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Capitolo 1LA SCUOLA OGGI E LA SUA EVOLUZIONE TIPOLOGICA

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Capitolo 1

LA SCUOLA OGGI E LA SUA

EVOLUZIONE TIPOLOGICA

1.1. L’EVOLUZIONE STORICA DELLA TIPOLOGIA

SCOLASTICA

La scuola svolge il compito fondamentale di educare le nuove generazioni e trasmettere quelle conoscenze che garantiscono la continuità e lo sviluppo della civiltà.

Il progetto degli edifici scolastici è dunque un tema importante e delicato, in esso convergono ed entrano in gioco molte delle questioni nevralgiche dell'architettura civile come il rapporto con il luogo, le relazioni fra spazi collettivi, le modalità di aggregazione fra le parti, la questione della flessibilità, dell'ergonomia e il controllo bioclimatico, per questo motivo, per affrontarlo occorre partire dalla nascita e dallo sviluppo di tale tipologia e analizzare le soluzioni proposte dai progettisti nei diversi tempi ed ambienti.

In origine, e per molto tempo non esisteva un edificio destinato esclusivamente all’istituzione scolastica, in quanto l’istruzione avveniva, oltre che nel tempio o nella stessa casa del maestro, anche attraverso il contatto diretto con la vita della città, era questo il modello di organizzazione della scuole greca che appunto non possedeva sedi specifiche ma utilizzava gli spazi pubblici per le sue attività; tale caratteristica permarrà fino al moltiplicarsi delle discipline insegnate dai maestri e quindi all’aumento delle conoscenze specifiche richieste agli studenti

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nella società, quando si istituiranno insieme alle associazioni dei maestri nelle università anche degli appositi edifici per ospitarle. Il modello educativo greco, i suoi spazi, e perfino i nomi dei suoi luoghi sopravvivono attraverso la storia, presso i Romani, nei monasteri medioevali, nel Rinascimento e nell’Illuminismo fino al neoclassicismo e ai giorni nostri, costituendo il fondamento stesso della civiltà occidentale ma è nel monastero medioevale, che nascono molti degli elementi che ancora oggi si trovano nelle scuole: il refettorio, la biblioteca, i laboratori tecnici ecc.

Continuando l’analisi dello sviluppo della tipologia scolastica occorre sottolineare come si possa rilevare un’influenza dovuta agli sviluppi politici e sociali, determinato nuove esigenze e quindi nuove risposte.

La rivoluzione francese stabilì dei nuovi principi rispetto al passato, trasferendo responsabilità e del controllo dell’insegnamento dagli istituti religiosi allo Stato, in base al principio che l’istruzione dovesse essere pubblica e alla portata di tutti, proprio per consentire il loro passaggio dal ruolo di sudditi a quello di cittadini liberi e uguali fra loro; successivamente la rivoluzione industriale spinse ad ulteriori nuove trasformazioni scientifiche, culturali e pedagogiche.

La nascita della scuola pubblica con la sua conseguente diffusione, l’introduzione di licei e scuole tecniche professionali, produsse nuovi tipi edilizi e nuove impostazioni per gli edifici scolastici, assieme al mantenimento di schemi antichi e collaudati con l’introduzione di nuovi accorgimenti di tipo igienico e tecnologico.

Tra i secoli XVIII e XIX, allo scopo di diffondere almeno un’istruzione primaria a tutto il popolo, furono studiati sistemi di

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insegnamento che consentissero a poche persone colte, assieme ad altre solo sommariamente istruite, di insegnare a grandi masse di analfabeti. In Italia furono realizzate, a Milano e in Toscana, scuole simili che si chiamavano "di mutuo insegnamento". Gli ambienti dove si svolgevano le lezioni erano caratterizzati dalla presenza di numerose file di banchi e un complesso di pedane su cui trovavano posto gli insegnanti. Tale sistema di insegnamento fu probabilmente introdotto per diffondere in modo rapido e generalizzato la capacità di leggere e di scrivere utilizzando maggiormente l’apporto dei pochi insegnanti esistenti. L’importanza di questo tipo di scuola non consiste tanto nella sua singolarità organizzativa quanto piuttosto nel fatto che forse per la prima volta nella storia dell’edilizia scolastica l’organizzazione didattica dipende strettamente dall’organizzazione spaziale e dagli elementi di arredo e di supporto didattico dell’aula. Le scuole erano costituite dalla successione di aule con affaccio verso strada o cortile interno e collegate da lunghi corridoi, nasce dunque in questo periodo la tipologia della scuola a blocco.

I cambiamenti che successivamente avvengono sia nella forma, che nella organizzazione degli edifici scolastici a partire dall’inizio del XX secolo derivano da un grande sviluppo delle idee sulla pedagogia e sul ruolo dell’istruzione nella società.

Alla fine del XIX secolo, per tentare di affrontare i problemi posti dalla rivoluzione industriale, si sviluppò un vastissimo movimento pedagogico detto “attivismo”, che vide una larga diffusione soprattutto nei paesi a più vasto sviluppo industriale, nei quali il profondo intreccio tra la nuova realtà tecnica, la società e il ruolo dell’istruzione nello sviluppo di quest’ultima erano maggiormente sentiti. Nacque la new school, il suo programma era basto non sull’insegnamento diretto delle materie secondo il metodo

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tradizionale, ma sull’esperienza del fare, sulla manipolazione e in genere sulle attività manuali. La new school poneva come elemento centrale dell’educazione l’apprendimento derivante dall’esperienza e dall’attività lavorativa, dando molta meno importanza a un insegnamento formale, inoltre veniva favorita l’aggregazione dei ragazzi in gruppi nati non da un accostamento casuale o sentimentale, ma dall’opzione per interessi comuni e comuni attività. Tali motivi inducono alla necessità della scomparsa dell’aula tradizionale che dovrebbe trasformarsi in un vero e proprio laboratorio, dove una piccola società democratica rispecchia col suo lavoro quello, più ampio, della società adulta. Un contributo significativo alle trasformazioni che avvengono sia dal punto di vista pedagogico che organizzativo nella scuola viene dato dalla pedagogista Maria Montessori. La Montessori si formò secondo le linee della corrente filosofica positivistica dominante allora in pedagogia, accostandosi quindi ai problemi educativi con tutti i limiti della cultura del tempo. Malgrado però tali presupposti, il sistema montessoriano possiede tuttora una sua attualità e vitalità nel considerare fondamentali nell’educazione i motivi della libertà e della dignità della persona umana e a tali motivi subordina, in modo funzionale, l’intera tecnica educativa. Il metodo consiste essenzialmente nell’esercitazione del movimento, all’uso e al controllo dell’ambiente, considerando l’educazione sensoriale tanto importante quanto quella intellettuale, insieme allo sviluppo morale, umano e sociale. Le scuole montessoriane sono organizzate come delle case nelle quali l’alunno non trova banchi e cattedre, ma un ambiente familiare fatto a misura di bambino, un ambiente in cui può muoversi in totale libertà. I concetti principali dell’attivismo contribuirono ad aprire un dibattito e a

