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2.2 Anatomia e fisiologia

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Academic year: 2021

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2.2 Anatomia e fisiologia

Di seguito riporto le tavole illustrate riguardanti l’anatomia topografica (fig. 13) e viscerale (fig. 14) di un Tursiope per avere una più chiara visione d’insieme riguardo alla morfologia di questo Cetaceo. Successivamente verranno trattati i singoli apparati.

Fig. 13: Anatomia topografica di un Tursiope.

Fig. 14: Topografia dei visceri di un Tursiope.

2.2.1 Osteologia

Lo scheletro dei cetacei (fig. 15) è lo scheletro di mammiferi che si sono adattati alla vita in acqua. L’acquisizione di una forma idrodinamica richiede profondi cambiamenti dell’anatomia dello scheletro, testimonianza dell’estremo adattamento evolutivo di organismi complessi che sono ritornati a un ambiente liquido.

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Fig. 15: Apparato scheletrico di un delfino.

La testa si allunga, il collo apparentemente scompare, le estremità toraciche diventano pinne, non ci sono arti pelvici e la colonna vertebrale sembra terminare in una pinna caudale. (Bruno Cozzi, 2005). In altre parole il cranio diventa telescopico (allungato come un cannocchiale), le vertebre cervicali perdono la capacità di muoversi in maniera indipendente, le curvature della colonna vertebrale scompaiono per lasciar posto a un profilo arcuato a concavità ventrale, il cinto toracico si trasforma in una sorta di pala e il cinto pelvico si riduce a residui virtuali non visibili dall’esterno. Bisogna anche ricordare che la pinna caudale è orizzontale e non verticale come quella dei pesci, in quanto il tipo di movimento richiesto è orizzontale come nei mammiferi terrestri piuttosto che laterale come avviene nei pesci, negli anfibi e nei rettili. E’ inoltre priva di ossa di supporto ad eccezione delle ultime minuscole vertebre caudali. La pinna caudale è una potente pala di spinta che viene mossa in senso verticale grazie alle contrazioni della spessa muscolatura del dorso, i cui tendini terminano nella struttura connettiva elastica della pinna. Nonostante le singole famiglie dell’ordine Cetacea possano mostrare differenze scheletriche in funzione delle modalità di nuoto, delle abitudini di caccia, della profondità e della velocità, le caratteristiche generali dello scheletro sono comuni a tutti i cetacei, compresi i grandi Misticeti. Le principali differenze che si trovano nello scheletro dei Misticeti sono nella forma del cranio che si adatta all’inserzione dei lunghi fanoni, nella presenza di residui del femore e nelle dimensioni generalmente maggiori della mano. Le ossa di tutti i delfini e balene hanno un alto contenuto di grasso, sono molto dense con matrice ossea finemente intrecciata (per incrementare la resistenza) e mancano della cavità midollare nelle ossa lunghe. (Bruno Cozzi, 2005).

La forma del cranio dei delfini è notevolmente differente da quella della maggior parte dei mammiferi terrestri essendo asimmetrico, cosa che li differenzia anche dai Mysticeti che presentano simmetria bilaterale. L’osso mascellare e la mandibola si allungano per fornire impianto alle lunghe file di denti, tutti uguali tra di loro.

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Il naso dei cetacei è posto quasi in verticale rispetto all’osso mascellare, con le piccole ossa nasali che racchiudono le cavità nasali connesse alla sommità del cranio. In questi animali quindi l’allungamento delle ossa mascellari non è in relazione all’espansione delle cavità nasali, e nemmeno alla masticazione, dato che i cetacei ghermiscono le loro prede e le inghiottono intere. Tra le possibili ragioni per l’allungamento del cranio vi sono il numero notevole di denti che servono per ghermire, potendo anche nuotare e respirare senza mai perdere di vista la preda, o lo spazio richiesto dal melone dorsalmente alle ossa mascellari.

Non c’è un’orbita ossea vera e propria.

Il complesso ioideo è formato dai comuni segmenti, ed ha una forma dorsalmente concava. Costituisce la base d’inserzione per la muscolatura della lingua.

La colonna vertebrale dei cetacei è notevolmente diversa da quella dei mammiferi terrestri, sia per la forma generale che per la morfologia delle singole vertebre. La colonna vertebrale dei cetacei ha la forma di un arco con la concavità ventrale, senza altre curvature. La formula vertebrale indica il numero medio di vertebre per ciascun settore della colonna di una data specie. Le formule vertebrali di alcune specie di delfini sono riportate in tabella 1.

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Specie Vertebre cervicali (%sulla lunghezza totale) Vertebre fuse Vertebre dorsali (%) Vertebre lombari (%) Vertebre caudali (%) Numero complessivo Tursiops truncatus 7 (3%) 1-2 e/o 3-5 (a volte 6-7) 12-12 (23%) 17 (30%) 26-27 (44%) 63-64 Stenella coeruleoalba 7 1-3 (le altre variano) 15 18-22 32-35 74-79 Delphinus delphis 7 (4%) Fusione completa 14 (25%) 21 (32%) 31-35 (39%) 73 (70-75) Grampus griseus 7 (2.5%) 12-13 (24.5%) 18-19 (29%) 30-31 (44%) 68-69 Globicephala melas 7 1-5/1-6 11 12-14 28-29 58-59

Tabella 1: Schema della distribuzione delle vertebre.

I corpi delle vertebre cervicali si fondono e formano una massa unica di fatto incapace di torsioni. I processi traversi sono invece solo in parte fusi. Le vertebre toraciche presentano dei processi spinosi allungati diretti all’indietro fino alla cosiddetta vertebra anticlinale (una delle ultime toraciche), in cui l’inclinazione del processo spinoso s’inverte. (Bruno Cozzi, 2005). Il numero delle vertebre toraciche è soggetto a variazioni intra-specifiche, un fatto da tenere in considerazione insieme alla posizione delle coste, che non sempre s’inseriscono sulla vertebra corrispondente. Le vertebre lombari si possono definire per la posizione che segue le toraciche e precede la comparsa degli archi emali. Come nei mammiferi terrestri, le vertebre lombari hanno ampi processi traversi. Non ci sono vertebre sacrali, e le vertebre caudali non sono facili da distinguere rispetto alle lombari. La principale caratteristica differenziale è rappresentata da un’incisura posta sulla faccia ventrale, che si contrappone a un piccolo osso a forma di Y (osso emale, emapofisi). Nel loro insieme la superficie ventrale delle vertebre caudali e le ossa emali formano un canale per i grandi vasi che corrono centralmente alla colonna vertebrale caudale.

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Le coste sono piatte, flessibili, cedono sotto la pressione dell’acqua durante le immersioni, e non si articolano con lo sterno. Tursiops truncatus possiede 12-13 paia di coste, Stenella coeruleoalba 15-16 paia, Delphinus delphis 13-15, Grampus griseus 12-13 paia, Globicephala melas 11 paia.

Lo sterno ha forma di croce, e può presentare un forame centrale che tende a chiudersi con l’età, rappresentando quindi un buon indicatore dell’età dei delfini.

Tutti i cetacei possiedono un arto toracico. La scapola, larga e piatta, aderisce al tronco grazie alla potente muscolatura, e si articola con l’omero corto e spesso. Non c’è clavicola. L’articolazione della spalla è l’unica articolazione mobile dell’arto, e lavora per lo più variando l’inclinazione della pinna durante il nuoto. Le ossa del braccio, dell’avambraccio e della mano sono strettamente connesse tra di loro, e sono incapaci di movimenti indipendenti. Il radio e l’ulna sono piatti e continuano lo stesso profilo dell’omero. Si articolano con la serie delle ossa carpali, seguite dalle lunghe ossa metacarpali e dalle falangi. Ci sono cinque dita, ma il numero di falangi per ciascun dito varia e può essere assai più elevato delle tre comuni per i mammiferi terrestri. L’architettura dell’arto toracico non è immediatamente percepibile dall’esterno, dato che le ossa sono fissate tra di loro da un forte connettivo semirigido. Le ossa lunghe dell’arto toracico non hanno cavità midollare. Il grado di fusione delle epifisi può essere utile per la determinazione dell’età in alcune specie di delfini. Anche la densità ossea cambia con l’età, e per questo può essere considerata. (Bruno Cozzi, 2005) (fig. 16).

Fig. 16: Arto toracico.

Mentre l’arto toracico è presente, anche se notevolmente trasformato, i cetacei praticamente non hanno l’arto pelvico. L’osso coxale è rappresentato solamente da un piccolo residuo, la cui unica funzione è di consentire l’inserzione di alcuni muscoli. In effetti, i residui pelvici sono posti profondamente nella muscolatura ventrale della colonna vertebrale e del dorso. La presenza

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occasionale di residui delle altre ossa dell’arto pelvico è teratologica. In alcuni Misticeti permangono minuscoli residui del femore.

