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II. 1 Gli Ateniesi I DISCORSI

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I DISCORSI

II. 1 Gli Ateniesi

Nel primo libro delle storie leggiamo un discorso degli ambasciatori ateniesi, successivo a quello dei Corinzi, davanti all’assemblea degli Spartani. In questo lo/goj troviamo due nuclei di terminologia di metodo che riconducono alle dichiarazioni di programma di Tucidide. Tali affinità consentono di presupporre, come andremo a dimostrare, una presenza incisiva dello storico nella fase di stesura dei discorsi.

Il lo/goj appartiene a un dibattito più ampio articolato in quattro discorsi affidati alle differenti fazioni politiche prima dell’inizio del conflitto. Atene ha imposto a Potidea, città della penisola Calcidica e membro della lega delio-attica ma colonia di Corinto, di non accogliere più gli epidemiurghi, i magistrati che annualmente Corinto invia a Potidea a scopo di controllo e supervisione, e di abbattere le mura che congiungono la città al mare. Al rifiuto di Potidea di sottostare alle richieste ateniesi, Atene invia sul luogo una flotta che dà inizio all'assedio della città. In questa occasione gli abitanti di Corinto convocano a Sparta gli alleati e accusano Atene di commettere soprusi nei confronti del Peloponneso. Nel primo dibattito (I, 68, 1- 71, 7), gli ambasciatori corinzi illustrano agli Spartani, riuniti in assemblea, le terribili conseguenze derivanti dalla braduth/j e dalla

me/llhsij nei confronti di Atene e la necessità di mostrarsi pro/qumoi

nei confronti dei cittadini di Potidea e di Corcira.

Nel secondo lo/goj del dibattito (I, 73, 1-78, 4) gli Ateniesi, invitati a presentarsi in assemblea, difendono la loro posizione di

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fronte agli Spartani e propongono all’assemblea una soluzione diplomatica prima di entrare in guerra. E’ un discorso in difesa della

po/lij, a)ci/a lo/gou, e del suo impero. Troviamo qui alcuni nuclei di metodo noti e inerenti al paziente lavoro di ricerca e selezione delle fonti: l’importanza della conoscenza oculare e la decisione di non parlare di argomenti troppo distanti nel tempo, innanzitutto perché non funzionali all’elaborazione e ai fini del discorso, secondariamente in quanto la loro conoscenza è veicolata dai racconti altrui e quindi non sempre veritiera.1 Analizziamo il passo. Il discorso degli ambasciatori ateniesi inizia subito con una refutatio, prassi comune, come vedremo, ad altri oratori delle storie:

I 73, 2: KaiKaiKaiKai\\\\ ta ta ta ta\\\\ me me\\\\n pa/nu palaia me men pa/nu palaian pa/nu palaia\\\\ ti/ dei= le/gein, w(=n a)koain pa/nu palaia ti/ dei= le/gein, w(=n a)koai ti/ dei= le/gein, w(=n a)koai ti/ dei= le/gein, w(=n a)koai\\\\ ma=llon ma=llon ma=llon ma=llon lo/gwn ma/rturej h)

lo/gwn ma/rturej h) lo/gwn ma/rturej h)

lo/gwn ma/rturej h)\\\\ o)/yij tw=n a)kousome/nwn o)/yij tw=n a)kousome/nwn o)/yij tw=n a)kousome/nwn o)/yij tw=n a)kousome/nwn; ta\ de\ Mhdika\ kai\ o(/sa au)toi\ cu/niste, ei) kai\ di’ o)/xlou ma=llon e)/stai ai)ei\ proballome/noij, a)na/gkh le/gein˙

Gli ambasciatori ateniesi, fin dalle prime battute, dichiarano di non voler soffermarsi sui palaia/. Non spiegano il referente di tale

1

Alcune indicazioni a favore della reale esistenza di tale discorso contro coloro che invece credono sia totalmente frutto dell’invenzione dello storico sono in HORBLOWER, Thucydides, 55. Hornblower, Commentary I, 118, si sofferma sul riferimento a ta\ de\ Mhdika// (“the longest treatment in a speech of the Persian Wars”) e sulla sua funzione apparentemente inspiegabile in un contesto in cui si affrontano problematiche contemporanee: “the present passage shows that Persian Wars are… an argument that no one can omit when trying to justify the city’s ambitions: Thucydides’ Athenians themselves conformed to his practice”. La soluzione, secondo Hornblower, sta nel considerare tale riferimento come un momento di passaggio (“leap back in time”) da intendersi, nell’economia del racconto, come uno dei presupposti dell’imperialismo di Atene che hanno portato alla guerra del Peloponneso. Vedremo che successivamente anche Pericle, nel lo/goj e)pita/fioj a lui attribuito da Tucidide, rinuncia a makrhgorei=n e)n ei)do/sin (II 36, 4) sulle guerre che hanno coinvolto la Grecia e l’impero persiano.

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espressione, anche se gli scoli2 interpretano ta\ palaia/ come riferito a

ta\ kata\ )Amazo/naj kai\ qr£#=kaj kai\ (Hraklei/daj. Non è opportuno parlare di argomenti troppo remoti, spiegano, dal momento che le fonti utilizzate sarebbero soltanto a)koai\ lo/gwn. Il riferimento non è soltanto all’oralità, fonte che in questo caso potrebbe essere anche accettata perché riguarda la ricerca su avvenimenti remoti. Gli ambasciatori ateniesi fanno riferimento alle ‘dicerie relative ai discorsi’ dei testimoni, troppo lontane dalla realtà perché possano restituire una versione attendibile dei fatti. Il punto di riferimento, come si evince dall’espressione successiva a a)koai\ lo/gwn, o)/yij tw=n a)kousome/nwn, è sempre la testimonianza orale, poiché nella ricerca sui palaia/ è esclusa a priori una conoscenza de visu, sebbene nella seconda modalità investigativa si parli di o)/yij, che occupa in Tucidide un posto preminente. Lo storico, infatti, nell’incipit del suo racconto, dopo aver definito l’oggetto della sua cuggrafh/,3 si affretta ad escludere dal suo racconto ciò che è troppo remoto nel tempo:

I 1, 3: Ta\ ga\r pro\ au)tw=n kai\ ta\ e)///ti palai/tera safw=j me\n eu(rei=n dia\ xro/nou plh=qoj a)du/nata h)=n … ou) mega/la nomi/zw gene/sqai ou)/te kata\ tou\j pole/mouj ou)/te e)j ta\ a)/lla

Impresa disperata per Tucidide, a)du/nata h)=n, indagare su avvenimenti troppo remoti in quanto la distanza temporale si rivela nemica di una corretta disamina degli eventi. Anzi, prosegue nel suo discorso, a ben vedere, non li considera importanti, ou) mega/la nomi/zw gene/sqai. Tutto ciò che secondo lo storico non può essere conosciuto attraverso

2

HUDE, 58. Così anche GOMME, Commentary I, 234 3

I 1, 1: Qoukudi/dhj A)qhnai=oj cune/graye to\n po/lemon tw=n Peloponnhsi/wn kai\ A)qhnai/wn, w(j e)pole/mhsan pro\j a)llh/louj, a)rca/menoj eu)qu\j kaqistame/nou kai\ e)lpi/saj me/gan te e)/sesqai kai\ a)ciologw/taton tw=n progegenhme/nwn

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un’osservazione diretta e in seguito accuratamente vagliato, non ha importanza ai fini di un’indagine storica o almeno deve essere sottoposto, per acquisire valore, a una seria e scrupolosa verifica preliminare da parte dello storico. In questa direzione va considerata, a nostro parere, l’esclusione di ta\ ga\r pro\ au)tw=n kai\ ta\ e)///ti palai/tera dal campo di osservazione.4 Se uno storico, scegliendo come oggetto del suo racconto storico un periodo troppo remoto, deve necessariamente far ricorso ai ricordi altrui, la probabilità di cadere in errore è verosimilmente più alta che se sceglie di affidarsi a una conoscenza de visu non mediata da altri. Tucidide non ha fiducia negli uomini in quanto non riconosce loro una capacità critica, come spiega subito dopo nel capitolo sul metodo:

I 20, 1: Oi( ga\r a)/nqrwpoi ta\j a)koa\j tw=n progegenhme/nwn, kai\ h)\n e)pixw/ria sfi/sin $)=, o(moi/wj a)basani/stwj par’ a)llh/lwn de/xontai

Ciò che è lontano nel tempo non ha importanza, non è utile ai fini di una corretta indagine storica, né per Tucidide né per gli ambasciatori ateniesi. Ta\ palaia/ sono, sia per lo storico sia per gli ambasciatori ateniesi, argomenti su cui si può sorvolare, sulla base delle argomentazioni appena fornite, senza alcun danno all’economia del racconto: ‘materiale’ non funzionale all’oggetto della narrazione.

La domanda che Tucidide fa pronunciare agli ambasciatori ateniesi, accoglie, a nostro parere, ciò che Tucidide ha dichiarato nella

4

Non ci soffermiamo sulle ipotesi di traduzione dell’espressione ta\ ga\r pro\ au)tw=n kai\ ta\ e)///ti palai/tera: sappiamo che si sono avvicendate nel tempo diverse opinioni di studiosi che hanno tentato di fornire un’interpretazione plausibile del periodo storico indicato da ta\ ga\r pro\ au)tw=n kai\ ta\ e)///ti palai/tera: periodo immediatamente precedente alla guerra del Peloponneso o passato più remoto. La questione è discussa da MADDALENA, 6-7 e da CANFORA, Proemio, 256-260.

