• Non ci sono risultati.

Le imposte di scopo e il finanziamento dello sviluppo locale

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "Le imposte di scopo e il finanziamento dello sviluppo locale"

Copied!
114
0
0

Testo completo

(1)
(2)

Dossier e Manuali

e il finanziamento

dello sviluppo locale

(3)

Coordinamento scientifico Marco Nicolai

I testi dei Capitoli 1 e 2 sono a cura di Luca Bisio e Daniele Valerio I testi del Capitolo 3 sono a cura di Marco Nicolai e Daniele Valerio

Le opinioni espresse nel presente lavoro sono attribuibili esclusivamente agli autori e non coinvolgono in alcun modo la Fondazione IFEL

Il volume è stato chiuso con le informazioni disponibili a febbraio 2016

Marco Nicolai è docente di finanza straordinaria, Università degli studi di Brescia

Luca Bisio è docente di economia e gestione delle imprese, Università degli studi di Milano-Bicocca

Daniele Valerio è consulente farePA s.r.l., esperto di finanza locale Codice ISBN 978-88-6650-131-2

Progetto grafico:

Pasquale Cimaroli, Claudia Pacelli cpalquadrato.it

(4)

Introduzione

Capitolo 1

Le imposte di scopo: normativa e attuazione nazionale 1.1 I tributi di scopo in Italia: quadro normativo di riferimento 1.2 L’imposta di soggiorno e le altre forme assimilabili 1.3 Evidenze e temi critici

Capitolo 2

Esperienze nazionali e internazionali di cattura del valore tramite imposte di scopo

2.1 Le esperienze nazionali

2.2 Le esperienze internazionali di imposizione di scopo e cattura del valore

2.3 Un nuovo concetto di imposta di scopo a supporto degli investimenti

Capitolo 3

La finanziarizzazione delle imposte di scopo nel sistema di funding degli Enti Locali

3.1 Finanziarizzazione delle imposte di scopo

3.2 Due meccanismi per la valorizzazione delle imposte di scopo 3.3 Principi di funding per il supporto alle imposte di scopo Conclusioni

5

11 13 17 23

45 47

58

74

79 81 87 96 111

(5)
(6)

In Italia, sin dall’entrata in vigore della Costituzione, è stato avviato un percorso che, tra diverse spinte di matrice economico-finanziaria e politi- ca, ha posto in evidenza la tensione di lungo periodo al passaggio da un sistema di finanza locale derivata, connotato dalla centralità dei trasferi- menti statali nel portafoglio delle risorse degli Enti Locali, ad un sistema basato sull’autonomia finanziaria. Tale processo, ad oggi, nonostante le spinte più o meno recenti della Lg. Cost. 3/2001 di riforma della Costitu- zione e della Lg. 42/2009 (federalismo fiscale) non può dirsi ancora con- cluso e l’autonomia finanziaria, sancita dall’art. 119 della Costituzione, rimane ad oggi sulla carta.

Nei fatti, la Lg. 42/2009, che prevedeva un’ampia serie di deleghe al gover- no per garantire agli Enti Locali autonomia di entrata e di spesa, respon- sabilizzazione amministrativa, finanziaria e contabile, autonomia imposi- tiva e, soprattutto, certezza delle risorse, risulta solo parzialmente attuata.

Analizzando, infatti, la relazione semestrale della COPAFF (Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale) del 7 maggio 2015 sullo stato di implementazione della Lg. 42/2009 emerge come, seb- bene siano stati emanati tutti i nove decreti legislativi previsti dalla legge delega, solo il 35% delle disposizioni attuative previste in detti decreti è stata approvata, rendendo, nei fatti, monca l’attuazione della legge.

(7)

dall’altro dai crescenti vincoli all’indebitamento che rendono difficile il ri- corso al mercato creditizio per colmare gli spazi finanziari lasciati “vuoti”

dai tagli ai trasferimenti.

Il quadro di stallo in cui il federalismo fiscale si è venuto a trovare, in altre parole, rende necessaria l’individuazione di nuove forme di finan- ziamento che, da un lato siano coerenti con le esigenze delle Autonomie Locali attraverso una valorizzazione dell’autonomia finanziaria e, dall’al- tro, non rappresentino una riproposizione della tradizionale azione sulla leva fiscale cui gli Enti, per le condizioni contingenti in cui si sono venuti a trovare negli ultimi anni, hanno dovuto appellarsi.

L’azione sulla fiscalità locale, infatti, rappresenta oggi una soluzione non più perseguibile, sia per la congiuntura economico-finanziaria, che rende insostenibili ulteriori incrementi della pressione fiscale complessiva, sia per il ruolo di secondo piano degli Enti Locali in campo tributario che si pone in netto contrasto con i principi espressi dal federalismo fiscale.

A tale sistema vincolistico, che ha incrementato le difficoltà insite nel quadro finanziario degli enti territoriali, si è risposto in maniera crescente ricorrendo al coinvolgimento della finanza privata, attraverso i Partena- riati Pubblico-Privato (PPP).

Tali forme contrattuali, se da un lato permettono l’attivazione di impor- tanti sinergie finanziarie e di competenze tra settore pubblico e privato, dall’altro hanno mostrato taluni limiti, con particolare riferimento all’in- sufficiente economicità, specie nel caso di opere fredde, ma anche alla difficoltà degli Enti di raggiungere dimensioni di scala capaci di garantire masse critiche importanti.