2.2.2 Miologia

L’intero corpo dei cetacei si è adattato alla vita in acqua, e anche la muscolatura si è modificata. La mancanza degli arti pelvici fa sì che sia la potente muscolatura della colonna vertebrale il principale propulsore tramite i movimenti verticali della pinna caudale (fig. 17). Quando si considerano i muscoli del dorso si deve anche tener conto delle potenti fasce muscolari che li avvolgono. (Bruno Cozzi, 2005). In letteratura sono riportate descrizioni dettagliate della muscolatura del rachide. In sintesi sono riconoscibili tutti i principali gruppi muscolari dei mammiferi terrestri, tra i quali i mm. semispinale, multifido, lunghissimo e ileocostale. Oltre a questi altri gruppi muscolari, come quelli relativi al movimento della pinna caudale, raggiungono uno sviluppo straordinario che si verifica solo nei cetacei: m. extensor caudae medialis, m. intertrasversarius caudae dorsalis, m. intertrasversarius caudae ventralis, m. hypaxialis lumborum.

I delfini e in generale tutti i cetacei non hanno muscoli mimici facciali.

Fig. 17: Distribuzione dei muscoli del nuoto nel delfino.

Alcuni muscoli masticatori sono ben sviluppati, e specialmente il m. temporale, mentre il m. massetere è solo residuale, forse in relazione al fatto che la muscolatura masticatoria nei delfini agisce nel ghermire ma non nel masticare.

I muscoli del collo e quelli ventrali del torace contribuiscono ad abbassare e ruotare la testa.

I muscoli del torace e dell’addome seguono lo stesso piano presente nei mammiferi terrestri. I muscoli ventrolaterali dell’addome (mm. obliquo interno ed esterno, traverso e retto dell’addome) sono molto potenti e contribuiscono alla propulsione. Il diaframma è molto inclinato e in tal modo aumenta in maniera considerevole la parte intratoracica della cavità addominale.

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I muscoli dell’atro toracico sono attivi per lo più sull’articolazione della spalla, per la sua rotazione o irrigidimento. (Bruno Cozzi, 2005). Dato che il radio e l’ulna non sono in grado di ruotare in parallelo lungo lo stesso asse, ma sono reciprocamente irrigiditi da legamenti e tendini, nell’avambraccio non si possono realmente apprezzare muscoli. Il polso e la mano sono rivestiti da fibre connettivali che contribuiscono alla formazione della rigida pinna pettorale.

Dato che mancano gli arti pelvici, scompare anche la muscolatura relativa. I muscoli che si inseriscono sui residui pelvici sono correlati all’apparato genitale.

2.2.3 Apparato digerente

La bocca è ben differente da quella degli altri mammiferi dato che i delfini inghiottono direttamente il cibo e le balene lo filtrano. Di conseguenza i loro denti e la muscolatura facciale sono modificati. L’istmo delle fauci posto in fondo alla cavità orale è conformato in maniera da consentire al cibo il passaggio attraverso la faringe, limitando al tempo stesso il passaggio di acqua verso l’esofago e gli stomaci. (Bruno Cozzi, 2005).

La bocca dei delfini è allungata a forma di lungo rostro per via delle ossa mascellari e mandibolari che danno inserzione a lunghe file di denti piccoli e appuntiti.

I denti di un Odontoceta sono tutti uguali tra loro, costituiti da un sottile strato di cemento che copre la dentina nelle radici e lo smalto nella corona. Inoltre presentano una sola dentizione.

Le labbra sono sottili e non hanno mobilità indipendente. Sono rigide e estremamente cheratinizzate e, nella faccia interna, si continuano con la mucosa biancastra del vestibolo labiale che a sua volta si continua coi vestiboli buccali (vestiboli delle guance) destro e sinistro. La mucosa del vestibolo si continua sul versante mediale con la gengiva che circonda la base di ciascun dente. La volta e la parte ventrale di ciascun vestibolo buccale costituisce rispettivamente il fornice dorsale e quello ventrale. Il vestibolo labiale è particolarmente poco accentuato e le mandibole si aprono secondo un solo piano senza che siano possibili movimenti di lateralità. Questo è dovuto alla riduzione o all’assenza del processo coronoideo della mandibola. Comunque le labbra, la lingua e la bocca intera dei delfini sono estremamente sensibili al tatto e alle sensazioni, grazie ad una ricca innervazione.

La lingua è corta e larga con apice mobile, dotata di papille rostrolaterali nei giovani.

Nei delfini non ci sono ghiandole salivari dato che la produzione di saliva non è necessaria inghiottendo prede intere. La bocca inoltre è continuamente aperta sott’acqua e l’eventuale saliva verrebbe lavata via. In alcune specie di delfini è stata notata la presenza di dotti a fondo cieco che si pensa possano appartenere alle ghiandole sottolinguali, questi dotti a fondo cieco sono stati descritti anche nei Capodogli e nei Misticeti. (Bruno Cozzi, 2005)

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La faringe dei cetacei si sposta dorsalmente per consentire al cibo di penetrare nell’esofago attraverso i movimenti combinati dei muscoli genioglosso, ioglosso e stiloglosso. Nei Tursiopi la sottomucosa laterale dell’orofaringe contiene una tonsilla a forma ovale.

L’esofago è un lungo tubo con muscolatura sia liscia che scheletrica, avvolte a spirale, col compito di spingere il cibo dalla faringe al prestomaco. Possiede una tonaca mucosa sottile, priva di ghiandole sottomucose a cui ha seguito una spessa muscolaris mucosae longitudinale di muscolatura liscia nella parte più caudale dell’organo. La muscolatura liscia striata costituisce la parete esterna dell’organo ed ha un orientamento tangenziale nel primo terzo dell’esofago, con uno strato circolare interno e uno liscio esterno che cominciano a comparire nel terzo medio dell’organo.

Gli Zifidi mostrano differenze importanti nel numero dei denti, con una riduzione nel loro numero correlata al fatto che le prede vengono probabilmente risucchiate in bocca e non ghermite.

I delfini sono animali poligastrici, tutti e tre gli stomaci derivano da una singola dilatazione del tubo digerente primitivo, si può quindi parlare di uno stomaco a più camere. Lo scopo di questa struttura anatomica è quello di compensare l’assenza della masticazione con lo stritolamento e la compressione del cibo prima del suo assorbimento. La prima camera, o prestomaco, è aghiandolare è ha lo scopo di comprimere ripetutamente ed energeticamente il cibo; a seguire è presente una seconda camera, lo stomaco principale, rivestita da epitelio ghiandolare con produzione di succhi gastrici; e infine la terza camera è una sorta di stomaco pilorico. A queste tre camere segue un’ampolla duodenale allargata (fig. 18). I succhi gastrici apparentemente possono passare dalla seconda camera alla prima, per contribuire alla digestione del cibo. (Bruno Cozzi, 2005). Nei Misticeti la digestione inizia nello stomaco anteriore ad opera di batteri simbionti che demoliscono completamente l’esoscheletro di chitina dei crostacei ingeriti in modo che al loro arrivo nello stomaco principale possano essere attaccati dagli enzimi digestivi. La fermentazione dei vari residui glucidici da parte dei batteri nello stomaco anteriore porta alla formazione di acidi grassi a basso peso molecolare che vengono assorbiti direttamente in questa concamerazione e contribuiscono in parte alle richieste energetiche dell’animale (Poli A., 2006).

Gli stomaci sono collocati dietro il diaframma nella parte intratoracica della cavità addominale dorsalmente al diaframma. I pilastri del diaframma corrono lungo la superficie dorsale degli stomaci e possono contribuire alla mobilità gastrica.

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Fig. 18: Apparato digerente.

I reni sono posti dorsalmente e caudalmente al complesso degli stomaci.

Un linfonodo mesenterico assai voluminoso è posto caudalmente agli stomaci, in particolare caudalmente allo stomaco pilorico e all’ampolla duodenale, appena sotto il polo rostrale del rene. La piccola milza ovoidale è adiacente alla prima camera gastrica.

Il grande omento origina dalla grande curvatura degli stomaci, generalmente posta centralmente e in direzione caudale.

Il piccolo omento connette l’estremità dorsale del fegato con l’estremità rostrale delle prime due camere gastriche (piccola curvatura).

L’intestino non presenta suddivisioni esterne tra i vari tratti. A seguito degli stomaci l’intestino si rivela essere un tubo continuo convoluto che termina a livello dell’ano con minimi cambiamenti di diametro o specializzazioni esterne. In questo modo non ci sono distinzioni evidenti tra il tenue e il crasso.

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Non c’è un cieco o un’appendice vermiforme.

Questa disposizione deriva dalla dieta, che comprende per la maggior parte proteine di origine animale. (Bruno Cozzi, 2005).