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porre in discussione alcuni principi e modi educativi in uso da tempo memorabile. Alcuni concetti basilari della scuola attiva ebbero effetti principalmente sulle dotazione e gli arredi scolastici, ma è la filosofia educativa che fece sì che venissero introdotti gradualmente, anche nelle scuole di tipo tradizionale dei nuovi modi di insegnamento che comportavano una differente organizzazione sia dei singoli spazi che degli interi complessi scolastici. Il diffondersi delle idee della scuola attiva ha comportato un’influenza molto vasta e immediata per quanto riguarda sia le realizzazioni sia le normative e queste nuove esigenze spaziali e organizzative della didattica hanno prodotto sia dei tipi edilizi nuovi sia delle rielaborazioni molto importanti dei tipi già esistenti, tutte in ogni caso tendenti a rompere l’uniformità spaziale dell’edificio in modo da renderlo partecipe del processo educativo.

Per esigenze molto diverse tra loro, fin dall’inizio del ‘900, si delinearono essenzialmente due diverse tipologie: una derivante dall’esigenza di accorpare ulteriormente il blocco, l’altra, esattamente contraria, e di matrice razionalista, tendente a superarlo completamente per espanderlo all’aperto.

Del primo caso si tende a ridurre notevolmente lo sviluppo complessivo dei corridoi e dei percorsi e quindi il nuovo tipo edilizio è più compatto dell’edificio a blocco tradizionale, più economico e, per molti aspetti, meno dispersivo, gli spazi connettivi della scuola, i ballatoi e le scale, perdono però il rapporto diretto con l’esterno e le attività scuola viene a svolgersi maggiormente in se stessa.

Completamente opposta l’altra tipologia che tende a dilatare la scuola verso gli spazi esterni all’aperto. Nell’ambito di questo tipo di scuola, si assiste a una profonda diversificazione

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dell’organizzazione spaziale e distributiva degli edifici. Accanto a una impostazione di derivazione razionalista nella quale permangono gli schemi tradizionali dell’aula-corridoio, dei corpi giustapposti, composti in organismi liberi dal punto di vista della disposizione sul terreno, in ogni caso tendenti al raggiungimento delle condizioni ottimali se ne ha un’altra aperta e suscettibile di diversi apporti nel tempo.

Schemi di questo tipo necessitano ovviamente di superfici molto estese per poter essere ospitati e presuppongono la possibilità di un forte controllo da parte delle autorità amministrative nell’organizzazione delle diverse fasi di sviluppo.

Durante gli anni sessanta e settanta si ebbe una grande diffusione, soprattutto nei paesi anglosassoni, di un tipo intermedio nel quale si tentava di riunire assieme alcune delle caratteristiche del tipo a blocco e della scuola estensiva, l’open plan. Il risultato che si cercava di raggiungere era sostanzialmente quello di poter ottenere un sensibile risparmio di spazio, e quindi una sensibile economia nei costi, attraverso l’eliminazione dei corridoi, dei passaggi e del connettivo in generale. Tale scopo, che precedeva senza dubbio le considerazioni riguardanti l’organizzazione della didattica e le sue necessità di rinnovamento, veniva raggiunto mediante la realizzazione di spazi indifferenziati e quanto più possibili neutri, che venivano definiti mediante l’adozione di un arredo multifunzionale, da pareti mobili e attrezzate, che consentivano un uso multiplo dei differenti ambienti, improntati alla massima flessibilità. Tale organizzazione comportava un conseguente mutamento nella scuola e nel suo funzionamento con la sostituzione dello spazio tradizionale dell’aula con ambienti laboratorio che richiedevano una rottura del rapporto tradizionale

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fra insegnanti e allievi. Tale atteggiamento era però in contrasto con le posizioni razionaliste, le quali asserivano una stretta dipendenza fra la forma e la funzione. La perdita quindi dell’unicità della funzione creava libertà delle relazioni spaziali, ma anche la possibilità di aggregazioni caotiche e di difficile controllo.

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1.2 LA VICENDA ITALIANA DAL DOPOGUERRA E

LA RIFORMA SCOLASTICA

Nel dibattito architettonico italiano il tema dell’edilizia scolastica riveste una posizione importante e si evolve a grandi linee in tre fasi, soprattutto dal secondo dopoguerra agli anni ottanta.

Il primo periodo muove dalla fine degli anni quaranta e si prolunga fino ai primi degli anni sessanta in stretta relazione con l'attività legislativa e le politiche di riforma. L'obiettivo è definire i nuovi caratteri dell'edificio scolastico nell'Italia repubblicana e antifascista riconfigurandone lo statuto progettuale. Al centro del dibattito vi sono la visione dello spazio scolastico come luogo privilegiato della vita associata, la scuola come centro di quartiere, il passaggio dal funzionalismo fisico al funzionalismo psicologico, il suo tradursi in spazio non autoritario nella successione dalla "scuola caserma" (schema a corridoio) all'"unità funzionale" (l'aggregato di aule distribuito senza corridoi né portici).

L'argomento più discusso è il concetto stesso di "unità funzionale", il corpo di fabbrica minimo che ospita le aule con l'aggiunta di un ambiente per le esercitazioni e l'attività assembleare; più unità formano l'aggregato scuola, mentre il ruolo della pedagogia assume una posizione centrale suggerendo la sostituzione della "scuola per ascoltare" con la "scuola per scoprire". Alimentati dall'entusiasmo per la costruzione della nuova democrazia e da un clima permeato di idealismo, questi assunti assumono a tratti un risvolto ambiguo. Dal "concorso per scuole all'aperto" bandito nel 1949 dal Ministero della Pubblica Istruzione alla Triennale di Milano del 1960, dedicata al mondo della scuola, la questione sembra ridursi a un problema della

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forma: il tipo a padiglione è meglio di quello a corridoio o viceversa ma appare opinione comune che lo spazio lineiforme introduca una sequenza di gerarchie che nella nuova scuola devono essere evitate.