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sezione iniziale del suo racconto sugli eventi passati: gli avvenimenti

palaia/ non possono rientrare in un racconto storico che ha come esigenza la trasmissione della verità, non hanno valore probante in quanto la modalità con cui si è soliti indagarli, l’a)koh/, è di per sé scarsamente attendibile. In questo passo Tucidide, attraverso le parole degli ambasciatori, sembra perfezionare quanto dichiarato in prima persona in I 1, 3. In questa sezione iniziale delle storie la distanza temporale, xro/nou plh=qoj, rende impossibile un’analisi limpida della situazione. Gli ambasciatori ateniesi non parlano di ‘impossibilità’, ma si interrogano sull’utilità di tale rievocazione (ti/ dei= le/gei=n;), ammettono implicitamente l’inutilità di un racconto mediato da altri, ma non escludono a priori di ricorrere all’a)koh/, purché tali informatori riportino notizie conosciute personalmente (o)/yij tw=n a)kousome/nwn).

Tucidide aveva sostenuto che le tradizioni orali relative ai fatti del passato non hanno garanzia di attendibilità, dato il carattere del tutto acritico della loro trasmissione, poiché gli uomini a)basani/stwj par’a)llh/lwn de/xontai. Allo stesso modo gli ambasciatori ateniesi decidono di accantonare i palaia/, perché di tali vicende remote i soli testimoni sono a)koai\ lo/gwn e non l’osservazione effettiva. Anche in questo discorso, dunque, emerge chiaramente la distinzione, cara a Tucidide, tra conoscenza personale, indubbiamente preferibile, e conoscenza derivante dai racconti altrui che, in quanto tale, ha in sé diversi limiti. La conoscenza oculare è, anche in questo caso, in una posizione di superiorità poiché garante di una conoscenza più sicura. Dei due mezzi di conoscenza storica, quindi, o)/yij e a)koh/, soltanto il primo può condurre a una visione chiara e distinta.

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Un altro punto di contatto riguarda l’impostazione ‘selettiva’ del racconto, presente sia in Tucidide sia nel lo/goj degli Ateniesi e, in modo più evidente, in altri discorsi di cui ci occuperemo in seguito. In questo discorso basti notare che emerge la preferenza verso una modalità ‘assiologica’, per usare un termine di Canfora,5 che accantona il superfluo e le divagazioni e si concentra su ciò che è utile e funzionale al racconto. Anche Tucidide, nell’incipit delle storie, ha circoscritto l’oggetto della narrazione, la guerra del Peloponneso,

ki/nhsij megi/sth toi=j (/Ellhsin, escludendo fin da subito ta\ ga\r pro\ au)tw=n kai\ ta\ e)///ti palai/tera. Tale conflitto, oltre a essere ciò che ha appassionato l’attenzione di Tucidide, si è rivelato il solo campo in cui le sue esigenze di storico scrupoloso potevano essere applicate, poichè l’indagine diretta e la selezione del materiale erano più agilmente applicabili a avvenimenti così recenti.

5

Per avere un’idea del criterio assiologico di Tucidide in quanto criterio selettivo cfr. CANFORA, Totalità, 71-86. Egli nota che tale criterio può essere considerato un filo conduttore che accomuna l’epos al racconto storico e che trova ampio spazio non solo nell’opera di Tucidide, ma anche in quella del suo predecessore Erodoto. “Moltissimi sono gli eventi - spiega Canfora, Totalità, 73 - ma non tutti sono degni di essere narrati: soltanto ta\ a)cio/loga meritano di essere narrate e sono a)cio/loga solo le grandi imprese”. Se leggiamo l’Archeologia di Tucidide, notiamo come il concetto della relativa ‘grandezza’ degli avvenimenti anteriori alla guerra del Peloponneso, comprese la guerra di Troia e le guerre persiane, è più volte messo in luce da Tucidide e ci autorizza a inserirlo nel novero degli storici ‘selettivi’.

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II. 2 Archidamo

Dopo il discorso degli Ateniesi, gli Spartani si riuniscono per decidere sull’inizio del conflitto. Le opinioni sono concordi: gli Ateniesi sono colpevoli di a)diki/a, bisogna iniziare e)n ta/xei la guerra.

Subito dopo interviene il re spartano Archidamo. A)nh\r kai\ cuneto\j dokw=n ei)=nai kai\ sw/frwn, così lo introduce Tucidide.6 Nell’incipit del discorso Archidamo esprime, a nostro parere, un primo nucleo di terminologia programmatica inerente alla superiorità della vista sull’a)koh/:

I 80, 1: Kai\ au)to\j pollw=n h)/dh pole/mwn e)/mpeiro/j ei)mie)/mpeiro/j ei)mie)/mpeiro/j ei)mie)/mpeiro/j ei)mi, w)= Lakedaimo/nioi, kai\ u(mw=n tou\j e)n t$= au)t$= h(liki/# o(rw====, w(/ste mh/te a)peiri/#

a)peiri/# a)peiri/#

a)peiri/# e)piqumh=sai/ tina tou= e)/rgou, o(/per a)\n oi( polloi\ pa/qoien, mh/te a)gaqo\n kai\ a)sfale\j nomi/santa.

Archidamo dunque è una voce autorevole perché esperto di conflitti, e sa bene quali sciagure può causare una guerra. Ha un parere autorevole nell’assemblea degli Spartani proprio in virtù della sua esperienza diretta.7 L’e)mpeiri/a è una garanzia sufficiente che dà autorevolezza alle sue parole e lo distanzia dall’opinione dei polloi/

che, agendo a)peiri/#, si dimostrano favorevoli al conflitto e ignorano le conseguenze devastanti che ne deriverebbero. Tucidide ‘consegna’

6

I 79, 2. La figura di Archidamo è stata analizzata da WESTLAKE, Individuals, 122-135; degna di nota è l’idea di Westlake secondo cui Tucidide, nella stesura del discorso di Archidamo, si è sforzato, più che per altri oratori, di indicare ai suoi lettori il contesto generale del discorso, trascurando di caratterizzare efficacemente la personalità dell’oratore secondo il principio dei de/onta.

7

Cfr. GOMME, Commentary I, 246 secondo cui la dichiarazione di Archidamo di essere e)/mpeiroj deriva dalla sua presenza al conflitto come successore del nonno Leotichida, che andò in esilio nel 476 a. C.

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al lettore un comandante prudente e saggio: il suo pensiero è da prendere in considerazione proprio perché proviene da un uomo che ha vissuto in prima persona alcune guerre e che quindi può godere di un maggior peso nella fase decisionale. Tale uomo, in virtù della sua esperienza sul campo dovuta anche all’età, crede di essere in una posizione di superiorità rispetto ai polloi/, da cui prende le distanze, proprio come Tucidide aveva fatto in alcuni passi dei capitoli sul metodo ponendo la propria riflessione su un evento in netta contrapposizione con le idee degli altri.8

Ricorre, anche in questo contesto, l’opposizione conoscenza / non conoscenza, opposizione che ritroveremo in altri protagoniasti di

lo/goi del racconto di Tucidide. Nel pensiero di Tucidide permane una demarcazione, che si trasmette, come in questo caso, recta via ai suoi personaggi, tra ‘coloro che conoscono’ e ‘coloro che non conoscono’: i primi necessariamente devono avere un peso maggiore nella fase decisionale proprio in virtù dell’e)mpeiri/a. Soltanto chi non conosce realmente la situazione degli Spartani (a)peiri/#) può desiderare la guerra. Anche Tucidide dichiarerà, più avanti nel racconto, di aver partecipato al conflitto e dunque di poter garantire sulla veridicità dei suoi racconti. La conoscenza de visu si pone in una posizione di superiorità. Tucidide spiega di aver partecipato al conflitto tra Atene e Sparta per tutta la sua durata in quanto ha vissuto dia\ panto\j au)tou=:9 un’aggiunta non necessaria dal punto di vista narratologico e dunque maggiormente degna di nota. Anche nei capitoli sul metodo, lo storico, pur non parlando esplicitamente di e)mpeiri/a e di a)peiri/a,

8

I 20, 1; I 20, 3;

9 V 26, 5: e)pebi/wn de\ dia\ panto\j au)tou= ai)sqano/menoj/ te t$= h(liki/# kai\ prose/xwn th\n gnw/mhn o(/pwj a)kribe/j ti ei)/somai

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lascia intendere al lettore che chi ha una conoscenza più sicura, nel suo caso una conoscenza derivante da un lavoro meticoloso e instancabile di ricerca e di vaglio delle fonti, gode di più credibilità di chi invece accoglie acriticamente le notizie provenienti da testimoni esterni.

