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5. Contesto di libri 1. Tra il 1959 e il 1962 escono tre Lb che hanno come tema gli Stati Uniti (Alexander Werth,

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5. Contesto di libri

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Tra il 1959 e il 1962 escono tre Lb che hanno come tema gli Stati Uniti (Alexander Werth, America in dubbio, 1959; Mario Andreis, Gli Stati Uniti e i paesi sottosviluppati, 1962; Paul Sweezy e Leo Huberman, Teoria della politica estera americana, 1962), cinque Lb sulla realtà sovietica (Walter Lippmann, Compere per coesistere, 1959; Silvio Leonardi, Sviluppo economico e decentramento nell’Urss, 1960; Augusto Livi, Inchiesta sulla gioventù sovietica, 1961; Luigi Morandi, Viaggio di un tecnico curioso nella civiltà sovietica, 1961; Alexander Werth, Cronache degli anni di Kruscev, 1962) e due sui rapporti tra le due grandi potenze nemiche (Isaac Deutscher, La grande contesa e Seymour Melman, La corsa alla pace).

Coprendo quasi un terzo dei titoli pubblicati complessivamente in questo periodo, il tema del confronto tra potenza americana e sovietica, studiato da punti di vista diversi e in certi casi distanti, si afferma come filone di ricerca privilegiato. Nel biennio precedente queste tematiche erano già state affrontate nell’ambito della collana attraverso il libro di Isaac Deutscher Dove va l’Unione sovietica? e la raccolta di saggi del 1958 di George F. Kennan, La Russia l’atomo e l’occidente: entrambi i volumi avevano ricevuto attenzione da parte della stampa italiana diventando oggetto di discussione;1 la pubblicazione della raccolta di Kennan, ex

1 Mario Paggi, Kennan e la Russia, «Il Mondo», 24 giugno 1958, pur riconoscendo il valore delle indicazioni fornite da Kennan si dissocia dalla «singolare debolezza di conclusioni dialettiche» a cui perviene Kennan. Il numero di dicembre dell’«Espresso» pubblica invece a tutta pagina il testo della quarta conferenza di Kennan, alternando la trascrizione del testo a brevi note esplicative. Il libro di Deutscher è recensito sul «Ponte» (aprile 1957) insieme a quello di Bertram D. Woolfe, I successori di Stalin, edito dalla

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ambasciatore americano a Mosca, è anche occasione per un elogio pubblico della collana ad un anno dalla sua inaugurazione:

Difficilmente nel nostro paese i temi di attualità della politica internazionale ottengono presso la pubblica opinione quell’attenzione e quella profondità di dibattito che pure meriterebbero. […] Pure, senza considerare il sempre valido strumento costituito dall’informazione della stampa quotidiana non manca nel nostro Paese la documentazione essenziale per un’ampia comprensione dei problemi sul tappeto. Basti ricordare, in questo momento, la brillante ed economica collana dei «corpuscoli», che l’editore Giulio Einaudi ha iniziato all’indomani dei fatti d’Ungheria con la pubblicazione di Qui Budapest di Luigi Fossati. Da allora sono apparsi degli interessantissimi saggi che, per la loro chiarezza, per la loro capacità di fare il punto su determinati argomenti, talvolta per il pregio stesso di introdurre il dibattito, ci sembra meriterebbero una larghissima diffusione.2

L’anno successivo il Lb intitolato Progresso sovietico contro iniziativa americana raccoglie i «rapporti confidenziali» che sei esperti americani avevano esposto il 21 novembre 1957 al “Commitee for economic development” sul tema Competizione tra libera iniziativa americana e comunismo sovietico.

Tra il ’59 e il ’62, dunque, il lavoro editoriale prosegue alcune linee di ricerca già avviate nel biennio precedente. Ma la continuità dei temi non implica necessariamente la continuità dei modi: e infatti, negli anni centrali della storia della collana, vediamo emergere approcci conoscitivi nuovi, punti di vista inconsueti, proposte metodologiche innovative che ridefiniscono i contorni della collana nel senso della sperimentazione.

casa editrice romana Opere Nuove. Deutscher è definito da Lelio Lagorio «il più convinto e accreditato sostenitore dell’ineluttabilità e irreversibilità del processo di democratizzazione della società sovietica. Woolfe non vi crede minimamente e fa dell’ironia sulla destalinizzazione». Le tesi avanzate da D. incontrano il consenso di Luciano Della Mea che sulle pagine dell’«Avanti!» scrive: «se è vero che la destalinizzazione è condotta dall’alto da uomini che collaborarono con Stalin, essa è certamente determinata da obiettive necessità scaturenti dal basso e che finiranno prima o poi per trovare un’espressione politica nelle istituzioni esistenti. (…) La gradualità del processo è dovuta, probabilmente, in primo luogo alla situazione internazionale in bilico fra la guerra fredda e la coesistenza pacifica; in secondo luogo alla preoccupazione che esso non porti a fratture violente che, secondo D., potrebbero dar luogo a una dittatura militare» (Luciano Della Mea, Questioni di socialismo: dove va l’URSS?, «Avanti!», 30 dicembre 1957).

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Solmi e Panzieri sono i registi di questa nuova fase che si concluderà nel 1963 con il loro fulmineo licenziamento.

Nel 1959 viene dato alle stampe il volume del giornalista americano Walter Lippmann,3 Competere per coesistere, la cui traduzione, sebbene risulti a nome di Panzieri, era in realtà stata compiuta dalla moglie Giuseppina.4

Nell’ottobre del 1958 Lippmann, opinionista molto influente dello «Herald Tribune» di New York, si reca in Unione Sovietica dove riesce ad intervistare per due ore Krusciov sul mantenimento dello status quo tra Unione Sovietica e Stati Uniti, la possibilità per l’Unione Sovietica di un’aggressione militare al blocco occidentale e le prospettive del disarmo. Nel libro, ad una prima parte dedicata alla trascrizione di questa intervista che Lippmann non poté registrare e che fu quindi ricostruita a memoria in un secondo momento, seguono una decina di pagine di commento politico alle tesi di Krusciov. Lippmann esorta il governo statunitense a confrontarsi non con le paure dei suoi cittadini ma con la realtà in cui si trova ad operare come potenza mondiale: solo abbandonando la falsa speranza che la rivoluzione russa e cinese possano essere cancellate, gli Stati Uniti riusciranno a competere e quindi a coesistere con il nemico comunista. In Asia e in Africa, prosegue Lippmann, i comunisti avanzano «perché indicano una strada, che attualmente è l’unica strada manifestamente efficace, attraverso cui i popoli arretrati possono rapidamente accrescere il loro potere e innalzare il loro livello di vita. L’unica risposta convincente da parte nostra può essere la dimostrazione che esiste un’altra, e più umana strada, per riscattare dalla miseria e dall’abbandono».5 Questa strada deve passare, secondo Lippmann, dal ripensamento della politica americana nel settore degli aiuti ai paesi minacciati dalle seducenti promesse del comunismo: «questo può essere

3 Di Lippmann Einaudi aveva già pubblicato nel 1945 La giusta società e nel 1946 Gli

scopi di guerra degli Stati Uniti e La politica estera degli Stati Uniti.

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Il 12 maggio del 59 Panzieri scrive alla moglie: «non so se ti è arrivato un libretto di Lippmann. Debbo chiederti un grosso favore: di tradurmelo in pochissimo tempo, entro la settimana. Fai una traduzione molto scorrevole, giornalistica, staccata dalla realtà del testo» (Panzieri, Lettere cit., p. 196).

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un fatto decisivo per capovolgere il corso attuale: infatti porrebbe fine a quella sensazione snervante di ineluttabile fatalità, che cioè il comunismo sia la sola speranza di futuro, che esista una sola via per la salvezza internazionale e che l’Occidente sia impotente e troppo pigro per fare qualcosa che non sia soltanto lasciare che il futuro avanzi, senza muovere un dito».6

L’analisi politica condotta da Lippmann sulla scorta dell’intervista al segretario del Pcus rappresenta per Panzieri, curatore della nota editoriale, «un duplice attualissimo motivo di interesse»: infatti, se i temi trattati nell’intervista forniscono «una informazione straordinariamente chiara sul punto di vista sovietico intorno ai massimi problemi internazionali», nella seconda parte, secondo Panzieri la più interessante, Lippmann «espone una interpretazione e una critica della politica estera americana in cui prendono forma precisa quelle esigenze di riesame profondo che sempre più sensibilmente si fanno sentire in America». Panzieri sottolinea con vigore la forza delle analisi compiute dall’interno, adottando il punto di vista dei protagonisti. Le conclusioni a cui Lippmann perviene non sono inficiate dai limiti riscontrabili nel suo linguaggio («un linguaggio – scrive Panzieri – “tradizionale”, non senza contraddizioni e freni») o dalle sue posizioni ideologiche: Lippmann appare agli occhi di Panzieri un osservatore moderato, «cauto» e sostanzialmente «conservatore» nelle conclusioni. E tuttavia, conclude Panzieri, le sue tesi «colpiscono alla base la politica estera americana quale si è configurata dopo la seconda guerra mondiale, trovando da ultimo espressione precisa nelle posizioni di Foster Dulles». La distanza ideologica tra autore e redattore, che viene denunciata senza giri di parole dallo stesso redattore quando compila la nota introduttiva, non è di ostacolo alla pubblicazione del libro: in questo caso, come in altri che vedremo, Panzieri emerge come redattore sui generis, incline al fascino della voce fuori dal coro e alla sperimentazione aliena da pregiudizi ideologici.

