Capitolo 1
Introduzione alla biomimetica
1.1 L’evoluzione della robotica
La robotica moderna è nata e si è evoluta in anni recenti principalmente per fornire risposte sempre più adeguate al bisogno, da sempre avvertito dall’uomo, di disporre di macchine utili che lo aiutassero ad alleviare le fatiche ed i rischi del lavoro fisico [1]. La robotica si è quindi sviluppata primariamente come robotica industriale e ha tuttora forti linee di sviluppo e di progresso molto avanzate nel campo della automazione industriale. Il successo e il progresso tecnologico conseguiti in campo industriale hanno incoraggiato lo sviluppo di robot da utilizzare anche al di fuori della fabbrica, i cosiddetti robot di servizio. È così nata l’area della robotica per applicazioni in ambienti ostili all’uomo, come lo spazio, gli ambienti sottomarini, o in compiti a rischio elevato come nel caso di robot artificieri o di robot utilizzati in operazioni di soccorso.
Tra le applicazioni della robotica di servizio sono di grande e sempre maggiore rilevanza quelle biomediche, nell’ambito delle quali vengono studiati e sviluppati vari tipi di robot per la chirurgia, per la riabilitazione e per l’assistenza di persone disabili e anziane. Quest’ultimo tipo di applicazione sta rendendo oggi sempre più realistica l’idea (accarezzata da scrittori di fantascienza e predetta da futurologi) del personal robot, un robot il cui scopo primario sia quello dell’assistenza personale.
Il concetto del moderno personal robot riprende e materializza un’altra linea evolutiva, parallela a quella sopra descritta della robotica industriale e di servizio.
Questa seconda linea evolutiva della robotica origina e si sviluppa secondo un percorso che mira a rendere reale un’aspirazione sempre presente nella storia dell’uomo: quella di riuscire a replicare se stesso. La rappresentazione più evidente di questa linea evolutiva è quella della robotica “umanoide”.
Nel contesto di questa linea evolutiva, il robot non è più solamente una macchina utensile evoluta, ma un vero sistema biomeccatronico che viene progettato e costruito in base ad una conoscenza approfondita e ad una modellazione ingegneristica del sistema biologico al quale si rifà o sul quale deve operare. Il modello del sistema biologico può dunque servire o a sviluppare un robot (il robot biomedico) che possa essere usato molto efficacemente per compiere azioni sul sistema biologico studiato (per esempio, un robot per chirurgia o un robot per neuroriabilitazione), oppure per sviluppare un modello fisico molto realistico del sistema biologico studiato (il robot biomimetico), da usarsi come un sofisticato strumento scientifico per studiare e validare il modello stesso del sistema biologico [1].
1.2 Che cos’è la biorobotica?
La biorobotica è una nuova area scientifico-tecnologica che fonde robotica e bioingegneria; in particolare, è scienza e tecnologia della progettazione e della realizzazione di sistemi robotici di ispirazione biologica e di applicazione biomedica [1] (Fig 1.1).
Fig. 1.1 Fusione della robotica con la biologia a formare quella branca di sapere che va sotto il nome di biorobotica
Caratterizzata da profondi connotati interdisciplinari, la biorobotica allarga il proprio ambito culturale e applicativo verso numerosi settori dell’ingegneria, verso le scienze di base e applicate (in particolare la medicina, le neuroscienze, l’economia), verso le bio- e nanotecnologie, e anche verso le discipline umanistiche (la filosofia, la psicologia, l’etica). Può essere intesa e studiata in due diverse prospettive, che sono la biorobotica come scienza “robotica biomimetica”, che serve a generare nuove scoperte e quindi nuova conoscenza, contribuendo così al progresso scientifico, e la biorobotica come ingegneria “robotica bioispirata”, utilizzata cioè per inventare e generare nuova tecnologia (Fig. 1.2).
Fig. 1.2 Approccio biomeccatronico: analisi del sistema biologico condotta con i metodi e gli strumenti dell’ingegneria per modellizzare il sistema; implementazione del modello in una struttura fisica, che può essere o un robot bio-ispirato per applicazioni in scenari reali o un
robot biomimetico per validare il modello e contribuire all’indagine sul sistema biologico.