Subito dopo Archidamo espone un altro concetto del metodo di Tucidide:

I 80, 2: eeeeu(/roite u(/roite u(/roite u(/roite d’a)\n to/nde peri\ ou(= nu=n bouleu/esqe ou)k a)\n e)la/xiston geno/menon, ei) swfro/nei) swfro/nei) swfro/nei) swfro/nwj tij au)towj tij au)towj tij au)towj tij au)to\\\\n e)klogi/zoiton e)klogi/zoiton e)klogi/zoiton e)klogi/zoito

Soltanto un’analisi ragionata della situazione può indurre gli Spartani a recedere dalla decisione di attaccare Atene. In una sola espressione, si può notare, compaiono diversi termini (eu(/roite, bouleu/esqe, ei) swfro/nwj tij... e)klogi/zoito) inerenti alla sfera della conoscenza che si rivela, in questa come in altre occasioni che esamineremo, condicio sine qua non. I soldati cui si rivolge il comandante dell’esercito potranno avere un’esatta conoscenza dei rischi della guerra in corso soltanto dopo un’attenta e misurata valutazione. Il raggiungimento della conoscenza, nascosto nel verbo tecnico eu(ri/skein che Tucidide, come si è visto, utilizza nel senso di ‘ritrovamento successivo ad una ricerca’, si ottiene dopo un’analisi accurata e scrupolosa (swfro/nwj) della situazione. Il processo che porta alla conoscenza è dunque lungo e elaborato, come spiega Archidamo e come Tucidide ha rimarcato chiaramente nei capitoli sul metodo: soltanto attraverso un’analisi serrata e ponderata si arriva ad un risultato positivo: la salvezza nel caso di Archidamo e dei suoi soldati, l’esattezza dell’informazione nel caso di Tucidide.

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Procedendo nella lettura, troviamo un altro nucleo di terminologia che riconduce all’opposizione, presente nei capitoli sul metodo, tra piacere e utilità.

I 84, 2: mo/noi ga\r di’au)to\ eu)pragi/aij te ou)k e)cubri/zomen kai\

cumforai=j h(=sson e(te/rwn ei)/komen˙ tw=n te cu\n e)pai/n£% e)cotruno/ntwn h(ma=j e)pi\ ta\ deina\ para\ to\ dokou=n h(mi=n ou)k e)pairo/meqa h(don$=

Archidamo tesse un elogio degli Spartani e del loro modus vivendi: non si insuperbiscono nella prosperità, non cedono alle sventure e non si lasciano convincere da chi, sotto il pretesto di un discorso benevolo,

cu\n e)pai/n£%, li induce a prendere decisioni pericolose (e)pi\ ta\ deina/) e contrarie alle loro convinzioni (para\ to\ dokou=n h(mi=n). In questa circostanza l’h(donh/ derivante dai discorsi è associata all’e)/painoj, ha una funzione negativa. Il comandante, in conclusione del suo discorso, traccia un ritratto degli Spartani, soffermandosi sulla loro swfrosu/nh

nell’imminenza di una guerra e manifestando la convinzione che rimarranno fermi nelle loro posizioni e non cederanno a chi vorrà esporli a situazioni pericolose attraverso discorsi cu\n e)pai/n£%. Subito dopo riprende questo concetto:

I 84, 3: kai\ mh\ ta\ a)xrei=a cunetoi\ a)/gan o)/ntej ta\j tw=n polemi/wn paraskeua\j lo/g% kalw=j memfo/menoi a)nomoi/wj e)/rg% e)pecie/nai

Procedendo nel suo elogio degli Spartani, Archidamo spiega che sono educati in modo tale da non disprezzare con belle parole, lo/g% kalw=j memfo/menoi, la preparazione dei nemici e sono altresì capaci di comportarsi in modo da evitare l’accusa di incoerenza con i loro discorsi. Il ‘bel discorso’ è, anche in questo contesto, funzionale a un’azione negativa, il me/mfesqai. Anche in questo contesto, dunque,

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Archidamo esprime un concetto analogo a quello di cui Tucidide si è reso portavoce nella sezione sul metodo: un discorso mirante al piacere e strutturato come una lode non può che danneggiare i destinatari e indirizzarli e)pi\ ta\ deina/. Procedendo nella disamina di altri discorsi, vedremo che altri oratori esprimono una condanna ancora più perentoria di un discorso mirante al te/rpein. Verificheremo che, come ha giustamente osservato la De Romilly, “au niveau des orateurs ou des messagers, le désir de plaire amene un mensonge, voire de mauvais conseils, et qu’ainsi puissent être faussées les données mêmes du debat”.10

II. 3 Pericle

Tucidide introduce in modo compiuto la figura di Pericle nel primo libro delle storie, quando lo stratego pronuncia il primo dei tre discorsi a lui attribuiti nel racconto storico.11 In questa occasione lo definisce

10

DE ROMILLY, Plaisir, 144 11

I 140, 1- 144, 4. La prima menzione di Pericle è in I 111, 2-3 nel resoconto chiamato Pentecontaetia, quando Tucidide parla della spedizione di mille Ateniesi a Sicione e in Eubea Perikle/ouj tou= Canqi/ppou strathgou=ntoj. Ma, come nota WESTLAKE, Individuals, 24, “the references to him relate solely to military operations”. Un utile commento dell’epitafio di Pericle ricco soprattutto di osservazioni stilistiche è dato da KAKRIDIS, Epitaphios, 1-119: innovativa e apprezzabile è la scelta di intendere le scelte linguistiche di Tucidide in stretta connessione con le strutture del pensiero e di evidenziarne la complementarietà. Su tale commento cfr. anche la recensione di LONGO, Recensione, 88-92: il commento di Kakridis è secondo Longo “il primo esempio di un serio tentativo di approfondita analisi stilistica del testo tucidideo e [...] un contributo essenziale che ci fornisce all’avviamento di una vera e propria scienza stilistica applicata all’opera dello scrittore”; non mancano, però, alcune critiche nei confronti di ipotesi interpretative di Kakridis relative a termini usati da Tucidide nell’epitafio.

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le/gein te kai\ pra/ssein dunatw/tatoj.12 Successivamente, a

conclusione del terzo discorso, elogia le sue capacità di amministrazione della città e il suo rapporto con il popolo, lasciando emergere un giudizio fortemente positivo nei suoi confronti.13

Il secondo discorso che Tucidide attribuisce a Pericle corrisponde all’epitafio in onore dei caduti del primo anno di guerra (431/ 430 a.C.) e contiene, come andiamo a verificare, più di un elemento di contatto con il metodo storico di Tucidide. Intendiamo dimostrare, a conclusione di questa analisi, che lo storico, consapevole del proprio nuovo sistema di ricerca, non si è limitato a fornire indicazioni di metodo nelle sezioni destinate a dichiarazioni di programma, ma ha lasciato che Pericle, nel suo discorso commemorativo, esprimesse convinzioni di metodo sostanzialmente analoghe. L’epitafio non è sempre visto dalla critica come sostanzialmente di Pericle e le notizie provenienti dalle fonti antiche non forniscono alcun aiuto sull’attribuzione. Molti studiosi tendono a considerare l’epitafio del secondo libro una rielaborazione molto libera di Tucidide.14

12

I 139, 4 13

II 65, 5, 8-9. Così crede anche WESTLAKE, Individuals, 23: “To persuade his readers to accept his assessment of Pericles and of Periclean war policy was among his major aims”.

14

Il discorso sull’autenticità dell’epitafio e la querelle mai sopita sulla sua attribuzione a Tucidide o a Pericle hanno spesso impedito di considerarne gli aspetti tipici del genere letterario cui appartiene. Pare superfluo sottolineare che l’elogio funebre è un genere convenzionale per statuto, all’interno della produzione letteraria in prosa: sorretto da un codice di leggi prestabilito, lascia un margine di libertà effettivamente ridotto. Come evidenzia LORAUX, Invention, 10, la questione, ancora aperta, sullo statuto dei discorsi presenti nelle storie di Tucidide continua ad essere un grave ostacolo alla reale comprensione del discorso di Pericle come orazione funebre. D’altronde, l’influenza del modello convenzionale dell’orazione funebre è così spiccata anche nell’epitafio pronunciato da Pericle che la questione dell’autenticità perde inevitabilmente la

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Dalle testimonianze antiche, desumiamo che Pericle fu un abile oratore, ma non abbiamo notizie certe sull’esistenza e sul numero di discorsi che avrebbe pronunciato.15 Dobbiamo dunque affidarci a

sua ragion d’essere. Il problema, secondo la Loraux, sarà risolto soltanto quando gli studiosi abbandoneranno la convinzione, errata, che un temperamento ‘scientifico’ quale quello di Tucidide non possa aver inserito nel suo racconto un discorso funebre.