Tra il 1959 e il 1962 si manifesta chiaramente la volontà di Solmi e Panzieri di costruire percorsi di ricerca in cui realmente i libri sembrino parlare tra loro: questa scelta, se da un lato garantisce una disamina plurale

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sulle questioni dell’attualità evitando, come era successo per la pubblicistica sulla Cina, di appiattire il discorso su un’unica voce, dall’altro comporta necessariamente il silenzio su temi anche importanti di ricerca e approfondimento: così l’idea di un libro sull’insegnamento universitario in Italia7 o la proposta avanzata da Ernesto de Martino e Vittorio Lanternari per la pubblicazione di un Lb su «mito e società»8 rimanevano inattuate come anche i tentativi di inserire nella serie bianca volumi di argomento letterario.9

Subito dopo la pubblicazione del libro di Lippmann la collana propone una nuova testimonianza sull’America, scritta non da un americano ma da un giornalista di origine russa divenuto cittadino inglese: America in dubbio di Alexander Werth10 di cui la Casa editrice aveva già pubblicato

7 La proposta era stata avanzata da Paolo Serini nel consiglio editoriale del 19 novembre 1958.

8 La proposta era stata giudicata interessante da Panzieri nel consiglio editoriale del 18 novembre 1959 e doveva consistere nell’ampliamento di un saggio di de Martino e Lanternari pubblicato su «Nuovi argomenti». Luisa Mangoni ha visto una lettera non datata ma dei primi mesi del 1960 inviata da Lanternari a Panzieri in cui era definito un indice di massima per il libro: «De Martino stesso ne avrebbe scritto il saggio introduttivo; Musatti sarebbe intervenuto su mito e psicologia; Brandi su mito e arte, Giulio Preti su mito e filosofia (De Martino aveva espresso perplessità su questo suggerimento di Panzieri, ma Lanternari lo aveva convinto dell’opportunità che ci fosse anche “l’istanza culturale antimitologica, dato che c’è da attendersi, da molti dei contributi, un orientamento purtroppo irrazionalistico ed apologetico nei confronti del mito”); Adorno su mito e musica; Zolla su mito e letteratura. De Martino suggeriva inoltre un saggio su mito e cristianesimo (Oscar Cullmann) e uno su mito e psicosi, tema quest’ultimo su cui Lanternari aveva forti dubbi» (Mangoni, Pensare i libri cit., p. 895n). 9 Luciano Foà, ad esempio, proponeva di raccogliere in un Lb gli ultimi scritti teorici di Robert-Grillet, ricevendo il plauso sia di Ponchiroli che di Einaudi (AE, Verbale della riunione editoriale del 27 gennaio 1960); in quella stessa sede Solmi si faceva invece portavoce di una proposta di Vittorio Strada per un Lb di poesie di Evtuscenko tradotte dallo stesso Strada. Strada si dice persuaso che la presentazione del poeta russo in Italia possa essere favorita dalla collocazione delle sue poesie «sotto forma di uno dei vostri Libri Bianchi con una scelta opportuna e una presentazione che illustri la poesia di E. come fatto di costume oltre che di poesia. Se è questo che vi proponete e se non avete altre proposte di realizzazione, in un mese e mezzo circa potrei inviarvi le traduzioni e le presentazioni» (AE, incart. Livi, lettera non datata). La prima raccolta einaudiana di poesie del poeta russo sarà pubblicata solo nel 1982. L’unica incursione della collana in ambito letterario dopo la pubblicazione nel ’57 della commedia di Hikmet sarà rappresentata dallo scritto teorico di José Maria Castellet, L’ora del lettore, proposto da Calvino e pubblicato nel ’62.

10 Di Werth la casa editrice aveva già pubblicato, nella collana dei saggi, Leningrado (1947) e Storia della Quarta repubblica (1958).

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due libri nella collana dei Saggi11 e di cui nel ’62 sarebbe stato pubblicato un secondo Lb, Cronache degli anni di Kruscev.

America in dubbio, che era stato proposto, tradotto e introdotto da Solmi, raccoglie la cronaca del soggiorno di tre mesi di nell’Ohio compiuto da Werth in qualità di visiting professor presso l’Università di Columbus. Il racconto è scritto in forma di diario: giorno per giorno Werth annota le conversazioni che ha con numerosi studenti con cui affrontata i temi caldi dell’attualità statunitense: la paura della guerra nucleare, la questione razziale, la condizione della donna, l’immagine che l’America ha di se stessa e del mondo. Werth incontra l’America quotidiana e nascosta delle persone medie, lontane dai centri di potere quanto dall’industria dell’immagine di Hollywood: «questo libro – scrive Werth – mostra come alcune delle mie vecchie nozioni furono rapidamente spazzate via dopo un breve contatto con le cose reali. Ma per cose reali non intendo, naturalmente i politici di Washington (che non ho incontrato), ma la gente comune degli Stati Uniti e, soprattutto, quegli studenti universitari della nuova generazione in compagnia dei quali ho passato la maggior parte di quei tre mesi».12 Ne risulta un’America, scrive Solmi nella nota introduttiva, «singolarmente vicina a noi, e molto diversa, per molti aspetti, da quella che ci viene incontro nei film o magari nella letteratura […] Ancora incerta fra vecchia paura e diffidenza e un atteggiamento più aperto e fiducioso, fra l’ostinazione rigida di una volta e una maggiore curiosità e modestia, appare in questo l’America: “in dubbio”, come dice il titolo, e in cerca di una nuova fede in sé, che dovrebbe essere, nello stesso tempo, una maggiore fiducia nelle sorti del mondo».13 Werth e Lippmann sono testimoni privilegiati della complessa e multiforme realtà americana che raccontano attraverso i loro libri equilibrando passione intellettuale e distacco critico.

Nel settembre del 1959, mentre Kruscev sta compiendo la sua storica visita negli Stati Uniti, arriva alla casa editrice la proposta di un resoconto

11 Leningrado (1947) e Storia della Quarta Repubblica (1958). 12 Alexander Werth, America in dubbio, p. 8.

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sulla realtà sovietica. L’autore è Luigi Morandi14 che scrive: «ho trascorso l’intero mese di agosto e qualche giorno di questo settembre nell’Unione Sovietica. Poiché il mio viaggio è stato estremamente interessante, ho cominciato a riordinare i miei molti appunti col proposito di scrivere un libro».15 La proposta viene vagliata da Panzieri che, giudicandola «interessante e nuova se confrontata con le pubblicazioni recenti di informazione sull’URSS»,16 esorta l’autore ad approfondire gli aspetti della ricerca tecnica e dell’industria «che ci paiono, nel suo testo i più inediti».17 Il lavoro di riscrittura del testo si protrae per un anno. Solo sul finire del 1960 Morandi scrive a Panzieri: «mi è venuto fatto di pensare in questi giorni che lei non dedichi più la sua piena attività alla Einaudi. E mi spiacerebbe molto. […] Il mio libro sull’URSS è finito».18 Il libro, intitolato un po’ prosaicamente Viaggio di un tecnico curioso nella civiltà sovietica, esce a giugno in 2500 copie, nonostante il parere di lettura sostanzialmente negativo espresso da Solmi al Consiglio editoriale: «ho visto il resoconto di un viaggio in URSS di Morandi. Si legge ma è un po’ noioso».19 Il parere di Solmi non è infondato: il resoconto di Morandi si dilunga in descrizioni minuziose che avrebbero lo scopo di restituire un’immagine inconsueta e intima della realtà sovietica ma che spesso risultano appesantite da particolari del tutto secondari: solo dopo sette pagine dedicate alla descrizione delle merci in vendita presso il grande magazzino Gum («vi si vende di tutto, proprio tutto», scrive incredulo Morandi, soffermandosi addirittura a saggiare il materiale di «cartelle, borse, borsette, valige [che] quando non sono di fibra, appartengono alla

14 Così si presenta alla casa editrice: «Egregi Signori, credo di essere da loro conosciuto, se non proprio come scrittore. […] Mi sono recato nell’Unione Sovietica come turista avendo declinato gli inviti e le particolari facilitazioni che mi sono state offerte da tempo; ciò per essere svincolato da ogni obbligo nel far conoscere le mie impressioni e le mie opinioni» (AE, incart. Morandi, 15 settembre 1959).