Le feci sono piuttosto liquide e possono contenere residui indigesti di cibo.

Il fegato è la ghiandola più grande di tutto il corpo. E’ situato nella cavità peritoneale, adiacente alla faccia viscerale del diaframma. La suddivisione in lobi è molto marcata nei cetacei. La caratteristica peculiare del fegato è la convessità della faccia diaframmatica e del margine dorsale, dovuta alla forma e alla posizione del diaframma e al volume relativamente ridotto della cavità peritoneale. Manca della cistifellea e la bile passa continuamente dallo stroma epatico al duodeno. E’ diviso microscopicamente in due lobi da un’incavatura dorsale poco pronunciata e da una ventrale più profonda. La faccia diaframmatica è posta completamente a contatto con la superficie del diaframma, e ne segue la curvatura. La faccia viscerale presenta l’ilo dell’organo che consente il passaggio dell’arteria epatica, della vena porta, dei vasi linfatici e dei nervi.

Il peso è il 2-3% del peso totale del corpo.

Può essere raggiunto a livello del terzo inferiore del 6°-9° spazio intercostale, nelle regioni ipocondriaca destra, epigastrica e ipocondriaca sinistra, nella parete intratoracica della cavità addominale. (Bruno Cozzi, 2005).

Il pancreas è una grande ghiandola esocrina ed endocrina posta anch’essa nella cavità peritoneale. Il pancreas esocrino produce gli enzimi necessari alla digestione, mentre il pancreas endocrino produce insulina, glucagone e altri ormoni coinvolti nel metabolismo dei carboidrati. E’ piatto e di forma irregolare. Pesa dallo 0.1 allo 0.2% del peso totale del corpo. E’ posto nella parte intratoracica della cavità addominale, nella regione epigastrica, tanto profondamente da non poter essere raggiunto dall’esterno. Le due facce del pancreas corrispondono alle lamine della parte prossimale del mesoduodeno diretto alla flessura craniale del duodeno. E’ in relazione con il piccolo omento e connesso con la faccia viscerale del fegato. L’ilo del fegato è sempre relativamente vicino al corpo del pancreas. La maggior parte dei Delfini possiede un singolo dotto pancreatico che pone in rapporto il pancreas con il lume duodenale. Rara la presenza degli isolotti di Langerhans.

2.2.3.1 Dieta

Dato che spesso i delfini vengono vicino riva e interagiscono con le attività di pesca nella loro dieta rientrano anche gli scarti di questo lavoro.

Sykes et al (2003) hanno studiato le variabili che meglio prevedono la distribuzione stagionale degli avvistamenti dei Tursiopi lungo la costa di Dorset (Inghilterra). I fattori studiati comprendevano la

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salinità, la temperatura della superficie del mare, la clorofilla a (un indicatore di produttività primaria) e la distribuzione del pesce (dedotta dai dati di pesce). I rapporti locali di pesca hanno confermato l’utilità dell’insieme dei dati storici per tutte le variabili. Essi dimostravano la correlazione tra la clorofilla a e la distribuzione del Tursiope Delle 29 specie di pesce frutto dell’indagine, il rombo (Scopthalmus Rhombus), la seppia (Sepia officinalis), il passerino (Platicthys Flesus), la triglia (Mullus Barbatus) e la sogliola (Solea vulgaris), sono stati ritenuti essere i pesci indicatori in maniera significante e potevano esprimere l’87,63% della frequenza di avvistamenti del delfino. Stepwise Multiple Regression pure hanno identificato la clorofilla a come un significante identificativo di avvistamento giustificando il 13,5% della frequenza di avvistamenti del delfino. Queste scoperte indicano che l’alimentazione (fig. 19) è un fattore importante per quanto riguarda la distribuzione dei Tursiopi lungo la costa del Dorset.

Anche riguardo questo argomento esistono sostanziali differenze tra Misticeti ed Odontoceti. I primi si nutrono prevalentemente di animali di dimensioni minuscole come piccoli crostacei del plancton e piccoli pesci azzurri. Gli Odontoceti invece si nutrono di prede più grandi, soprattutto pesci e calamari. Si distinguono due gruppi di Cetacei: gli specialisti o stenofagi, che si nutrono soltanto di pochissime specie ben precise, e i generalisti (o eurifagi), che modificano la dieta secondo le circostanze, delle stagioni e delle disponibilità.

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Fig. 19: Specie che rientrano nell’alimentazione dei Cetacei.

I Balenidi, dotati di grande bocca con lunghissimi fanoni, nuotano lentamente attraverso i banchi di Copepodi, con la bocca aperta filtrano in continuazione. I Balenotteridi invece sono più tipicamente predatori: si slanciano sul banco, sia esso di pesce o di Eufausiacei, magari dopo aver compiuto delle manovre per addensarlo, e all’ultimo momento spalancano la bocca divaricandola di oltre 90°, dilatando la gola appositamente fornita di solchi, e prendendo boccate di acqua mista a prede che raggiungono le 70 tonnellate. L’acqua poi viene espulsa attraverso i fanoni. La Balena grigia infine è prevalentemente bentofaga, cioè si ciba di crostacei Antipodi che vivono in fitte colonie nei sedimenti di fango molle del mare di Bering; gli animaletti vengono raccolti arando il fondo con il muso, e vengono poi separati dal fango con l’aiuto dei corti e grossolani fanoni.

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E’ stata avanzata l’ipotesi che alcuni Odontoceti come Tursiopi, Orche, Capodogli e Zifidi siano in grado di utilizzare suoni ad alta densità per debilitare, stordendola, la loro preda.

2.2.4 Apparato respiratorio

Le narici dei Cetacei sono modificate per originare lo sfiatatoio posto sulla sommità del capo, unico negli Odontoceti e bipartito nei Misticeti, che si apre e si chiude tramite il tappo nasale, una massa fibrosa. Allo sfiatatoio fanno seguito le prime vie aree (cavità nasali) cui si associano quattro paia di sacchi aerei (sacchi nasali) comunicanti: vestibolari (prossimali allo sfiatatoio), tubulari (il tappo nasale ha un nodo che penetra in questi sacchi), connettenti (in comunicazione coi sacchi tubulari), premascellari (posti sotto il melone e dorsalmente alle ossa premascellari) (Bruno Cozzi, 2005). La laringe è formata dalla cartilagine epiglottide e dalle cartilagini aritenoidee che si allungano a formare un tubo, detto anche “becco”, il quel si proietta rostralmente e dorsalmente dal pavimento della faringe. La sua estremità prossimale riposa nella cavità nasale. Questo condotto a forma di becco è stato descritto in parecchie specie e chiamato anche “condotto ariteno-epiglottideo”. Nella laringe si possono trovare alcune ghiandole mucose tra l’epitelio pavimentoso e la cartilagine. La laringe è collegata ai polmoni attraverso la trachea, dotata di un’impalcatura cartilaginea che nei Cetacei generalmente si porta fino ai bronchi di minor calibro, corredata a volte da sfinteri mioelastici.

La trachea è piuttosto corta, può misurare anche pochi cm mentre il suo diametro può superare i 30 cm in alcuni Misticeti. E’ un organo robusto, con un ampio lume, costituito da numerosi e spessi anelli completi che possono anastomizzarsi a intervalli irregolari. Non esiste un muscolo tracheale come nei Mammiferi terrestri. (Bruno Cozzi, 2005).

I polmoni non sono suddivisi in lobi e non sono segmentati, sono posti dorsalmente al diaframma, con una posizione più orizzontale rispetto a quella che si riscontra nei mammiferi terrestri. In questo modo viene favorita l’espulsione di una grande quantità di aria in un periodo di tempo relativamente breve. Le vie aeree dei cetacei presentano diverse caratteristiche adatte a favorire ricambi d’aria energetici e rapidi, come la brevità della trachea posta tra la laringe e polmoni e dotata di un’impalcatura cartilaginea continua che si estende fino ai bronchioli di calibro minore, a volte dotati di sfinteri mioelastici. Questi sfinteri potrebbero essere un adattamento dovuto alle fluttuazioni della pressione dell’aria nei polmoni durante le rapide e frequenti immersioni e conseguenti risalite, e specialmente durante le violente inspirazioni ed espirazioni degli Odontoceti più piccoli. I Cetacei che comunemente compiono immersioni di lunga durata hanno polmoni di volume ridotto che si collassano durante l’immersione. Al contrario i Cetacei che normalmente compiono immersioni brevi hanno volumi polmonari relativamente maggiori e paragonabili a

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quello dei mammiferi terrestri. Si immergono dopo un’inspirazione, e i loro polmoni agiscono forse come riserve d’ossigeno. Altri adattamenti del sangue, quali la maggiore affinità dell’emoglobina per l’ossigeno, agiscono parallelamente alle modificazioni del volume polmonare. (Bruno Cozzi, 2005).