Prevalgono i concetti di "scuola casa" e "scuola all'aperto" nel doppio significato d'apertura alla società e all'ambiente naturale. Il movimento dell'architettura organica domina culturalmente il dibattito e la fluidità fra interno ed esterno costituisce un fondamentale requisito di questa genesi, poiché permette di rispondere ai movimenti e ai problemi percettivi che riguardano gli spazi: traiettorie dei passaggi, tipo e qualità delle vedute, uso dei materiali, dosaggio della luce, ecc.

La seconda fase si articola fra gli inizi degli anni sessanta e metà degli anni settanta, con il varo della scuola media unica nel 1962 è nominata una Commissione nazionale di studio sull'edilizia per la nuova scuola media, si analizza lo stato delle cose e si prospettano i nuovi investimenti abbandonando il conteggio per aule e sostituendolo con il concetto di "posto alunno".

Nel 1967 con la legge 641 la costruzione degli edifici si affida alla stesura di piani quinquennali, il che, unitamente all’introduzione di una normativa tecnica e di standard funzionali adeguati, generò un decentramento delle responsabilità e problemi nel reperimento dei finanziamenti con il risultato di disseminare il territorio nazionale di edifici incompleti. Nel 1968, in concomitanza con il Primo censimento nazionale dell'edilizia scolastica si istituisce la scuola materna statale.

La data fondamentale per l’edilizia scolastica italiana è sicuramente il 1975 con l‘introduzione del D.M del 18 dicembre 1975 "Norme tecniche relative all’edilizia

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scolastica" che contiene le linee guida per lo sviluppo degli edifici e che tutt’ora è la legge di riferimento per i progettisti. Il concetto di flessibilità è visto sia in termini evolutivi che di adattabilità, la scuola è pensata non più solo come una struttura spaziale ma anche come un luogo di variazioni temporali. Lo studio di nuovi sistemi costruttivi libera e approfondisce i temi dell'aula modificabile, delle unità didattiche accorpabili, dell'intercambiabilità, concetti già indagati alla fine degli anni quaranta sebbene in un regime costruttivo tradizionale.

Gradatamente in questi anni si assiste a una despecializzazione planimetrica dell'edificio rispetto alle proposte più individualizzate elaborate nel dopoguerra. Ciò coincide non solo con il passaggio dal cantiere tradizionale a procedure di costruzione più industrializzate, ma anche con la crescente standardizzazione di queste ultime dopo un periodo di grande eterogeneità nelle soluzioni che regolavano sistemi tecnologici e disegni delle componenti. Seppure in ritardo rispetto agli altri paesi europei, l'entrata della scuola-fabbrica nel panorama edilizio italiano si combina con la produzione di alcuni progetti di alta qualità nei quali il rischio dell'indifferenza planimetrica è costantemente annullato da una complessità spaziale e da uno standard elevato, non paragonabile con l'edilizia comune.

In tempi più recenti gli studi negli enti statali preposti (ministeri, centri studi, università) si riducono drasticamente e l'attività di progettazione e di sperimentazione tecnologica riveste un ruolo marginale nella pubblicistica. Le cause sono da ricercare nella crisi economica, nei minori investimenti, nella contrazione delle nascite, nelle scarse occasioni di nuova edificazione.

Gli interventi si concentrano sul già costruito o si punta ad economie di spesa dimettendo piccole unità e razionalizzando le

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risorse attraverso la concentrazione dei servizi in complessi scolastici esistenti o da ingrandire.

Negli ultimi anni si registra invece un rinnovato interesse nel campo dell’edilizia scolastica a causa di un’inversione di tendenza dal punto di vista demografico e dell’attenzione posta sulla scuola in relazione all’approvazione della riforma, legge n°53 del 28 Marzo 2003, in realtà ad oggi già rimessa in discussione.

L’incremento delle nascite è legato non solo a maggiori nascite nel nostro paese ma anche al fenomeno sempre più importante dell’immigrazione. Le nuove scuole saranno dunque chiamate ad educare e ad accogliere bambini con esigenze diverse rispetto a quelle del passato sia per i differenti modi di vita, sia a causa di un mutato equilibrio all’interno della famiglia ma anche perchè provenienti da luoghi, culture e tradizioni lontane. La riforma scolastica modificando gli obiettivi e gli strumenti della scuola si pone come passo fondamentale per una rilettura e una nuova normativa nel campo dell’edilizia scolastica.

Portare delle innovazioni nelle materie e nei modi di insegnamento e nell’organizzazione delle istituzioni scolastiche provoca necessariamente l’adattamento degli edifici a nuove richieste.

Gli aspetti della riforma che maggiormente sembrano incidere nell’organizzazione spaziale degli edifici possono essere desunti nell’articolo 1 della legge 53 dove si spiega che per la realizzazione delle finalità della legge il ministro predispone un piano programmatico di interventi finanziari per l’adeguamento delle strutture di edilizia scolastica e a sostegno della riforma degli ordinamenti al fine di sviluppare e valorizzare l’autonomia delle istituzioni scolastiche, lo sviluppo delle tecnologie multimediali e dell’alfabetizzazione nelle tecnologie informatiche e dello sviluppo dell’attività motoria e delle competenze

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ludico-sportive al fine di incoraggiare e sviluppare le doti creative e collaborative degli studenti.

Due sembrano gli ambiti di maggior influenza: il primo legato alla dimensione delle strutture scolastiche al fine di realizzare la richiesta di autonomia, l’altro relativo alla dotazione di spazi idonei per lo sviluppo di attività tecnologiche, tecniche e sportive, in questo secondo punto infatti si fa riferimento all’attività pratica di gruppo e personale che presuppone quindi un’adeguata dotazione di spazi specializzati. Nei Documenti che accompagnano la progressiva attuazione della riforma è prevista la realizzazione di laboratori, d’istituto o di rete, che vengono indicati come uno degli strumenti fondamentali per la personalizzazione del Piano di studio.