15 Ibidem. 16

AE, incart. Morandi, 22 ottobre 1959. 17 AE, incart. Morandi, 11 novembre 1959. 18 AE, incart. Morandi, 15 dicembre 1960.

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chimica macromolecolare»20), l’autore si scusa con il lettore che si sorprenderà «del mio intrattenerli tanto a lungo sul Gum; ma questo centro di vita intensa è, per un viaggiatore occidentale, assai più che un immenso emporio».21 Trecento pagine di descrizioni erano e rimangono a distanza di anni eccessive, soprattutto se confrontate con i parametri di brevità e agilità tipici della collana bianca.

2.

Lo studio della percezione europea della realtà americana e di quella sovietica è stato spesso filtrato dal concetto polisemico di mito:22 questo tipo di approccio, oltre ad essere una facile scorciatoia conoscitiva dettata dalla incapacità o dall’impossibilità di ricostruire eventi lontani nel tempo, immette anche nel campo dell’analisi un giudizio valutativo che degrada la complessità di un rapporto di conoscenza (in questo caso tra realtà geograficamente e culturalmente lontane) alle sue rappresentazioni, e in particolare alle sue rappresentazioni più falsate e distorte. Il mito diventa così una gigantesca scatola che racchiude le deformazioni della realtà, siano esse intenzionali o inconsce, individuali o collettive.23 Ma se è

20 Luigi Morandi, Viaggio di un tecnico curioso nella civiltà sovietica, p. 22.

21 Ibidem.

22 Per quanto riguarda il panorama storiografico italiano si vedano ad esempio Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, Il mito dell’Urss. La cultura occidentale e l’Unione

Sovietica, a cura di Marcello Flores e Francesca Gori, Franco Angeli, Milano 1990;

Nemici per la pelle. Sogno americano e mito sovietico nell’Italia contemporanea, a cura

di Pier Paolo D’Attore, Franco Angeli, Milano 1991. Flores nell’introduzione a Il mito

dell’Urss mette in guardia il lettore su «il modo in cui si utilizza il termine mito nel

contesto che qui ci interessa, e cioè nella relazione tra la storia dell’occidente e la storia dell’Urss nei cinquant’anni successivi all’Ottobre; [esso] è senz’altro abbastanza generico e indeterminato, e cerca di racchiudere in sé le differenti intenzioni con cui è stato adoperato». Dopo la dichiarazione di un uso estensivo e generico della categoria di mito, Flores tenta tuttavia una sua definizione: il mito è collettivo, ha una forte impronta sociale, incarna «una sorta di irrazionale legittimazione», è in genere conservatore poiché «tende a sacralizzare l’esistente, a giustificare le fondamenta della società e il suo atto di nascita, a difendere la legittimità del potere e a favorirne il rafforzamento».

23 Patrick Mc Carthy, studiando il mito sovietico della realtà americana, definisce il mito «un tentativo di conoscenza dell’altro ma un tentativo volutamente imperfetto perché contiene una carica utopica» (Patrick Mc Carthy, America. L’altro mito della cultura

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innegabile che l’America e l’Unione Sovietica siano state anche dei miti (positivi o negativi, a seconda dei casi) a livello politico, culturale e sociale per gli europei e non solo, è però vero che i percorsi della conoscenza e della rappresentazione si sono mossi anche verso altre direzioni, alcune intraprese proprio in funzione anti-mitologica.

Nell’Italia degli anni Cinquanta e Sessanta, la scorciatoia del mito applicata alla realtà sovietica e a quella americana è stata in parte favorita dalle carenze di una storiografia dominata da «eurocentrismo culturale e italocentrismo della ricerca».24 Se nel primo decennio della storia repubblicana, la realtà sovietica è analizzata in Italia «soprattutto dai giornalisti, in particolare dai corrispondenti, interessati a cogliere le trasformazioni della società comunista contemporanea»,25 rispetto all’America, invece, è forte l’adesione alle categorie assolute di americanismo e antiamericanismo, alle quali anche molti intellettuali pigramente si adeguano: «quando si analizzano le immagini dell’America presenti nell’ Italia del Novecento si incontra subito una polarizzazione delle opinioni: si ama l’America oppure la si odia», scrive Michela Nacci mettendo a confronto i temi dell’antiamericanismo in epoche diverse della storia italiana.26

Ma tra gli eccessi della retorica e della polemica sono individuabili zone franche di ricerca e dibattito. Il percorso di conoscenza proposto nella cornice dei Lb sembra discostarsi dalla standardizzazione sia del mito sia del nemico ideologico: nel maggio del 1961, ad esempio, Giolitti propone all’attenzione del Consiglio editoriale un saggio di Mario Andreis, studioso di economia e dirigente della Burgo, sulla politica statunitense di

24 Antonella Salomoni, Gli storici italiani e l’URSS in Il mondo visto dall’Italia a cura di Agostino Giovagnoli, Guerini, Milano 2005, p. 355. Nel marzo 1961 Enzo Santarelli denunciava « il ritardo nell’opera di documentazione e di ricostruzione storiografica [che] non è mai da attribuire esclusivamente alla non disponibilità di archivi, di fonti e così via, che è in ogni caso indisponibilità relativa e non assoluta, ma anche al difetto di iniziativa nella ricerca e nello studio» (Enzo Santarelli, La liquidazione dello stalinismo e la

storiografia democratica, «Rivista storica del socialismo», 13-14, 1961, cit. in Salomoni,

Gli storici italiani cit., p. 365).

25 Salomoni, Gli storici italiani cit., p. 365.

26 Michela Nacci, L’immagine dell’America fra gli intellettuali italiani del Novecento, in

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aiuto economico ai paesi sottosviluppati. Giolitti motiva così a Foà la sua proposta: «è un lavoro condotto con molta competenza, con giudizio critico ma al di fuori di qualsiasi impostazione propagandistica o tendenziosa».27 Dopo una breve descrizione del contenuto e della struttura del saggio, Giolitti pone il problema della collana in cui collocarlo:

Io ne propongo e caldeggio l’immediata pubblicazione nei “Libri Bianchi”, che mi sembra collocazione più pertinente che non quella eventuale e anche possibile nella “Nuova società”. Siccome uno dei pregi del lavoro è il suo aggiornamento a epoca recentissima, l’autore giustamente non vuole arrischiare lunghe anticamere: vi manderò il dattiloscritto solo dopo che abbiate dato un parere di massima favorevole e siate disposti a una rapida pubblicazione.28

I Lb sono ancora percepiti come la collana più idonea ad accogliere contributi sull’attualità: a Giolitti scrive lo stesso Giulio Einaudi dichiarandosi «contento che anche il Panzieri, cui ha parlato Vittorio Foa, sia favorevole di massima alla pubblicazione nei “Libri Bianchi”».29 Giolitti conferma a Foà che la pubblicazione del libro di Andreis è stata approvata alla condizione che siano effettuate piccole modifiche su cui lo stesso Andreis si è dichiarato d’accordo.30 Il libro, che sarà pubblicato nel febbraio del 1962 con il titolo Gli Stati Uniti e i paesi sottosviluppati,31 ricostruisce con meticolosità scientifica la storia degli aiuti elargiti dalla potenza americana nel periodo compreso tra l’elaborazione della «dottrina Truman» e la riforma dei programmi di assistenza all’estero avviata

27 AE; incart. Giolitti, 22 maggio 1961.

28 Ibidem.

29 AE, incart. Giolitti, 14 giugno 1961.

30 AE, incart. Giolitti, 10 giugno.

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Sul titolo da apporre al saggio la redazione di Torino si divide da quella di Roma: quando la prima propone «Gli Stati Uniti e i paesi sottosviluppati col sottotitolo Dati e

problemi della politica americana di aiuti economici da Truman a Kennedy (o anche solo La politica americana ecc.)», da Roma Giolitti esprime il malcontento suo e di Andreis

perché «il titolo di Torino sta ad indicare un ambito di fatti e problemi molto più vasto di quanto non sia il tema specifico trattato dal libro». La proposta della redazione romana era Dal Piano Marshall alla alleanza per il progresso.