Emerge, quindi, in tutta evidenza la necessità di porre allo studio forme di finanziamento ulteriori, che sappiano affiancare o sostituire i PPP anche nel caso di opere fredde o di piccole dimensioni, valorizzando, allo stesso tempo, l’autonomia finanziaria degli Enti Locali.

Il dibattito, lungi dall’essere limitato dai confini nazionali, ha portato all’e- mersione in diversi Paesi di esperienze innovative in tema di strumen-

(8)

frastruttura pubblica produca benefici per il settore immobiliare, per il settore commerciale, per gli imprenditori e per determinabili fasce della popolazione e si prefiggono, pertanto, di catturare tali guadagni di valore per pagare il costo dell’infrastruttura e, così facendo, ridistribuire i bene- fici generati dagli investimenti infrastrutturali(1).

La cattura del valore può avvenire attraverso un’ampia serie di strumen- ti cui sottostanno logiche e meccanismi differenti; in questo panorama spiccano le diverse forme impositive locali di scopo.

Tali imposte, infatti, direttamente connesse alla realizzazione di un’infra- struttura o di un programma infrastrutturale, si pongono quale veicolo ideale di cattura del valore, in quanto possono, meglio di altri strumenti, garantire il duplice collegamento tra:

• opera da realizzare e imposte;

• soggetti passivi delle imposte e benefici derivanti dall’opera da rea- lizzare.

In tali tributi, infatti, ciò che rileva maggiormente non è, come nella ge- neralità degli altri tributi, il rapporto intercorrente tra ente impositore e contribuente (relazione tra soggetto attivo e soggetto passivo) quanto la fase susseguente che attiene al finanziamento della spesa attuata con le risorse ottenute. Ciò che caratterizza questa forma di prelievo è il vincolo apposto al suo gettito. Esso deve essere inderogabilmente destinato a specifiche finalità (fissate a priori) dal momento che esse costituiscono la ratio fondamentale che presiede alla sua istituzione, l’elemento fondante che legittima il prelievo verso i contribuenti tenuti al pagamento(2).

1 Sumiraschi C., Catturare il valore, Politiche innovative per finanziare le infrastrutture, Egea, Milano, 2013

2 D’Auro A., Tributi di scopo e prospettive della finanza locale, in La finanza locale, n. 9, 2007

(9)

plessivo del federalismo fiscale che devolve ai Comuni ed alle Province dei gettiti tributari, ma non la possibilità di governare i medesimi con la necessaria autonomia(3). Tale flessibilità fa sì che i tributi di scopo si pre- sentino quale strumento duttile in termini di capacità di generare gettito di semplice e lineare applicazione, non foriero di rilevanti complicazioni dal punto di vista degli adempimenti amministrativi da porre in essere nella fase di esazione.

Nei fatti, quello che le imposte di scopo permettono è lo spostamento del baricentro metodologico delle imposte da una tassazione che grava “a pioggia” su tutti i contribuenti, ad una tassazione che prevede il sostegno di coloro i quali vengono beneficiati da una determinata opera, servizio o bene pubblico.

In questa prospettiva, si va affermando l’idea che la fiscalità degli Enti Locali debba sempre più fondarsi sulla connessione tra beneficiario di un investimento e soggetto passivo d’imposta, con l’obiettivo ultimo di responsabilizzare la gestione delle risorse pubbliche.

Le imposte di scopo, se orientate a metodi di cattura del valore, possono configurarsi quali strumenti capaci di supportare tale visione, rendendo possibile un controllo più rigoroso sull’utilizzo e sulla gestione dei servizi pubblici(4). L’idea di correlare le risorse attinte da cespiti che siano ricon- ducibili o posti in collegamento con i servizi erogati dall’ente risponde all’esigenza di responsabilizzare gli enti che attuano la tassazione, in un processo continuo e costante di avvicinamento tra le decisioni di spesa e quelle di prelievo(5).

3 La Scala A.E., La nuova autonomia tributaria dei Comuni, in Innovazione e Diritto, n. 6, 2011 4 Liberati P., Paradiso M., The positive character of the benefit theory of taxation and ac- countable local public finance: the thought of Sergio Steve, Università di Roma Tre, Dipar- timento di Economia, Università di Bari, Dipartimento di Scienze Economiche, 28/06/2012, MPRA Paper No. 43671

5 Perazzelli S., Il caso della “tassa sul tubo” tra fiscalità ambientale e tributi regionali di

(10)

scelte di volta in volta a seconda della connotazione che al tributo intende dare l’ente impositore.

L’accenno ai vantaggi impone una pari considerazione di quelle che sono le criticità delle imposte di scopo che non possono essere interpretate come la nuova frontiera dell’imposizione locale e come la panacea in grado di porre rimedio ai problemi del reperimento delle risorse degli enti territoriali. Questo in quanto, nonostante le notevoli potenzialità, la concreta strutturazione del prelievo deve tener conto del rischio che la proliferazione di varie imposte di scopo vanifichi i buoni risultati ottenibili in termini di semplificazione della disciplina fiscale(6).