In conclusione, se pur questo tipo di considerazioni abbiano un’influenza minore nel momento in cui si parla di scuole materne, legate più a concetti pedagogici che all’apprendimento formale, appare comunque chiara la necessità di predisporre spazi capaci di realizzare questo nuovo modo di pensare la scuola, spazi più ampi, specializzati e maggiormente attrezzati ma anche la necessità di rileggere in chiave nuova lo spazio dell’aula che deve essere sempre più flessibile, adattabile, trasformabile.

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1.3. L’INNOVAZIONE TIPOLOGICA NELLA SCUOLA

DELL’INFANZIA

1.3.1 RICERCA DI UN NUOVO HABITAT

Le esperienze pedagogiche attualmente più avanzate tendono al superamento del ruolo direttivo svolto dagli educatori nei confronti del bambino, questo porta inevitabilmente, dal punto di vista progettuale, all’abbandono dell’approccio funzionalista nella concezione degli spazi; la scuola dell’infanzia, da insieme strutturato di spazi funzionali ai quali si accede in tempi precisi concepiti e gestiti dagli adulti diviene un luogo in cui il bambino impara a sperimentare se stesso in rapporto con l’ambiente circostante e con gli altri; diviene un laboratorio interattivo e creativo in cui impara ad esprimere le proprie vocazioni artistiche e a svolgere autonomamente le attività che desidera in funzione delle attitudini, dello stato d’animo, dell’età, della cultura, ecc. La possibilità da parte del bambino di agire liberamente, avere accesso a tutti i giochi, gli strumenti didattici e i luoghi, intervenire sugli assetti per modificarli in base alle proprie esigenze, è possibile solo a condizione che gli spazi siano pedagogicamente e architettonicamente predisposti a questo; in particolare uno spazio così articolato offre ai bambini opportunità differenziate per creare e giocare, anche in piccoli gruppi, e svariate situazioni che invitano all’azione-interazione e alla esplorazione.

Quindi gli ambienti della nuova scuola dell’infanzia, devono farsi carico di svolgere un ruolo compensativo di tutti gli scenari di socializzazione e di appropriazione sensoriale che sarebbero altrimenti negati ai bambini in crescita. Nasce, attraverso il progetto della scuola dell’infanzia, la necessità di prevedere ciò

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che nel passato l’habitat offriva spontaneamente, dando una risposta alla limitatezza di opportunità che oggi il bambino, in particolare in ambiente cittadino, ha a disposizione per manifestare le proprie tensioni creative ed esplorative.

1.3.2. POLIVALENZA DEGLI AMBIENTI E LORO TRASFORMAZIONE

Nella nuova scuola dell’infanzia tutti gli ambienti, anche quelli considerati tradizionalmente di servizio, dovrebbero assumere una valenza formativa.

Altrettanto, l’attitudine dei luoghi della scuola ad adattarsi al mutare delle istanze sociali, delle esigenze individuali e delle più specifiche innovazioni di carattere pedagogico, diviene un requisito essenziale alla luce della maggiore inerzia alle trasformazioni del costruito rispetto a quella dei metodi d’insegnamento.

Realizzare edifici in grado di mantenere nel tempo la propria efficacia formativa significa assumere il cambiamento e l’evoluzione come paradigmi progettuali; significa garantire accanto ad una flessibilità a medio e lungo termine, anche la versatilità d’uso degli ambienti, cioè la possibilità di garantire, modifiche degli assetti nell’arco della giornata. attraverso spostamenti e riconfigurazioni degli arredi o l’uso di pareti scorrevoli.

Lo spazio è vissuto dai bambini in maniera ambivalente: è guscio protettivo e terreno di conquista. E questa ambivalenza assume connotazioni diverse anche in rapporto alla loro età. I bambini più piccoli hanno un maggiore bisogno di riconoscersi nel proprio territorio, di avere punti di riferimento fissi e sicuri, di frequentare luoghi conosciuti e con caratteri costanti. Per i

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bambini più grandi, il carattere di indeterminatezza e variabilità degli ambienti può, viceversa, rivelarsi gradevole e stimolare la loro immaginazione.

In ogni caso, ricercare la flessibilità non deve condurre alla progettazione di ambienti neutrali in cui l’attitudine ad accogliere successive e non prevedibili esigenze sia ottenuta attraverso la mancanza di caratteristiche distintive, cioè di una chiara identità degli spazi.

L’ipotesi di lavoro più promettente è quella di progettare ambienti ed arredi polivalenti che si prestino ad una molteplicità d’usi e che possano assumere una pluralità di ruoli grazie alla loro stessa conformazione o attraverso semplici interventi di modifica da parte dei bambini o degli insegnanti. La polivalenza può essere intesa dunque, come l’attitudine di un ambiente o di un arredo di consentire con la stessa efficacia lo svolgimento di diverse attività senza perdere la propria identità.

L’efficacia morfologica nasce dalla riflessione sul rapporto tra la costituzione ed il dimensionamento degli spazi e rappresenta una vera risorsa organica dell’edificio.

Una delle maggiori difficoltà nella progettazione delle scuole dell’infanzia deriva dal fatto che ciò che i bambini cercano e si aspettano dall’ambiente difficilmente coincide con ciò che gli adulti ritengono sia per loro più adatto. Questa divergenza è originata dalla contrapposizione fra la mentalità logica, razionale, funzionale degli adulti e quella irrazionale, imprevedibile e fantasiosa dei bambini. Se gli adulti vorrebbero per i bambini ambienti ordinati, puliti, strutturati ed attrezzati, questi preferiscono il disordine, le sorprese, la possibilità di manipolare l’ambiente per adattarlo ai propri bisogni e alla propria immaginazione.

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Montare, smontare, costruire, demolire... sono altrettante attività che consentono al bambino di riconfigurare gli spazi alla sua misura, alla sua scala.

La possibilità di intervenire direttamente sull’ambiente per adattarlo ai propri bisogni, individuali e di gruppo, è ritenuto un presupposto pedagogico importante per comprendere l’ambiente stesso e impossessarsene. La stessa possibilità di intervenire sulle condizioni microclimatiche degli ambienti rappresenta per il bambino un modo per impossessarsi dello spazio e sentirsi artefice. E’ anche vero che le novità stimolano la curiosità e che affrontare nuovi giochi e nuove esperienze può rappresentare l’occasione per progettare e realizzare nuovi assetti spaziali. Le avventure e i giochi legati alla trasformazione della sezione possono favorire l’identità del gruppo; quelli svolti negli ambienti collettivi possono fornire opportunità di relazione e scambio tra i bambini di età e di sezioni diverse.