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dall’amministrazione Kennedy.32 Nel novembre del ’61 è approvata la pubblicazione di un altro saggio sulla politica estera americana: la raccolta di saggi di Sweezy e Huberman, approntata da Solmi con l’appoggio di Panzieri,33 che sarà pubblicata solo nel ’63 con il titolo Teoria della politica estera americana.34

Il percorso di conoscenza sulla realtà sovietica e statunitense prosegue negli anni successivi con altre proposte che impegnano la casa editrice in un’azione di concorrenza con le pubblicazioni proposte sugli stessi temi da altre case editrici.35 La carenza dei contributi della storiografia sulla realtà sovietica e americana è segnalata ancora una volta da Franco Venturi che avvia con Panzieri un dibattito sulla tipologia di documento da privilegiare: contro il monito di Venturi a fare innanzitutto «libri di interpretazione storica e non di documenti» Panzieri propone invece la pubblicazione di due libri che raccolgano gli scritti di Trotsky e di Bucharin:36 Luisa Mangoni ha interpretato questo scambio polemico tra i due come occasione di confronto intorno «intorno ad un oggetto del contendere tutt’altro che irrilevante: per Panzieri si trattava di riesplorare le alternative possibili interne al sistema sovietico stesso, per Venturi di

32 L’approccio economico alle questioni internazionali proposto da Andreis è adottato anche da Seymour Melman nel suo La corsa alla pace, pubblicato nel dicembre ’62. Era stato Solmi a segnalarlo al consiglio editoriale: «è un libro attuale. È un kennediano di sinistra critico nei confronti dei teorici del contratto degli armamenti (formula di compromesso per chi non ha il coraggio di parlare di disarmo.) Pecca un po’ di ottimismo ma è molto serio» (AE, Verbale della riunione editoriale del 21 febbraio 1962). Nella nota editoriale Solmi presenta il libro non solo come opera di studio ma come «appello al governo e all’opinione pubblica degli Stati Uniti per un impegno risoluto sulla via del disarmo». Sul tema del pacifismo, caro a Solmi, verranno pubblicati nel 1962 altri due Lb: In cammino per la pace, sulla prima marcia Perugia-Assisi organizzata da Aldo Capitini e il carteggio tra il pilota di Hiroshima Claude Eatherly e di Günther Anders intitolato La coscienza al bando (1962).

33 AE, Verbale della riunione editoriale del 29 novembre 1961.

34 Dopo il 1963, l’attenzione critica di Solmi alla realtà americana proseguirà fuori dall’ambito editoriale. Cfr. Renato Solmi, La nuova sinistra americana, «Quaderni piacentini», dicembre 1965; Id., Il dibattito americano sul Vietnam, ivi, settembre 1966; Id., La resistenza nell’esercito americano, ivi, aprile 1971: tutti ripubblicati in Solmi,

Autobiografia documentaria cit., pp. 411-523, 525-576 e 623-644.

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Panzieri informa ad esempio il consiglio editoriale riunitosi l’11 aprile 1962 che «ci sono altre iniziative simili a quella che noi vorremmo attuare sulla storia dell’ URSS. Gli Editori Riuniti annunciano i primi due volumi di una nutrita serie» (AE, Verbale della riunione editoriale dell’11 aprile 1962).

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ratificare attraverso la storiografia una condanna inappellabile».37 Nell’ottica di un approfondimento conoscitivo della realtà sovietica, Panzieri segnala per i Lb una raccolta proposta da Lisa Foa di autori sovietici sui «problemi attuali dell’agricoltura sovietica».38 Una proposta che rimane sulla carta senza esser stata nemmeno discussa.

Il penultimo libro di argomento sovietico pubblicato dalla collana sarebbe stata la raccolta di scritti di Kruscev intitolata I problemi della pace39. Essa venne approntata nel 1963 in un contesto editoriale radicalmente mutato, soprattutto per quanto riguardava la serie bianca: Solmi e Panzieri erano stati licenziati e la collana versava ormai in una crisi che aveva come primo effetto il drastico rallentamento delle edizioni (nel ’63 escono solo tre Lb, nel ’64, quattro). Luca Baranelli, che dal giugno del 1962 aveva cominciato a lavorare per la casa editrice coadiuvando Solmi per la serie bianca,40 ha definito quella vicenda editoriale «un’operazione puramente politica combinata in fretta e furia tra Einaudi, Bollati e Strada con le autorità sovietiche».41 Il 21 febbraio Kruscev riceve al Cremlino

37

Mangoni, Pensare i libri cit., p. 900.

38 AE, Verbale della riunione editoriale del 14 febbraio 1962.

39 La proposta era di Vittorio Strada. AE, Verbale della riunione editoriale del 18 dicembre 1963. Nel ’62 era uscito un Lb di Alexander Werth intitolato Cronache degli

anni di Kruscev che era stato così presentato dal comunicato stampa che aveva

accompagnato la pubblicazione: «Werth è uno dei giornalisti occidentali che più hanno contribuito e contribuiscono a una comprensione oggettiva e intelligente di quanto avviene in Unione Sovietica, e che hanno serbato, per quel popolo e quella esperienza, la profonda simpatia e ammirazione che suscitarono in lui negli anni eroici della guerra» (AE, Recensioni, incart. Gli anni di Krusciov).

40 In un’intervista rilasciata a Luca Zanette, Baranelli ha raccontato così il suo ingresso nella casa editrice: «Il 1° giugno del 1962 presi servizio nella redazione dell’Einaudi. Era il mio primo lavoro vero, anche se non potevo prevederne la durata. Sapevo solo che avrei fatto un periodo di prova di almeno tre mesi. In realtà la prova durò sette mesi: fui infatti assunto a tempo indeterminato il 1° gennaio 1963 (e rimasi all’Einaudi fino al 30 settembre 1985). Ebbi insomma un intenso apprendistato, anche perché nel ’62 si lavorava otto ore al giorno per cinque giorni, più quattro ore la mattina del sabato. All’inizio, il mio compito era di aiutare in redazione Renato Solmi, che in quel periodo si occupava prevalentemente di libri di attualità politica, sociale ed economica: curava la collana dei Libri bianchi che, dopo una serie con la copertina bianca durata cinque anni, proprio nel 1962 cambiarono aspetto, mettendo una foto in copertina. Il mio tavolo di lavoro era nel suo stesso ufficio» (Sulla Serie politica Einaudi, pubblicata nella sezione “Editoria e industria culturale” dell’«Ospite ingrato», rivista on line del Centro Studi Franco Fortini: www.ospiteingrato.org).

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l’editore che poi rilascerà un’intervista a «L’Espresso» mentre «l’Unità», «Rinascita» e «Paese sera» pubblicheranno, sotto titoli roboanti, la prefazione dello stesso Kruscev al libro di imminente pubblicazione.42 Einaudi ha raccontato nelle sue memorie la visita compiuta a Kruscev nel marzo 1964 per presentargli insieme a Strada e a Bollati l’edizione dei suoi scritti :

Mi ero detto: «non posso arrivare a mani vuote, Kruscev è di origine contadina, devo portargli un frutto della mia terra». Ma quale frutto poteva esserci nelle Langhe nel mese di marzo? […] Cercai il tartufo più grosso e quando venne il giorno dell’incontro me lo portai appresso. Dentro di me speravo nel massimo del risultato, speravo cioè che Kruscev mi invitasse a mangiare il tartufo con lui.43

Quasi otto anni erano passati dall’invasione sovietica dell’Ungheria. Evidentemente, un lasso di tempo sufficiente ad Einaudi per sedersi senza disagio a mangiare il tartufo con Kruscev. Il quale, solo cinque mesi dopo, sarebbe stato deposto e sostituito da Breznev.

3.

Il timore espresso da Morandi sull’assenza di Panzieri non era infondato: dagli ultimi mesi del ’59 Panzieri era attivamente impegnato nella realizzazione della collana La nuova società (d’ora in poi Ns), ideata per proporre «volumi che contribuiranno a riportare le edizioni un po’ più vicine agli interessi della cultura d’oggi».44 Inevitabilmente, il lavoro per la collana bianca diventava più sporadico e meno sistematico: Panzieri

42

Krusciov: pace, socialismo e coesistenza , «l’Unità», 14 marzo 1964; Krusciov scrive

la prefazione al suo libro edito da Einaudi, «Paese sera», 14 marzo 1964; Costruire la pace, «Rinascita», Roma, 21 marzo 1964.

