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CAPITOLO 13 - CONCLUSIONI

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Academic year: 2021

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CAPITOLO 13 - CONCLUSIONI

I ritrovamenti di Pian di Cerreto e Muraccio permettono di effettuare alcune importanti considerazioni circa la neolitizzazione della Toscana nord-occidentale e le sue relazioni con le aree limitrofe.

L’analisi dei materiali litici e ceramici riconduce i due insiemi ad un aspetto culturale abbastanza unitario costituito da:

- una produzione litica riferibile a quella dei siti padani e toscani della corrente lineare con elementi che mantengono una certa continuità con la precedente tradizione mesolitica, ma che presenta anche una singolare somiglianza con le industrie dei siti liguri di Suvero e Castellaro di Uscio, soprattutto per la presenza di lame raschiatoio con intaccatura basale;

- una sostanziale uniformità ceramica frutto di più influenze culturali. In questo senso i contatti con la corrente della ceramica impressa ligure non sono testimoniati in maniera evidente ma sono ravvisabili nella presenza di cordoni a tacche spesso associati alle prese semicircolari e all’ansa a maniglia, che trovano confronto con quelli delle Arene Candide e di Suvero (Maggi 1997, 1984). Al contempo sembra che i cordoni a tacche siano riferibili anche alla corrente lineare, ma a Pian di Cerreto e Muraccio, come negli altri siti toscani, aspetti più definiti di questa corrente sono rappresentati da alcuni frammenti a linee incise e forme carenate (Pessina 1998).

A differenza della fascia costiera, espressamente interessata dalla diffusione della ceramica impressa, la neolitizzazione della Valle del Serchio sembra comunque essere avvenuta ad opera di gruppi di provenienza settentrionale. Peraltro la provenienza di parte della selce non locale dal versante emiliano dell’Appennino e le affinità dell’industria litica confermerebbero il carattere fioranoide della ceramica.

I contatti con la sfera meridionale sono attestati al Muraccio dal ritrovamento di alcuni manufatti in ossidiana di origine sarda e a Monte Frignone di Lipari, in quanto materie

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prime pervenute da Sud attraverso canali di circolazione già ben documentati e associate alla diffusione della ceramica impressa.

Sembrerebbe quindi di trovarsi di fronte a una “zona di frontiera”, caratterizzata da una commistione di elementi di area padana, ligure e medio-tirrenica.

La diffusione della ceramica a linee incise nella parte settentrionale e montuosa della Toscana si verifica in un momento quasi contemporaneo o poco posteriore all’arrivo della ceramica impressa lungo la fascia costiera e nelle isole del Mar Tirreno.

La distribuzione delle evidenze archeologiche relative al Primo Neolitico mostra come la ceramica impressa abbia probabilmente trovato difficoltà nella sua diffusione a nord dell’Arno e sulle coste della Liguria orientale.

Lo studio condotto da R. Maggi sulla Liguria occidentale (2002) ha rilevato la massiccia presenza di insediamenti del Primo Neolitico, evidenziando come i gruppi umani abbiano scelto, in relazione allo sfruttamento di nuove risorse, territori scarsamente abitati da mesolitici (Binder e Maggi, 2001). La parte orientale della regione risulta altresì caratterizzata da una notevole concentrazione di siti riferibili al Mesolitico recente e da una modestissima presenza di attestazioni neolitiche.

Nel quadro delineato si inserisce il particolare caso di Suvero: il sito, come sembrano testimoniare alcuni aspetti del materiale ceramico, potrebbe rappresentare un isolato tentativo, da parte dei gruppi della corrente della ceramica impressa, di far presa in un’area che tuttavia risente dell’influsso nord-orientale della ceramica lineare.

Si può dunque ipotizzare un modello di neolitizzazione “a salti”, basato su gruppi pionieri che hanno occupato territori anche lontani dalle basi di partenza e raggiungibili via mare, la cui scelta veniva pianificata sulla base di vari fattori, non per ultimo quello della presenza di occupanti mesolitici (Maggi 2002).

In questo quadro si inserisce la Toscana nord-occidentale, la quale risulta in maniera singolare interessata sia da presenze castelnoviane che neolitiche, con aspetti sostanzialmente attribuibili all’influsso della corrente della ceramica lineare e apparentemente carente di aspetti riconducibili alla corrente dell’impressa.

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- Geografici: la morfologia del territorio della Toscana nord-occidentale (Alpi Apuane e il suo prolungamento verso nord-ovest) non ha sicuramente aiutato la penetrazione neolitica di provenienza medio-tirrenica;

- Culturali: la forte recenziorità delle stazioni castelnoviane e le quasi contemporanee attestazioni neolitiche con ceramica lineare potrebbero aver impedito l’istallazione di gruppi neolitici della corrente impressa, i quali sarebbero “saltati” in area ligure;

- Archeologici: l’attuale carenza di documentazione non consente di trovare conferma alle ipotesi suggerite e soltanto indagini più approfondite potranno chiarire questi aspetti.

Per concludere e cercare di dare un’interpretazione sulla funzionalità dei due siti, si potrebbe avanzare l’ipotesi che Pian di Cerreto e Muraccio abbiano avuto il ruolo di avamposti neolitici, posizionati sugli alti terrazzi del fiume Serchio per lo sfruttamento delle risorse litiche locali.

La modestia degli insediamenti finora indagati e la scarsità delle presenze ceramiche relative ai contesti, comproverebbero il carattere stagionale di questi insediamenti, frequentati in seguito allo spostamento dalle stazioni residenziali, presumibilmente posizionate nelle aree di pianura vicino alla costa tirrenica o dal versante settentrionale dell’Appennino.

Di contro, entrambi i siti sono caratterizzati da un’abbondante industria litica scheggiata, principalmente orientata verso una produzione specializzata di lamelle e microlamelle in selce proveniente dagli affioramenti appenninici.

Lo sfruttamento delle risorse locali è rappresentato anche dalla lavorazione della steatite proveniente da affioramenti non lontani dall’area mentre l’abbondanza di macine, macinelli, lisciatoi, etc. in arenaria ed il ritrovamento di pochi semi di farro e di orzo sono la prova della nuova acquisizione ed applicazione di pratiche agricole, che tuttavia non consentono di precisare se si tratti di un’attività agricola marginale realmente praticata in loco o se i gruppi umani frequentanti questi siti temporanei avessero potuto

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portare con sé le risorse cerealicole e i mezzi necessari per il proprio sostentamento lontano dai campi base stanziali.

E’ inoltre evidente come, rispetto al Mesolitico, nel Neolitico antico i gruppi umani tendano a frequentate più marginalmente le aree montane. Le presenze sembrano essere state di breve durata e tali da non lasciare molte tracce (Monte Frignone).

L’ubicazione dei siti di Pian di Cerreto e Muraccio ci informa che nel Neolitico antico le località scelte per l’insediamento non erano soltanto lungo le coste o in zone pianeggianti adatte all’agricoltura ma anche in zone ben esposte dell’interno, a medie altitudini e vicine a risorse locali accessibili. Ciò lascia ipotizzare che questi insediamenti possano aver fatto parte di un nuovo sistema di occupazione, maggiormente imperniato sull’organizzazione logistica del territorio e l’accessibilità a risorse naturali, che prevedeva spostamenti su medie/lunghe distanze. La zona della Garfagnana, non idonea all’agricoltura, risultava infatti ricca di risorse naturali che completavano l’economia dei piccoli villaggi stabili.

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