Alla luce di quelli che sono i pro e i contro delle imposte di scopo, la finalità del presente elaborato è quella di definire dei modelli di valorizza- zione di tali forme fiscali al fine di rendere le imposte di scopo strumenti capaci di:

• garantire la certezza di risorse necessaria agli Enti Locali per superare il gap infrastrutturale, senza gravare eccessivamente sui vincoli di fi- nanza pubblica;

• configurarsi quali strumenti di cattura del valore atti a responsabiliz- zare cittadini e decisori politici nell’utilizzo dei beni, dei servizi e delle risorse pubbliche.

L’analisi, dopo avere approfondito la normativa e l’esperienza italiana in tema di imposte di scopo, prenderà in considerazione i modelli e le me- todologie di valorizzazione dell’imposta quale strumento di cattura del valore, anche con il contributo della dottrina e delle esperienze nazionali ed internazionali.

scopo, in Le Istituzioni del Federalismo n. 6, 2007 6 Ibidem

(11)
(12)

e attuazione nazionale

1

(13)
(14)

nanziaria di entrata e di spesa i Comuni, le Province e le Città metropoli- tane:

• stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri;

• dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibili al loro territorio;

• hanno a disposizione un fondo perequativo, senza vincoli di destina- zione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante.

Le risorse derivanti da tali fonti, a norma del medesimo art. 119, devono consentire agli Enti Locali, ma anche alle Regioni, di finanziare integral- mente le funzioni pubbliche loro attribuite.

In attuazione del dettato costituzionale la Lg. 42/2009, all’art. 12, ha previ- sto un’esplicita delega all’esecutivo finalizzata all’introduzione:

• “di uno o più tributi propri comunali che, valorizzando l’autonomia tri- butaria, attribuisca all’ente la facoltà di stabilirli e applicarli in riferimen- to a particolari scopi quali la realizzazione di opere pubbliche e di inve- stimenti pluriennali nei servizi sociali ovvero il finanziamento degli oneri derivanti da eventi particolari quali flussi turistici e mobilità urbana”;

(15)

• “di uno o più tributi propri provinciali che, valorizzando l’autonomia tributaria, attribuisca all’ente la facoltà di stabilirli e applicarli in riferi- mento a particolari scopi istituzionali”.

Tale delega viene recepita, per i Comuni, dall’art. 6 del D.Lgs. 23/2011 che fa riferimento alla disciplina dell’imposta di scopo di cui alla Lg. 296/2006 con talune integrazioni; per le Province, il D.L. 68/2011, all’art. 20, rubri- cato “Ulteriori tributi provinciali”, delega ad un regolamento ex D.Lgs.

446/1997, la disciplina dell’imposta di scopo provinciale, individuando i particolari scopi istituzionali in relazione ai quali la predetta imposta può essere istituita e nel rispetto di quanto previsto dall’art. 6 del D.Lgs.

23/2011 per i Comuni.

In particolare l’art. 6 del D.Lgs. 23/2011 prevede la possibilità che i Comuni, mediante un regolamento comunale, possano ampliare gli spazi di mano- vra concessi in tema di imposte di scopo dalla Lg. 296/2006 (Legge Finan- ziaria 2007) che, al comma 145 dell’art. 1, stabilisce che “a decorrere dal 1°

gennaio 2007 i Comuni possono deliberare […] l’istituzione di un’imposta di scopo destinata esclusivamente alla parziale copertura delle spese per la realizzazione di opere pubbliche individuate dai Comuni nello stesso regolamento” tra quelle indicate dal successivo comma 149 che stabili- sce come l’imposta di scopo possa essere istituita per il finanziamento di opere:

• connesse al trasporto pubblico urbano;

• viarie, con l’esclusione della manutenzione straordinaria ed ordinaria delle opere esistenti;

• di arredo urbano e di maggior decoro dei luoghi;

• di risistemazione di aree dedicate a parchi e giardini;

• di realizzazione di parcheggi pubblici;

• di restauro;

• di conservazione dei beni artistici e architettonici;

• relative a nuovi spazi per eventi e attività culturali, allestimenti muse- ali e biblioteche;

• di realizzazione e manutenzione straordinaria dell’edilizia scolastica.

(16)

Si tratta di un’elencazione tassativa che è però integrata dall’art. 6, com- ma 1, del D.Lgs. 23/2011 che sancisce come il regolamento comunale possa prevedere “l’individuazione di opere pubbliche ulteriori”, lasciando quindi spazio al finanziamento di un’ampia gamma di opere, tra le quali si possono annoverare quelle richiamate dall’art. 12, comma 1, lett. d) della Lg. 42/2009, vale a dire:

• le opere pubbliche e gli investimenti pluriennali nei servizi sociali;

• il finanziamento di oneri derivanti da eventi particolari quali flussi tu- ristici e mobilità urbana.

A norma del comma 146 della Finanziaria 2007 il regolamento che istitu- isce l’imposta determina:

• l’opera pubblica da realizzare;

• l’ammontare della spesa da finanziare;

• l’aliquota dell’imposta;

• l’applicazione di esenzioni, riduzioni o detrazioni in favore di determi- nate categorie di soggetti, in relazione all’esistenza di particolari situa- zioni sociali o reddituali, con particolare riferimento ai soggetti che già godono di esenzioni o di riduzioni ai fini del versamento dell’imposta comunale sugli immobili sulla prima casa e ai soggetti con reddito inferiore a 20.000 euro;

• le modalità di versamento degli importi dovuti.