L’obiettivo è approfondire le conoscenze sul funzionamento dei sistemi biologici da un punto di vista ingegneristico e, in particolare “biomeccatronico” e utilizzare tali migliori conoscenze al fine di sviluppare metodologie e tecnologie innovative sia per la progettazione e la realizzazione di macchine e sistemi bioispirati (di dimensioni macro, micro e nano) caratterizzati da prestazioni molto avanzate (per esempio robot “animaloidi” e “umanoidi”), sia per sviluppare dispositivi, anche realizzabili
industrialmente, per applicazioni biomediche, in particolare per chirurgia e terapia mini-invasiva o per riabilitazione [1].
1.3 Robotica
biomimetica
Esaminando più in dettaglio la definizione di “Scienza Biorobotica”, possiamo immaginare il caso di un fenomeno del mondo biologico di cui non si conosca fino in fondo il funzionamento. Ciò che si fa, tipicamente, è formulare un’ipotesi e un modello matematico computazionale. Successivamente, si procede utilizzando tale modello per studiare il fenomeno, sviluppando simulazioni che permettano di validarlo.
Svolgendo una simulazione, è necessario non solo modellare il sistema biologico e in particolare il fenomeno che si vuole analizzare, ma anche modellarne il mondo esterno e l’interazione del sistema biologico con il mondo stesso, tenendo conto del fatto che, ogni volta che si studia un modello, necessariamente in questo è insita una approssimazione e, per tale motivo, si introduce un errore.
Fig. 1.3 Relazione bidirezionale tra biologia e robotica.
A partire da queste considerazioni, un altro approccio possibile e usato nella ricerca scientifica diviene quello di utilizzare, anziché un modello computazionale, un modello animale, in modo da svolgere direttamente su di esso l’esperimento necessario a validare le ipotesi di partenza sul sistema biologico che si deve studiare, ed evitare la simulazione e la modellazione del mondo e dell’interazione con il mondo, in quanto
l’animale stesso è in grado di interagire direttamente con il mondo reale. Con la biorobotica, partendo dal medesimo presupposto, anziché utilizzare il modello animale si può pensare di utilizzare un modello materiale (robotico): quando si è di fronte ad un fenomeno da spiegare, si formula una ipotesi sulla base della quale si realizza un modello computazionale e successivamente si realizza il modello su un robot, che avrà opportune caratteristiche biomorfe, in modo da poter condurre esperimenti sul robot stesso [1]. Confrontando le prestazioni e il comportamento del robot con quelli del sistema biologico originario, è possibile validare le ipotesi inizialmente fatte (Fig. 1.3).
I presupposti per un tale tipo di analisi sono:
1. un modello materiale, quindi una macchina, permette di svolgere esperimenti in condizioni più favorevoli rispetto a quelli che si svolgerebbero con il sistema originario (biologico);
2. il modello materiale permette di ottenere risultati che non potrebbero essere facilmente anticipati sulla base del solo modello formale.
Questo approccio è funzionale a tre percorsi [2] [3]:
• corroborare o falsificare le ipotesi, valutando se il sistema robotico e quello biologico si comportano in modo identico o differente nelle stesse circostanze;
• essere in grado di scegliere tra due ipotesi alternative, in funzione del comportamento robotico che meglio si avvicini a quello reale;
• generare nuove ipotesi sulla struttura funzionale del sistema biologico.
L’approccio cibernetico, come già accennato precedentemente, era già stato percorso all’inizio del 20° secolo e probabilmente anche sin da prima. Il tentativo di costruzione di umanoidi e automi non è una novità del secolo scorso, ma, prima di allora, era evidente la presenza di “colli di bottiglia” tecnologici: un esempio è il cavaliere meccanico di Leonardo da Vinci, che non era stato completamente realizzato dal suo autore proprio a causa delle limitazioni oggettive della tecnologia di allora. Ciò che si può ipotizzare oggi è che lo stato dell’arte della tecnologia robotica moderna,
rappresentata per esempio dagli strumenti sviluppati e prodotti presso la Stanford University (Fig. 1.4), possa in realtà permetterci di applicare a pieno il nuovo paradigma della robotica biomimetica, cioè della robotica usata per generare nuova conoscenza.
Fig.1.4 Esempio di struttura ottenibile con la nuova tecnologia SDM.
Entrando nel merito dell’esempio menzionato, il Professor Mark R. Cutkosky (Università di Stanford) ed il Professor Robert J. Full (Università di Berkeley), impressionati dalla gap che separa i più moderni robot dai più semplici animali per quanto concerne prestazioni e robustezza, hanno sviluppato presso i loro laboratori una nuova tecnologia in grado di emulare la composizione strutturale biologica: la shape deposition manufacturing (SDM) che consente di combinare ed inserire attuatori, sensori ed elettronica internamente in un unica struttura e di utilizzare materiali con diverse caratteristiche meccaniche per realizzare la struttura portante stessa [4].