15

Utile a questo proposito, per fare il punto della situazione sulla produzione attribuita a Pericle, il contributo di NICOLAI, Eloquenza, 95-113 in cui sono riportati passi di Aristofane, di Platone, di Plutarco, di Cicerone e di Quintiliano in cui compaiono testimonianze sull’abilità dialettica di Pericle e sulla vis del suo eloquio. Secondo Nicolai non siamo in possesso di nessuna prova fondata da cui inferire che le testimonianze antiche rivelino l’esistenza di discorsi attribuiti allo stratego. Anche il contributo offerto da Cicerone relativo all’esistenza di discorsi di Pericle non è utile, secondo Nicolai, in quanto potrebbe risentire di una conoscenza dell’oratoria di Pericle filtrata da Tucidide: Tucidide sarebbe dunque l’unica fonte di cui Cicerone dispone per l’oratoria di Pericle. Le opinioni dei critici moderni sono sostanzialmente concordi: Cicerone non è un testimone attendibile poiché si serve di scritti non autentici. Cfr. BLASS, Beredsamkeit I, 35; MEINHARDT, Perikles, 86; FANTHAM, Imitation, 6 segg.. DE SANCTIS, Pericle, 194-199, crede che Tucidide abbia effettivamente partecipato al discorso pronunciato da Pericle e che dunque le argomentazioni dello stratego ateniese corrispondono a ciò che effettivamente disse in occasione del discorso funebre. HORNBLOWER, Thucydides, 62 n.66, è favorevole ad attribuire il discorso a Pericle. Tentano di uscire dall’impasse PRINZ, Epitaphios, 94-114, e LESKY, Geschichte, 503, scegliendo di lasciare insoluta la questione della paternità del discorso poiché tale discussione non porterebbe ad alcun risultato, dal momento che non siamo in possesso di una redazione scritta di questo discorso, come degli altri che presumibilmente avrà pronunciato. PRINZ, Epitaphios, 94, convinto tra l’altro dell’inutilità di confrontare i capitoli sul metodo con l’epitafio per trovarvi tracce del procedimento seguito da Tucidide nella stesura del discorso, conclude: “Dies ist erstaunlich, denn es ist schwierig, wenn nicht gar unmöglich, die ursprüngliche Periklesrede aus dem bei Thukydides überlieferten Text zu erschließen”. Anche LESKY, Geschichte, 503, propende per l’idea che non è possibile distinguere, nell’epitafio, Pericle da Tucidide. Molti studiosi hanno interpretato il discorso come un’esaltazione di Atene e delle sue istituzioni democratiche e, conseguentemente, come un’apologia di Pericle: cfr. SCHWARTZ, Geschichtswerk, 149, secondo cui l’orazione è sostanzialmente una difesa della politica di Pericle scritta dopo la sconfitta di Atene da Tucidide per difendere l’operato dello statista. Così anche SCHADEWALDT, Geschichtsschreibung, 33 e LANDMANN, Lob, 66-95. POHLENZ, Thukydidesstudien, 251, considera il discoso un elogio della politica e della figura di Pericle. DE ROMILLY, Impérialisme,131-137 pone in risalto l’ammirazione

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dello storico verso la politica imperialistica di Pericle, aliena da eccessi e propende per la tesi che l’orazione funebre sia stata composta in una data posteriore alla disfatta di Atene. GOMME, Commentary, II, 95 e 129-130, sostiene che intenzione di Tucidide è evidenziare il contrasto esistente tra lo splendore di Atene nel 431 e la sua successiva disfatta totale. Di altro parere WESTLAKE, Individuals, 35, secondo cui il discorso di Pericle non può non collocarsi nel momento storico in cui lo splendore di Atene era sotto gli occhi di tutti (“at the moment when Athenian power was at its zenith”), motivo per cui è opportuno ipotizzare una datazione certamente anteriore al 404. Cfr. anche CONNOR, Thucydides, 68, secondo cui l’idealizzazione di Atene rientra nelle regole del genere epidittico e non necessariamente corrisponde al pensiero di Pericle o di Tucidide. FLASHAR, Epitaphios, 28 e 34 segg, crede che l’epitafio non possa considerarsi una difesa dell’operato di Pericle, bensì una forte presa di distanza, da parte di Tucidide, deluso dalla politica di Pericle, alla luce della sconfitta del 404 a.C. Secondo Flashar Tucidide lascerebbe parlare Pericle senza però condividere il suo pensiero e intendendo soltanto esporre il programma politico dello stratego. Anche KAKRIDIS, Interpretationen, 17-26, ha affrontato la vexata quaestio della paternità, propendendo per la tesi della libera interpretazione e facendo derivare da ciò una “Spannung” percepibile in tutto il discorso. Secondo Kakridis è inconcepibile attribuire a Pericle il senso generale del lo/goj in quanto la presenza di un uditorio non omogeneo è più giustificabile se s’intende l’orazione indirizzata ai lettori di Tucidide, cioè a una generazione delusa dalla politica di Pericle, che non a un pubblico del 430 a.C, che dovrebbe essere normalmente pieno di aspettative nei confronti della politica del proprio stratego. L’epitafio dunque, nell’esegesi di Kakridis, sarebbe una giustificazione e una trasfigurazione condotta “mit dem Munde” di Pericle, dell’Atene di un tempo. GOMME, Commentary II, 104, 126 e 129-130, respinge l’interpretazione di Kakridis argomentando che la presenza di un pubblico invidioso e maldisposto non può essere un elemento determinante per la collocazione temporale del discorso, dal momento che il mondo greco ha sempre tenuto in gran conto l’invidia che era destinato ad attirarsi in virtù della sua grandezza. Il confronto con le argomentazioni degli altri epitafi induce Gomme a escludere la presenza del motivo dell’invidia da parte dell’uditorio, che è invece ammessa e enfatizzata da Kakridis. La risposta di Gomme a Kakridis è dunque finalizzata a giustificare la captatio benevolentiae di Pericle come un atteggiamento non inusuale per la mentalità greca e anzi maggiormente conforme all’età di Protagora e di Pericle che non al periodo successivo al 404 a.C. Una tesi estrema sulla paternità dell’epitafio è quella di TREVES, Pericles, 321-345, secondo cui anche questo discorso è una libera ricostruzione, se non addirittura un’invenzione di Tucidide. Contra cfr. SICKING, Purport, 404-425, che invece immagina un epitafio realmente pronunciato da Pericle alla fine del primo anno di guerra e che conseguentemente rifiuta l’idea di una libera rielaborazione di Tucidide. Sulla stessa linea di pensiero è BOSWORTH, Oration, 1-16.

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Tucidide per reperire informazioni su quello che viene definito ‘epitafio di Pericle’ per i caduti del 431/430, consapevoli che la ricostruzione di Tucidide implica comunque una rielaborazione delle parole dello stratego non soltanto a livello di forma ma anche a livello di contenuti. Sappiamo poi che già nell’anno 440/439, Pericle pronunciò un’orazione funebre di cui sono conservati alcuni frammenti.16 La questione della paternità dell’epitafio resta ancora

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Il discorso, per i caduti a Samo nel 439 a.C., corrisponde, con tutta probabilità, a quello citato da Aristotele nella Retorica (1365a 31-33 e 1410b 36-1411a 4): la gioventù sottratta alla città è paragonata ad un anno privato della sua stagione più florida, la primavera. Non compare però nessuna informazione aggiuntiva che permetta di attribuire il discorso ad un discorso ben preciso. Questo celebre paragone non è presente nell’orazione funebre attribuita a Pericle nell’opera di Tucidide (II 35, 1- 46, 2). Non resta che ipotizzare che Pericle abbia composto più di un’orazione funebre, prassi tra l’altro consueta a uno stratego, e che tale paragone possa essere presente nel discorso per i caduti di Samo. Un’informazione su quest’ultima orazione proviene della Vita di Pericle di Plutarco (8, 1-9 e 28, 1-8): si cita un frammento dell’epitafio del 439 a. C. presente in Stesimbroto (FGrHist 107 F 9) in cui è riportato che Pericle, pronunciando un elogio dei cittadini caduti a Samo, ebbe l’ardire di definirli immortali come gli dei in virtù del bene che hanno compiuto immolandosi per la patria. Si noti che l’immagine della primavera intesa come parte migliore dell’anno è presente anche in Erodoto (VII 62) e precisamente nella risposta che Gelone diede agli ambasciatori greci. Secondo WILAMOWITZ, Thukydideslegende, 365, tale immagine proviene da Pericle ma non dal discorso del 431 a.C, anno in cui non c’era stato un numero di morti tale da giustificare la

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oggi aperta. Sembra impossibile che Tucidide abbia costruito un discorso inventandone completamente la trama e abdicando così radicalmente al rigore di un metodo che lui stesso ha fondato e palesato nella sezione iniziale del suo racconto, quando ha dichiarato di aver salvaguardato almeno la cu/mpasa gnw/mh. Naturalmente mancano prove certe e inconfutabili sull’esistenza di un epitafio pronunciato da Pericle per i caduti del 431 a.C. Tucidide è per noi l’unica fonte che documenti l’esistenza di questo discorso funebre. Non resta dunque che formulare ipotesi. Il naufragio completo della tradizione diretta, come si è visto, rende complicato il nostro compito d’identificare gli stilemi dell’oratoria di Pericle. E’ dunque in sostanza impossibile trovare delle rispondenze con il discorso che offre Tucidide. Sappiamo che Pericle, oltre che come stratego, era stimato

similitudine, bensì dall’altro pronunciato nel 439 a.C. in onore dei caduti della guerra di Samo. Nessun testimone dunque cita il suddetto paragone in rapporto all’orazione per i caduti di Samo. L’assenza di testomonianze dirette di orazioni di Pericle, rilevata da Plutarco (Vit. Per 8, 7: e)/ggrafon me\n ou)=n ou)de\n a)pole/loipe plh\n tw=n yhfisma/twn a)pomnhmoneu/etai d’o)li/ga panta/pasin) ci costringe dunque a fare affidamento a citazioni di altri autori per l’attribuzione dei frammenti superstiti ad un’orazione piuttosto che ad un’altra. Le fonti antiche che ci documentano sull’eloquenza di Pericle e sul suo stile sono riportate e analizzate da NICOLAI, Eloquenza, 102-109.