43 Giulio Einaudi, Frammenti di memoria, Rizzoli, Milano 1988, p. 141.

(14)

lavorava contemporaneamente sia per i Lb che per la Ns45, ma per quest’ultima, che dirigeva da solo, l’impegno era maggiore, come dimostra la fitta corrispondenza che tra la fine del ’59 e i primi mesi del ’60 Panzieri intratteneva con diversi interlocutori.46 Ad alcuni di essi esprimeva anche una certa insoddisfazione per la sua emarginazione dalla vita politica attiva in confronto a cui l’esperienza editoriale era vissuta come ripiego necessario ma temporaneo: «non è gran cosa questa attività per le nostre esigenze – è meglio di niente, e forse abbastanza utile nella situazione in cui siamo», scrive a Maria Adelaide Salvaco;47 «il resto – confida invece a Ruggero Amaduzzi – per ora, è per me silenzio».48 Nell’ottobre del 1960 Panzieri rescinde il contratto da redattore interno per assumere il ruolo, meno impegnativo, di consulente.49 Ancora un mese

45

Del lavoro in contemporanea per i Lb e per la Ns è riprova, ad esempio, la lettera a Norman Birnaum a cui Panzieri chiede «Out of Apathy, je pense qu’on purra sans duote le publier dans la collection des Libri Bianchi, peut-être avec une introduction spéciale pour les lecteures italiens» e per la Ns «le livre de Worsley, The Trumpet shall sound, qui est vraiment très beau» (lettera a Norman Birnaum del 10 novembre 1959, ibidem, p. 235). Il libro di Worsley, La tromba suonerà. I culti millenarisitici della Melanesia uscirà nel 1961 tradotto da Massimo L. Salvatori; Uscire dall’apatia uscirà nei Lb nel 1962: si tratta di una raccolta di scritti di E. P. Thompson, Ralph Samuel, Peter Worsley, Kenneth Alexander. L’edizione del libro era stata curata da Luca Baranelli che ha ricordato questa esperienza nella già citata intervista: «da Einaudi cominciai a rivedere la traduzione di

Out of Apathy (Uscire dall’apatia), un bel libro a più voci della nuova sinistra britannica,

più o meno legata alla “New Left Review”. Gli autori erano universitari fra i trenta e i quarant’anni, soprattutto di Oxford: fra loro c’erano l’antropologo Peter Worsley, Ralph Samuel e Stuart Hall, distintosi in seguito nei cultural studies. Principale coautore, e curatore del libro, era lo storico Edward P. Thompson. Si trattava di una raccolta di saggi e interventi sulla crisi del Labour Party, le prospettive e i compiti di una sinistra laburista e post-comunista in una società industriale avanzata. Sia Thompson sia altri del gruppo avevano militato nel partito comunista inglese, e ne erano usciti dopo la crisi del ’56 e i fatti d’Ungheria».

46 Panzieri è in particolare preoccupato dalla carenza di studi italiani: a Maria Adelaide Salvaco scrive il 30 ottobre 1959: «Sto preparando una nuova collana di scienze sociali, nella quale dovrebbero trovare posto molti volumi sui problemi italiani (economici e sociologici). Mentre per gli stranieri non è difficile fare una scelta, che colga queste ricerche nei loro momenti eretici (che scoperta i sociologi polacchi, vedrai!) per i nostri la situazione è quasi disperata, tra economisti accademici (salvo Sylos Labini e pochissimi altri, forse quasi nessun altro) e sociologi dilettanti o letterati o peggio. Perché non collabori? […] Se poi hai voglia di collaborare con qualcosa di più “militante” e meno impegnativo, tieni presente che la collana dei Lb è apertissima al tuo contributo» (Panzieri, Lettere cit., p. 231).

47

Ibidem.

48 Lettera a Ruggero Amaduzzi, 31 ottobre 1959, ibidem, p. 233.

49 In una lettera del 13 ottobre 1960 a Giulio Einaudi Panzieri afferma che per lui «trasformare il rapporto di impiego in rapporto di lavoro non ha minimamente il significato di un impegno minore nel mio lavoro. Al contrario ho inteso stabilire

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prima Panzieri invia a Solmi una lettera cui allega un progetto per la collana dei Lb che è andato perduto. Nella lettera Panzieri parla di una revisione delle collocazioni dei libri di prossima pubblicazione: «vedrai, tra l’altro, che anche i vecchi “Saggi” possono riuscire arricchiti dallo smistamento che proponiamo. Resta fuori dagli schemi la cosa più importante: i libri nuovi da trovare e da far fare, che dovrebbero realizzare il senso di tutto questo nuovo imbroglio. Nell’insieme mi sembra che la cosa funzioni – soprattutto per la nuova collana economico-sociologica e la nuova attualità».50 Panzieri e Solmi stanno progettando una nuova serie dei Lb che verrà inaugurata solo due anni dopo, nel 1962: abbellita la veste grafica, con la pubblicazione in copertina di una fotografia in bianco e nero e la nota editoriale riprodotta in quarta di copertina, la nuova serie della collana «si propone di dare ai nostri lettori un’informazione sempre più ampia e più completa sui problemi politici e sui processi storici in corso. Accanto ai volumi dedicati a singoli aspetti e settori della situazione internazionale, vi troveranno posto studi e interventi sui problemi dello sviluppo e della lotta politica in Italia, come pure libri di discussione e pamphlets di argomento politico e culturale. Essa ospiterà anche veri e propri saggi in quanto si ricolleghino strettamente a questioni di grande attualità».51 Le novità sembrano dunque rintracciabili nella maggior attenzione dedicata alle analisi più approfondite e alle questioni propriamente italiane colmando in questo caso una lacuna che, come abbiamo visto, aveva caratterizzato la collana sin dal suo esordio: «la collana intende diventare, insomma, più ancora di quanto non sia stata in passato, uno strumento indispensabile di orientamento nel dibattito politico e culturale e nella situazione attuale del nostro paese e del mondo».52 Se la svolta messa in atto a un anno dal licenziamento di Solmi e Panzieri e a quattro dalla definitiva chiusura della collana non

condizioni di miglior rendimento». Ma in una lettera del 26 ottobre ad Asor Rosa Panzieri mette in relazione il ridimensionamento del suo ruolo in casa editrice con la possibilità di seguire meglio il progetto dei «Quaderni rossi» il cui primo numerò uscirà nell’ottobre del 1961 (ibidem, pp. 282-288).

50 Lettera a Renato Solmi del 25 settembre 1960, ibidem, p. 278.

51 Nota riprodotta nella quarta di copertina di ciascun Lb della nuova serie.

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comportava grandi cambiamenti nella fisionomia dei libri proposti, essa evidenziava l’insoddisfazione per i risultati ottenuti dai Lb. In particolare, la delusione poteva arrivare quando libri ritenuti importanti e innovativi venivano accolti freddamente dall’opinione pubblica diventando, nel migliore dei casi, oggetto di accese quanto fugaci polemiche, come nel caso del libro di Daniel Mothé, Diario di un operaio (1956-1959).

4.

Nell’attività editoriale di Panzieri si intrecciano azione politica e azione culturale attraverso modalità che l’indagine ravvicinata di un caso editoriale particolare, la pubblicazione del Diario di un operaio di Daniel Mothé, potrà chiarire.

Nel novembre del 1960 il consiglio editoriale discute la proposta di Panzieri di traduzione e pubblicazione del Journal d’un ouvrier di Mothé: le sue tesi, avverte Panzieri, «sono quello che sappiamo. […] Darà noia a molti, tipo all’Unità». Mentre Foà definisce il libro «bello», Fortini esprime «un’unica obiezione: non so quanto la situazione in Italia e Francia coincidano». Panzieri condivide questo dubbio e propone di far precedere il libro da una prefazione esplicativa. Einaudi però si dichiara contrario poiché essa «creerebbe soltanto confusione».53

La proposta di pubblicazione è approvata. La traduzione dal francese è affidata a Danilo Montaldi che per primo aveva segnalato a Panzieri il libro di Mothé. Sulla scorta dell’esperienza di «Socialisme ou barbarie», la rivista francese di orientamento marxista antistaliniano fondata nel 1949 da Claude Lefort e Cornelius Castoriadis, Montaldi aveva già cominciato da alcuni anni a far circolare in Italia le ricerche di Daniel Mothé e Paul Romano sulla condizione operaia nella grande fabbrica: nel ’59 Montaldi recensiva su «Presenza» il diario di Mothé appena pubblicato in Francia dalle Éditions de Minuit; in esso sono presenti, scrive Montaldi, «tutti gli

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aspetti quotidiani di fabbrica e gli avvenimenti politici di questi ultimi anni vissuti a livello di base».54 Secondo Stefano Merli l’inizio della divulgazione in Italia attuata da Montaldi delle ricerche del gruppo di «Socialisme ou barbarie» va retrodatata di almeno cinque anni rispetto allo scritto dedicato a Mothé:

