalorditi al pensiero degli innumerevoli cambiamenti avvenuti nella zona, di portata talmente vasta da renderla non sfruttabile e del tutto inabitabile dalla maggior parte degli esseri viventi.

Risalendo a ritroso nel tempo, da questo punto di arrivo al momento in cui l’uomo iniziò a sfruttare con maggior consapevolezza le risorse a sua disposizione, quella fase cioè di passaggio fra un’economia di caccia/pesca/raccolta ed una basata sulla domesticazione di piante e animali, ci si scontra tuttavia con tutti i problemi e i dibattiti che accompagnano il cosiddetto processo di “neolitizzazione”.

Il significato stesso del termine varia notevolmente a seconda del contesto geografico cui esso è applicato, oltre che in base all’uso che ne fanno gli studiosi che lo utilizzano; comunemente infatti l’avvio di questo processo “produttivo”, in termini economici, non viene mai distinto da innovazioni in campo culturale, in particolare dalla comparsa della ceramica, pur se in realtà non risulta possibile ridurre un processo così lungo e

Tadrart Acacus, mappa dei siti (Mori, 2000)

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complesso entro una definizione eccessivamente rigida. Ciò è chiaramente dimostrato nel caso dell’area presa in considerazione, in cui per esempio la ceramica viene prodotta per la prima volta in un contesto ritenuto ancora decisamente “preneolitico”, cioè in associazione con un’economia di pura raccolta, condizione che peraltro sembra protrarsi abbastanza a lungo nel tempo.

Se la certezza di una produzione ceramica locale non è stata finora messa in discussione, un dibattito interminabile è invece stato suscitato a proposito del processo di domesticazione che, in base ai dati al momento disponibili, purtroppo insufficienti, potrebbe essere stato tanto alloctono quanto locale. Mentre gli studi più classici infatti propongono un’introduzione certa delle specie domestiche animali e vegetali direttamente dal Vicino Oriente, dove sono ben riscontrabili le specie selvatiche corrispondenti (Smith, 1996), un filone di ricerche più recenti evidenzia una serie di dati provenienti da scavi che contribuirebbero a mettere in dubbio questa ipotesi; infatti per quel che riguarda le specie animali, la determinazione dei reperti ossei, in particolare di bovini, non è tale, al momento, da poter escludere una domesticazione diretta, oltre al fatto che le testimonianze di lettiere vegetali con resti di escrementi e frammenti di manufatti sul fondo di alcuni ripari, in strati per altro di una certa antichità, farebbero pensare ad un controllo crescente da parte dell’uomo sulla fauna. Per le specie vegetali poi l’incertezza risulta essere ancora maggiore (Muzzolini, 1989; Lupacciolu, 1996; Di Lernia, 1996).

Ciò su cui però concordano quasi tutti gli studiosi è la notevole influenza del fattore climatico e delle sue oscillazioni per la durata dell’intero processo. Infatti l’aumentata pressione dell’ambiente, a causa dell’aridità crescente, sui gruppi umani presenti nell’area presa in considerazione, potrebbe aver costituito un valido stimolo per un cambiamento nelle modalità di procacciamento del cibo: le probabilità di sopravvivenza legate alla nutrizione aumentano infatti notevolmente mediante un controllo da parte dell’uomo sulla produzione. Tutto ciò però chiaramente, come sottolinea Mori, sottintende il raggiungimento di un ben determinato stadio nello sviluppo mentale e culturale dell’uomo, quindi in questa fase ci troveremmo, proprio come nel caso dell’insorgere del fattore artistico, di fronte ad un importante momento di presa di coscienza del fenomeno, le cui radici però affondano in trasformazioni psichiche in atto da tempo. Questa nuova consapevolezza dunque dovette spingere alcuni gruppi (pur se non tutti forzatamente, in quanto occorre considerare l’eventuale presenza di fattori “socio-culturali” che, a causa di arcane e ben radicate consuetudini, potrebbero aver

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impedito un mutamento in tale direzione) ad apprezzare una variante alle tradizionali fonti di sostentamento (Mori, 1996).