La potestà impositiva dei Comuni è perimetrata, poi, da una serie di vin- coli imposti dalla medesima Finanziaria 2007 che vengono, solo in parte, alleggeriti dalle previsioni del D.Lgs. 23/2011. In particolare si fa riferi- mento, al comma 147 della legge 296/2006, che dispone l’ammissibilità dell’imposta per un periodo massimo di cinque anni, previsione che è poi corretta dal decreto sul federalismo municipale in dieci anni e al comma 150 che prevede l’impossibilità che il gettito complessivo dell’imposta superi il 30% dell’ammontare della spesa dell’opera da realizzare, previ- sione ampliata dal D.Lgs. 23/2011 che permette alle imposte di scopo di coprire completamente il costo dell’opera da realizzare.

(17)

L’ambito oggettivo dell’imposta risulta essere il medesimo dell’IMU, visto il riferimento espresso del comma 2, art. 6, D.Lgs. 23/2011, dove si preve- de che “a decorrere dall’applicazione dell’imposta municipale propria […]

l’imposta di scopo si applica, o continua ad applicarsi se già istituita, con riferimento alla base imponibile e alla disciplina vigente per tale tributo”.

Si tratta questo di un aggiornamento reso necessario dall’entrata in vi- gore dell’IMU che ha sostituito l’ICI, cui faceva riferimento il comma 147 della Finanziaria 2007, che prevedeva l’applicazione dell’imposta di scopo alla base imponibile dell’imposta comunale sugli immobili, nella misura massima dello 0,5 per mille, limite che, anche con il riferimento all’IMU, non sembra poter essere superato.

Aspetto caratterizzante l’imposta di scopo, a differenza di altri tributi di carattere generale, è la previsione di un obbligo di restituzione, previ- sto dal comma 151 della Lg. 296/2006, nel caso in cui l’opera non venga iniziata entro due anni dalla data prevista dal progetto esecutivo. In tal caso i Comuni hanno due anni di tempo per il rimborso dei versamenti effettuati dai contribuenti.

Si tratta, nel complesso, di una serie di disposizioni che, pur se “am- morbidite” dal D.Lgs. 23/2011 presentano diversi aspetti controversi che verranno trattati nei successivi paragrafi ma che sono anticipabili nello scarso potere discrezionale dei Comuni in ordine all’imposta di scopo, al configurarsi della medesima come una mera addizionale all’IMU, della scarsa flessibilità concessa alle imposte di scopo comunali in ragione del vincolo decennale.

Accanto alle previsioni per i Comuni, contenute come visto nel D.Lgs.

23/2011, il D.Lgs. 68/2011 (federalismo regionale e provinciale) ha dettato la normativa di riferimento, per la verità scarna, per le imposte di scopo provinciali.

L’art. 20, comma 2, difatti, stabilisce che “con regolamento da adottare ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, d’intesa con la Conferenza Stato-città ed Autonomie Locali, entro il 31 ottobre 2011,

(18)

è disciplinata l’imposta di scopo provinciale, individuando i particolari sco- pi istituzionali in relazione ai quali la predetta imposta può essere istituita”

con un richiamo al rispetto di quanto previsto “dall’articolo 6 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23” in tema di imposta di scopo comunale.

A caratterizzare la disposizione è il rimando alla necessità di approva- zione (entro il termine ormai scaduto del 31 ottobre 2011) di un D.P.R.

attuativo, peraltro mai approvato.

Anche per quanto riguarda le Province, la vaga normativa in tema di tri- buti di scopo, oltre a non fare emergere reali spazi di autonomia, fa tra- sparire una carenza attuativa importante che non permette di ipotizzare un’applicazione concreta delle medesime. Si tratta di un rallentamento che appare in qualche modo connesso con la definizione del nuovo ruo- lo delle Province che, da enti di primo livello, sono state “retrocesse” a enti di secondo livello, pur se con importanti funzioni di area vasta con riferimento, tra gli altri, alla pianificazione territoriale, trasporti, scuole ed edilizia scolastica e sviluppo territoriale.

Tale abbandono, tuttavia, rischia di far decadere un aspetto importante delle imposte di scopo provinciali, che le contraddistinguono dalle impo- ste di scopo comunali, vale a dire la possibilità di configurarsi quali tri- buti autonomi, senza rappresentare un’addizionale IMU e senza nessuna connessione con altre imposte locali. Tale autonomia, in prospettiva, po- trebbe rappresentare un sicuro punto di forza su cui poggiare le imposte di scopo locali.

1.2 L’imposta di soggiorno e le altre forme assimilabili

In applicazione della delega contenuta nella Lg. 42/2009, il D.Lgs. 23/2011 ha previsto, con l’art. 4, l’imposta di soggiorno che può essere introdotta, con deliberazione consiliare, dai Comuni capoluogo di Provincia, dalle Unioni di Comuni, nonché dai Comuni inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche o città d’arte.