Gli adattamenti all’immersione profonda comprendono quindi una cavità toracica molto flessibile che può collassare sotto l’effetto della pressione; reti mirabili e un complesso sistema di vene e seni venosi; polmoni estremamente elastici; trachea resistente, corta, robusta e circondata da spessi anelli cartilaginei che possono anastomizzarsi e formare una sorta di armatura che prosegue fino ai bronchioli di calibro minore.

Dopo l’immersione, grazie ad una serie di atti respiratori effettuati con una successione di cinque volte superiore rispetto al riposo, si verifica una ventilazione polmonare che garantisce il ripristino dei livelli ematici di ossigeno e di anidride carbonica. Durante l’immersione, la riduzione della portata cardiaca (gittata sistolica media per frequenza) è conseguente alla bradicardia, ma resta costante la pressione nelle arterie principali, (aorta, arteria femorale) ciò giustifica il calo pressorio nei distretti periferici per cui alcuni tessuti vengono scarsamente irrorati o addirittura isolati dal circolo ematico come nel caso della muscolatura scheletrica. L’acido lattico prodotto dal muscolo durante l’apnea non viene riversato nel torrente circolatorio, ma è possibile che venga sequestrato dal muscolo stesso per la durata del periodo di immersione (Scholander 1940 in Gavish 2003). L’attività muscolare è favorita da una quantità di mioglobina nettamente superiore a quella riscontrabile nei mammiferi terrestri. Si riduce, inoltre, il lume delle arterie polmonari con un conseguente calo dell’afflusso ematico e un aumento delle resistenze del circolo polmonare, della tensione polmonare che provoca un’ipertrofia del cuore destro, fisiologica nei Cetacei. La frequenza di respiro dei Tursiopi registrata in un acquario dove essi potessero nuotare liberamente era di 1.5-4.0 respiri per minuto. I Tursiopi sono stati osservati mentre dormivano in acque calme approssimativamente 30 cm sotto la superficie; leggeri movimenti della coda portavano la testa sopra l’acqua così che gli animali potessero respirare.

2.2.5 Apparato urinario

L’apparato urinario dei cetacei presenta le stesse componenti rilevabili nei mammiferi terrestri. Caratteristiche importanti sono lo spessore relativo degli ureteri e la loro inserzione “bassa”, alla base della vescica. La presenza e la posizione dei testicoli rende talvolta difficile distinguere gli ureteri, poiché essi sono simili alle ampolle dei deferenti di alcuni mammiferi terrestri. Anche i dotti deferenti sono spessi e corti, poiché la distanza che percorrono è limitata, per via della

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localizzazione intra-addominale nei testicoli. I dotti deferenti di entrambi i lati incrociano gli ureteri per raggiungere l’uretra. (Bruno Cozzi, 2005).

Il rene è deputato alla filtrazione del plasma e all’escrezione dell’urina. Il sangue scorre nei glomeruli nella zona corticale del rene e l’urina è filtrata entro appositi spazi e tubuli, dove ioni e sali sono concentrati o diluiti a seconda delle esigenze omeostatiche. Quindi l’urina è raccolta nella pelvi renale e raggiunge, attraverso gli ureteri, la vescica urinaria.

La vita nell’acqua salata crea diversi problemi metabolici a mammiferi che devono mantenere l’equilibrio idrico e l’escrezione salina a livelli accettabili.

Per capire il metabolismo idrico dei delfini e delle balene si devono considerare diversi fattori, compresa la dieta specifica. Infatti i delfini di mole maggiore ingeriscono grandi quantità di calamari che hanno un contenuto idrico superiore a quello medio dei pesci di cui si nutrono i Tursiopi.

I reni dei delfini sono lobulati, presentandosi suddivisi in unità sferiche più piccole, i reniculi, di diametro pari a circa 10 mm (fig. 20). La disposizione del parenchima renale non è peculiare dei cetacei ritrovandosi anche in altri mammiferi marini, tra cui l’orso polare, i ruminanti come i bovini, e nei bambini (il rene umano dell’adulto praticamente non presenta più tracce della suddivisione iniziale). Tuttavia l’entità della suddivisione del parenchima renale in sub unità separate è unica dei cetacei e interessa tutte le specie, comprese le grandi balene Misticeti. Tra la corticale e la midollare del rene dei cetacei (e dei pinnipedi) è presente la sporta perimedullaris, uno strato fibromuscolare che circonda le piramidi midollari. In questa banda sono presenti fibre muscolari lisce che potrebbero agire favorendo l’espulsione dell’urina, come la pelvi renale. La superficie corticale sembra sia aumentata per far fronte al maggior lavoro richiesto al rene dei mammiferi marini, la cui vita in acqua salata richiede un’intensa attività di filtrazione. Al contrario però è stato visto che alcuni mammiferi marini, come la Phocoena phocoena, hanno reni molto piccoli.

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Fig. 20: Rene.

Nei cetacei l’arteria renale penetra nel rene vicino al polo rostrale, più cranialmente di quanto non avvenga nei mammiferi terrestri, mentre l’uretere esce in posizione più caudale, vicino al polo caudale. La vena renale decorre vicino all’arteria corrispondente. (Bruno Cozzi, 2005)

La vescica è relativamente piccola in rapporto alla massa corporea, in relazione alla relativa ristrettezza della cavità addominale e dato che la ritenzione urinaria non è così importante in attività territoriali. E’ un organo allungato e piriforme, parzialmente rivestito dal peritoneo. Due larghi legamenti laterali uniscono la vescica alle pareti addominali.

2.2.6 Apparato genitale

L’apparato riproduttivo maschile presenta un pene fibroelastico retrattile dotato di flessura sigmoidea che raggiunge l’erezione per afflusso di sangue nei corpi cavernosi, rilasciamento dei muscoli detrattori e conseguente distensione della flessura sigmoidea. Il corpo spongioso del pene circonda l’uretra peniena. Non è presente un glande ben definito né un osso del pene la cui parte più craniale ha forma di cono e contiene l’ostio uretrale esterno. Il pene viene estroflesso al momento dell’accoppiamento ma anche durante il gioco tra maschi giovani. (Bruno Cozzi, 2005)

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I testicoli di delfini e balene si trovano entro la cavità addominale anziché essere localizzati esternamente entro lo scroto (fig. 21). La diversità di sede anatomica risponde ad ovvie esigenze idrodinamiche, ma richiede anche profonde modificazioni del letto vascolare destinato alle gonadi, dal momento che la temperatura dei tubuli seminiferi deve rimanere inferiore a quella degli organi circostanti perché possa avvenire la maturazione spermatica.

Poiché gli organi genitali sono all’interno del corpo, per distinguere maschi e femmine non ci si può basare solamente su una rapida osservazione esterna. Inoltre, la mancanza di muscoli mimici e la sostanziale analogia di massa tra individui di sesso diverso rende difficile la distinzione nei delfini di piccole dimensioni.

Fig. 21: Apparato riproduttore maschile.

Nella femmina la distanza tra lo sfintere anale e la fessura genitale è minima, mentre è più evidente nel maschio. Infatti nel maschio la distanza tra la fessura genitale e l’ano è maggiore della lunghezza della fessura genitale stessa, al contrario di quanto accade nella femmina. (Bruno Cozzi, 2005) (fig. 22).

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Fig. 22: Dimorfismo sessuale nei Tursiopi.

Il dotto deferente si allontana dal testicolo in direzione caudale, decorre vicino all’uretere ed entra nel pene. Il dotto ha decorso molto convoluto e in certa misura serpeggiante. Non presenta dilatazioni ampollari. L’unica ghiandola accessoria dell’apparato genitale maschile è la prostata, costituita da tessuto prostatico distribuito entro le pareti dell’uretra.

L’apparato genitale femminile presenta un utero bicorne, la cervice si apre in vagina con numerose pliche interne e frequentemente contiene muco (fig. 23). Un dispositivo di scambio di calore controcorrente, costituito dal plesso venoso lombo-caudale e dai vasi uterini, assicura che l’utero dei cetacei non subisca la temperatura eccessiva generata dai muscoli locomotori e mantenuta dal grasso sottocutaneo. L’endometrio si modifica con la fase del ciclo riproduttivo, e prolifera durante l’ovulazione e la gravidanza. Tuttavia non si ha mestruazione, con perdita ematica e sfaldamento di cellule epiteliali. La lattazione riduce lo spessore e l’attività ghiandolare di endometrio e miometrio. La vagina segue la cervice e costituisce lo spazio che consente l’introduzione del pene durante l’accoppiamento. Il vestibolo è corto e caratterizzato dall’apertura dell’uretra femminile. Un imene separa il vestibolo della vagina dalla vulva. Il clitoride è relativamente di grandi dimensioni e possiede pliche specifiche. La vulva è trasformata in una fessura genitale chiusa da margini cutanei spessi, con una potente muscolatura sottostante. Le ovaie hanno forma ovoidale, ma possono anche apparire piegate e con forma di “U”.