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anche come oratore, ma nessuna fonte consultata attribuisce a Pericle l’epitafio che offre Tucidide. Niente vieta di ipotizzare che Pericle, al principio della guerra abbia avvertito il bisogno di celebrare la grandezza di Atene per incitare i cittadini a esporsi al pericolo senza lasciarsi intimidire dai pericoli della guerra e a affrontare il me/gan to\n a)gw=na.17 Una parte della critica è invece del parere che le idee espresse nel discorso si addicono più ad un’occasione quale la disfatta finale di Atene nel 404 a.C. che non al primo anno di guerra.18

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II 45, 1. Così NICOLAI, Eloquenza, 111-113. Cfr. anche FANTASIA, 358: “niente impedisce di credere che Tucidide si sia attenuto a questo programma di verità – che implica, è bene ribadirlo, non una riproduzione esatta delle parole dell’oratore, ma una più o meno fedele riproposizione del contenuto – anche per quanto riguarda l’epitafio di Pericle. […] Nessuno potrà seriamente contestare il fatto che Pericle, già chiamato nel 439 a celebrare i caduti di Samo con un’orazione che aveva suscitato una profondissima emozione, prese realmente la parola nel 431 […] e che Tucidide ne fu testimone diretto”. Anche CIACERI, Obiettività, 86, ritiene che “i pensieri fondamentali del discorso sono di Pericle. […] Non è necessario presupporre la commozione dello scrittore che abbia già assistito alla rovina di Atene. Contrariamente a quanto è stato affermato, nel discorso vien fuori più Pericle del 431, che Tucidide del 404”. Cfr. anche MUSTI, Demokratía, 5 secondo cui la storicità del discorso non deve essere messa in discussione: “l’epitafio altro non è che una lettura storica fatta da uno scrittore che, in primo luogo, garantisce l’autenticità dell’idea centrale. Le specifiche parole sono cioè quelle – Tucidide lo dice in maniera contorta, con stile sofistico ma sufficientemente chiaro - che quel determinato personaggio in quella determinata occasione avrebbe potuto pronunciare”.

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Cfr. JAEGER, Paideia I, 640-668. MEYER, Forschungen, 379-398, crede che il discorso risenta enormemente della rielaborazione di Tucidide e che le riflessioni contenute in esso si adattano più al clima della disfatta di Atene dopo il 404 a.C. che non al 431. Cfr. anche TURASIEWICZ, Interpretation, 34-35, favorevole all’idea che il discorso rispecchi il punto di vista di Tucidide alla fine della guerra e non le parole di Pericle all’inizio del conflitto. Il discorso di Pericle è in sostanza, secondo Turasiewicz, il discorso di Tucidide “at the grave of great ancient Athens”, un discorso che preserva la cu/mpasa gnw/mh di Pericle. Argomentazioni a favore di una stesura tarda, riguardante però il primo discorso di Pericle, sono fornite da TAGLIAFERRO, Storiografia, 589. Lo studioso, soffermandosi anche sull’ultimo discorso di Pericle, precisa che “è fin troppo evidente nella parola di Pericle la consapevolezza che non sarà lui a portare a fine l’impresa e che questa fallirà per colpa degli altri”.

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Possiamo affermare che Pericle senza dubbio pronunciò dei discorsi, ma le nostre certezze si fermano qui. Non possiamo sapere se Pericle fu l’autore dell’epitafio per i caduti del primo anno di guerra. Ci siamo chiesti come sia possibile che di un discorso tanto importante, tanto solenne non rimangano testimonianze scritte, fatta eccezione per la ricostruzione di Tucidide, in grado di risolvere definitivamente la questione. Probabilmente, abbiamo ipotizzato, l’epitafio non era forse così solenne ed organico quale quello che Tucidide ci offre. Pericle, stratego investito di un ruolo importante in un momento delicato per Atene, comunicava senza dubbio abitualmente ai cittadini, anche grazie alla forza persuasiva del suo eloquio, le proprie idee, le proprie direttive.19 Questa realtà rendeva meno insuale, quindi meno degno di essere conservato, l’epitafio per i caduti del primo anno di guerra.

Ma torniamo ai contenuti del discorso. L’epitafio è un discorso che, pur nel rispetto delle convenzioni del genere, si configura come profondamente originale, in primo luogo per il quadro che offre di Atene. Apparentemente è un discorso in onore dei caduti in guerra, ma, nella realtà dei fatti, è una lode della grandezza di Atene,

para/deigma universale (II 37,1) e pai/deusij th=j (Ella/doj (II 41,1). E’ un elogio incondizionato di Atene e delle caratteristiche che la rendono diversa dalle altre città: a)kro/asij tw=n no/mwn (II 37, 3),

eu)te/leia, (II 40, 1), oi)kei/wn a(/ma kai\ politikw=n e)pime/leia (II 40, 2). Pur tenendo in mente l’occasione che ha reso necessario il discorso

19 Secondo la Suda (Periklh=j) Pericle fu il primo a pronunciare in tribunale un grapto\n lo/gon, differenziandosi dai suoi predecessori. Ma, nota NICOLAI, Eloquenza, 100 e n.26, “la testimonianza della Suda si riferisce al genere giudiziario, il primo ad utilizzare la tecnologia scrittoria (Antifonte), e non a quello deliberativo”.

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funebre (la celebrazione delle pubbliche esequie), Pericle non perde mai di vista il pubblico presente (i superstiti), consapevole che la sua sarà un’orazione inconsueta: ai superstiti, i cui animi hanno bisogno di conforto per la difficile situazione in cui versano, Pericle offre la lode dei caduti e l’elogio delle qualità di Atene più che una ferma rievocazione del passato. Il cerimoniale delle pubbliche esequie funge perlopiù da cornice e fornisce a Pericle l’occasione per esprimere il celeberrimo discorso sull’amata città.20

20

Il tema degli antenati è, infatti, rievocato in II 36, 1-3, mentre a partire da II 36, 4 Pericle, dopo aver spiegato brevemente quali argomenti intende tralasciare (w(=n e)gw\ ta\ me\n kata\ pole/mouj e)/rga, oi(=j e(/kasta e)kth/qh, h)\ ei)/ ti au)toi\ h)\ oi( pate/rej h(mw=n ba/rbaron h)\ (/Ellhna pole/mion e)pio/nta proqu/mwj h)muna/meqa, makrhgorei=n e)n ei)do/sin ou) boulo/menoj e)a/sw) illustra quale sarà la tematica centrale del suo discorso (a)po\ de\ oi(/aj te e)pithdeu/sewj h)/lqomen e)p’au)ta\ kai\ meq’oi(/aj politei/aj kai\ tro/pwn e)c oi(/wn mega/la e)ge/neto, tau=ta dhlw/saj prw=ton ei)=mi kai\ e)pi\ to\n tw=nde e)/painon, nomi/zwn e)pi/ te t%= paro/nti ou)k a)\n a)preph= lexqh=nai au)ta\ kai\ to\n pa/nta o(/milon kai\ a)stw=n kai\ ce/nwn cu/mforon ei)=nai e)pakou=sai au)tw=n). LONGO, 57-60, mette in risalto le preterizioni e le formule anticonvenzionali con cui Pericle prende le distanze dai to/poi dell’orazione funebre optando per una “riduzione della topica tradizionale” e dando ampio spazio all’elogio della città di Atene e alle sue caratteristiche istituzionali, politiche e morali a svantaggio dell’elogio dei caduti. In II 36, 1, nota sempre Longo, Pericle manifesta il proprio distacco dalla tradizione del genere scegliendo di ridurre le sezioni dedicate all’e)/painoj del passato mitico di Atene e della storia più recente. In II 36, 4 “viene completata la preterizione della tematica tradizionale preannunciando il silenzio su un argomento tanto decantato, e centrale negli epitafi, come quello delle imprese belliche di Atene- soprattutto nelle guerre mediche. […] Tutte queste preterizioni si giustificano in rapporto a quella che sembra essere la novità assoluta dell’epitafio pericleo: la parte preponderante assegnata all’elogio della città, e insieme alla dettagliata analisi delle sue peculiarità istituzionali, politiche, morali. L’elogio dei caduti appare così ridimensionato rispetto a quello delle istituzioni. […] Di fatto, all’encomio di Atene sono dedicati gli interi cap. 37-41, ai caduti non più che 42-43.3. Ma si tratta di uno squilibrio solo apparente, perché, come motiverà lo stesso Pericle, «è il valore di costoro […] che ha fregiato la città dei meriti a cui ho levato il mio inno» 42.2; pronunciando l’encomio della città di Pericle ha già pronunciato anche quello dei caduti”. FANTASIA, 355-356, osserva che il confronto dell’epitafio di Pericle con altre orazioni funebri pervenute (dalla parodia platonica del Menesseno agli epitafi attribuiti a Gorgia [DK 82 B5-6], a Lisia [II] , a Demostene [LX] e a Iperide sulla guerra lamiaca [VI]), permette di verificare che “la struttura generale dell’orazione rispecchia in misura relativamente fedele quella di un ‘modello’ di orazione funebre”, senza

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Analizziamo ora alcuni passaggi del discorso dello stratego in cui compaiono nuclei riconducibili al metodo di Tucidide:

II 35, 1-2: Oi( meOi( meOi( meOi( me\\\\n polloin polloin polloi\ tw=n e)nqa/de h)/dh ei)rhko/twn e)painou=si to\n n polloi prosqe/nta t%= no/m% to\n lo/gon to/nde, w(j kalo\n e)pi\ toi=j e)k tw=n pole/mwn qaptome/noij a)goreu/esqai au)to/n. e)moie)moie)moie)moi\\\\ de de de de\\\\ a)rkou=n a)rkou=n a)rkou=n a)\n a)rkou=n e)do/kei ei)=nai a)ndrw=n a)gaqw=n e)/rg% genome/nwn e)/rg% kai\ dhlou=sqai ta\j tima/j.