Tra gli altri insigni esempi di scienza biorobotica, in cui la robotica viene utilizzata per scoprire, si annovera il caso di Mitsuo Kawato e Gordon Cheng dell’Advanced Telecommunication Research Institute di Kyoto, in Giappone, presso il Department of Humanoid Robotics and Computational Neuroscience. Qui la robotica è stata utilizzata per validare modelli neuroscientifici su robot umanoidi e in particolare le ipotesi sul controllo motorio, pervenendo a importanti risultati scientifici sul funzionamento di una parte del cervello dell’uomo.
Al MIT, nell’ambito della ricerca sull’intelligenza artificiale, già qualche anno fa è stato proposto il concetto di embodiment: non è possibile sviluppare una intelligenza artificiale simile a quella umana senza un ‘corpo’ fisico simile a quello dell’uomo. La
robotica umanoide diviene quindi strumento per lo studio dell’intelligenza artificiale e umana.
È interessante annoverare anche il caso della Waseda University di Tokyo, dove gli umanoidi che sono stati sviluppati replicando, in maniera a volte anche molto dettagliata, l’anatomia, la morfologia e la neurofisiologia dell’uomo, possono essere utilizzati per studiare l’uomo stesso. È questo il caso del recente Wabian 2 (Fig. 1.5), un robot umanoide con una capacità di cammino bipede molto sofisticata e avanzata, che viene utilizzato per simulare la camminata degli anziani allo scopo di sviluppare i relativi dispositivi di ausilio [5].
Fig. 1.5 Robot umanoide Wabian 2
Il mastication robot (Fig. 1.6) è un altro robot sviluppato negli anni ’90 dalla Waseda University per lo studio dell’Uomo: replicando i movimenti della mandibola, che sono estremamente complessi, i ricercatori che lo hanno progettato sono giunti alla loro completa comprensione. In seguito il mastication robot è stato utilizzato come modello per sviluppare un dispositivo per la cura di una particolare patologia della mandibola.
Fig. 1.6 Recente versione de mastication robot sviluppato dalla Waseda University.
In biologia, lo studio di animali relativamente semplici permette talvolta di acquisire conoscenze che si rivelano valide anche per animali più complessi [6]. Ad esempio, lo studio del sistema nervoso della lampreda, che sebbene semplice ha caratteristiche simili rispetto al sistema nervoso dei vertebrati e che può essere conservato in maniera agevole e per un tempo prolungato, ha permesso di scoprire il meccanismo alla base della generazione dei movimenti ritmici della locomozione, in molti vertebrati, compreso l’uomo [7] [8]. Tale meccanismo è stato denominato Central Pattern Generator (CPG). In aggiunta alla modellazione computazionale del CPG e alla validazione del modello attraverso simulazioni, la biorobotica permette oggi di realizzare un robot, sulla base delle caratteristiche anatomiche e morfologiche della lampreda, per validare ulteriormente il modello del CPG.
Negli anni ‘70 Shigeo Hirose, del Tokyo Institute of Technology, ha progettato un serpente robotico (Fig. 1.7) partendo dall’analisi delle conoscenze disponibili in ambito biologico sul serpente e sulle sue modalità di locomozione senza gambe. Successivamente, nella fase di realizzazione, è stato possibile verificare che tali conoscenze non erano né esaustive né del tutto esatte, poiché il robot costruito sulla base di queste conoscenze non era capace di compiere un movimento che fosse sufficientemente simile a quello dei serpenti esistenti in natura. Attraverso ulteriori ipotesi e le relative sperimentazioni è stato possibile comprendere quale fosse il reale meccanismo di locomozione dei serpenti e integrare in letteratura le conoscenze mancanti.
Fig. 1.7 Fase di studio sulla locomozione del serpente.
Altre applicazioni della biorobotica come scienza riguardano l’utilizzo di robot umanoidi allo scopo di validare modelli dello sviluppo della coordinazione senso-motoria nella presa. L’osservazione dei neonati e l’analisi sperimentale di alcuni loro comportamenti permettono di formulare ipotesi su come avviene l’apprendimento della coordinazione senso-motoria, in particolare visuo-tatto-motoria, necessaria per afferrare oggetti. La validazione delle ipotesi può essere in parte eseguita con nuove osservazioni ed esperimenti comportamentali sui neonati, ma questi non permettono la validazione scientifica dei meccanismi neurali con cui diverse aree corticali interagiscono e apprendono. L’utilizzo del robot consente di realizzare il modello e di verificare sperimentalmente il comportamento conseguente [9].