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Nella prima parte della vita generalmente è attiva l’ovaia sinistra, mentre quella destra ovula più tardivamente. Nei Misticeti invece le due ovaie sono contemporaneamente attive durante tutta la vita. I corpi lutei, quando presenti, sono ben evidenti, ed i conseguenti corpi albicans lasciano cicatrici permanenti che possono essere contate per stabilire l’età dell’animale. Le ovaie sono poste dorsalmente nella cavità addominale, tenute in sede dai legamenti ovarici. Le tube uterine, flessuose, hanno un diametro molto inferiore rispetto alle corna uterine. La placenta è diffusa. (Bruno Cozzi, 2005).

Fig. 23: Apparato riproduttivo femminile.

Gli accoppiamenti, di breve durata, possono essere preceduti da lunghe e complesse fasi di corteggiamento.

In alcune specie si verificano accese competizioni tra i maschi per attirare e conquistare la femmina; in altre specie le rivalità tra maschi sono ridotte o addirittura assenti, mentre il ruolo di competere viene affidato essenzialmente alla quantità di sperma eiaculato. Alla copulazione precede l’erezione del pene che in tal modo viene estroflesso e reso visibile. Tutti i Cetacei producono un unico piccolo alla volta, i parti gemellari sono rarissimi.

Per i Misticeti la stagione riproduttiva corrisponde a un periodo ben preciso nel quale avvengono sia gli accoppiamenti che i parti, ne consegue che la durata della gestazione è di 11-12 mesi per tutte le specie.

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L’impianto embrionale avviene principalmente nel corno uterino sinistro e ciò giustifica la maggior dimensione di questa parte.

Nelle specie più grandi il tasso di crescita del feto è accelerato e viene poi mantenuto nel corso dell’anno successivo alla nascita, con un intenso allattamento che può portare il peso del piccolo a valori otto volte superiori di quello alla nascita dopo solo un anno.

Dopo il parto, sempre podalico, la madre o un’altra femmina del branco porta il cucciolo in superficie per il primo atto respiratorio.

L’apparato mammario della femmina è caratterizzato da due tasche ai lati della fessura genitale all’interno delle quali si trovano i capezzoli. La madre spruzza attivamente il latte in bocca al cucciolo che afferra il capezzolo tra la lingua e la punta del palato e l’alimento viene convogliato direttamente in esofago (Slijper, 1996- riportato in Soldà 2004).

L’allattamento nelle prime due settimane di vita avviene due volte ogni ora per poi ridursi fino al sesto mese di età a sei poppate al giorno (Mc Bride e Kritzler, 1951 - riportato in Soldà 2004), a un anno il piccolo è definitivamente svezzato e pochi anni dopo (5-6) sarà maturo sessualmente.

Per gli Odontoceti invece la durata della gestazione è in funzione delle dimensioni del feto che va formandosi, nei tursiopi è circa 12 mesi.

2.2.7 Apparato circolatorio

L’apparato circolatorio dei Mammiferi è costituito dal cuore, adibito a immettere il sangue ossigenato nella circolazione sistemica e riceve il sangue venoso refluo dalla periferia per inviare e ricevere sangue dai polmoni, dove avvengono gli scambi gassosi (fig. 24).

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Fig. 24: Schema della distribuzione del sistema circolatorio in un Tursiope.

Questo quadro viene complicato nei Mammiferi marini a causa del divario esistente tra tempi di apnea, che possono essere molto lunghi, e i tempi di respirazione, ben più limitati.

I fattori che hanno contribuito all’adattamento del sistema circolatorio possono aver avuto a che fare con aspetti evolutivi microscopicamente evidenti (il volume ematico dei mammiferi marini spesso supera il 12% del peso corporeo, mentre è circa il 7% nell’uomo e poco di più negli altri mammiferi terrestri), altri con particolari aspetti fisiologici (come la bradicardia estrema), e/o biochimici (come l’alta affinità dell’emoglobina).

Conformazione esterna e organizzazione interna del cuore dei delfini sono molto simili a quelle dei Mammiferi terrestri, anche se è possibile rilevare delle differenze relativamente alla forma, è infatti più largo e piatto di quello dei quadrupedi, per via della forma del torace e delle pressioni esterne che deve affrontare nelle immersioni. Nel Tursiope il peso del cuore è circa lo 0.93% del peso totale del corpo, e circa lo 0.6% nella famiglia delfinidi in senso lato. Così il cuore di un Tursiope maschio adulto di 300 kg può pesare poco meno di 3 kg (Bruno Cozzi, 2005). La localizzazione del cuore è riferibile a livello del terzo inferiore del 2°-5° spazio intercostale nel lato sinistro del torace, e nel 3°-5° spazio intercostale nel lato destro. Solo parte della regione cardiaca può essere coperta dalle pinne pettorali grazie alla rotazione obliqua in senso caudale dell’asse maggiore del cuore che lascia scoperto l’apice dell’organo.

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Il cuore intraprende rapporti dorsalmente coi polmoni e la trachea che attraversa il torace in senso cranio-caudale. I nervi frenici di entrambi i lati riposano sulla faccia esterna del pericardio che ricopre gli atri.

Il cuore presenta la consueta suddivisione in quattro camere. Le pareti ventricolari, in particolare quella del ventricolo destro, sono particolarmente ispessite, con un notevole numero di trabecole, fasci muscolari che attraversano i ventricoli. Una teoria che incontra un certo favore stabilisce che nelle specie in cui il cuore presenta un numero considerevole di trabecole la gittata sanguigna è relativamente minore (Bruno Cozzi, 2005).

Il drenaggio della circolazione linfatica avviene nell’atrio di destra, come nei mammiferi terrestri, con i quali hanno in comune anche l’innervazione simpatica e parasimpatica.

Esistono differenze di specie, infatti Stenella coeruleoalba e Delphinus delphis hanno un cuore leggermente più piccolo di quello di Tursiops truncatus. Nei Misticeti il cuore può raggiungere dimensioni colossali, anche se il rapporto tra il peso del cuore e il peso del corpo rimane costante. L’immersione attuata dai Mammiferi marini, indipendentemente dalla profondità raggiunta, comporta cambiamenti al disegno dell’intero apparato circolatorio e perfino dell’architettura vascolare, il tutto per adeguare l’organismo ai requisiti del metabolismo in immersione. Col crescere della profondità di immersione la temperatura dell’ambiente circostante diminuisce rapidamente mentre la pressione e i livelli di diossido di carbonio salgono. Per contrastare la perdita di calore, oltre allo spesso strato di grasso sottocutaneo, è stata attuata con l’evoluzione l’organizzazione dei vasi sanguigni periferici che permette di limitare la circolazione arteriosa nelle parti più periferiche del corpo; inoltre le arterie periferiche sono circondate da una serie di piccole vene che favoriscono lo scambio di calore controcorrente (Bruno Cozzi, 2005) (fig. 25 e 26).

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Fig. 25: Scambi di calore mediante il sistema circolatorio.

Fig. 26: Particolare della rete vascolare a livello della quale avvengono gli scambi di calore.

Durante l’immersione il sangue viene convogliato al torace, al cervello e agli altri organi vitali. Soprattutto il sangue viene diretto nelle reti mirabili.

Dato che i liquidi non possono essere compressi, la presenza di una quantità di liquido sufficiente nel torace lo mantiene fisiologicamente al riparo da collassi irreversibili del cuore e dei polmoni, ma consente anche di spingere una parte del sangue nelle reti, consentendo così alle coste assai elastiche di cedere alla pressione esterna (Bruno Cozzi, 2005).

Dal ventricolo sinistro fuoriesce l’aorta che si ramifica in vasi destinati alla vascolarizzazione di testa, cinto toracico, torace, addome e pinna caudale.

I polmoni saranno vascolarizzati dalle arterie polmonari, che portano sangue venoso dal ventricolo destro ai polmoni, e le vene polmonari, che portano sangue ossigenato dai polmoni all’atrio sinistro. Le parti più esterne del corpo, avvolte dal grasso, non contengono vasi ad eccezione dei minuscoli capillari.

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L’aorta ascendente nasce dal ventricolo sinistro, e dopo aver dato origine alle arterie coronarie, forma subito l’arco aortico con il tronco brachiocefalico e l’aorta toracica che si continua con l’aorta addominale.