Già nell’incipit Pericle richiama l’abitudine di associare alla

sepoltura un discorso di commemorazione dei caduti.

Successivamente affronta il tema delle aspettative dell’uditorio cui è collegato il Leitmotiv dell’inadeguatezza del discorso rispetto all’importanza del tema: un topos frequente dell’esordio.21

Subito prende la distanza da coloro che l’hanno preceduto nella commemorazione dei defunti, oi( me\n polloi\ tw=n e)nqa/de h)/dh ei)rhko/twn, perché per lui sarebbe stato sufficiente, a)rkou=n a)\n e)do/kei

però dimenticare che sullo sfondo dell’aderenza al modello esistono nel discorso di Pericle “gli scarti, numerosi e vistosi, che lo allontanano da esso”. Sempre FANTASIA, 360, nota che il rilievo dato da Pericle alle vicende contemporanee o comunque appartenenti al passato prossimo piuttosto che alla rievocazione dei palaia/ deve essere messo in stretta relazione con la decisione di Tucidide, espressa fin dall’incipit delle storie, di tralasciare eventi troppo distanti nel tempo (I 1, 3); tale parallelismo, nota Fantasia, “lungi dall’essere segno di una proiezione delle idee tucididee sulla parola attribuita a Pericle, potrebbe rimandare a una visione storica comune e ad un comune patrimonio di idee nati essenzialmente dalla riflessione sullo sviluppo della potenza ateniese a partire dalle guerre persiane”.

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Sulla funzione argomentativa dell’esordio (desiderio di condizionare l’uditorio attraverso la captatio benevolentiae, raggiungimento della credibilità e dell’efficacia del discorso) nei discorsi di Tucidide, con particolare attenzione all’incipit dell’epitafio di Pericle e alle sue strutture retoriche, cfr. TOSI, Esordio, 85-96. Cfr. anche LORAUX, Invention, 240-242, che intende il topos dell’esordio relativo alla difficoltà di adeguare il discorso alle gesta dei caduti come prova di una “rupture avec les paroles archaϊques de la gloire”, e come espediente retorico che garantisce la captatio benevolentiae.

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ei)=nai, rendere onore con i fatti a uomini che hanno dimostrato con i fatti il valore in guerra. Nonostante questa presa di distanza, che ha comunque un suo peso,22 decide di adeguarsi al rituale dell’e)/painoj, pur ponendo in primo piano la propria scelta personale attraverso l’opposizione tra lui che intende pronunciare un discorso adeguato alle aspettative del pubblico e i polloi/ in cui lo stratego identifica coloro che lodano.23

22

Secondo TOSI, Esordio, 86 n.3, la contrapposizione di cui parla Pericle, che si caratterizza come un espediente ‘retorico’, “prelude ad un epitafio non del tutto conforme ai canoni tradizionali (il suo nucleo sarà l’esaltazione della polis contemporanea)”. Anche la LORAUX, Invention, 242, intende la formula di esordio di Pericle come tentativo, da parte dell’oratore, di scusarsi per l’eventuale insuccesso del suo discorso di lode e, ma può anche nascondere la consapevolezza dell’oratore “que le discours soit effectivement inhibé par la nécessité impérative ou il se trouve, pour rejoindre son objet proclamé – les actes des morts – de passer par la cité, seul objet réel”.

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Secondo LONGO, 56, la refutatio sententiae espressa da Pericle risponde alla volontà di “garantirsi in anticipo una giustificazione, nell’eventualità che le sue parole non abbiano a riscuotere il gradimento di tutto l’uditorio”. La contrapposizione ‘uno/molti’ è un elemento topico degli epitafi che la tradizione letteraria ci ha tramandato. Cfr. ad esempio Lisia, II 54 (difficoltà per un oratore di rapportarsi alle azioni pericolose di molti uomini) e Demostene, LX 1, (la difficoltà per uno di lodare le imprese di molti è in rapporto alla grandezza delle gesta), Isocrate, Panegirico 74 (in cui l’oratore parla della difficoltà di nobilitare con la parola imprese già trattate precedentemente da altri). Anche FANTASIA, 368, rileva che la presenza di un uditorio non unanimemente predisposto può compromettere la riuscita di un intervento dell’oratore; ad ogni modo, la frase di esordio di Pericle non si presenta come una captatio benevolentiae ma, spiega Fantasia, 370, “si ha la netta impressione che questa lunga preparazione miri soprattutto ad annunciare, e giustificare, le scelte espositive operate da Pericle in 36.4: date le premesse (la parola è inutile e comunque sarebbe difficile trovare la ‘misura’ che soddisfi tutti), non resterà che assolvere l’obbligo imposto dalla tradizione, quello di celebrare i caduti, parlando della grandezza della città per la quale essi sono morti”. Secondo TOSI, Esordio, 86-87, la variatio e)painou=si/ ei)rhko/twn ha diverse funzioni: è finalizzata a relegare l’opinione della massa in una realtà atemporale; inoltre, riveste un’importanza retorica, in quanto qualifica la lode come un’azione di “perpetua assolutezza, che trascende i singoli oratori del passato”. Invece l’espressione di Pericle, a)\n e)do/kei, si colloca, sempre secondo Tosi, “nella sfera del velleitario e del fittizio” ma rappresenta “il polo su cui converge l’attenzione degli ascoltatori, grazie alla fortissima posizione dell’e)moi\ de/, che con singolare efficacia condensa l’intera protasi del periodo ipotetico”.

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Con questa dichiarazione Pericle, pur dimostrando di conoscere le argomentazioni tipiche dell’eloquenza epidittica e pur strutturando il proprio discorso con argomentazioni fortemente tipizzate (captatio benevolentiae del pubblico, elogio dei caduti, consolatio ad parentes), articola il discorso in modo fortemente originale.24

24

SICKING, Purport, 404-405, ha messo in evidenza l’atipicità dell’epitafio di Pericle rispetto alle orazioni funebri tramandate e ne ha rilevato un fondamentale elemento di differenziazione. La tradizione, infatti, ci presenta discorsi funebri in cui l’oratore esprime la consapevolezza che le sue parole non saranno mai pari alla grandezza delle gesta dei caduti. Cfr. l’epitafio di Lisia (II 1-2): o( pa=j xro/noj ou)x i(kano\j lo/gon i)/son paraskeua/sai toi=j tou/twn e)/rgoij, dia\ tou=to kai\ h( po/lij moi dokei= … e)c o)li/gou th\n pro/stacin poiei=sqai, h(goume/nh ou(/twj a)/n ma/lista suggnw/mhj au)tou\j para\ tw=n a)kousa/ntwn tugxa/nein. Cfr. anche Plat. Menex. 236e 3-4: dei= dh\ toiou/tou tino\j lo/gou o(/stij tou\j me\n teteleuthko/taj i(kanw=j e)paine/setai. Anche Demostene insiste sul concetto di “discorso degno e commisurato alle azioni” (LX.1): o(/pwj tou= prosh/kontoj e)pai/nou teu/contai, …

a)ci/wj ei)pei=n tw=n teteleuthko/twn e(/n ti tw=n a)duna/twn . Cfr. ancora Iperide (VI.2):