Attualmente si cerca anche di validare un modello del controllo dei movimenti oculari, e in particolare di quelli saccadici, che sono i movimenti veloci eseguiti per spostare lo sguardo repentinamente da un punto di interesse all’altro [10]. Poiché, anche in questo caso, è difficile validare il modello complessivo sia sul modello animale sia, tanto più, sull’uomo, è stato sviluppato un modello computazionale che viene implementato su un robot umanoide dotato di una testa antropomorfa nei movimenti e di un sistema di visione. Il robot esegue i movimenti saccadici secondo le ipotesi formulate e codificate dal modello e, attraverso esperimenti comportamentali, è possibile stabilire se le ipotesi erano esatte o eventualmente modificare i parametri del modello.
1.4 Robotica
bioispirata
La seconda prospettiva con cui si può intendere la biorobotica è quella in cui essa viene utilizzata per inventare, e che permette di parlare di ingegneria biorobotica.
Un esempio molto importante in questo contesto è quello della chirurgia, in cui l’avvento della biorobotica ha consentito la realizzazione di integrated surgical systems: la differenza fondamentale consiste nell’utilizzare l’approccio biomeccatronico per sviluppare tecnologia robotica che vada oltre una mera imitazione o sostituzione di procedure chirurgiche convenzionali, esplorandone di completamente nuove, a partire dalla modellazione del sistema biologico in cui si deve operare. Tali procedure sono pensate per essere applicate con il solo ausilio di strumentazioni meccatroniche e robotiche e non con il contatto diretto dell’operatore umano.
Altro caso è quello della robotica utilizzata per la riabilitazione e l’assistenza personale, la cui evoluzione ha seguito di fatto l’evoluzione delle tecnologie robotiche. Quando si è cominciato a progettare robot di ausilio ai disabili la robotica era ancora a uno stadio quasi unicamente di robotica industriale. La concezione di un robot che potesse svolgere delle funzioni di assistenza personale è evoluta da quella di una postazione di lavoro fissa, che fosse in grado di compiere azioni di manipolazione in un ambiente strutturato, in maniera molto simile a quanto avveniva in fabbrica, a quella di un sistema robotico mobile dotato di un manipolatore. Attualmente, l’approccio evolutivo segue due direzioni: quella del robot per l’assistenza in compiti specifici, come ad esempio la nutrizione o la vestizione, e quella che realizzerà l’umanoide, ma in un arco temporale molto più lungo. La soluzione attuale è quella del sistema modulare distribuito: un insieme di robot specializzati che possono essere integrati e coordinati secondo le esigenze.
La biorobotica comprende anche l’area della progettazione e sviluppo di protesi d’arto, in cui la più grande sfida è quella di connetterle al cervello attraverso il sistema nervoso [11]. Per fare questo, è necessaria una conoscenza approfondita anche del cervello e del sistema nervoso, utilizzata nella progettazione secondo il processo tipico della biorobotica.
Un altro caso di tecnologia biorobotica riguarda il manipolatore MIT- Manus, un robot utilizzato per la terapia riabilitativa dell’arto superiore. Si tratta del robot per neuroriabilitazione attualmente più avanzato tecnologicamente per le caratteristiche cinematiche e con il maggiore potenziale di applicazione clinica. Questo è dovuto principalmente al fatto che il MIT-Manus è stato progettato alla fine degli anni Ottanta da un robotico, Neville Hogan, insieme a un neuroscienziato, Emilio Bizzi, a partire dalle conoscenze neuroscientifiche sul controllo motorio dell’arto superiore.
Ci sono anche casi di studio in cui ci si ispira ai sistemi di locomozione e adesione di alcuni animali, come i vermi, per realizzare robot in grado di muoversi all’interno del corpo umano, per l’endoscopia [12]. Anche in questo caso, il punto di partenza è la comprensione ingegneristica del movimento ondulatorio compiuto da tali animali, che permette la progettazione del robot.