Le arterie succlavie e carotidi originano dal tronco brachiocefalico. Le arterie succlavie diminuiscono rapidamente di calibro quando penetrano nell’arto toracico. Le arterie carotidi comuni sono molto corte (il collo è virtualmente assente nei delfini) e presto si dividono dando origine alle carotidi interne ed esterne. L’arteria carotide interna dei cetacei non ha praticamente alcun rapporto con la vascolarizzazione dell’encefalo, ma viaggia per lo più esternamente al cranio per irrorare la rete mirabile cervicale dorsale, per terminare nella regione oftalmica come un cordone solido non più pervio, raggiunge poi la cavità dell’orecchio medio e rimane di piccolo calibro dopo la nascita per tutta la vita. Durante il suo corso da origine a rami collaterali diretti alla rete mirabile cervicale. L’arteria carotide esterna si dirige verso la parte più ventrale della testa e fornisce sangue alla faccia, in maniera analoga a quanto accade con l’arteria facciale e i suoi rami nei mammiferi terrestri (Bruno Cozzi, 2005).

L’arteria mascellare interna irrora il plesso fibrovenoso dei sacchi aerei lungo il suo percorso ventrale e laterale rispetto al cranio.

Dall’aorta discendente e dal tronco brachiocefalico originano le arterie intercostali e toraciche dorsali che procurano sangue alle vaste reti mirabili toraciche e spinali. L’aorta discendente porta sangue al torace e all’addome, fornendo diversi vasi intercostali e dorsali. Dall’aorta le arterie raggiungono i visceri del torace e dell’addome come negli altri Mammiferi.

Le arterie polmonari dei delfini non hanno particolari differenze rispetto a quelle dei mammiferi terrestri, se non il percorso leggermente modificato per via della posizione più dorsale dei polmoni. A vascolarizzate l’encefalo partecipa la rete mirabile cervicale attraverso il forame occipitale. Dalla parte più craniale della rete mirabile cervicale le arterie meningee spinali, di derivazione dalle reti mirabili cervicali e toracospinali, vascolarizzano il cervello, senza un vero circolo arterioso cerebrale.

La pinna caudale è vascolarizzata da una grande arteria vertebrale.

Le arterie dei cetacei hanno la stessa architettura di quelle dei mammiferi terrestri.

Per rete mirabile (fig. 27) si intende una struttura complessa in cui una singola arteria si ramifica in un numero di vasi più piccoli, che infine si ricostituiscono in un singolo vaso più grande (o in alcuni vasi), che è in effetti la continuazione diretta dell’arteria che ha generato la rete. In alcuni casi, come nelle reti mirabili craniali dei ruminanti, le arterie più piccole che derivano dall’arteria generatrice della rete mirabile sono immerse in lacune (seni) di sangue venoso più freddo.

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Fig. 27: Reti mirabili.

Le arterie delle reti mirabili variano di spessore a seconda dei distretti. Anche la componente elastica all’interno della parete arteriosa cambia nelle diverse reti mirabili. La rete mirabile cervicale ha una ricca innervazione, probabilmente necessaria a promuoverne la funzione di regolatore del ritmo del flusso arterioso diretto al cervello, specialmente durante le lunghe immersioni (Bruno Cozzi, 2005).

Nei delfini è possibile notare una spiccata dilatazione sia della vena cava caudale, associata a uno sfintere muscolare specifico, che di due o tre vene epatiche dotate anch’esse di uno sfintere muscolare proprio. Questa disposizione non si verifica nei Misticeti e forse nemmeno in Odontoceti come il Capodoglio e gli Iperodonti.

Le vene spinali sono prive di valvole e rappresentano la via principale di deflusso venoso dal cervello e dai seni della base cranica. Sono sempre presenti due grandi vene molto sviluppate che si trovano centralmente al canale vertebrale, collegate dalle vene costocervicali e intervertebrali alle vene cave craniale e caudale rispettivamente. Una rete venosa mirabile accompagna le corrispondenti strutture arteriose. Comunque le vene delle reti sono generalmente prive di valvole (così che il sangue può probabilmente scorrere in entrambe le direzioni). Inoltre queste vene non hanno uno strato muscolare (Bruno Cozzi, 2005).

Arterie e vene delle reti sono collegate tra di loro solamente da pochi capillari. Le vene possono anche svolgere una funzione nell’assorbire gli shock per le arterie della corrispondente rete mirabile. Nelle pareti laterali e ventrali della cavità addominale ci sono reti mirabili costituite solo da vene, che a loro volta drenano il sangue alle vene superficiali provenienti dalle pinne caudali. Queste reti venose dirigono il flusso sanguigno verso la vena caudale, e forse agiscono nell’egualizzare le differenze di pressione tra il torace e l’addome. Il sistema fibrovenoso delle cavità nasali è drenato dalle vene spinali attraverso i seni cranici, dai grandi vasi che confluiscono nella vena giugulare esterna e da minuscoli rami che infine si fondono in un singolo vaso che sfocia nella vena mandibolare.

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L’aritmia sinusale, infatti, è marcata per cui, in superficie, la frequenza cardiaca varia da 81 a 137 battiti al minuto con una media di 100. In immersione rallenta progressivamente fino ad essere ridotta del 50%. Elevata dopo l’atto respiratorio, si abbassa fino a 30-34 battiti al minuto prima dell’espirazione successiva (Sommer et al. 1968).

2.2.8 Sistema linfatico

2.2.8.1 Linfonodi

I linfonodi sono relativamente più grandi che nei mammiferi terrestri.

La loro struttura ricorda quella dei linfonodi suini, nei quali cordoni e sinusoidi periferici circondano la corteccia dei follicoli posti al centro dell’organo.

Fibre muscolari lisce sono state descritte nella capsula e nelle trabecole dei linfonodi viscerali di Tursiops truncatus. La loro funzione è di svolgere l’emocateresi, ossia la distruzione dei globuli rossi usurati. (Bruno Cozzi, 2005)

Sono distribuiti sotto le pieghe laringee sul fondo della cavità orale; in torace a livello della ramificazione tracheale in prossimità dell’ilo polmonare; in addome i linfonodi seguono l’inserzione del mesentere sui visceri; nelle pareti di tutto il tratto gastrointestinale post diaframmatici sono presenti placche linfatiche, sia nodulari che diffuse.

Sia gli Odontoceti che i Misticeti possiedono grandi tonsille associate alla parte distale dell’intestino, che prendono il nome di tonsille anali, attive nei giovani e che involgono con l’età. (Bruno Cozzi, 2005).

2.2.8.2 Timo

E’ un organo linfatico primario che subisce un’involuzione con l’età.

Nei delfini è lobato, di colore rossastro, posto sulla superficie craniale del pericardio appena dietro lo sterno e vicino alla tiroide.

Le paratiroidi si possono trovare nella capsula del timo (Bruno Cozzi, 2005).

Nei delfini pre puberi il timo penetra nel collo lungo la superficie ventrale della trachea fino ad avvolgere il cuore caudalmente.

2.2.8.3 Milza

Ha forma discoidale con colore rosso-bluastro scuro. Nelle Stenelle e nei Delfini comuni adulti il suo diametro maggiore è 15-20 cm.

La milza è connessa alla grande curvatura del primo stomaco da uno specifico legamento, ed è posta nel lato destro della cavità addominale, ma può spostarsi altrove. (Bruno Cozzi, 2005).

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Si trovano spesso milze accessorie, piccoli dischi di tessuto splenico. Se presenti si trovano distribuiti lungo il grande omento nella cavità peritoneale.

La mole relativamente ridotta è dovuta ai meccanismi che controllano il volume e la pressione ematica durante le immersioni. Questi meccanismi si basano principalmente sul controllo del flusso sanguigno attraverso le reti mirabili, e dunque un voluminoso deposito/riserva di sangue come la milza non è necessario. (Bruno Cozzi, 2005).

2.2.9 Sistema nervoso

Il sistema nervoso centrale e periferico dei cetacei si è evoluto per consentirne la vita in acqua. I cetacei hanno i cervelli più grandi sul pianeta. Il cervello del Tursiops truncatus pesa in media da 1530 a 2030 gr (il cervello umano pesa in media circa 1400 gr). Ogni paragone di forma, volume, e lobatura tra i cervelli di specie diverse deve considerare vari parametri, tra i quali il rapporto tra peso dell’encefalo e peso del corpo. Alcune specie di delfini hanno un rapporto peso del cervello/peso del corpo migliore delle scimmie antropomorfe, con valori vicini a quelli riscontrati nell’uomo. Il cervello dei cetacei è più largo, più alto, più corto e maggiormente ricurvo lungo il suo asse trasverso di quello dei mammiferi terrestri. La forma del cervello segue i cambiamenti della morfologia del cranio. I grandi emisferi telencefalici presentano un notevole sviluppo delle circonvoluzioni cerebrali. Molta parte della corteccia cerebrale è nascosta dall’estremo sviluppo delle circonvoluzioni esterne. In effetti l’intera estensione della corteccia cerebrale di un Tursiope è molto più estesa di quella umana, anche se lo spessore della corteccia umana è doppio rispetto a Tursiops truncatus. Quindi il volume corticale complessivo di un Tursiope può raggiungere approssimativamente l’80% di quello umano. Anche se la corteccia è notevolmente evoluta, la sua struttura è apparentemente “monotona”, dato che le caratteristiche degli strati non cambiano nei diversi lobi, ma tendono a riprodurre la stessa conformazione in tutto l’encefalo (fig. 28). Il quarto strato (dei granuli interni) è difficile da riconoscere, e a volte ne è stata descritta l’assenza (Bruno Cozzi, 2005).