… mh\ moi sumb$= to/n lo/gon e)la/ttw fai/nesqai tw=n e)/rgwn tw=n gegenhme/nwn. …

qarrw= o(/ti ta\ u(p’e)mou= paraleipo/mena u(mei=j oi( a)kou/ontej prosqh/sete! Ou) ga\r e)n toi=j tuxou=sin oi( lo/goi r(hqh/sontai, a)ll) e)n au)toi=j toi=j ma/rtusi tw=n e)kei/noij pepragme/nwn. Per un approfondimento sull’originalità dell’epitafio di Pericle rispetto ai suddetti lo/goi e)pita/fioi e anche rispetto agli altri discorsi presenti nelle storie di Tucidide (che rispecchiano più fedelmente i canoni del genere), cfr. HORNBLOWER, Thucydides, 45-72, TREVES, Pericles, 324. Cfr. anche ZIOLKOWSKI, Thucydides, 13-207, un’analisi dell’epitafio di Pericle condotta con particolare attenzione alla struttura del discorso e ai suoi aspetti linguistici. Ziolkowski, Thucydides, 202, che analizza l’epitafio rilevandone le analogie e le differenze con gli altri discorsi appartenenti al genere epidittico, sostiene che l’epitafio deriverebbe da Pericle e attribuisce le differenze riscontrate con le altre orazioni funebri all’intervento di Tucidide. LORAUX, Invention, 123, 251-252 e 290, non condivide il metodo estremamente meccanico di elenco dei topoi adottato da Ziolkowski. Una posizione più equilibrata è quella di TURASIEWICZ, Interpretation, 36- 41: the most likely conclusion is that he was working with real speech written for a specific occasion, and that is why it contains so many traditional topics and commonplaces. […] The Epitaphios is a polyphonic composition, in which what is tipycal, universal and exemplary appears beside the traditional and customary, ascribable to the patrimony of the genos [...] in the composition of the speech, the Thucydidean innovation appears beside the traditional element: the innovation consists in finding some general rules, universalia, that have an everlasting importance and go far beyond specific situation”. Sempre secondo TURASIEWICZ, Interpretation, 41, l’elemento che caratterizza l’epitafio, ma anche gli altri discorsi delle storie, è una spiccata tendenza alla generalizzazione e all’astrazione. Cfr. anche RUSTEN, 136: “the

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L’espressione e)moi\ de\ a)rkou=n a)\n e)do/kei rappresenta, a nostro parere, un punto di contatto notevole tra il metodo di Pericle oratore e quello di Tucidide. Lo stratego impiega un to/poj dell’esordio: è consapevole della difficoltà del compito che l’attende, sa che dovrà esprimersi metri/wj per la presenza di un pubblico suddiviso in ‘informati’ e ‘non informati’, pur non rinunciando a dire che riterrebbe sufficiente (a)rkou=n a)\n e)do/kei) tributare i dovuti onori in modo concreto.25 Anche Tucidide, come Pericle, dimostra piena

present oration acknowledges such a pattern, but departs strikingly from it by subordinating all these themes to glorification of contemporary Athens itself”. Sull’atipicità dell’immagine di un uditorio diviso cfr. SICKING, Purport, 405. FANTASIA, 360, considera una peculiarità dell’epitafio di Pericle “l’aver agganciato l’encomio dei caduti non alle imprese compiute da Atene in un passato lontano, ma alla straordinaria qualità di vita che la grandezza dell’Atene presente ha regalato ai suoi cittadini”. Per una disamina generale della tipicità del discorso funebre e, precisamente, delle affinità dell’epitafio con la letteratura encomiastica

cfr. KRISCHER, Topik, 22-134. 25

Il topos della difficoltà di adeguare il discorso alla grandezza e all’importanza delle azioni è analizzato e interpretato da LORAUX, Invention 234-245, anche tramite il confronto con gli esordi degli altri epitafi che la tradizione letteraria ci ha lasciato. HORNBLOWER, Commentary I, 296, considera “unmistikable the emphasis here on e)/rgon as opposed to lo/goj”. Lo segue RUSTEN, 153: “the contrast between lo/goj and e)/rgon is inescapable”. Anche PARRY, Logos, 159 segg., nota, come riporta Hornblower, che l’opposizione lo/goj/ e)/rgon nell’epitafio ricorre ben 32 volte, “a concentration greater than in any other part of the work”. Diverse sono le interpretazioni date alla contrapposizione lo/goj/ e)/rgon. LONGO, 56, parte dal presupposto che tale antitesi appare spesso immotivata e ingiustificata nel discorso di Pericle, dunque potrebbe rispondere all’intenzione di Tucidide di “riprodurre un vezzo retorico del Pericle storico, anche se si trattava di un modulo largamente diffuso nella letteratura del tempo, dov’era stato messo in circolazione soprattutto nella sofistica”. Longo tende dunque a considerare insignificante e non sempre motivata dal contesto l’opposizione lo/goj/ e)/rgon. Analizza i passi dell’epitafio in cui compare tale antitesi e nota che spesso non è giustificata dall’economia del racconto e si presenta come un’incongruenza tra contenuto, spesso non inteso in modo contrastivo, e forma, che invece è strutturata in modo oppositivo: parla di (73-86), “opposizione stereotipata […] un tributo negativo pagato da Pericle-Tucidide alle mode retoriche del tempo”, “mero outil retorico, benché onnipresente e ossessivo”; “è questa incongruenza, nel ricorso a questo logoro outil retorico, che costituisce la menda più seria”. FANTASIA, 357-358, nella riflessione sull’antitesi lo/goj/ e)/rgon, spiega che invece non corrisponde

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consapevolezza dell’atipicità del suo racconto nel momento in cui spiega che si riterrà soddisfatto, a)rkou/ntwj e(/cei, se la sua indagine potrà essere utile a quanto vorranno to\ safe\j skopei=n. Il confronto risulta più plausibile anche per la presenza della medesima terminologia: a)rkou=n per Pericle, a)rkou/ntwj per Tucidide. Tucidide, come si è visto, tende a rimarcare la propria differenza di vedute da quella degli altri, indicati come a)/nqrwpoi che non assumono una posizione critica verso le notizie che ricevono (I 20, 1), come oi( a)/lloi (/Ellhnej accusati di non avere opinioni esatte sugli avvenimenti

a un mero espediente retorico privo di significato reale, ma che anzi, “acquista un ruolo che va al di là del livello puramente formale per diventare una delle chiavi di lettura dell’epitafio” e che “la relazione contrastiva che Pericle si preoccupa di istituire, fin dall’incipit, fra la parola con cui egli è stato chiamato a celebrare i caduti e il fatto rappresentato dal loro nobile sacrificio per la città (una relazione che, con variazione sul tradizionale tema dell’adaequatio delle parole ai fatti, è prospettata sui due versanti dell’insufficienza e dell’eccesso), è risolta nell’equipollenza fra lo/goj e e)/rgon che l’oratore può registrare nel momento in cui, avendo adeguatamente celebrato i meriti di Atene, giunge al fatidico momento dell’epainos dei caduti, di questi caduti”. Nell’analisi di Fantasia, dunque, la relazione tra lo/goj e e)/rgon non ha sempre un carattere contrastivo anzi, se si legge l’intero epitafio si nota che proprio nella parte conclusiva tale distanza è obliterata dalla grandezza di Atene che ha dimostrato concretamente che la lode è opportunamente commisurata ai fatti ( II 42, 2: kai\ ou)k a)\n polloi=j tw=n (Ellh/nwn i)so/rropoj w(/sper tw=nde o( lo/goj tw=n e)/rgwn fanei/h): “In questo caso – osserva opportunamente Fantasia, 358, – il lo/goj può aderire agli e)/rga, e rispecchiarli, con la stessa esattezza con cui lo storico della Guerra del Peloponneso può rendere l’idea della grandezza di questo evento semplicemente riportandone au)ta\ ta\ e)/rga (I 21.2). Nel contempo, l’abituale inconciliabilità fra il momento del discorso e della riflessione e quello dell’azione concreta, che determina da un lato l’inazione o la scarsa efficienza di chi dà troppo spazio ai lo/goi e per converso l’ottusa temerarietà di chi agli e)/rga arriva senza una preliminare valutazione razionale, ha trovato una definitiva composizione nell’equilibrio fra i due momenti che caratterizza felicemente le iniziative degli Ateniesi (40.2-3; 43.2)”. La relazione contrastiva che l’oratore stabilisce tra lo/goj e e)/rgon si risolve, invece, nella piena interscambiabilità nella produzione elogiativa in versi secondo la LORAUX, Invention, 236-237: “le logos poétique est donc aussi ergon [...] l’opposition ergon/logos est tout aussi fondamentale à l’oraison funèbre: centrale dans l’exorde, elle structure à mainte reprise les developpements ultérieurs. Maus cette fois-ci le logos se proclame lui-même inférieur à la réalité (ergon).

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recenti (I 20, 3), fin ad arrivare ai polloi/ per i quali l’indagine sulla verità dei fatti non presenta difficoltà proprio perché non è supportata da un metodo critico e rigoroso (I 20, 3).

Procedendo nell’analisi del discorso di Pericle, troviamo altri nuclei argomentativi che riconducono al metodo storico di Tucidide: II 35, 2: xalepoxalepoxalepoxalepo\\\\nnnn ga\r to\ metri/wj ei)pei=n e)n £%(= mo/lij kai\ h( do/khsij th=j a)lhqei/aj bebaiou=tai. o o o o(/(/(/(/ te ga te ga te ga te ga\\\\r cuneidwr cuneidwr cuneidwr cuneidw\\\\j j j kai\ eu)/nouj a)kroath\j j ta/x’a)/n ti e)ndeeste/rwj pro\j a(\ bou/letai/ te kai\ e)pi/statai nomi/seie dhlou=sqai, o(/ te a)/peirojo(/ te a)/peirojo(/ te a)/peirojo(/ te a)/peiroj e)/stin a(\ kai\ pleona/zesqai, dia\ fqo/non, ei)/ ti u(pe\r th\n au(tou= fu/sin a)kou/oi.