Come evidenziato in precedenza comunque, i dati attualmente disponibili sono insufficienti per chiarire la situazione, perciò la soluzione migliore sembra essere quella di volgersi, tramite una metodologia di ricerca multidisciplinare, direttamente al territorio e ai materiali rinvenuti in alcuni depositi antropici fino ad oggi indagati, fra i numerosi presenti in tutto l’Acacus, all’interno e al di fuori dei ripari dipinti.

La zona settentrionale

Quest’area si estende dall’apice nord del massiccio fino ai dintorni dello Uadi Sughd; le sue condizioni geomorfologiche assai frastagliate, la ricchezza del reticolo idrografico e la relativa facilità di transito tra il versante orientale e quello occidentale, hanno fatto ipotizzare agli studiosi che questa zona abbia offerto buone possibilità di insediamento, come gli scavi condotti da Barbara Barich hanno in seguito dimostrato (Mori, 2000). La scarsità di rappresentazioni rupestri, costituite in massima parte da graffiti, fu fatta risalire in un primo tempo a motivazioni socio-culturali legate ad un sottosviluppo o ad uno sviluppo alternativo rispetto ai siti del settore centro-meridionale (Barich, 1987b), mentre recentemente la tendenza prevalente è stata quella di attribuirla alla morfologia della zona, che non presenta strutture litiche adeguate alla realizzazione delle raffigurazioni. In quest’area le ricerche si sono concentrate sui siti di n-Torha Est, Ti-n-Torha Nord e Ti-Ti-n-Torha Two Caves (Mori, 2000).

Ti-n-Torha (Uadi Auis) In un primo momento, sulla base delle

investigazioni compiute, Ti-n-Torha Est viene considerato l’insediamento più antico, frequentato a partire dal X millennio BP1, di tradizione epipaleolitica e a carattere semi-permanente, con la presenza di rudimentali strutture, dal perimetro segnalato mediante blocchi rocciosi, datate all’VIII millennio

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La dicitura BP indica una datazione “dal presente” (in realtà dal 1950 circa), ottenuta con il metodo del radiocarbonio (C14) e già calibrata.

Frammenti ceramici, stile “dotted wavy line” (Castelli Gattinara, 1998)

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BP; tuttavia pochi anni dopo viene messo in luce, in uno uadi parallelo a poche centinaia di metri dal sito precedente, il riparo di Ti-n-Torha Two Caves (costituito per l’appunto da due cavità tra loro comunicanti), caratterizzato anch’esso da un’occupazione semi-permanente datata all’inizio dell’Olocene (X-IX millennio BP), quindi considerabile una manifestazione parallela alla precedente, entro un medesimo contesto culturale. In entrambi i siti poi è stata rilevata la presenza di ceramica, rinvenuta in frammenti caratterizzati già da una certa raffinatezza e da impressioni simili allo stile dotted-wavy

line (queste stesse datazioni “alte”, cioè molto antiche rispetto a quanto gli studiosi si aspettavano in passato, sono state confermate in anni più recenti dai ritrovamenti ceramici nei siti di Uan Tabu e Uan Afuda).

Solamente i resti riferibili a Ti-n-Torha Nord possono quindi essere attribuiti ad una fase più recente, VII-VI millennio BP, in base ad evidenze abitative da parte di gruppi pastorali (Barich, 1987b).

La zona centro-meridionale

In confronto all’area settentrionale sono riscontrabili alcune differenze, soprattutto a livello morfologico: le formazioni rocciose infatti si presentano più compatte e di maggiore altitudine, con uadi a struttura ramificata e di ampie dimensioni, luoghi dunque assai favorevoli per la sopravvivenza anche durante le fasi più aride (Mori, 2000). Anche per questo motivo forse in passato era stata ipotizzata la differenziazione citata precedentemente (Barich, 1987b), sia a livello cronologico che culturale, tra i siti di occupazione di questa zona e quelli a nord; attualmente essa è contestata in base ai più recenti scavi effettuati a Uan Telocat, Uan Tabu e Uan Afuda, che hanno dimostrato un’indiscriminata occupazione sia in fase prepastorale che pastorale ed una certa uniformità nel rinvenimento dei reperti (Di Lernia, 1999).