Attribuisco poi a Montaldi l’introduzione in Italia fin dal 1954 (cioè molto tempo prima dell’edizione einaudiana del Mothé) di un saggio dell’operaio americano Paul Romano, precedentemente apparso su Socialisme ou barbarie, che verrà tradotto a puntate su «Battaglia comunista» (febbraio-marzo 1954). Questo testo è molto importante perché sensibilizzerà le avanguardie europee sui problemi della nuova realtà di fabbrica e quindi, credo, anche lo stesso Mothé. La traduzione di Montaldi passerà inosservata perché apparsa su un organo di limitata diffusione come «Battaglia comunista» ma ha rappresentato senza dubbio una spinta metodologica per il “nuovo Marxismo” che scopriva la dimensione dell’analisi sociologica e della “con-ricerca”.55

La «ricognizione diretta, dal basso, delle forme di costituzione di una cultura antagonista»56 diventa per Panzieri e Montaldi la via metodologica più adatta all’analisi delle strutture fondamentali del neocapitalismo occidentale. Nel 1958, in margine al primo congresso italiano di sociologia, Montaldi afferma: «l’esercizio di rilevazione sociologica è mancata nel movimento operaio perché vi è prevalsa precisamente la visione degli strati dirigenti. […]. Mentre il richiamo al marxismo sta diventando per gran parte (da destra a sinistra) la copertura di un vuoto ideologico senza precedenti, e il leninismo un’occasione per fare delle citazioni, la teoria rivoluzionaria si deve costruire dal basso nella prassi e nell’analisi sociale».57 Nello stesso momento anche «Mondo operaio» si

54

Danilo Montaldi, Libri francesi, «Presenza», 5, giugno 1959; poi in Id., Bisogna

sognare. Scritti 1952-1975, Colibri, Milano 1994, pp. 316-322.

55 Stefano Merli, L’altra storia, Feltrinelli, Milano 1977, p. 52. La traduzione di Montaldi del saggio di Paul Romano intitolato L’operaio americano è ora riprodotta in Montaldi,

Bisogna sognare cit., pp. 501-557.

56 Attilio Mangano, L’altra linea: Fortini, Montaldi, Panzieri e la nuova sinistra, Pullano, Catanzaro 1992, p. 85.

57 Danilo Montaldi, Sociologia di un Congresso, «Rivista storica del socialismo», ottobre-novembre 1958.

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batte, sotto la direzione di Panzieri, per la promozione e la divulgazione in Italia di una sociologia marxista.58

La metodologia dell’inchiesta e della con-ricerca permette così a Montaldi e a Panzieri di passare «dalle discussioni generali sul rapporto politica-cultura e sull’esigenza di rinnovamento del marxismo al primo tentativo di realizzare una collaborazione fra ricerca e protagonismo di base, in modi per cui l’intellettuale da organico al partito (e peggio ancora, alla burocrazia di partito) diventa organico della classe e questa da oggetto di ricerca si trasforma in protagonista della stessa».59

La ricerca «dal basso», l’attenzione alle classi subalterne, l’impiego dell’inchiesta come metodo di indagine che la casa editrice cerca di promuovere attraverso i Lb e la Ns avevano un riferimento, non soltanto culturale, vivo e indiscutibile nell’attività di Ernesto de Martino in qualità di autore, ricercatore e redattore editoriale. Nel saggio del 1949 intitolato Intorno a una storia del mondo popolare subalterno e pubblicato sulle pagine di «Società», de Martino esordiva osservando come l’atteggiamento della civiltà europea-occidentale verso le forme del mondo culturale subalterno rispecchiasse nel modo più crudo i bisogni e gli interessi della classe borghese dominante: esplicitando la definizione di classi popolari subalterne de Martino vi includeva «popoli coloniali e semicoloniali e […] proletariato operaio e contadino delle nazioni egemoniche»,60 coloro cioè che su scala mondiale «combattono per entrare nella storia, per rovesciare l’ordine che le tiene subalterne».61

Per cinque anni, tra il ’45 e il ’50, de Martino aveva diretto la Collezione di studi religiosi etnologici e psicologici con Cesare Pavese del quale

58 Vedi Giovanni Carocci, Note sulla condizione operaia, «Mondo operaio», settembre 1958.

59 Merli, L’altra storia cit., p. 17.

60 Ernesto De Martino, Intorno a una storia del mondo popolare subalterno, «Società», 3, 1949, p. 411.

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avrebbe lamentato, a tre giorni dal suicidio, «la simpatia per certe forme di irrazionalismo, scientificamente errate e politicamente sospette».62

Negli anni successivi de Martino intrattiene rapporti di collaborazione con diverse case editrici senza mai riuscire a instaurare rapporti di lavoro continuativi e soddisfacenti.63 Nel 1959 torna a lavorare stabilmente per l’Einaudi, prendendo parte attiva al lavoro di impostazione della Ns: in particolare de Martino propone di dedicare un settore specifico della collana ai «rapporti tra religione e società».64 La proposta non viene realizzata come anche l’idea, sostenuta da Panzieri, del già citato Lb sul rapporto tra mito e civiltà moderna. Le linee di ricerca di de Martino e Panzieri si intrecciavano senza coincidere,65 con disappunto del primo che si sarebbe via via allontanato dall’attività editoriale per dedicarsi agli studi poi confluiti ne La fine del mondo. Ma la sua lezione era filtrata obliquamente nella formazione intellettuale di Panzieri e Solmi66 e il loro impegno culturale aveva anche il senso di restituire la voce di quei «popoli coloniali e semicoloniali» e di quel «proletariato» di cui de Martino nel ’49 aveva auspicato l’ingresso nella storia.

Il libro di Daniel Mothé, «un testo che è ormai un classico sulla nuova condizione di fabbrica e sulle prime forme di autonomia operaia»,67 è sorprendentemente diverso rispetto non solo agli altri libri sulla condizione operaia ma rispetto a tutti i Lb. Mothé racconta l’esperienza

62 Lettera di de Martino a Giulio Einaudi, in Cesare Pavese e Ernesto De Martino, La

collana viola. Lettere 1949-1950, a cura di Pietro Angelini, Bollati Boringhieri, Torino

1991, p. 181.

63 Per un rapido riepilogo delle vicende editoriali di de Martino successive al 1950 vedi Pietro Angelini, Notizia supplementare a Pavese e De Martino, in La collana viola cit., pp. 182-187.

64 De Martino Proposta del settore religione e società nel quadro di una collana di

scienze sociali, AE, incart. De Martino, 7 giugno 1959.

65 Era stato Panzieri a mediare il ritorno in casa editrice nel settembre del 1959. Il 24 ottobre Einaudi scriveva a de Martino: «sono molto contento dell’accordo raggiunto con Panzieri» (AE, incart. De Martino).

66 L’attenzione di Solmi agli scritti di de Martino era stata precoce e costante nella sua attività di recensore: si veda, ad esempio Renato Solmi, Ernesto De Martino e il

problema delle categorie, «Il Mulino», 7, maggio 1952, ristampato in Solmi, Autobiografia cit., pp. 51-61.

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della fabbrica in qualità non di intellettuale ma di operaio del reparto attrezzisti della Renault: i meccanismi della divisione del lavoro, i tentativi di organizzazione razionale della produzione, i discorsi che gli operai intrattengono tra di loro nei rari momenti di libertà, gli scioperi e le lotte sindacali spesso inefficaci e inconcludenti, sono l’oggetto della narrazione che Mothé conduce impiegando un linguaggio scarno e diretto, libero da abbellimenti e artifici.

La forza della sua testimonianza deriva dalla scelta dell’autore di raccontare se stesso ma anche gli altri, la collettività degli operai che cerca di sopravvivere nell’isolamento in cui la società li ha relegati: «noi siamo degli uomini liberi, abbiamo il diritto di votare e di esprimerci sui problemi generali del mondo, ma nessuno vuole ascoltarci se parliamo di ciò che facciamo tutti i giorni, di quella parte d’universo che è nostra. Noi siamo soli».68 Questa solitudine esistenziale è resa ancora più dura dall’impossibilità, per la classe operaia, di trovare nei sindacati e nei partiti politici una rappresentanza e una guida nella lotta: «ecco finalmente, dirà qualcuno, un meccanismo della fabbrica che permette l’espressione delle volontà operaia. Almeno su questo terreno particolare gli operai non sono degli automi isolati. La barriera dell’ignoranza può venir infranta? No. Vedremo che l’operaio, se non sa cosa produce, se ignora come il suo corpo può venir difeso dagli incidenti, deve ignorare anche come vengono difesi i suoi interessi».69 I delegati che dovrebbero rappresentare questi interessi sono sottomessi tanto alle logiche di potere dei sindacati di cui sono i rappresentanti quanto alla difesa della legalità sancita dal Codice del lavoro; una difesa che vien messa in atto «contro la direzione ma anche contro l’operaio».70 La potenza argomentativa di Mothé, che si avvale tanto dell’esperienza diretta dei fatti raccontati quanto dell’indubbia capacità di selezionare eventi della vita in fabbrica in modo da fornirne un quadro esaustivo ma non pedante, è esaltata nella nota redazionale compilata da Panzieri. La testimonianza di Mothé, egli scrive ricalcando alla lettera le parole impiegate da Montaldi nella sua