Pericle esprime fin da subito una difficoltà connessa con il pronunciare un discorso commisurato, metri/wj ei)pei=n, alle aspettative di un uditorio distinto in due componenti: da una parte gli ascoltatori informati, dall’altra i cittadini che, privi di notizie sulle gesta dei caduti, vedono nella celebrazione dei caduti un’esaltazione eccessiva, un pleona/zesqai. A questa distinzione si associa una differenziazione di carattere morale: chi è informato sui fatti è anche ben disposto ad ascoltare le parole dell’oratore perché consapevole del valore dimostrato dai caduti; chi invece non ha conoscenza vede nella celebrazione un’esaltazione smisurata.27 Dalle argomentazioni addotte

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KAKRIDIS, Interpretationen, 17-18, considera la presenza di un pubblico eterogeneo, l’elemento più innovativo e caratterizzante dell’epitafio. L’oratore deve dunque tener conto, nel suo discorso, della presenza anche di ascoltatori a)/peiroi e calibrare le sue parole per evitare il rischio di suscitare la loro invidia. Sarebbe dunque, secondo Kakridis, la mancata identità di vedute tra oratore e una parte del pubblico a spingerlo ad abbandonare l’espressione topica a)ci/wj ei)pei=n e a sostituirvi metri/wj ei)pei=n. La presenza di un uditorio realmente diviso è invece negata da TOSI, Esordio, 89, che vi attribuisce una “funzionalità retorica, basata sul fatto che l’oratore nell’esordio si crea un proprio uditorio”. Sempre secondo Tosi, Esordio, 91, l’opposizione uno/molti ha una sua valenza retorica in quanto

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da Pericle la conoscenza è dunque un elemento fortemente discriminante e responsabile di una frattura all’interno di un uditorio. Ricorre nuovamente la distinzione tra ‘chi conosce’ e ‘chi non conosce’, distinzione che abbiamo trovato nelle dichiarazioni di Tucidide (nei passi in cui sottolinea la distanza da chi accetta criticamente le notizie e non è in grado di informarsi in modo preciso e scrupoloso) e che ricorre spesso anche in altri lo/goi. “I due tipi di ascoltatore vengono caratterizzati non solo dai verbi concernenti la loro reazione (e)ndeeste/rwj … dhlou=sqai / pleona/zesqai), ma anche con binomi, i cui termini indicano l’atteggiamento intellettuale (cuneidw/j, e)pi/statai/ a/)peiroj) e quello ‘affettivo’ (eu)/nouj, bou/letai

/ dia\ fqo/non): nella sezione ‘positiva’ il chiasmo (cuneidw\j kai\ eu)/nouj / bou/letai te kai\ e)pi/statai) colloca nella posizioni più rilevanti – iniziale e finale – i termini riguardanti la conoscenza, mentre nella ‘negativa’ la variatio eu)/nouj / dia\ fqo/non fa sì che l’attenzione sia catalizzata da questo sentimento”.28

L’opposizione tra ‘chi conosce’ e ‘chi non conosce’, non ricorre soltanto nell’epitafio di Pericle. Ricordiamo, infatti, Archidamo (I 80, 1) che ha dato avvio al suo discorso proclamandosi e)/mpeiroj di affari di guerra, contrapponendosi ai polloi/ che invece aspirano a entrare in conflitto con gli Ateniesi per un errore dovuto a a)peiri/a.

Sempre nello stesso passo lo stratego spiega la difficoltà del

favorisce la presenza di un’incompatibilità di esigenza nell’uditorio. Tale incompatibilità, conclude Tosi, “può essere elusa solo da una difficile metrio/thj, la quale esclude il discorso u(perba/llwn, o, meglio, lo maschera, essenzialmente per educare l’uditorio ai valori che hanno improntato l’azione dei molti, per crearne una costante imitazione”.

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compito connessa con la celebrazione delle gesta. L’aggettivo

xalepo/n è lo stesso che Tucidide, nei capitoli sul metodo, impiega per descrivere le difficoltà connesse con l’intendimento di fornire un resoconto preciso e veritiero sia sugli avvenimenti del passato sia su quelli inerenti al conflitto che ha coinvolto Atene e Sparta a partire dal 430 a.C.29 Difficile è per Tucidide restituire correttamente le notizie riferite dai testimoni, difficile è per Pericle pronunciare un elogio degno delle aspettative dell’uditorio. Il xalepo/n è un ostacolo per entrambi.

Proseguiamo nell’analisi dell’epitafio. Nella sezione iniziale del discorso Pericle si rivolge all’uditorio anticipando gli argomenti che intende tralasciare e quelli su cui invece intende soffermarsi:

II 36, 4: w(=n e)gw\ ta\ me\n kata\ pole/mouj e)/rga, oi(=j e(/kasta e)kth/qh, h)\ ei)/ ti au)toi\ h)\ oi( pate/rej h(mw=n ba/rbaron h)\ (/Ellhna pole/mion e)pio/nta proqu/mwj h)muna/meqa, makrhgorei=n e)n ei)do/sin ou) boulo/menoj e)a/sw! a)po\ de\ oi(/aj te e)pithdeu/sewj h)/lqomen e)p’au)ta\ kai\ meq’oi(/aj politei/aj kai\ tro/pwn e)c oi(/wn mega/la e)ge/neto, tau=ta dhlw/saj prw=ton ei)=mi kai\ e)pi\ to\n tw=nde e)/painon, nomi/zwn e)pi/ te t%= paro/nti ou)k a)\n a)preph= lexqh=nai au)ta\ kai\ to\n pa/nta o(/milon kai\ a)stw=n kai\ ce/nwn cu/mforoncu/mforoncu/mforon ei)=nai e)pakou=sai au)tw=n. cu/mforon

L’oratore dichiara fin da subito che il discorso non verterà sulla rievocazione delle imprese del passato, poiché ciò comporterebbe una riflessione troppo ampia e inutile di fronte a un uditorio già compiutamente informato sui fatti,30 ma sulle caratteristiche che hanno

29

I 20, 1; I 22, 1

30 Il concetto dell’inutilità di dilungarsi (makrhgorei=n) su argomenti già noti al pubblico, che Pericle ripete anche in II 43, 1, è presente anche nie discorsi di altri oratori. I Corinzi, nel primo libro, si rivolgono all’assemblea degli Spartani ( I 68,

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reso grande Atene e i suoi abitanti; conclude la sezione iniziale dell’epitafio augurandosi che la sua rievocazione sia di qualche utilità al pubblico. Torna il concetto del racconto cu/mforon, paragonabile all’auspicio formulato da Tucidide a conclusione dei capitoli sul metodo: w)fe/lima kri/nein au)ta\ a)rkou/ntwj e(/cei.31

Procedendo nella lettura dell’epitafio, troviamo altri nuclei di terminologia programmatica:

II 40, 1: plou/t£% te e)/rgou ma=llon kair%= h)\ lo/gou ko/mp£% xrw/meqa

II 40, 2: ou) tou\j lo/gouj toi=j e)/rgoij bla/bhn h(gou/menoi, a)lla\ mh\ prodidaxqh=nai ma=llon lo/g£% pro/teron h)\ e)pi\ a(\ dei= e)/rg% e)lqei=n

II 41, 2: kai\ w(j ou) lo/gwn e)n t%= paro/nti ko/mpoj ta/de ma=llon h)\ e)/rgwn e)sti\n a)lh/qeia, au)th\ h( du/namij th=j po/lewj, h(\n a)po\ tw=nde tw=n tro/pwn e)kthsa/meqa, shmai/nei

3) chiedendo ti/ dei= makrhgorei=n di fronte a persone che sono già informate sui fatti. Nella stessa assemblea Stenelaida, uno degli efori spartani incaricati di esporre le proprie ragioni, esordisce (I 86, 1) ammettendo di non comprendere i lo/goi polloi\ tw=n A)qhnai/wn. Ermocrate, nel quarto libro, si rivolge ai Sicelioti (IV 59, 2) dichiarando fin da subito di non volersi soffermare nel discorso sulla guerra e sui suoi danni perché l’uditorio è già sufficientemente informato (kai\ peri\ me\n tou= polemei=n w(j xalepo\n ti/ a)/n tij pa=n to\ e)no\n e)kle/gwn e)n ei)do/si makrhgoroi/h;). Sempre Ermocrate, nel sesto libro (VI 77, 1) si rivolge all’assemblea dei Camarinesi e spiega di non aver intenzione di discutere sulle ingiustizie commesse da Atene, poiché l’assemblea ne è già a conoscenza (a)pofanou=ntej e)n ei)do/sin). Su quest’ultimo passaggio FANTASIA, 374, nota che, nonostante questa preterizione, Ermocrate il siracusano e Eufemo l’ateniese non sorvolano sulle modalità con cui Atene ha rafforzato il suo dominio, ma l’apparente contraddizione si ricompone se pensiamo che “lì prevale l’esigenza tattica di argomentare in modo compiuto i due punti di vista contrapposti”. Tornando al quarto libro gli ambasciatori spartani, giunti ad Atene per proporre una tregua agli avversari, prendono la parola (IV 17, 2) spiegando agli Ateniesi che, contrariamente alle loro abitudini, in quest’occasione pronunceranno discorsi più lunghi (tou\j de\ lo/gouj makrote/rouj) perché la situazione presente rende necessaria tale scelta.

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