(19)

A norma del comma 1 dell’art. 4, l’imposta di soggiorno deve essere a

“carico di coloro che alloggiano nelle strutture ricettive situate sul pro- prio territorio da applicare, secondo criteri di gradualità in proporzione al prezzo, sino a 5 euro per notte di soggiorno”. Il gettito derivante dall’impo- sta di soggiorno è destinato a finanziare interventi in materia di turismo, ivi compresi quelli a sostegno delle strutture ricettive, nonché interventi di manutenzione, fruizione e recupero dei beni culturali ed ambientali locali, e dei relativi servizi pubblici locali.

Come avviene anche per l’imposta di scopo la normativa prevede che i Comuni, con proprio regolamento, dispongano ulteriori modalità appli- cative del tributo, nonché di prevedere esenzioni e riduzioni per partico- lari fattispecie o per determinati periodi di tempo.

L’imposta di soggiorno rappresenta, nei fatti, un importante strumento impositivo per il reperimento di risorse per interventi infrastrutturali da parte dei Comuni ad alta vocazione turistica. Il merito del D.Lgs. 23/2011, nei fatti è quello di avere riscoperto uno strumento che già era previsto dall’art. 1 del R.D.L. 1926/1938, abrogato poi con l’art. 10 del D.L. 66/1989.

Il regio decreto stabiliva che “l’imposta di soggiorno è applicata nelle sta- zioni di soggiorno, di cura e di turismo, nonché nelle altre località clima- tiche balneari o termali o comunque di interesse turistico […] L’imposta è dovuta da chiunque prenda alloggio, in via temporanea, in alberghi, pensioni, locande, stabilimenti di cura e case di salute; è dovuta inoltre […] da tutti coloro che dimorino temporaneamente, per un periodo supe- riore a cinque giorni, in ville, appartamenti, camere ammobiliate od altri alloggi”, vincolandola ad una destinazione specifica.

La reintroduzione dell’imposta di soggiorno è in linea con l’esperienza rintracciabile in diversi contesti europei (tra cui si ricordano la kurtaxe tedesca; la taxe de séjour francese; l’impuestosobrelasestancias en em- presasturísticas de alojamiento vigente nella Comunità autonoma delle Isole Baleari; l’impôtsurleschambres d’hôtels et de pensions a Bruxelles) la cui matrice comune è quella di configurarsi quali tributi di scopo il cui

(20)

gettito è destinato all’implementazione delle infrastrutture e dei servizi pubblici dei quali beneficiano anche i turisti(1).

Rispetto all’imposta di scopo la particolarità che caratterizza l’imposta di soggiorno è data dalla necessaria collaborazione, per la riscossione, del gestore della struttura ricettiva mentre, tra i punti di contatto si pone il vincolo di destinazione del gettito, che nel caso particolare deve essere destinato al miglioramento dell’offerta turistica.

Questo comporta che l’entrata dell’imposta di soggiorno non si configuri quale entrata libera, essendo assimilabile, quale meccanismo, alle impo- ste di scopo strictu sensu, condividendone pro e contro.

Un’ulteriore differenza dell’imposta di soggiorno ex art. 4 del D.Lgs.

23/2011 rispetto all’imposta di scopo ex art. 6 del medesimo decreto legi- slativo, sta nell’ampiezza delle finalità e nel difetto della necessità di re- stituzione nel caso di sviamento dalle destinazioni o di non realizzazione delle attività previste.

Si tratta, nei fatti, di una forma impositiva che gode di minori vincoli ri- spetto all’imposta di scopo in senso stretto, in quanto, accanto all’am- piezza della finalità, non si trova un’identificazione puntuale (anche per un’oggettiva impossibilità) della spesa che deve finanziare.

Quella che comunque, in prima facie potrebbe essere letta in senso cri- tico come estrema vaghezza della norma lì dove finalizza l’imposta di soggiorno al finanziamento di interventi in tema di turismo, va, invece, considerata, a parere di chi scrive, con favore, in quanto l’ampiezza del vincolo di destinazione apre a varie direzioni di intervento anche di diver- so ambito e ciò, sia nel medesimo periodo, che per gli anni a divenire, in

1 Scanu G., La tassazione sui flussi turistici tra fiscalità locale e competitività: alcune espe- rienze europee a confronto, in Rivista di diritto tributario, n. 3/2009, pag. 355. L’autore rappresenta che “è proprio in una logica commutativa e di miglioramento della qualità dell’offerta turistica che può conseguirsi l’obiettivo virtuoso di una tassazione sostenibile che impedisca effetti distorsivi sulla domanda turistica”

(21)

modo tale da consentire un adeguamento costante alle mutate esigenze e domande di servizi dei turisti tenuto conto della emergente esigenza locale(2).

La maggiore flessibilità ed ampiezza normativa, se da un lato pone gli Enti in una situazione di minori vincoli, dall’altro ha comportato un’esten- sione a macchia d’olio dei contenziosi tra albergatori, sindaci di città e Comuni turistici(3).

Tra i diversi rilievi mossi dagli operatori turistici, infatti, si segnalano: la mancanza dell’apposito elenco regionale delle località turistiche, le tariffe differenziate per categoria di struttura (in ragione delle stelle) anziché per prezzo e l’individuazione del soggetto su cui il Comune abbia diritto a riva- lersi in caso di mancato pagamento, vale a dire sull’ospite anziché sull’al- bergatore come avviene nella normativa attuale. Rilievi che mostrano in tutta evidenza l’esigenza di un intervento normativo chiaro e decisivo.