68 Daniel Mothé, Diario di un operaio (1956-1959), p. 9. 69 Ibidem, p. 29.

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recensione del 1959,71 «va ben oltre le abituali testimonianze dedicate alla “condizione operaia”, testimonianze volte più che altro a compiangere (ma a compiangere soltanto) la situazione che vien fatta ai lavoratori dentro la fabbrica. Nel diario di Mothé, attraverso l’attenta riflessione sulla vita quotidiana di un reparto, i problemi della classe operaia in una grande fabbrica moderna emergono a poco a poco in tutta la loro complessa e specifica realtà».72

La scelta di presentare ai lettori italiani una testimonianza sulla vita degli operai in fabbrica aveva un precedente che Panzieri doveva aver ben presente: nel maggio del 1959, infatti, era stato pubblicato come ventitreesimo volume della collana il saggio di Benno Sarel, La classe operaia nella Germania Est.73 In quello che Alberto Caracciolo definiva «uno dei rari contributi allo studio della condizione operaia nei paesi di democrazia popolare»74 Sarel ricostruisce la storia delle lotte operaie nella Germania orientale dal ’45, quando la ricostruzione post bellica si accompagna all’istituzione di organi di gestione operaia, alla fine del ’48 quando la fabbrica, dopo aver attraversato una fase di autoritarismo in cui il controllo operaio era ridotto a zero, torna ad essere il centro delle rivendicazioni della classe operaia: vengono istituiti i consigli di

71 Montaldi scriveva esattamente: «la testimonianza di Mothé va ben oltre le abituali testimonianze dedicate alla “condizione operaia”, testimonianze volte più che altro a compiangere (ma a compiangere soltanto) la situazione che vien fatta ai lavoratori dentro la fabbrica». Considerando la prossimità tra Panzieri e Montaldi, più che di plagio si dovrà parlare di omaggio reso dal primo al secondo. A meno che non ci sia un errore di attribuzione: Montaldi, e non Panzieri, è il vero autore della nota, al contrario di quanto abbia pensato Stefano Merli quando ha raccolto gli ultimi scritti di Panzieri in

Spontaneità e organizzazione. Gli anni dei «Quaderni Rossi» 1959-1964, Biblioteca

Franco Serantini, Pisa 1994. Certamente Merli si sbaglia quando afferma che Panzieri «organizza un piccolo dibattito» sul libro di Mothé. In questo caso è provato che il regista del dibattito è Montaldi, mentre Panzieri, come vedremo, osserva ma non partecipa. 72 Raniero Panzieri, nota editoriale cit. a Mothé, Diario di un operaio.

73

Anche il nome di Sarel, come poi quello di Mothé, era stato divulgato in Italia da Danilo Montaldi: nell’aprile del ’55, infatti, usciva sulle pagine di «Battaglia comunista» la traduzione di Montaldi dello scritto di Benno Sarel, I moti di Berlino 1953 sono stati il

risultato di un lungo sforzo di organizzazione operaia. L’articolo è ora riprodotto in

Montaldi, Bisogna sognare cit., pp. 558-563.

74 Nota editoriale a Benno Sarel, La classe operaia nella Germania Est. Scrive Caracciolo: «mentre sono frequenti le descrizioni e le analisi di carattere ideologico e teorico sul sistema di produzione e sull’ordinamento politico di quei regimi, poco sappiamo della realtà di vita dell’operaio nella fabbrica e della sua esperienza organizzativa».

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produzione, organismi attraverso cui gli operai posso avanzare richieste rivendicative purché giustificate come necessarie al miglioramento della produzione. Sarel si sofferma sull’incapacità della classe dirigente della Repubblica Democratica tedesca di superare una concezione della classe operaia come semplice forza produttiva; il compito dell’organizzazione del lavoro rimaneva in mano al Partito. Per Sarel la pianificazione è il mezzo attraverso cui superare questa contraddizione che impedisce alla classe operaia di assumere su di sé il controllo dei mezzi di produzione e quindi della società: «la corrispondenza esistente tra fabbrica e società si compie attraverso la pianificazione: dove i poteri politici e quelli economici si fondono, la società stessa si presenta come operaia anche se muove verso un centralismo burocratico esasperato: la situazione esige in maniera categorica l’adesione degli operai al proprio lavoro e più in generale alla cosa pubblica».75

L’originalità dell’analisi di Sarel risiede nel suo non limitarsi allo studio della situazione esistente ma nel proporre, partendo da esso, una soluzione politica che permetta alla lotta della classe operaia di superare i confini della fabbrica, «imponendosi al paese interno» e prendendo su di sé «tutti i problemi della società»:

Questo sarà possibile – sostiene Sarel – solo se essa saprà costruire un’unità di intenti e di forza con gli intellettuali: solo un’organizzazione che comprendesse operai e intellettuali consentirebbe infatti alla lotta operaia di arricchirsi di una teoria, e a questa di esprimere a sua volta un movimento. In tal modo la lotta operaia sarebbe più facilmente in grado di proiettarsi a tutti i livelli della società ufficiale.76

La pubblicazione del libro di Sarel attira l’attenzione proprio di Panzieri, che da un mese lavora per la casa editrice. Egli invia a «Mondo Nuovo», organo della sinistra del Psi, una recensione in cui scrive:

Questo volume di Benno Sarel rappresenta uno dei rarissimi contributi allo studio della condizione operaia nei paesi di democrazia popolare. Mentre sono frequenti le descrizioni

75 Sarel, La classe operaia cit., p. 185.

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e le analisi di carattere ideologico e teorico sul sistema di produzione e sulla organizzazione politica di quei regimi, né mancano tentatici di informazione al livello storiografico pubblicistico, poco sappiamo della vita dell’operaio nella fabbrica e della sua esperienza organizzativa dalle istanze più elementari ai rapporti più complessi con le organizzazioni produttive, sindacali e politiche.77

La linea di ricerca proposta da Panzieri attraverso la sua attività di redattore e di recensore si scontra con diffidenze intellettuali ma soprattutto politiche. Così la recensione a Sarel, attraverso cui Panzieri intendeva inaugurare una collaborazione stabile con «Mondo nuovo», viene rifiutata da Lucio Libertini, direttore del settimanale:

Contro di te – scrive Libertini a Panzieri – è stata messa in atto una campagna volta a dipingerti come irrequieto, astratto, intellettualistico: come un compagno al quale la pratica degli ex comunisti ha instillato una goccia di anticomunismo libresco. Una campagna sciocca e vile, d’accordo. Bene, tu esordisci con un articolo che è una recensione, nella quale il libro del Sarel è un pretesto; nella quale tu esasperi certe posizioni polemiche (per esempio prendendotela con il calcolo dei tempi) e nella quale affronti un tema grave (il residuo stalinismo nella Germania orientale) su un piano generico. È un inizio giusto? Bada, dico giusto, non opportuno. Vivi a Torino, sei finalmente a un passo dai centri operai nostri e evadi nella Germania orientale.78

Ma Panzieri, che rompe definitivamente con Libertini rifiutando l’accusa di allontanamento dai problemi della classe operaia,79 non sta cercando l’evasione o l’astratto intellettualismo: al contrario, la Germania di Sarel come anche la Francia di Mothé o del prete operaio Henri Perrin sul quale

77 La recensione non pubblicata è ora riprodotta in Raniero Panzieri, Spontaneità e

organizzazione cit. pp. 14-16.

78 Lettera del 19 settembre 1959, in Panzieri, Lettere cit., p. 216.

79 Il 21 settembre Panzieri scrive a Libertini: «in quanto al mio articolo per 8su) Mondo Nuovo, lasciamo stare la questione di come e perché me ne parli solo oggi. Nulla di eccezionale certamente c’è in quell’articolo. È uno dei tanti per i quali –quando si faceva Mondo operaio –tu accettasti la collaborazione con me: esplicito abbastanza da contrastare coi i “responsabili silenzi” delle gerarchie.». Panzieri, Lettere cit., pp. 215-216. Il 6 ottobre Panzieri scrive a Montaldi: «Naturalmente i miei rapporti con Mondo Nuovo sono definitivamente rotti. Anche Libertini è completamente “assimilato”» (ibidem, p. 226).

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la collana avrebbe proposto nel 1961 una serie di testimonianze,80 sono espedienti per parlare anche e soprattutto dell’Italia, delle politiche operaie proposte dalle forze della sinistra, delle carenze della ricerca sociologica e di nuove vie ancora da percorrere sulla scia di esperimenti compiuti in realtà diverse ma non così distanti.