1.5 Perché studiare il polpo?
Sulla base del concetto di robot biomimetico illustrato nel Paragrafo 1.3, il presente lavoro di tesi si inserisce in un progetto basato sullo studio di un animale che da molto tempo stimola la curiosità e la fantasia di molti studiosi e ricercatori: l’Octopus vulgaris. Nonostante nel prossimo Capitolo verranno affrontati nel dettaglio diversi studi condotti su questo curioso animale, in questa sezione è doveroso introdurre le ragioni per cui il polpo, è oggetto di particolari attenzioni da parte degli ingegneri e dei robotici.
Il polpo, un mollusco appartenente alla classe dei Cefalopodi, è un esempio paradigmatico per la bioispirazione robotica. Esso presenta delle caratteristiche estremamente affascinanti: nonostante la sua semplicità, data soprattutto dalla posizione che assume sulla scala evolutiva, presenta delle soluzioni a problemi ingegneristici altamente complessi. Il polpo è un animale marino invertebrato con stupefacenti capacità motorie e comportamenti molto intelligenti [13].
INFINITI GRADI DI LIBERTÀ. I suoi tentacoli possono, almeno virtualmente,
intensità. Il numero di movimenti eseguibili è altissimo, in virtù dell’assenza di link rigidi che in questo contesto costituiscono un impedimento cinematico, il che gli conferisce la capacità di raggiungere qualsiasi punto all’interno del suo spazio di lavoro con una delle numerosissime combinazioni possibili a sua disposizione.
ESTENSIBILITÀ DEGLI ARTI. Da un punto di vista strettamente robotico, una
delle caratteristiche più interessanti che un invertebrato può presentare è la straordinaria capacità di estensione dei suoi arti la possibilità di variarne la stiffness in un ampio range di valori. La robotica classica legata ai corpi rigidi rimane impressionata davanti alle prestazioni che questo animale è in grado di raggiungere e questo è lo stimolo che ha dato il via ai recenti studi di robot soft-bodied.
CONTROLLO. Nonostante la grande destrezza permessa dall’enorme numero di
gradi di libertà sopramenzionati, il polpo possiede un sistema nervoso molto semplice. Questo deve implicare necessariamente che l’evoluzione lo ha dotato di una strategia di controllo che gli permette di controllare un elevatissimo numero di gradi di libertà anche in mancanza di alti livelli di capacità computazionale. Questa soluzione è implementata attraverso un’alta efficienza di semplificazione e (come vedremo) in una decentralizzazione del controllo.
APPRENDIMENTO. Un’altro elemento assolutamente sorprendente riscontrato
nel polpo risiede nella sua innata capacità di adattamento e apprendimento, non solo pavloviano, ma anche visivo (cosa tutt’ora inspiegata dagli studiosi). Questo significa che esso è in grado di apprendere dagli stimoli negativi o positivi presentati dopo determinati comportamenti sia che questi siano presentati al soggetto in questione, sia che vengano presentati ad un suo simile sotto il suo sguardo.
MIMETISMO. Un’ultima, ma non in ordine di importanza, capacità riscontrata nel
polpo è la sua abilità di mimesi. È ritenuto uno degli animali che primeggia nell’uso di questa “arma”. Viene usata sia per difendersi dai suoi numerosi predatori (insieme all’uso dell’inchistro), sia come mezzo di avvicinamento alle sue prede. Questa capacità è legata alla particolare costituzione del pigmento che forma il suo tessuto epiteliale. Questi pigmenti, infatti, sono sensibili alla contrazione locale dei muscoli sottostanti che si traduce in una variazione di colore a seconda del tono muscolare che
viene mantenuto in quella determinata zona. Questo fatto va ad incrementare ancora di più la complessità di controllo nervoso e contribuisce alla meraviglia degli studiosi.
Molte teorie riconosciute spiegano che questi comportamenti così avanzati e la sua capacità di interazione con l’ambiente sono dovuti alla peculiare morfologia del corpo del polpo e specialmente alla forma e alla composizione dei suoi arti (tentacoli).
Attratti da queste evidenze, in passato sono già stati tentati degli approcci biorobotici, con risultati più o meno soddisfacenti.
1.6 Stato
dell’arte
Il tentacolo di polpo è già stato preso in considerazione come ispirazione nella robotica per sviluppare il cosiddetto “Continuum Robot”, un arto robotico con una struttura centrale continua e con mobilità omnidirezionale.
Alla fine del presente Paragrafo sarà chiaro che, in virtù delle definizioni date, gli approcci fin’ora tentati hanno una notevole valenza da un punto di vista della robotica bioispirata, ma una minima applicabilità nella robotica biomimetica. Essi non rispettano i principi costitutivi della morfologia naturale, quindi nonostante abbiano grandi potenzialità in altri campi, non possono essere considerati un valido supporto alla validazione di modelli.