1.3.3. UN “LABORATORIO SENSORIALE”

Nella scuola dell’infanzia è essenziale che il bambino, per potersi appropriare del proprio intorno, sperimenti l’ambiente mediante l’intero spettro delle modalità sensoriali.

L’obiettivo è di realizzare ambienti altamente comunicativi in grado di stimolare, insieme ai cinque sensi aristotelici, anche le diverse sensazioni (di posizione, d’equilibrio, cinestesiche, aptiche, igrotermiche…).

L’educazione sensoriale può avvenire, nella maniera più semplice, mediante il ricorso a spazi e a materiali di finitura in grado di enfatizzare l’alternanza di opposti: il chiaro e lo scuro, l’orizzontale e il verticale, il leggero ed il pesante, il piccolo ed il

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grande, il duro ed il morbido, il sonoro e il silente, il liscio e il ruvido, il caldo ed il freddo.

Specialmente le aree a cielo aperto possono fornire svariate occasioni di apprendimento sensoriale grazie sia alle piante e ai materiali di pavimentazione che alle azioni prodotte su di essi dagli agenti atmosferici: la pioggia enfatizza gli odori e, incidendo sulle diverse superfici che incontra, ne differenzia le qualità materiche e formali: il vento crea sibili e correnti d’aria, fa frusciare le foglie degli alberi, fa vibrare e battere elementi leggeri.

Fare della scuola dell’infanzia un “laboratorio sensoriale” rappresenta un obiettivo formativo utile per tutti i bambini e, in particolare, per quelli con minorazioni visive o uditive.

1.3.4. LA SEZIONE FLESSIBILE

La sezione, dovendo consentire lo svolgimento, anche simultaneo, di diverse modalità educative e di svariate attività, ha subito dai tempi della tradizionale aula rettangolare lunga e stretta una notevole evoluzione.

Diversi studi segnalano che, per conseguire obiettivi di qualità sotto il profilo pedagogico, non è sufficiente definire l’ampiezza della sezione in base al numero di bambini presenti o previsti, ma occorre considerare la sua morfologia, i metodi formativi, i contenuti che verranno trattati.

Sia pure con le differenze tra caso e caso, l’idea di sezione articolata in micro-ambienti , come ambiente domestico si è ormai affermata diffusamente.

Esistono strategie di configurazione morfologica della sezione e di disposizione degli arredi che si addicono meglio di altre alle

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diverse metodologie educative, e che limitano l’influenza negativa dovuta all’alta densità sul rendimento dei bambini. In base a come vengono distribuite le persone nello spazio, infatti, si possono avere diverse sensazioni di affollamento e di disagio, che si riflettono negativamente nell’attività didattica. Il grado di attenzione verso l’insegnante diminuisce quando i bambini sono raggruppati insieme e aumenta quando sono disposti nella sezione separatamente in piccoli gruppi, distanziati l’uno dall’altro.

Numerosi studi hanno individuato nella forma ad ‘L’, ottenuta accostando due rettangoli di diversa superficie, una configurazione particolarmente versatile per garantire il soddisfacimento dei requisiti di distanza e separazione accanto a quelli di compattezza e di flessibilità. La morfologia ad ‘L’ rivela una buona attitudine a limitare le interferenze tra gruppi, per le attività che necessitano di concentrazione, senza ostacolare la percezione dell’identità del gruppo-classe e le necessarie funzioni di vigilanza dell’insegnante; consente, accanto alla tradizionale lezione frontale, l’insegnamento individualizzato, la compresenza di più insegnanti impegnati in attività diverse e i lavori per piccoli gruppi. Inoltre, permette di difendere la privacy del singolo nel momento in cui questi ne avverte maggiormente il bisogno. Infatti, nel bambino coesistono la necessità di interagire con gli insegnanti e con i compagni e l’esigenza di privacy e di riservatezza, nei momenti in cui desidera dedicarsi individualmente al gioco o allo svolgimento di un’attività. Soprattutto nella scuola dell’infanzia vi è nel bambino un grande bisogno di avere uno spazio riservato, raccolto, silenzioso, da gestire autonomamente nei momenti di riflessione e di raccoglimento. A tale scopo si possono utilizzare pareti ondulate

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visivamente stimolanti per il bambino e facilmente allestibili per accogliere angoli di uso esclusivo.

E’ stato infatti osservato che l’esigenza di isolarsi è contrastata dal desiderio di non rimanere totalmente esclusi dalle attività degli altri. A questo proposito si devono realizzare angoli appartati per lo svolgimento delle attività individuali, ma non separati, in modo da consentire il superamento della sensazione di esclusione dalle attività degli altri e facilitare l’attenzione verso il compito che si sta svolgendo. Postazioni cosi concepite si rivelano congeniali per le attività integrative svolte dagli insegnanti di sostegno con i bambini disabili o dagli operatori culturali con i bambini stranieri. Non confinare tali attività in spazi ‘a parte ’ consente a questi bambini di mantenere un legame con i compagni e di concentrarsi nei “lavori” da svolgere senza sentirsi esclusi dagli altri; consente ai loro compagni di apprendere nuove forme di comunicazione, tradizioni e culture diverse: consente di percepire l’insegnante di sostegno o l’operatore culturale non come figure aliene ma come educatori di tutta la classe.

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1.4. MODELLI TIPOLOGICI

1.4.1. LA TIPOLOGIA A SEZIONI DISTINTE

La tipologia a sezioni distinte, più o meno dotata di autosufficienza funzionale, costituisce indubbiamente per la didattica un modello rigido, poiché vengono pregiudicati sicuramente i rapporti d’intersezione, tra l’altro attuati in poche e rare occasioni, costituendo la sezione il luogo privilegiato per lo svolgimento delle attività educative.

Dal punto di vista distributivo il modello tipologico può comportare la formazione di vere e proprie microscuole localizzate all’interno di uno stesso edificio ed aventi in comune i servizi generali. Le sezioni possono essere disposte:

- in batteria con sviluppo lineare;

- attorno ad uno spazio centrale solitamente destinato ad attività collettive e di intersezione;

- a padiglioni con forma, distribuzione interna ed orientamento anche diversi.