Tra i punti critici di tale forma impositiva occorre altresì ricordare il rischio elusione del principio del “no taxation without representation” in quan- to l’imposta grava sui turisti che non godono di una rappresentazione politica locale, che si configura quale base dei moderni sistemi fiscali democratici. Occorre inoltre sottolineare come anche la base soggettiva dei turisti non venga colpita in toto in quanto l’imposta grava solo su co- loro che soggiornano nel territorio e non quei turisti che, pur usufruendo durante il giorno dei servizi ad essi dedicati nel territorio visitato, non ne sostengono gli oneri in quanto non si fermano per la notte.

È evidente come per ovviare a tale ultima criticità sia necessario preve- dere una modulabilità dell’imposta in modo tale che anche altri esercizi

2 Fondazione IFEL, Le imposte comunali sul turismo. L’imposta di soggiorno e l’imposta di sbarco, 2013

3 Debenedetto G., Sulla tassa di soggiorno cresce il contenzioso locale, in Il Sole 24 Ore, 13 agosto 2012

(22)

beneficiati dai flussi turistici siano messi nelle condizioni di riscuotere tale imposta al fine di evitare che tutto l’onere ricada su coloro che sog- giornano, a svantaggio delle strutture ricettizie che potrebbero vedersi preferire alberghi o alloggi fuori dal territorio comunale ed esenti dall’im- posta di soggiorno.

Occorre, in altre parole, un sistema che sappia connettere i benefici de- rivanti dalle politiche e dalle infrastrutture turistiche con l’imposta, in modo non eccessivamente penalizzante per albergatori ed operatori del turismo.

Al momento uno schema di regolamento attuativo, non ancora appro- vato, è stato reso pubblico a seguito del Consiglio dei Ministri del 2 no- vembre 2011, dove all’art. 1, comma 3 si prevede che nell’ambito degli interventi in materia di turismo da finanziare con imposta di soggiorno sia da includere almeno uno tra:

• progetti di sviluppo degli itinerari tematici e dei circuiti di eccellenza, anche in ambito intercomunale, con particolare riferimento alla pro- mozione del turismo culturale;

• ristrutturazione e adeguamento delle strutture e dei servizi destinati alla fruizione turistica, con particolare riguardo all’innovazione tecno- logica, agli interventi ecosostenibili e a quelli destinati al turismo ac- cessibile;

• interventi di manutenzione e recupero dei beni culturali, paesaggistici, ambientali ricadenti nel territorio comunale rilevanti per l’attrazione turistica, ai fini di garantire una migliore e adeguata fruizione;

• sviluppo di punti di accoglienza e informazione e di sportelli di conci- liazione per i turisti;

• cofinanziamento di interventi promozionali da realizzarsi in collabora- zione con la Regione e gli Enti Locali;

• incentivazione di progetti volti a favorire il soggiorno di giovani, fami- glie e anziani presso le strutture ricettive, ubicate nel territorio comu- nale, durante i periodi di bassa stagione;

• incentivazione all’adeguamento delle strutture ricettive e dei servizi

(23)

pubblici e privati all’accesso degli animali domestici e ristrutturazione con adeguamento delle stesse strutture ai fini all’accesso di animali domestici di supporto ai disabili e ai non vedenti;

• progetti e interventi destinati alla formazione e all’aggiornamento del- le figure professionali operanti nel settore turistico, con particolare attenzione allo sviluppo dell’occupazione giovanile;

• finanziamento delle maggiori spese connesse ai flussi turistici.

Come sottolineato da IFEL(4) la predetta elencazione (pedissequamente ripresa in alcuni dei regolamenti adottati) è sicuramente più che corpo- sa, ma non esaustiva dei vari obiettivi di spesa; anche il riferimento alle maggiori spese connesse ai flussi turistici mantiene un carattere estre- mamente generico ed equivoco, sia con riferimento al concetto di “mag- giori spese”, mancando il riferimento rispetto a quali pregresse spese di minore entità, nonché al vincolo che sembrerebbe comunque imporre una maggiore spesa(5). Rientra questo tra i temi che necessiteranno di un intervento normativo chiarificatore.

Un’ulteriore forma di imposizione di scopo, assimilabile alla precedente è l’imposta di sbarco, prevista dall’art. 4, comma 3 bis del D.Lgs. 23/2011 che prevede come “i Comuni che hanno sede giuridica nelle isole minori e i Comuni nel cui territorio insistono isole minori possono istituire […] in alternativa all’imposta di soggiorno […] un’imposta di sbarco, da applica- re fino ad un massimo di 1,50 euro da riscuotere, unitamente al prezzo del biglietto, da parte delle compagnie di navigazione che forniscono collega- menti marittimi di linea. La compagnia di navigazione è responsabile del pagamento dell’imposta, con diritto di rivalsa sui soggetti passivi, della presentazione della dichiarazione e degli ulteriori adempimenti previsti dalla legge e dal regolamento comunale”. Come prosegue il comma 3 bis

“l’imposta non è dovuta dai soggetti residenti nel Comune, dai lavoratori

4 Fondazione IFEL, Le imposte comunali sul turismo. L’imposta di soggiorno e l’imposta di sbarco, 2013

5 Ibidem

(24)

e dagli studenti pendolari, nonché dai componenti dei nuclei familiari dei soggetti che risultino aver pagato l’imposta municipale propria nei comu- ni impositori e che sono parificati ai residenti. I Comuni possono preve- dere nel regolamento modalità applicative del tributo, nonché eventuali esenzioni e riduzioni per particolari fattispecie o per determinati periodi di tempo”. Analogamente a quanto avviene per l’imposta di soggiorno, anche il gettito del tributo è destinato a finanziare interventi in materia di turismo e interventi di fruizione e recupero dei beni culturali e ambientali locali, nonché dei relativi servizi pubblici locali.