Applicazioni potenziali di questi robot includono, invece, navigazione e operatività in ambienti congestionati e complessi in operazioni di ricerca e di salvataggio [14], o nel corpo umano per applicazioni biomediche [15].
1.6.1 DARPA OCTARM
Walker (Università di Clemson) e collaboratori, con il contributo dei finanziamenti stanziati dalla DARPA (l’agenzia dell’esercito americano dedita alle tecnologie di frontiera), hanno sviluppato un Continuum Robot che, in contrasto con i tradizionali robot a link rigidi, è caratterizzato da un spina dorsale continua senza giunti [16] [17]. Prendendo ispirazione dal tentacolo naturale, hanno realizzato un robot in grado di sollevare e manipolare oggetti di varie dimensioni e peso. Comandato da un’apposita
interfaccia software, OCTARM (questo è il suo nome) si muove grazie ad un impianto pneumatico ad aria compressa.
Fig. 1.8 Struttura e funzionamento del braccio robotico OCTARM.
È composto di 4 sezioni, intervallate e legate da 5 supporti discali che forniscono un punto di presa per gli attuatori (Fig. 1.8). In ogni sezione sono inseriti 3 attuatori McKibben che gli conferiscono, quindi un totale di 12 gradi di libertà.
La sua forma snodata gli permette di avvinghiarsi agli oggetti (Fig. 1.8): un operatore può così controllare i movimenti del braccio robotico grazie ad una telecamera posizionata sull’estremità dell’arto, aiutandosi per mezzo del feedback proveniente dai sensori tattili che ricoprono la struttura del tentacolo.
1.6.2 Elephant trunk
All’università di Clemson è stato sviluppato un manipolatore robotico che prende ispirazione da una struttura di un altro animale che sfrutta gli stessi principi di movimento del tentacolo di polpo: la proboscide di elefante [18].
Il modello sviluppato è molto più pratico, in quanto introduce notevoli semplificazioni: si basa sull’assunzione che l’arto si curvi in sezioni con curvatura costante e che sia incapace di torsione. Sotto queste premesse è stato realizzato un dispositivo formato da una serie di giunti prismatici e rotoidali che gli permettono di
essere controllati in cinematica diretta utilizzando semplicemente la tradizionale tecnica di Denavit-Hartenberg. Questo conferisce un grande vantaggio nell’uso dei tradizionali algoritmi di controllo.
Il robot è composto di 16 sezioni cilindriche, sottili e ravvicinate e collegate tra di loro attraverso l’uso di giunti rotoidali. L’attuazione del robot prevede solo la trazione di due cavi ogni 4 sezioni il che implica l’uso di meccanismi di sottoattuazione per tutte le altre sezioni. I gradi di libertà totali sono 32, di cui, quindi, solo 8 attivi. Coppie agonista-antagonista sono formate da diverse molle di richiamo disposte in posizione diametralmente opposta ai cavi (Fig. 1.9).
Fig. 1.9 Braccio robotico ispirato alla proboscide di elefante.
1.6.3 OCRobotics Snake-Arm
Un altro esempio che sfrutta gli stessi principi di continuum robot, ma ispirato ai serpenti è della compagnia inglese OCRobotics, che ha messo sul mercato un robot utile per accedere in spazi angusti dove il controllo e la manovrabilità sono critici [19].
L’arto robotico è stato anche fissato ad una piattaforma e usato per le ispezioni remote in situazioni pericolose (Fig. 1.10).
Il braccio è controllato attraverso dei cavi che corrono per tutta la lunghezza del braccio permettendo il controllo fine dei segmenti. Il braccio può essere controllato usando diverse modalità:
• controllo remoto di guida dell’apice del braccio attraverso l’uso di joystick e telecamera, disinteressandosi del movimento dei singoli segmenti;
• “nose following”, che costringe tutti i segmenti a seguire i movimenti del segmento di punta;
• il modo cartesiano permette all’operatore di specificare le coordinate del punto target da raggiungere con l’apice.
L’accuratezza nel controllo è molto alta: con un diametro di 60 mm e sotto il controllo manuale (via joystick) si ha una risoluzione spaziale di 50 µm. Valore che viene mantenuto costante anche mentre trasporta un carico di 10 kg.
Il design modulare è appositamente pensato per dare la possibilità di cambiare il segmento finale e sostituirlo con differenti tipi di end effector.