Si fa rilevare che oggi la sezione non viene più intesa come la classica aula di forma parallelepipeda, ma come un ambiente articolato o articolabile in aree funzionali o su ambienti distinti organizzati sulla base di precisi indirizzi educativi. Le sue aree funzionali possono essere organizzate o secondo il modello normativo o per angoli o fuochi di attività, lo spazio solitamente è variamente articolato sia in senso planimetrico che altimetrico.

1.4.2. LA TIPOLOGIA A PIANO APERTO

La tipologia a piano aperto (open plan), sfruttando i vantaggi derivanti dal trascurabile ingombro degli elementi strutturali puntiformi, consente di avere a disposizione vaste superfici

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coperte che possono essere distribuite più liberamente. Essa si adatta a modelli educativi che, a differenza della suddivisione classica in sezioni, prevedono gruppi misti e non fissi, realizzando così un efficace interscambio tra gli insegnanti e una collaborazione tra i bambini, liberi anche di svolgere attività individuali. Nelle scuole a piano libero le zone destinata ai bambini sono costituite da spazi di dimensioni e forma differenziate che sostituiscono le aule, con il vantaggio soprattutto dell’eliminazione di quegli spazi sottoutilizzati. Tra gli spazi attività non esistono più distinzioni tra aree strettamente didattiche e aree per gioco puro, in quanto tutta la superficie è didatticamente coinvolta. Le aree solitamente vengono definite con tramezzi leggeri non necessariamente a tutta altezza, arredi mobili facilmente smontabili e rimontabili.

I maggiori inconvenienti in questo tipo di scuole, possono derivare in merito allo svolgimento delle attività rumorose e da una difficoltà di orientamento a causa della non totale definibilità per spazi così altamente flessibili. La tipologia a piano aperto può ritenersi più efficace qualora venga attuata a livello di sezione e non per tutto l’edificio. Secondo alcuni educatori il piano libero si presterebbe meglio ad indirizzi pedagogici che non prevedano alcuna forma esterna d’insegnamento, essendo apprendimento conseguente al contatto con la particolare strutturazione di spazi ed arredi, aventi funzione stimolatrice.

1.4.3. LA TIPOLOGIA PER CENTRI D’INTERESSE

La tipologia per centri d’interesse (o degli spazi a laboratorio) consiste nella distribuzione dello spazio interno secondo ambienti con forme e dimensioni differenziate, in sostituzione delle aule-sezioni, per lo svolgimento di attività specializzate verso cui saranno indirizzati i bambini.

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La funzione degli spazi-laboratorio è quella di consentire l’apprendimento mediante la sperimentazione e la produzione da parte del bambino, in sintonia con i suoi tempi di elaborazione e senza condizionamenti esterni da parte dell’adulto. Ciascun laboratorio solitamente viene affidato ad un insegnante specializzato per “guidare” i bambini.

Nelle strutture tradizionali il modello didattico può attuarsi utilizzando, per l’allestimento di angoli di attività, anche i cosiddetti spazi extra-sezione (corridoi, disimpegni, atri, ecc). L’attuazione di questo modello tipologico, richiede un approfondito studio e conoscenza dei programmi didattici, e non a caso attualmente esso riveste ancora un ruolo sperimentale e di tipo extra-scolastico.

1.4.4. IL MODELLO TIPOLOGICO INTERMEDIO

L’integrazione dei vantaggi educativi dei modelli tipologici per sezioni distinte e per centri d’interesse, finalizzata soprattutto al recupero degli spazi sottoutilizzati, può conseguirsi attuando un modello tipologico-didattico intermedio, quello per “sezioni e centri d’intersezione”.

Secondo il modello tipologico intermedio, lo spazio destinato alle attività d’intersezione dovrebbe essere opportunamente distribuito in ambienti minori, più rispondenti ed idonei all’allestimento di laboratori per attività individuali e/o di gruppo ma fra loro collegati, in modo da favorire l’interscambio delle esperienze tra i bambini.

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1.5. SPAZI COMPLEMENTARI AD USO

AMMINISTRATIVO

La carenza o la necessità di spazio è solo una delle motivazioni di cambiamenti e investimenti molto consistenti nella realizzazione di edifici adibiti ad uso amministrativo; si ricerca uno spazio adeguato per funzionalità e immagine alle attività e ai rapporti che si vogliono intraprendere, e si può ragionevolmente affermare che la dislocazione fisica rispecchia in qualche modo una geografia di relazioni di importanza, ed è la rappresentazione stessa dell’organizzazione dell’azienda o dell’amministrazione.

Il progetto della sede come ausilio al management aziendale, questa può essere la sintesi efficace con cui descrivere la complessità della scelta e dello sviluppo di una nuova localizzazione immobiliare nell’ambito di un’organizzazione aziendale. Nel processo di sviluppo della sede fisica di una attività si manifestano e si concretizzano le politiche aziendali si ha l’immagine dell’azienda e lo stile dei suoi amministratori.

I motivi che spingono ad avviare progetti per nuovi allestimenti di uffici o a rinnovare la sede di una azienda sono vari:

- nuove necessità in termini di comfort e comodità;

- eccessivo costo del canone di locazione della sede con conseguente convenienza a una nuova localizzazione;

- inadeguatezza della distribuzione dei locali;

- diseconomie relative alle voci servizi, trasporti, parcheggi e quanto attiene ai fattori dovuti alla localizzazione dell’immobile;

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- modifiche relative all’organizzazione aziendale dovuta a riorganizzazioni fusioni eccetera.

Questo fa sì che mediamente ogni 7/8 anni si ponga il problema di ricercare una nuova sede o di rinnovare quella esistente e, accanto a questo bisogna tenere presente che nel corso di un anno circa il 25 per cento delle postazioni di lavoro cambia assetto. Un’altra motivazione non strettamente legata a fattori fisici, è apparentemente riferita all’immagine e alla produttività, in effetti si coglie l’occasione del cambio di sede per mobilitare il personale, al fine di stimolare l’adesione al progetto aziendale, ma è anche il momento in cui si compiono riorganizzazioni, in cui si può riqualificare e ristrutturare consistentemente un’azienda. Qualcuno addirittura propone, con una buona dose di sincerità, questi passaggi come occasione per separarsi facilmente da una parte dei dipendenti. In sintesi il cambio di sede può essere, e alcuni lo affermano esplicitamente un ausilio ai metodi di gestione nella fase di sviluppo e riqualificazione di un’azienda.