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Fig. 28: Visione laterale e dorsale del cervello di delfino. A1 corteccia uditiva primaria; A2 corteccia uditiva

secondaria; B bulbo; C cortecce; Cc corpo calloso; Ec emisfero cerebellare; Ip ipofisi; M area motoria; Me mesencefalo; Ms midollo spinale; P ponte; S area somatosensoriale; Ve verme del cervelletto.

La presenza di una corteccia ripetitiva e monotona, e la relativa mancanza dei granuli interni sono tra gli argomenti considerati da chi sostiene che il cervello dei cetacei sia incapace di svolgere le funzioni corticali superiori tipiche delle scimmie antropomorfe e dell’uomo in particolare. Il grande cervello dei cetacei è stato spiegato anche come una funzione dell’adattamento alla vita in acqua. Tuttavia Sirenidi e Pinnipedi hanno cervelli piccoli, poco convoluti o addirittura privi di circonvoluzioni, con una corteccia assai spessa. Una corrente di pensiero attuale basata sui dati neuroistologici considera il cervello dei cetacei come una sorta di cervello “primitivo” assai elaborato, che conserva molte delle caratteristiche in termini di lamine proprie degli Insettivori e dei Chirotteri. Nei delfini si possono riconoscere tutti i lobi encefalici dei mammiferi terrestri, compreso il lobo olfattorio (comunque il lobo olfattorio scompare durante l’ebriogenesi, negli Odontoceti sono stati descritti un minuscolo nervo terminale con relativo ganglio). Il lobo libico (ma non l’ippocampo) è estremamente ben sviluppato. Sulla faccia mediale degli emisferi, attorno al lobo limbico è presente il lobo paralimbico, unico dei cetacei. La corteccia visiva probabilmente non è localizzata nel lobo occipitale, ma nella parte dorsomediale dei lobi parietali. Lo sviluppo della corteccia uditiva è uno dei possibili fattori principali per lo sviluppo della corteccia cerebrale nei cetacei. La corteccia uditiva non sembra essere localizzata nel lobo temporale, ma nella parte laterodorsale della corteccia parietale. Lo sviluppo della corteccia uditiva è uno dei possibili fattori principali per lo sviluppo della corteccia cerebrale nei cetacei. La corteccia uditiva non sembra essere localizzata nel lobo temporale, ma nella parte laterodorsale della corteccia parietale. (Bruno Cozzi, 2005). Il corpo calloso dei delfini è comparativamente più piccolo di quello umano, anche se il peso assoluto del cervello è maggiore. Questo può essere dovuto alla riduzione del numero di fibre interemisferiche o ad una riduzione dello spessore della guaina mielinica. Entrambi i fattori

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possono essere importanti ai fini di un aumento dell’indipendenza degli emisferi. I gangli della base sono veramente molto sviluppati, e appaiono evidentissimi nelle sezioni trasverse. Anche il talamo è molto sviluppato. Non c’è un corpo (o due corpi) mammillare visibile sulla faccia ventrale, ma i nuclei mammillari sono stati descritti. La ghiandola pineale manca. Il ponte è grande, mentre il mesencefalo e il midollo allungato sono ripiegati, corti e spessi. Nel mesencefalo si riconosce chiaramente il nucleo ellittico, presente anche negli elefanti. Le sue funzioni sono ignote, forse legate al controllo della muscolatura dei sacchi nasali. I collicoli inferiori (caudali) di significato acustico sono più grandi di quelli superiori (rostrali), un fatto da porre in relazione all’importanza dei suoni per la vita acquatica. Il cervelletto, anch’esso molto sviluppato, presenta gli emisferi laterali che sovrastano e circondano il verme più infossato, una caratteristica comune anche alle scimmie e agli elefanti. Il peso del solo cervelletto può raggiungere i 1500 grammi nei Misticeti più grandi. I ritrovati paleontologici indicano che il cervelletto dei primi cetacei (Archeoceti) era più grande, o almeno più largo, del telencefalo, sempre forse a causa di un adattamento alla vita in acqua. Il nucleo interposto (formato dalla fusione del nucleo dell’embolo con il nucleo globoso) è estremamente sviluppato. I delfini hanno la capacità di dormire con un emisfero alla volta, abilità necessaria per evitare di affondare. Sembra che nel sonno non si verifichino fasi REM, anche se la questione è discussa. Un numero crescente di prove suggerisce che il cervello dei delfini sia in grado di affrontare un metabolismo anaerobico durante le immersioni prolungate. (Bruno Cozzi, 2005).

L’esame istologico del midollo spinale mostra che manca il canale midollare. Al suo posto ci sono una o più arterie. Le corna dorsali sono assottigliate, mentre quelle centrali sono piuttosto grandi. I tratti corticospinali sono di dimensioni ridotte.

Il nervo olfattorio scompare durante l’embriogenesi e manca nell’adulto. L’organo e il nervo vomeronasale sono assenti. Il nervo terminale e il relativo ganglio sono visibili sulla faccia anteriore dell’encefalo, in corrispondenza della quale attraversano la dura madre e la lamina cribrosa dell’osso etmoide in direzione dei sacchi nasali.

nervi ottici si incrociano completamente nel chiasma, in modo tale che tutte le fibre provenienti dalla retina di un lato sono destinate alla via ottica che termina nella corteccia visiva controlaterale. L’esistenza di un nucleo parasimpatico del nervo oculomotore è dibattuta, anche per via dell’esistenza del nucleo ellittico che occupa parte della posizione corrispondente.

Il trigemino è il nervo più grande e più evidente dopo quello acustico. Dopo la sua origine apparente corre vicino all’orecchio medio e interno. Alcune indicazioni suggeriscono che, oltre alle sue funzioni proprie, il quinto paio di nervi cranici dei delfini contiene fibre dirette al corpo cavernoso dell’orecchio medio e ne regola il riempimento vascolare.

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Dal momento che i muscoli mimici non esistono, la componente motrice somatica del nervo facciale innerva principalmente la muscolatura dello sfiatatoio e delle prime vie aeree. Le fibre sensitive o vegetative dei nervi facciale e glossofaringeo sono ridotte a causa della scomparsa o dell’estrema riduzione delle strutture salivari e gestatorie nell’orofaringe.

L’enorme nervo acustico contiene molte più fibre di quanto avvenga nell’uomo. (Bruno Cozzi, 2005).

Il plesso brachiale è bene evidente. La maggior parte delle fibre motrici che gli appartengono sono probabilmente dirette ai muscoli che ruotano l’omero o la scapola o, al contrario, irrigidiscono l’articolazione scapolo-omerale.

2.2.10 Organi di senso

I delfini e i Cetacei in genere hanno occhi grandi posti ai lati della testa, le fibre del nervo ottico che originano dalla retina di un lato si incrociano in modo che la via ottica termini nella corteccia visiva controlaterale. La posizione degli occhi e l’organizzazione delle fibre del nervo ottico rendono la visione stereoscopica impossibile o estremamente ridotta nelle diverse specie. Comunque la posizione laterale degli occhi consente campi visivi ampissimi e conseguente maggiore controllo dell’ambiente circostante. Gli occhi si muovono in maniera indipendente, e i movimenti non sono coniugati (Bruno Cozzi, 2005). La cornea è piatta e il cristallino sferico come nei pesci visto che la luce non subisce deviazioni nel passaggio da acqua a occhio essendo il loro indice di rifrazione uguale. Il muscolo ciliare inoltre è poco sviluppato o assente e l’accomodazione avviene mediante spostamenti in avanti ed indietro del cristallino resi possibili da variazioni della pressione endooculare. Il globo oculare non è sferico e la sua parte anteriore risulta molto appiattita (A. Poli, 2006). Nella retina vi sono coni ed in particolare bastoncelli, che garantiscono una buona visione in condizioni di scarsa luminosità. ma manca una fovea centrale ben definita. All’interno della coroide è presente uno strato di fibrille di collagene, il tappeto lucido, che riflette la luce aumentando ulteriormente la percezione visiva in condizioni di scarsa visibilità. La parte esposta dell’occhio è protetta da un epitelio corneo molto cheratinizzato e una sclera molto spessa che impedisce la deformazione dell’occhio in corso di immersioni ad elevate profondità e quindi elevate pressioni (A. Poli, 2006) (fig. 29). Come nella maggior parte dei mammiferi, ma non nell’uomo, vi è un muscolo detrattore del bulbo oculare ben sviluppato. Nel Tursiope è stata descritta la presenza di una ghiandola di Harder (ghiandola accessoria della terza palpebra) ben sviluppata e lobulata con dimorfismo sessuale. Ha forma di nastro e circonda il globo oculare (Bruno Cozzi, 2005).