Di notevole importanza per le ricerche paleoantropologiche infine sono i dati, seppur scarsi al momento, che emergono dai siti di Uan Muhuggiag, Imennennaden e Fozzigiaren, gli unici in cui è stato possibile riscontrare evidenze funerarie; a questo proposito sono decisamente necessarie future e consistenti indagini che permettano di ottenere un quadro più chiaro della situazione, dal momento che nessuna conclusione può essere tratta in base a così rari e sporadici rinvenimenti (Mori, 2000).

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Uan Telocat (Uadi Imha) Questo sito prende nome dalla presenza

di un Ficus salicifolia, così denominato dai Tuaregh nella loro lingua parlata (tamahaq), pianta ancor oggi presente all’imboccatura del riparo. Esso, rivolto ad est, si sviluppa per ben 80 m in lunghezza e per 10 m in larghezza. In base allo studio della stratigrafia e dei materiali rinvenuti è stata ipotizzata una

frequentazione di tipo stagionale a brevi intervalli, come confermerebbero i focolari sovrapposti a ripetizione e senza soluzione di continuità. Rispetto agli altri siti dell’area tuttavia, questa occupazione sembrerebbe risalire ad un momento abbastanza tardo, intorno al VII millennio BP; ciò parrebbe trovare conferma nelle analisi sullo strumentario litico e sulla ceramica, nonché in quelle riguardanti i resti faunistici e vegetali. Dal momento che l’argomento verrà trattato più approfonditamente in seguito, basti per ora sottolineare l’esistenza di una pastorizia di ovicaprini, integrata da una notevole attività venatoria nei confronti di animali di piccola e media taglia, e la presenza di una vegetazione di boscaglia, ricca di legnose e prevalentemente xerofila, tipica di un ambiente arido (Mori, 2000).

Uan Tabu (Uadi Teshuinat) A pochi metri d’altezza rispetto al fondo

dello uadi, questo riparo costituisce la nicchia principale (50 m di ampiezza, 10 m di altezza e 4 m di profondità) di una serie di aperture, che si estendono per circa 200 metri lungo la parete di sinistra. Di grande importanza è la presenza di due scene dipinte raffiguranti, la prima, una mandria

accompagnata da pastori, attribuita alla fase pastorale, e la seconda invece una grande figura antropomorfa, ad essa sottoposta e appartenente al periodo delle Teste Rotonde (Mori, 2000; Garcea, 2001a).

Uan Telocat (Mori, 2000)

Uan Tabu (Mori, 2000)

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In seguito a varie missioni di scavo è stato possibile individuare quattro differenti unità archeologiche. La più antica è stata datata al tardo Pleistocene (61000±10000 BP) ed è caratterizzata da un complesso ateriano2dalle tipiche punte peduncolate; un’elevata mobilità, a causa dell’aridità crescente del clima, ed un’economia basata sulla caccia a uccelli e animali di grossa taglia, oltre che sulla pesca, sembrano essere stati gli elementi caratterizzanti di questa prima fase di vita del sito (Garcea, 2001a).