1.3 Evidenze e temi critici

Di fronte alla possibilità data dalla normativa di ricorrere all’imposta di scopo, prevista dalla Lg. 296/2006, prima, e dalla Lg. 23/2011, poi, solo po- che amministrazioni, dal 2007 ad oggi, hanno raccolto tale opportunità. Si tratta, in particolare, di 25 Comuni rappresentativi di poco più di 520.000 abitanti, su un totale di oltre 8.100 Comuni e 60 milioni di abitanti(6).

I Comuni che hanno fatto ricorso all’imposta di scopo si concentrano principalmente in Emilia Romagna (7), in Veneto (5) e in Campania (3) e hanno una popolazione media di poco meno di 21.000 abitanti. Dei Co- muni analizzati, infatti, 18 hanno una popolazione inferiore ai 15.000 abi- tanti, e solo 3 (Rimini, Pisa e Caserta) hanno una popolazione superiore ai 50.000 abitanti. È interessante notare la presenza di due Comuni, Posina e Rivisondoli, che hanno attivato l’imposta di scopo e che hanno una po- polazione inferiore ai 1.000 abitanti, rispettivamente 576 e 701.

Dall’analisi dei regolamenti disponibili e dei dati desumibili dal sito dell’A- genzia delle Entrate emerge, inoltre, come la maggior parte dei Comuni (18) abbia attivato l’imposta di scopo nel corso del biennio 2007/2008, con

6 Si veda: Imposta di soggiorno e imposta di scopo, XI meeting formativo – Le finanziarie degli Enti Locali, Viareggio 18 gennaio 2012, reperibile al sito http://www.ancitoscana.it/alle- gati/convegni/viareggio%202012/Benedetti.pdf e, per i dati aggiornati il sito web dell’Agen- zia delle Entrate, www.agenziaentrate.gov.it/.../Strumenti/Codici+attivita+e+tributo/.../

(25)

un’apparente incidenza ridotta delle previsioni di cui al D.Lgs. 23/2011 ri- spetto alle previsioni originarie, benché più restrittive, della Lg. 296/2006.

Nel complesso le imposte di scopo hanno contribuito a finanziare opere pubbliche per circa 82 milioni di euro nel periodo 2007-2014, con una co- pertura media del 39%.

Si tratta di dati desumibili dai regolamenti disponibili sui siti web delle amministrazioni interessate e che sono incompleti a causa dell’irreperi-

Tabella 1 I Comuni con imposta di scopo, 2007-2014

Regione Comune Anno di

attivazione Popolazione al 1/1/2015

Abruzzo RIVISONDOLI 2008 701

ROCCARASO 2012 1.633

Calabria NOCERA TERINESE 2008 4.743

SOVERATO 2008 9.219

Campania

LAURO 2007 3.547

CASTELLABATE 2008 9.110

CASERTA 2012 76.887

Emilia-Romagna

MISANO ADRIATICO 2007 12.897

MORCIANO DI ROMAGNA 2007 7.026

MORFASSO 2007 1.050

RIMINI 2007 147.578

VIGNOLA 2008 25.244

BERCETO 2012 2.105

CESENATICO 2014 26.016

Lombardia TEMÙ 2007 1.103

PONTE DI LEGNO 2008 1.748

Marche MATELICA 2009 10.062

Sicilia MELILLI 2007 13.584

Toscana PISA 2014 89.523

Umbria BASTIA UMBRA 2008 21.937

Veneto

BELLUNO 2007 35.666

CINTO CAOMAGGIORE 2007 3.271

OCCHIOBELLO 2007 11.915

POVEGLIANO VERONESE 2007 7.127

POSINA 2012 576

Fonte: nostra elaborazione su dati ANCI Toscana, Agenzia delle Entrate e ISTAT, 2015

(26)

bilità delle informazioni ufficiali in 8 Comuni su 25. Dall’analisi dei rego- lamenti disponibili, quindi, emerge come il valore delle opere realizzate anche grazie all’imposta di scopo sia estremamente variabile e vada da un minimo di 600.000 euro destinati ad immobili pubblici nel Comune di Lauro, in Campania, fino ai 37 milioni previsti dal Comune di Rimini, destinati a scuole e infrastrutture viarie.