Panzieri, come abbiamo già visto, non ha bisogno di condividere l’ideologia di un autore per apprezzarne il lavoro:81 così, quando il Diario di un operaio viene pubblicato, non stenta ad ammettere che esso sia «un libro assai discutibile ideologicamente, con uno sfondo anarcoide, individualista, esasperato – ma d’altra parte dotato di straordinari elementi “reattivi” nei confronti della realtà».82 Come già nel caso di Sarel, anche in quello del Diario di Mothé lo scontro polemico provocato dalla pubblicazione del libro si consuma all’interno dello schieramento socialista. A differenza, però, di altri casi da noi analizzati, in cui lo scambio di idee intorno a un libro fioriva spontaneamente tra le pagine di quotidiani e riviste, nel caso del libro di Mothé la discussione pubblica ha una regista appassionato: si tratta di Danilo Montaldi che, sollecitato da una recensione di Giorgio Lauzi pubblicata sull’«Avanti!»,83 decide di

80 Il libro sarebbe uscito con il titolo Vita di un prete operaio a cura di Giorgio Moscon. La pubblicazione del Lb di Pierre Mendès France, La repubblica moderna, sarebbe stata presentata da Solmi al consiglio editoriale con le stesse motivazioni: «sembra, ad una prima lettura molto, molto interessante: non è brillante ma ha il merito di parlare dei problemi della Francia di oggi al livello dei problemi dell’Italia e della Germania» (AE, Verbale della riunione editoriale del 17 ottobre 1962).

81 Nel gennaio del 1962 caldeggerà la pubblicazione del saggio dell’economista Rostow definendolo interessante in quanto «un’incredibile deformazione del pensiero di Marx» (AE, Verbale della riunione editoriale del 26 febbraio 1962). Panzieri sostiene che «quello che c’è di più originale è questa tesi, e cioè che il leninismo, che si è impostato soprattutto come problema politico è riuscito ad affrontare il problema economico dello sviluppo dei paesi sottosviluppati. Quando uscirono gli articoli, ci fu una grande polemica in URSS e Gran Bretagna». Secondo Panzieri la pubblicazione deve avvenire in tempi rapidi e arricchita da una presentazione che Panzieri propone di affidare a Sylos Labini e Pietranera. Il Consiglio approva e il libro uscirà nei Lb sotto il titolo Gli stadi dello

sviluppo economico.

82 Lettera ad Alberto Asor Rosa del 22 aprile 1960, in Panzieri, Lettere cit., p. 270

83 Giorgio Lauzi, Diario di un operaio, «Avanti!», 9 marzo 1960. La recensione di Lauzi non è particolarmente dura con il libro di Mothé al quale riconosce di essere «ricco di insegnamenti e […] soprattutto una testimonianza viva e amara di una situazione che ha potuto dar vita al fenomeno gollista». Ma, secondo Lauzi, Mothé ha un’avversione troppo estrema verso i sindacati e il Pcf che lo porta a formulare «un operaismo spesso ingenuo e utopistico». Insomma, conclude Lauzi, «pur accentuata per amore polemico, quella del Mothé è probabilmente una diagnosi in larga misura aderente alla realtà. […] Ma da un

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organizzare una serie di interventi per discutere le tesi di Mothé. Montaldi cerca di coinvolgere Panzieri che però, pur giudicando «ottima la tua idea del dibattito sul libro del Mothé», declina l’invito: «non voglio avere l’aria di rendere un servizio al padrone Einaudi. (…) Certamente, il libro di Mothé presta il fianco – ideologicamente – a giudizi severi. Lauzi ne ha approfittato, direi in forma poco “leale” per mettere in ombra il contenuto di esperienza straordinariamente ricco, lasciando intendere che, semmai, certi problemi sono validi nella “vicina repubblica” e non da noi».84 Montaldi prosegue allora da solo sperando di poter coinvolgere interlocutori come Vittorio Rieser e Giovanni Mottura;85 il 18 marzo informa Panzieri che «l’articolo pro-Mothé» è pronto per essere pubblicato: «Ora ti prego di insistere presso Mottura, Rieser e Soave e altri, se possibile, perché mandino subito i loro articoli a Pandini. Speriamo che la pressione apra le porte. Ma mi sa tanto che non si aprano».86 Il 30 marzo l’articolo compare sull’«Avanti!»: Montaldi difende il valore della testimonianza di Mothé esortando Lauzi a non commettere l’errore di sottovalutare la portata internazionale delle questioni sollevate nel Diario: «è un’esperienza che supera l’ambito di una fabbrica o di una nazione, che è in stretto rapporto con lo sviluppo della produzione oggi».87 Montaldi, come già Panzieri, è convinto che la situazione francese non sia molto diversa da quella italiana: per questo il libro di Mothé è indirizzato all’attenzione degli «operai di casa nostra» che potranno servirsene come strumento «per individuare meglio i motivi (che sono spesso inconsci) di molta parte dei loro disagi e ripensamenti».88

uomo, un operaio, che non vuole essere solo uno spettatore di eventi ma un militante e un combattente, sarebbe stato logico attendersi qualcosa di più».

84Lettera del 10 marzo 1960 (Panzieri, Lettere cit., p. 256). 85

Il 13 marzo 1960 Montaldi scrive a Panzieri: «in questi giorni scriverò l’articolo pro Mothé, lo spedirò all’Avanti! proponendo il dibattito ma gli articoli di Rieser, Mottura e altri dovrebbero seguire subito, sennò quelli se ne fregano; posso inoltre trovare anch’io qualcuno (iscritto o no al PSI) che parteciperebbe al dibattito sul giornale» (Panzieri,

Lettere cit., p. 258).

86

Ibidem, p. 260.

87 Danilo Montaldi, Il diario di un operaio, «Avanti!», 30 marzo 1960, poi in Id., Bisogna

sognare cit., p. 368.

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Lo stesso giorno in cui l’articolo è pubblicato sulla terza pagina del quotidiano socialista Montaldi scrive a Panzieri per invitarlo un’ultima volta ad intervenire («l’importante sarebbe che tu intervenissi, a questo punto, nella discussione. Ormai, penso che lo scrupolo che avevi a proposito del “padrone” sia superato») e per informarlo che il libro sta suscitando grande interesse negli ambienti della sinistra milanese: «il libro di Mothé è molto letto e discusso, mi viene assicurato, da gente giovane e da quadri medi sindacali e da operai».89 Tuttavia né Panzieri né gli altri interlocutori sollecitati da Montaldi possono intervenire nel dibattito che viene prontamente bloccato dalla redazione del quotidiano socialista. Il 22 aprile Panzieri scrive ad Asor Rosa: «diversi compagni hanno mandato – dopo l’intervento di Montaldi – articoli all’Avanti! nel tentativo di aprire una discussione. Niente da fare. L’Avanti! non ne vuole sapere – è naturale. E ora non sappiamo dove utilmente si potrà continuare il dibattito e pubblicare questi articoli».90

Il dibattito non prosegue ma la pubblicazione del libro di Mothé ha un impatto significativo sulla percezione della condizione operaia indicando un percorso di ricerca dal basso che avrebbe avuto larga fortuna negli anni successivi nella storiografia e nelle scienze sociali.91

A più di trent’anni dalla pubblicazione del Diario di un operaio Vittorio Foa ha ricordato così l’impressione che la lettura del libro di Mothé gli aveva suscitato:

Il diario di Mothé mi diceva una cosa molto importante. Lui aveva lavorato alla Renault alla catena di montaggio e diceva: state attenti che quando noi affermiamo che la catena

89 Lettera del 30 marzo 1960, in Panzieri, Lettere cit., pag. 261. 90 Panzieri, Lettere cit. p. 270.

91

Gianfranco Fiameni, intervenendo alla Giornata di studio su Danilo Montaldi e la

cultura di sinistra del secondo dopoguerra, organizzata a Napoli il 16 dicembre 1996 dall’Istituto Universitario Orientale (Dipartimento di Filosofia e Politica), dall’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici e dall’Istituto Ernesto de Martino, ha riportato un’affermazione di Sergio Bologna secondo cui «sia il libro di Daniel Mothé sia quello di Benno Sarel sulla classe operaia della Germania Orientale (due testi prodotti da esponenti «social-barbaristi» e fatti pubblicare da Montaldi nella “Collana bianca” einaudiana) erano stati molto letti e discussi dai giovani che gravitavano attorno a Quaderni Rossi e Classe Operaia». Di questo dibattito, prosegue Fiameni, citando ad esempio il caso di Toni Negri, «non è però rimasto praticamente nulla nella ricostruzione ex post che è stata fornita dagli esponenti “ufficiali” dell’operaismo e che ha strutturato la cultura politica dei militanti dell’Autonomia Operaia degli anni Settanta».

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