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Fig. 29: Occhio di delfino. Co cornea; C cristallino; Ch coroide; No nervo ottico; R retina; S sclera.

La percezione dei suoni in acqua richiede diverse modificazioni dell’apparato uditivo. Nei cetacei non c’è un padiglione auricolare in quanto non c’è necessità di convogliare i suoni alla medesima maniera che nell’aria visto che le leggi che ne regolano la propagazione in acqua sono ben differenti, ed inoltre una sporgenza come quella del padiglione auricolare andrebbe a discapito dell’idrodinamica del delfino. La porzione esterna dell’orecchio è pertanto limitata ad un foro posto dietro ad entrambi gli occhi (A. Poli, 2006).

Il meato acustico esterno non è immediatamente visibile, è molto ridotto, sottile e contenente un tappo di cera e cellule cornificate ammassate, e termina in un cono alla cui base è inserita la membrana timpanica.

Il complesso dell’orecchio medio e interno, o periotico, è costituito da tessuto osseo molto denso e compatto che, a differenza dei mammiferi terrestri, non è solidale con la scatola cranica ma ne è anatomicamente e acusticamente separato. E’ tuttavia collegato al cranio per mezzo di legamenti che lo mantengono sospeso in una cavità (la bolla timpanica) piena di un’emulsione di olio, muco ed aria. L’emulsione consente un isolamento acustico che permette agli animali di riconoscere la provenienza di un suono e limita le interferenze dei suoni che si propagano direttamente per via ossea (A. Poli, 2006).

La cavità dell’orecchio medio è delimitata da un sottile ed estensibile corpo cavernoso ricco di vasi sanguigni che ne regola il volume e la pressione interna durante le immersioni e le emersioni. Questa cavità è direttamente collegata alla faringe per mezzo della tromba di Eustachio e contiene la catena degli ossicini. Il martello tuttavia è fuso con la membrana timpanica e ha una scarsa

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influenza sulla trasmissione delle onde sonore che vengono comunque trasmesse senza riflessione grazie alle ridotte dimensioni della bolla timpanica ed alla presenza dell’emulsione. L’inerzia e la rigidità dell’incudine, che si presenta priva del forame, fa muovere la staffa contro la finestra ovale che quindi comprime il liquido all’interno della coclea (A. Poli, 2006).

L’orecchio interno è, come nei mammiferi terrestri, costituito da un labirinto membranoso pieno di liquido contenente il sistema vestibolare (poco sviluppato) per l’equilibrio e la coclea per l’udito (fig. 30). Questa ha larghezza crescente dalla base all’apice mentre lo spessore decresce, ciò garantisce un’alta sensibilità ai suoni a elevata frequenza (A. Poli, 2006).

Il numero di neuroni presenti nel ganglio spirale è di gran lunga superiore a quello che si trova nel ganglio umano. Il suono viaggia quattro volte più velocemente in acqua che aria, e di conseguenza le strutture che effettuano un controllo discriminatorio come il nucleo olivare superiore (rostrale) devono essere in grado di distinguere la provenienza di un suono distinguendo destra e sinistra in queste condizioni di accelerazione. Il collicolo inferiore (caudale), è assai più sviluppato del superiore (rostrale). Il nucleo del lemnisco laterale e le radiazioni acustiche dirette alla corteccia sono grandi ed enormemente sviluppate. Le risposte uditive del tronco encefalico e gli studi condotti sulle fibre mieliniche della via acustica indicano che il sistema uditivo dei cetacei si è specializzato per la processazione rapida degli stimoli sonori (Bruno Cozzi, 2005).

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Il melone degli Odontoceti non è un organo di senso vero e proprio, ma è piuttosto una struttura a componente lipidica e connettivale che influenza le emissioni sonore prodotte dai generatori di suono posti vicino nelle prime vie aeree e nei diverticoli collegati ai sacchi nasali. La sua architettura è dovuta a un intreccio di fibre connettivali e tessuto adiposo (Bruno Cozzi, 2005). La sua funzione è quella di minimizzare la riflessione dei segnali interni, funzionando da adattatore di impedenza. Il passaggio dalla regione a bassa densità a quella a densità più alta, inoltre, aumenta la velocità di propagazione e fa convergere e focalizzare il fascio di ultrasuoni. Quindi gli ultrasuoni generati in prossimità del melone vengono rifratti e fatti collimare tra loro dal passaggio tra i diversi strati di grasso e l’acqua, formando un intenso fascio acustico che si propaga dalla fronte dell’animale (fig. 31). Il melone e l’acqua marina che lo circonda si comportano quindi come una lente acustica (A. Poli, 2006). Il melone inoltre può variare la sua forma appiattendosi o dilatandosi sotto l’azione di una muscolatura propria, la quale gli consentirebbe di correggere la sua lunghezza focale e di indirizzare il suono in un punto preciso posto davanti all’animale. La densità dei lipidi del melone e quindi la velocità dei suoni emessi, inoltre, possono essere regolate dalla temperatura attraverso variazioni del flusso sanguigno (A. Poli, 2006).

Fig. 31: Visione laterale dell’apparato deputato all’emissione e ricezione degli ultrasuoni in un delfino.

I mammiferi marini mancano di un apparato olfattivo funzionale. E’ presente una regione olfattiva corticale ma mancano la regione periferica, i nervi, i bulbi olfattivi e i recettori olfattivi (presenti in maniera rudimentale nel Capodoglio e nel Beluga) (A. Poli, 200). Le aperture nasali mettono in

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comunicazione la volta del palato con le narici interne; la cavità spiracolare e i tappi nasali (masse di tessuto muscolare che occludono le narici); le membrane diagonali associate ai tappi nasali (che sembrano essere coinvolte nella produzione dei fischi); quattro paia di sacche poste tra il tappo nasale e lo sfiatatoio che comunicano direttamente o indirettamente con la cavità spiracolare (alcune delle quali fungono da riserva di aria per la fonazione); il muso di scimmia costituito da setti a forma di labbra che sollecitati dalla pressione provocano l’apertura di una fessura verso la cavità spiracolare; le borse dorsali costituite da quattro piccoli corpi grassi associati alle narici e disposti sia anteriormente sia posteriormente alla cavità spiracolare; i muscoli associati allo sfiatatoio (A. Poli, 2006).

2.2.11 Ghiandole endocrine

Il lobo anteriore dell’ipofisi, l’adenoipofisi, è separato da quello posteriore, neuroipofisi, da uno spesso setto di dura madre. La prima inoltre è di dimensioni maggiori della seconda. Non c’è una parte intermedia e gli ormoni specifici di quella parte nei Cetacei vengono prodotti dalla pars distalis. Una grande rete mirabile è posta ai lati della piega durale che contiene la ghiandola pituitaria.

La tiroide è composta da due lobi lateralmente alla laringe e collegati tra di loro da un ponte di tessuto tiroideo. Nel Tursiope può presentarsi anche sotto diverse forme. In qualche individuo il ponte tra i due lobi assume uno sviluppo maggiore di quello delle masse laterali, tanto che la ghiandola diviene un organo singolo posto centralmente alle vie respiratorie. Ci sono anche forme intermedie (Bruno Cozzi, 2005).

In generale la tiroide è più sviluppata nei mammiferi marini che in quelli terrestri, anche se questo fatto non è posto in relazione al contenuto di iodio degli alimenti. I follicoli sono piccoli con minimo contenuto di colloide negli animali giovani, con un aspetto generalmente adenomatoso. I follicoli si ingrossano con l’età, e la colloide assume aspetto rosa più o meno carico. Non ci sono linfociti.

Le ghiandole surrenali dei delfini sono corpuscoletti appiattiti posti cranialmente al rene, vicino ai pilastri del diaframma non distante dal piano sagittale mediano. Sono parzialmente suddivise in lobuli da brevi setti connettivali che penetrano ad angolo retto per la lunghezza della corticale. La capsula è spessa e circondata da numerosi fasci nervosi e da vasi posti all’interno di uno stroma connettivale. La zona fascicolata è generalmente la componente più spessa della corticale, con notevoli variazioni individuali.

Le cellule interstiziali del testicolo producono gli steroidi sessuali maschili. Queste cellule interstiziali sono presenti anche nel testicolo dei cetacei e il loro aspetto è più affusolato di quanto

Figura

Fig. 13: Anatomia topografica di un Tursiope.
Fig. 15: Apparato scheletrico di un delfino.
Tabella 1: Schema della distribuzione delle vertebre.
Fig. 16: Arto toracico.
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Riferimenti

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