A questa unità, dopo un periodo di grande umidità in seguito all’aumento delle precipitazioni (testimoniato da formazioni di travertino le cui datazioni sono comprese tra 15600 e 9700 BP), seguono gli strati olocenici con tracce di occupazione umana, datati dall’inizio del X alla metà del IX millennio BP e attribuiti ad un orizzonte prepastorale, a copertura dei quali è stata rinvenuta una struttura lignea perimetrale, che forse potrebbe essere stata utilizzata come recinto per animali di piccola taglia. Questi ultimi sono stati distinti in una fase Early Acacus (9800-8800 BP) e una Late Acacus (8800-8500 BP); le caratteristiche più generali in base alle quali gli studiosi differenziano i due periodi riguardano il clima, le modalità insediamentali, e il tipo di economia praticata. Mentre nell’Early Acacus infatti prevale un clima umido, con siti numerosi, specializzati e diffusi negli ambienti più diversi (montagne, erg di Uan Kasa e Murzuq, intorno ai laghi), basati su un’economia di sussistenza, nel Late Acacus il clima sempre più secco riduce il numero di insediamenti, ormai maggiormente indipendenti fra loro e concentrati nelle aree montuose del Tadrart, e induce ad una caccia più selettiva, oltre che ai primi tentativi di addomesticazione (che non devono tuttavia per forza condurre pienamente ad essa). I reperti rinvenuti durante gli scavi mostrano un’industria litica di buona qualità, dapprima di dimensioni microlitiche poi di grandezza maggiore, ed una produzione ceramica crescente negli strati superiori (Garcea, 2001b). Inoltre occorre sottolineare la presenza di numerosi oggetti litici levigati, la maggior parte dei quali recanti tracce di pigmenti colorati, fenomeno probabilmente legato alla presenza delle pitture di fase Teste Rotonde e riscontrabile solo in pochi altri siti, quali Ti-n-Torha Nord, Uan Muhuggiag e Uan Amil (unico caso fra questi di riparo decorato, ma privo di deposito antropico) (Garcea, 1996).

Infine l’unità superiore è attestata solamente in superficie, e le datazioni riferibili al IV millennio BP farebbero pensare ad una assai tarda frequentazione del sito, seguita all’occupazione sistematica precedente; nonostante la scarsità dei resti rinvenuti, gli

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Facies culturale sviluppatasi esclusivamente in Africa settentrionale, caratterizzata da un’industria litica specializzata e di grandi dimensioni

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studiosi sono concordi nell’attribuirli ad una fase pienamente pastorale, in accordo con la scena dipinta raffigurante la mandria accompagnata da pastori, precedentemente menzionata (Garcea, 2001c).

Uan Afuda (Uadi Kessan)

Riparo dalla vasta imboccatura (40 m di larghezza, 20 m di altezza) volta in direzione ovest; attualmente, grazie alla presenza di una ghelta a meno di 1 km di distanza, la vegetazione circostante comprende alcuni alberi di acacie. Internamente la grotta presenta un notevole sviluppo in profondità, al punto da

essere stata suddivisa dai ricercatori in tre settori differenti: atrio d’ingresso, area intermedia e zona interna, di dimensioni fortemente ridotte (Cremaschi, Di Lernia, 1999). Un’imponente roccia (30 m di lunghezza, 9 m di larghezza, 3,5m di altezza) recante chiari segni di manipolazione da parte dell’uomo, quali scalini, fori, anelli, oltre a coppelle e marmitte, oltre alla presenza di macine sulla sommità piatta, occupa quasi interamente la parte centrale del riparo (Di Lernia, 1999b). Nelle pitture presenti, attribuite alla fase delle Teste Rotonde, tutti i soggetti raffigurati sono volti verso destra, in direzione dell’ingresso, pur se questo particolare risulta essere valido per la quasi totalità delle figure dipinte appartenenti alla medesima fase artistica (Di Lernia, 1999a). Archeologicamente parlando, sono stati riconosciute tre unità differenti formatesi, come già detto in precedenza, a causa di numerosi e vari processi. L’unità superiore (8900-8000 BP non cal.) sembra indicare un clima di aridità crescente e, forse proprio per questo motivo, gli abitanti del riparo potrebbero essere stati spinti dalla necessità ad un controllo maggiore sulla fauna di piccola taglia, costituita probabilmente da ovicaprini, come sembrerebbero dimostrare l’accumulo di foraggio e la concentrazione di escrementi nella parte più interna della grotta. Lo strato mediano (9800-8900 BP non cal.), in accordo con quello superiore, mostra i primi segni di inaridimento del clima, insieme a tracce attribuibili ad un’economia di caccia e raccolta specializzata. L’unità inferiore infine (90000-69000 BP), separata dalle successive da una notevolissima discontinuità cronologica, presenta evidenze che rimandano a condizioni climatiche