1.5.1. L’ORGANIZZAZIONE

Nell’affrontare il problema di dare un adeguato luogo fisico ad una organizzazione amministrativa o più in generale a un’organizzazione, va fatto almeno un cenno alle questioni più importanti che caratterizzano il tema dell’organizzazione stessa. Un’organizzazione può essere definita come: un gruppo di

persone che sono unite da una motivazione per il raggiungimento di un obiettivo.

Notiamo subito come l’obiettivo e il tipo di motivazione contribuiscono a dare elementi per il profilo di immagine

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dell’organizzazione, e i contenuti che questa vuole comunicare con diverse possibili sottolineature all’esterno e all’interno.

L’organizzazione di tipo particolare che va sotto il nome di organizzazione aziendale, ma nella quale possiamo ricomprendere attività che hanno come fine la produzione di beni o di servizi, con o senza diretto fine di lucro, si può descrivere schematicamente attraverso quattro variabili:

- i compiti - la struttura

- lo sviluppo tecnologico - l’elemento umano.

I compiti attengono agli obiettivi dell’organizzazione in merito ai beni e servizi che questa produce, intesi in senso ampio. La struttura è costituita dal sistema di dipendenza gerarchica e dai sistemi di comunicazione e di flusso di lavoro.

La componente tecnologica è evidentemente riferita ai supporti e agli ausili che la produzione adotta per ottimizzare le sue attività e ovviamente tra queste ricade anche la struttura spaziale intesa sia come sede, sia come insieme delle connessioni sia legano vari luoghi di produzione.

Infine l’elemento umano in cui le motivazioni che spingono l’individuo a partecipare alle attività, le quali dovrebbero essere la premessa delle condizioni di lavoro ottimali, sono legate anche ad un ambiente confortevole e che garantisca una serie di qualità, peraltro in parte regolate da leggi, che non costituisca fonte di pericolo per il lavoratore.

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1.5.2. MODI E LUOGHI DEL LAVORO

La struttura organizzativa dei modi in cui si svolge il lavoro di ufficio non può non comprendere un aspetto legato alla gerarchia delle funzioni svolte dai vari membri dell’organizzazione stessa, e questo qualunque sia l’attività svolta.

Un’organizzazione strutturata pone problemi legati all’attribuzione dei compiti, all’individuazione delle funzioni dei vari membri, alla loro variabilità nel tempo necessaria per garantire la flessibilità richiesta, ma la strutturazione, che pure è necessaria per rendere possibile il lavoro d’insieme, può diventare un fattore di inerzia organizzativa. Varie risposte in termini organizzativi si sono tentate per dare soluzione al problema, ad esempio lo schema di lavoro per progetti, in cui di volta in volta si formano gruppi di lavoro che rispondono in tempi più brevi a esigenze specifiche, tematiche, grazie alla presenza di varie figure con competenze differenziate e integrate, ma la tendenza futura è quella di limitare l’organizzazione alle attività fondamentali di un settore e di ricercare all’esterno gli apporti specialistici che sono disponibili in un ambito di relazioni esterno alla struttura aziendale o pubblica.

La continua ricerca di nuove forme organizzative, come risposta alle nuove esigenze, ha degli effetti sensibili sui modelli spaziali degli edifici a uffici, ai vari tipi di organizzazione hanno corrisposto nel tempo varie forme aggregative dei luoghi del lavoro, gli orientamenti hanno oscillato tra l’ufficio cellulare e lo spazio aperto con diverse soluzioni intermedie.

Considerando in questa sede solo in generale i modi del lavoro oscillanti tra autonomia e interrelazione si possono considerare alcune delle principali modalità di organizzazione dello spazio a ufficio quali l’ufficio a pianta cellulare e l’ufficio a spazio aperto.

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L’UFFICIO A PIANTA CELLULARE

Corrisponde a un modello storico: “la stanza di varia grandezza

corrispondente alla funzione dell’utilizzatore” cui si accede da un

corridoio, non è solo una tipologia spaziale, è più propriamente una concezione spaziale caratterizzata da una così detta forte territorialità che la rende spazio individuale anche quando la singola stanza è occupata da più utilizzatori.

L’UFFICIO IN FORMA DI SPAZIO APERTO (OPEN SPACE)

Consente di svincolare l’ambiente di lavoro dal rapporto con l’affaccio esterno, non si è più vincolati alla profondità del corpo di fabbrica tradizionale, si riescono ad adottare corpi di fabbrica più profondi con conseguente aumento del numero dei posti di lavoro per metri quadri di facciata, ma questo naturalmente richiede una compensazione artificiale dei fattori ambientali luce ed aria, e quindi illuminamento artificiale e costante controllo della qualità dell’aria all’interno degli ambienti attraverso impianti specifici. Lo spazio aperto propone anche un orientamento dell’affaccio, verso lo spazio interno in cui si svolge l’attività di ufficio, varie possono essere le configurazioni in cui lo spazio aperto interno (open space) viene strutturato: open team, per gruppi di postazioni; open strutturato, con un ordinamento uniforme delle postazioni; open in batteria, con una strutturazione fitta delle postazioni come ad esempio per postazioni di operatori di call center. Infine l’ufficio paesaggio, o meglio una concezione paesaggistica dell’ambiente ufficio in cui la variabilità delle funzioni e delle postazioni, in cui si svolge il lavoro, é alla base del paesaggio dell’ambiente di lavoro, quindi separazioni parziali, vicinanze dovute a collaborazioni più frequenti, presenza e visibilità degli strumenti e delle attrezzature di lavoro, continuità spaziale e visibilità di questa

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dimensione dinamica della relazione operativa del lavoro. Non sempre e non per tutte le attività questa strutturazione dello spazio aperto è confortevole e proficua, quindi sono state introdotte varie forme di gradualità nell’uso dell’open space che nella variante parzializzata viene definita come ufficio a zone. Alla ricerca di configurazioni rispondenti a un’ organizzazione del lavoro interrelato tra individui si sono nel tempo definite alcune modalità caratteristiche quali il combi office, che consiste in un mix calibrato di spazi differenziati per tipologie e dimensioni in cui le postazioni di lavoro e le attrezzature di supporto a disposizione sono liberamente occupabili da qualunque addetto, questa forma di organizzazione spaziale può essere orientata a ridurre le superfici contenendo le territorialità, o a favorire l’interrelazione e il senso di appartenenza a un gruppo di lavoro creativo o strategicamente impegnato su di un determinato progetto, allora la condivisione e l’appartenenza sono sottolineate anche da uno spazio club, che ha un grado di autosufficienza rispetto al resto della struttura, ma questo può richiamare anche un concetto di studio professionale nella sua forma migliore di situazione collaborativa condivisa.

