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Santini (Cisl): «Contratti, l’accordo è buono e funzionerà»

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Santini (Cisl): «Contratti,

l’accordo è buono e funzionerà»

di Ario Gervasutti

Mercoledì 28 Gennaio 2009,

I primi da convincere sono proprio loro, i sindacalisti che sul territorio dovranno applicare e spiegare ai lavoratori il nuovo modello contrattuale approvato da governo e parti sociali (tranne la Cgil e l’Abi).

La Cisl non ha perso tempo e ieri a Mestre ha riunito i quadri dirigenti veneti per far illustrare loro i dettagli da uno dei protagonisti dell’accordo, il segretario confederale Giorgio Santini: «C’è una forte convergenza dei nostri dirigenti locali - assicura - e le obiezioni sono direi

"fisiologiche"».

Quali sono gli elementi che dovrebbero convincere i lavoratori della bontà del nuovo modello?

«Primo: d’ora in poi sarà più semplice fare i contratti nazionali. Si è deciso che l’indicatore dell’inflazione per definire gli aumenti di base non lo stabilisce più il governo con stime al ribasso, ma un istituto con metodi scientifici testati a livello europeo. Secondo: oggi l’apporto dei lavoratori all’impresa è riconosciuto solo in parte, mentre d’ora in poi sarà oggetto di negoziato aziendale e garantirà quote salariali defiscalizzate. Terzo: chi ha la sfortuna di non avere una contrattazione di secondo livello, alla fine di ogni triennio avrà comunque un elemento retributivo di garanzia».

Le prime critiche sono sul metodo: la Cgil dice che in una riunione convocata per discutere di ammortizzatori sociali improvvisamente governo e Confindustria hanno messo sul tavolo la riforma, Epifani ha chiesto 24 ore per esaminarla e gli è stato detto "prendere o lasciare". E lui ha lasciato.

«Non è vero. Questo tema era sul tavolo da otto mesi. Il 19 gennaio su richiesta di tutti i sindacati gli imprenditori si sono riuniti per approvare un documento che accogliesse tutti i punti sui quali c’era totale accordo; documento che è stato vivisezionato in lungo e in largo. Il 22 gennaio le associazioni imprenditoriali - e non il governo - hanno posto sul tavolo il documento elaborato con i sindacati, e hanno chiesto ai ministri se erano disponibili ad accoglierlo anche per i contratti pubblici. Il governo ha detto sì e a quel punto Epifani ha chiesto di inserire modifiche all’accordo che fino a un’ora prima aveva avallato».

L’ex presidente Ciampi firmò l’accordo del ’93 e oggi dice: «Non avrei firmato senza la Cgil». Che ne pensa?

«Era un contesto diverso, il Paese era sull’orlo della bancarotta e il segretario della Cgil Trentin

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fece un atto di responsabilità firmando per poi dimettersi e chiedere un nuovo mandato al suo sindacato. Perciò quella di Ciampi mi sembra più una critica alla Cgil che al Governo. Abbiamo ancora tre mesi di tempo prima dell’attuazione dell’accordo, Epifani ha la chance di rientrare per definire anche l’accordo sulla rappresentanza sindacale nelle aziende».

Si abbandona l’inflazione programmata per definire gli aumenti salariali. E chi stabilisce i nuovi parametri?

«La base di partenza è l’indice Ipca, ovvero l’indice dei prezzi al consumo armonizzato su base europea elaborato da Eurostat, che però si limita a 18 mesi. Abbiamo individuato due-tre istituti che partendo da quel dato dovranno elaborare una stima per i successivi 18 mesi, fino ad avere il dato sul triennio di durata dei contratti».

La Cgil dice he negli ultimi 3 anni con questo modello i dipendenti avrebbero perso 1.350 euro l’anno, la Cisl dice che ne avrebbero guadagnati 600, la Uil 400 e Confindustria 1.218.

A prescindere da chi ha ragione, non pensa che ci siano comunque poche certezze?

«Prendiamo un dato semplice e incontestato, quello dell’inflazione programmata sulla base del quale sono stati rinnovati gli ultimi contratti: negli ultimi quattro anni è stata del 9%, mentre il dato Ipca ha registrato l’11,3%. Solo questo avrebbe portato mediamente 600 euro in più».

Gli aumenti sono quindi legati alla produttività. Ma come si regoleranno i dipendenti di quelle aziende in cui l’imprenditore non persegue l’aumento di produttività, magari perché c’è una guerra tra soci che vogliono conquistare la maggioranza e puntano a svalutare l’impresa?

«Di fronte a speculazioni imprenditoriali si agisce in base al caso specifico, non si può inserire l’eccezione in un accordo quadro».

Altra obiezione: se c’è la crisi, quali aumenti si possono prevedere dato che non c’è nemmeno richiesta di aumentare la produttività?

«Un modello di regole deve essere costruito per valere sempre, sia in momenti di crisi che di sviluppo. E quando usciremo dalla crisi, speriamo entro quest’anno, questo accordo fungerà da moltiplicatore di opportunità. Dobbiamo attrezzarci bene per preparare gli analisti del sindacato;

staneremo i furbi, affinando gli strumenti».

Perché vi opponete al referendum chiesto dalla Cgil?

«L’istituto del referendum è disciplinato dalla piattaforma unitaria secondo procedure ben definite: si fissano gli obiettivi sindacali, si fa la trattativa e si sigla un’ipotesi di accordo. Solo in seguito si può decidere di fare un referendum. Se la Cgil firma, può indire un referendum; se non firma, è contro le regole».

Perché la Fiat dovrebbe avere aiuti statali?

«Tutte le imprese vanno sostenute, non solo la Fiat. Non può esserci un regalo, serve una svolta di innovazione e cambiamento. Il sostegno va concesso a condizione che serva a innovare e sviluppare, non per vivacchiare. Escluderei interventi solo per un’azienda. E aggiungo una postilla, una clausola etica: manager, dirigenti e consiglieri di amministrazione delle imprese che ricevono sostegni pubblici devono riconsiderare i loro stipendi. È vero che sono regolati dal mercato, ma a tutto c’è un limite».

Ario Gervasutti

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