Uan Afuda (Mori, 2000)

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notevolmente più umide rispetto al presente e sporadiche tracce di occupazione da parte di gruppi paleolitici di tradizione ateriana. Le datazioni ottenute col metodo del carbonio 14 su resti organici e quelle basate sulla luminescenza di materiali inorganici, risultano sostanzialmente in accordo con i dati appena presentati (Cremaschi, Di Lernia, 1999; Cremaschi, Trombino, 1999).

Oltre a reperti litici e ceramici, nell’unità superiore sono stati rinvenuti resti di oggetti in fibre intrecciate (probabilmente appartenenti a corde e cestini) di spessore e, di conseguenza, di resistenza limitati, e tre denti umani3 appartenenti rispettivamente ad un bambino di 4-5 anni, ad uno di 8, e ad un adulto di più di 45 anni; in base allo studio di questi ultimi è stato possibile stabilire che la salute o, più probabilmente, le condizioni nutrizionali di questi individui, non fossero del tutto ottimali e che l’apparato dentario venisse spesso utilizzato anche per scopi extra-alimentari (Maspero, 1999; Manzi, Passarello, 1999).

Uan Muhuggiag (Uadi Teshuinat) Questo sito, di fondamentale importanza per

il complesso di evidenze artistiche, archeologiche e funerarie in esso presenti, consiste in un riparo fortemente aggettante, che si sviluppa per una lunghezza di 130 metri circa sul lato nord dello Uadi Teshuinat. Gli scavi condotti hanno rilevato che solamente la porzione del riparo a est

comprende resti antropici e che le pitture si concentrano invece nella zona ovest, in connessione con alcune marmitte, escavazioni circolari ricavate nella roccia di base; questo fatto, unito all’osservazione dei vari soggetti raffigurati, ha indotto gli studiosi a ipotizzare due momenti differenti di frequentazione: il primo attribuibile alla fase delle Teste Rotonde (privo di evidenze abitative per la supposta tendenza a non “contaminare” i luoghi destinati, al di là dello scopo che essi avessero, a queste manifestazioni pittoriche), il secondo invece alla fase pastorale. Le datazioni ottenute, tra il IX e il IV millennio BP, parrebbero confermarlo.

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1 incisivo centrale deciduo, 1 incisivo centrale superiore e 1 secondo molare superiore permanente.

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Due vengono considerate le scene di maggiore importanza. La prima, assai rovinata, consiste in una fila di personaggi di due differenti dimensioni, in pose diverse: alcuni individui, dal copricapo piumato, tengono le braccia in basso e in avanti, uno invece le tiene aperte e sollevate al di sopra della testa, un terzo poi, a testa in giù, tiene in alto le gambe aperte e divaricate, iconografia più volte connessa al corpo di un defunto; sono infine presenti tre figure campite interamente in rosso, di cui una sembra essere umana, e le rimanenti invece teriomorfe, in base alle sagome chiaramente serpentiformi, pur se dotate di copricapo piumato come gli individui precedentemente descritti. L’intera composizione potrebbe raffigurare il riparo stesso e la doppia linea ondulata sottostante ai personaggi (che ha suggerito l’immagine della “barca”, mediante la quale spesso viene identificata questa pittura) potrebbe indicare l’acqua che lambiva

l’imboccatura del riparo nel momento in cui la scena venne dipinta.