Altro fenomeno notevole è il contenimento della superficie che corrisponde inevitabilmente a un contenimento dei costi, e in particolare di quelli fissi legati alla sede fisica, ma rientra anche in un più ampio concetto di bilancio complessivo in cui si esternalizza tutto ciò che non è strategico e specifico dell’attività. In questa visione le attività strategiche per molti settori, sono rappresentate dagli aspetti commerciali e di relazione che gli addetti svolgono in gran parte presso i loro interlocutori clienti o committenti.La sede dell’azienda ha quindi una funzione come riferimento organizzativo, come servizio di segreteria, come immagine, ma in questo tipo di organizzazione il posto di lavoro

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viene utilizzato solo parzialmente rispetto al tempo di lavoro. È nata così, dall’osservazione di questo aspetto, la modalità di occupazione degli spazi denominata hot desk, ossia del posto di lavoro sempre occupato da un utilizzatore. Questa tendenza, volta al contenimento dei costi, mette in discussione, per ridurre la quantità di spazio richiesto, il concetto di territorialità, che viene anche visto da alcuni come sinonimo di scarso dinamismo. L’esigenza di formazione continua ha portato alla necessità di svolgere momenti di formazione e orientamento in modo pressoché continuo. Da qui l’importanza degli spazi ausiliari in cui ricevere gli interlocutori esterni, o coordinare attraverso riunioni il lavoro dei singoli, ma anche le zone per l’incontro e le pause informali. Sono elementi da calibrare con attenzione perché luoghi in cui si svolgono momenti non meno importanti e decisivi di quelli di lavoro in senso stretto, non di meno alla considerazione dell’importanza, anche degli spazi per il ricevimento. L’insieme di queste attività per essere funzionale deve però essere regolato, questo servizio di prenotazioni e di assistenza nella gestione e offerta della struttura, che asseconda la attuale tendenza al nomadismo dell’individuo anche nel campo degli spazi di lavoro, va sotto il nome di hotelling. Questo servizio permette di accedere agli spazi sia singoli che per riunioni, ma la riduzione dello spazio e il suo uso a rotazione può però prevedere la presenza di una serie di postazioni molto semplici in cui appoggiarsi magari con un computer portatile, questo tipo di zona prende il nome di touch down. Il centro servizi, che gestisce gli spazi, offre supporto ed assistenza con un ventaglio di servizi che va dagli spazi individuali, a quelli per riunioni, con i relativi corredi di ausili tecnologici, questi spazi possono essere interni alla ditta o essere anche offerti a utenti esterni.

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I CALL CENTER

La caratteristica è la relazione con il pubblico o l’utenza attraverso il telefono o la rete informatica, questo consente un notevole risparmio in termini di spazio dato che oltre alla riduzione dell’ingombro delle postazioni non si pongono grandi necessità riguardo all’immagine complessiva della sede, infatti questa non ha più la funzione di rappresentare la facciata dell’attività attraverso l’edificio che la ospita, ma il contatto con il pubblico è mediato dalla modalità di connessione.

IL LAVORO A CASA - LAVORO NOMADE

Le postazioni definibili come telelavoro domestico sono una modalità che in fondo riporta alle origini del mondo industriale, e che colgono la tendenza ad esternalizzare le attività aziendali per avere un organico il più possibile contenuto, salvo utilizzare dei collaboratori saltuari attraverso i quali rispondere alla variabilità della domanda del mercato che si prevede ovviamente non costante. Questo in associazione con la possibilità di essere in contatto con operatori remoti, posti in un altro luogo fisico attraverso le modalità di connessione in rete attualmente in uso, ha fatto si che si sviluppasse il così detto telelavoro in cui la postazione di lavoro è integrata all’interno dell’ambiente domestico ma è sempre connessa alla sede aziendale di riferimento. Estremizzare la distanza fisica dalla sede principale di lavoro è da tempo una realtà concreta il lavoro nomade, magari svolto seduti al tavolino di un caffè all’aperto con solo un portatile connesso alla rete ci riporta all’immagine di un antico scrivano errabondo.

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1.5.3. ATTUALI ORIENTAMENTI PER L’ARCHITETTURA D’INTERNI

Oggi la nozione di spazio aperto e continuo si rafforza. Ma questa apertura è accompagnata da una crescente “compartizzazione”. I volumi devono essere omogenei e con la possibilità di installare delle pareti divisorie modulabili, come delle vetrate o delle tapparelle a lamelle. Bisogna quindi evitare per quanto possibile di costruire dei muri, dei pilastri o tutto quanto possa ostacolare o ingombrare i luoghi. Le prese sono situate al suolo, vicino alle facciate. Il progettista consegna uno spazio uniforme facile da modificare ed il proprietario opera le modifiche. La decisone finale su come piazzare gli elementi divisori spetta alla ditta. I vantaggi di questa forma di gestione dello spazio sono senza dubbio la flessibilità. Oggigiorno le società ma anche gli enti pubblici devono poter adattarsi molto in fretta alle evoluzioni del mondo esterno.

LE NUOVE FORME

Le forme come “open spaces” o i “cubicoli hanno avuto un grande successo negli anni ’80 ma si vanno utilizzando sempre meno. Oggi le separazioni vanno dal pavimento al soffitto. Ciò che conta è la creazione di spazi confortevoli, dove sia possibile ricevere in modo adeguato i clienti, come nel caso delle imprese di servizio o nelle professioni di rappresentanza come il banchiere, l’avvocato o l’architetto. Per questi mestieri è importante che gli spazi abbiano un’impronta caratteristica. Questo risulta forse meno importante per gli imprenditori, i quali sono soliti spostarsi verso la loro clientela potendo così permettersi di privilegiare la funzionalità sul loro luogo di lavoro.

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