Sulla stessa parete poi, ad una decina di metri verso est, è presente un’altra scena, delimitata da una cornice ellissoidale di colore bianco, composta da figure considerate appartenenti a tre fasi

differenti. La parte più antica del dipinto raffigura due forme allungate, chiuse entro una specie di involucro, di cui una bianca, dai contorni rossi e ricoperta nella metà inferiore da un reticolo del medesimo colore, e l’altra, visibile solo nella parte centrale terminante con tre appendici di minori dimensioni, verde, con contorni e reticolo bianco; l’identificazione più immediata di queste due figure da parte degli studiosi è risultata essere quella con salme umane di cui sia stata tentata la conservazione tramite particolari trattamenti. Il secondo gruppo di figure rappresenta tre uomini, di cui uno in posizione di marcia con un bastone nella mano sinistra, completamente ricoperti di colore bianco, tranne la linea di contorno e alcune macchie di colore sparse sul corpo, entrambe rosse. Infine, nella parte inferiore della scena, sulla destra, sono presenti

Pittura rupestre, Uan Muhuggiag (Mori, 2000)

Pittura rupestre, Uan Muhuggiag (Mori, 2000)

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cinque figure antropomorfe di minori dimensioni, completamente campite in rosso, raffigurate in corsa; viste le loro caratteristiche stilistiche e dimensionali, esse sono state attribuite ad una fase finale del periodo pastorale (Mori, 2000).

Il fatto che entrambe queste scene presentino un richiamo ad un contesto funerario, pare essere ulteriormente giustificato dalla loro reale connessione con due sepolture rinvenute, rispettivamente, all’interno e poco al di fuori del riparo stesso. Nel primo caso gli scavatori hanno rinvenuto, entro una depressione circolare nel pavimento di arenaria, a circa due metri di profondità, una mummia infantile che, in seguito alla rimozione degli organi toracici e addominali, fu sottoposta ad un processo di essiccamento. Il piccolo, di circa due anni e mezzo di età, si presentava avvolto entro una pelle di antilope (datata 5405±180 BP), a sua volta coperta con fibre vegetali; una collana di gusci d’uovo di struzzo e due frammenti di macina sembrano rappresentare gli unici oggetti di corredo presenti.

La seconda sepoltura, scoperta più recentemente in base alla presenza di un accumulo di pietre e di due lastre in arenaria di copertura, ha rivelato la presenza di uno scheletro di maschio adulto in connessione anatomica, ma in cattivo stato di conservazione, sia a causa delle caratteristiche chimiche del suolo, sia per il forte peso dei sedimenti soprastanti; il corpo, deposto con la testa verso ovest, ha gli arti toracici e pelvici fortemente flessi, con le mani poste ai lati del volto (Di Lernia, Manzi,1992; 1998).

Imennennaden (Uadi Imha)

Riparo di forma irregolare, situato sul penultimo terrazzamento dello Uadi Imha. Sulle pareti che si affacciano verso l’esterno sono presenti incisioni di tipo assai particolare, consistenti in quattro figure “a sacco” che richiamano alla mente figure antropomorfe racchiuse entro un involucro; all’interno inoltre sono visibili altre incisioni, raffiguranti figure schematiche e bestiame domestico riferibili ad una fase tarda dello stile pastorale. Anche in questo sito inoltre sono stati rinvenuti resti ossei, la cui datazione potrebbe risalire ad un minimo di 6880 BP e attribuibili a tre individui differenti: un neonato (0-6 mesi), un bambino di circa 7-8 anni, ed un adulto probabilmente di sesso femminile, deposto in posizione supina e con il volto orientato ad est.

Fozzigiaren

Sito posto nell’estremità sud dell’area presa in considerazione. Gli scavi rivelano due fasi di occupazione, una prepastorale, con datazioni che oscillano fra 8100 e 7900 anni

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BP, e una pastorale, alla quale risalirebbero resti ceramici ed ossei; infatti, pur se fortemente danneggiata dalle ricerche di sale da parte dei locali, sembra essere accertata la presenza di una zona d’inumazione comprendente almeno 6 individui (di cui 4 adulti e 2 bambini), con frammenti di tessuti organici mummificati e tracce di fibre vegetali (Di Lernia, Manzi, 1998).

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