Figura 1 I Comuni con imposta di scopo, per ampiezza demografica

Fonte: nostra elaborazione su dati ANCI Toscana, Agenzia delle Entrate e ISTAT, 2015 2

8 8

4

3

0 1 2 3 4 5 6 7 8 9

Meno

di 1.000 ab. Tra 1.000

e 5.000 ab. Tra 5.000

e 15.000 ab. Tra 15.000

e 50.000 ab. Oltre 50.000 ab.

numero di Comuni

classi di ampiezza demografica

Figura 2 I Comuni con imposta di scopo, per anno di attivazione, 2007-2014

Fonte: nostra elaborazione su dati Agenzia delle Entrate e regolamenti comunali, 2015 11

7

1

4

2

0 2 4 6 8 10 12

2007 2008 2009 2012 2014

numero di Comuni

anno

(27)

Tabella 2 Quadro delle caratteristiche delle imposte di scopo nei Comuni con imposta di scopo ComuneDurata anni

Valore comples- sivo (Mio )

Copertura

imposta di scopo

Aliquota (‰)

Oggetto degli investimenti Scuola

Igiene e arStrade redo e trasporti urbano

Immobili pubblici

Altro CASERTAN.D.N.D.N.D.N.D. CASTELLABATE51,728%0,5 CESENATICO1013,3100%0,5 LAURO50,69%0,5 MATELICA5N.D.N.D.0,5 MELILLI55,2230%0,5 MISANO ADRIATICO53,4530%0,5 MORCIANO DI ROMA-51,630%0,5 MORFASSO10,2155%0,5 NOCERA TERINESE50,17530%0,5 OCCHIOBELLO53,830%0,5 PISA37,36100%0,5 PONTE DI LEGNON.D.N.D.N.D.N.D. POSINAN.D.N.D.N.D.N.D. POVEGLIANO VERONESE51,521%0,5 RIMINI537,27330%0,5 RIVISONDOLI N.D.N.D.N.D.N.D. ROCCARASO80,96100%0,5 SOVERATON.D.N.D.N.D.N.D. VIGNOLAN.D.N.D.N.D.0,5 BASTIA UMBRA32,327%0,5 BELLUNO31,730%0,25 CINTO CAOMAGGIOREN.D.N.D.N.D.N.D. TEMÙ50,8530%0,5 BERCETO50,330%0,5 Totale4,982,339%0,5 Fonte: nostra elaborazione da regolamenti comunali (ove disponibili) reperibili dai siti web delle amministrazioni, 2015

(28)

La durata media dell’imposta di scopo è di 4,9 anni, anche qui con punte minime (Morfasso, 1 anno) e massime di 10 anni a Cesenatico; il con- tributo medio dell’imposta di scopo, come visto, è del 39%, desumibile all’interno di un range che va dal 5% di Morfasso sino al 100% di Pisa, Cesenatico e Roccaraso che hanno attivato l’imposta di scopo dopo il D.Lgs. 23/2011 ed hanno beneficiato, quindi, della possibilità garantita dalla normativa di portare l’imposta a totale copertura degli investimenti da realizzare.

La fonte delle successive analisi si sposta dai regolamenti e dalle infor- mazioni disponibili dall’Agenzia delle Entrate ai Certificati ai consuntivi dei Comuni considerati, disponibili nella sezione “Finanza Locale” del sito web del Ministero dell’Interno.

Analizzando tali certificati per il periodo 2007-2014, infatti, emerge un quadro complessivo che mette in luce poco meno di 24,5 milioni di euro di accertamenti con riscossioni relative (sia di competenza che in conto residui) che si fermano a circa 23 milioni di euro.

Si tratta di un dato che è stato analizzato con riferimenti ai singoli Comuni e da cui si può porre in evidenza come, accanto a situazioni in cui il grado di riscossione è prossimo al 100%, ve ne siano altre dove la riscossione delle imposte di scopo si presenta problematica: è il caso di Lauro, dove è stato riscosso il 21% delle imposte di scopo accertate, e di Nocera Terinese, dove i consuntivi permettono di evidenziare un grado di riscossione del 27%.

Come nell’analisi dei regolamenti, anche in tale approfondimento sono presenti dei “buchi” derivanti da un valore pari a zero delle entrate de- rivanti da imposte di scopo nei Certificati ai conti consuntivi. Si tratta di un valore che è dovuto, con ogni probabilità, alla errata contabilizzazione di tali entrate da parte dei Comuni in sede di redazione dei Certificati al consuntivo; ciò in quanto è difficile ipotizzare un Comune che, pur aven- do attivato l’imposta di scopo, non abbia nemmeno un accertamento sul tema in bilancio.

(29)

Tabella 3 Gli accertamenti e le riscossioni delle imposte di scopo, 2007-2014 20072008200920102011201220132014Totale ACCERTAMENTI (EURO)6.038.085 5.520.730 3.230.933 3.239.000 3.294.226 304.135 243.192 2.620.620 24.490.921 RISCOSSIONI (Comp. + residui) (EURO)1.393.849 3.757.874 4.622.593 3.795.669 3.984.933 2.814.518 295.450 2.429.905 23.094.791 Fonte: nostra elaborazione su dati Ministero dell’Interno (Certifi cati ai consuntivi), anni vari

(30)

Tabella 4 Gli accertamenti e le riscossioni delle imposte di scopo nei Comuni con imposta di scopo

Comune Totale

ACCERTAMENTI (2007-2014)

Totale RISCOSSIONI

(2007-2014)

Grado di RISCOSSIONE

CASERTA - - -

CASTELLABATE - - -

CESENATICO 747.693,50 695.513,55 93%

LAURO 42.459,00 9.000,00 21%

MATELICA 600.000,00 532.401,53 89%

MELILLI 1.929.899,80 1.808.356,92 94%

MISANO ADRIATICO 1.134.659,43 1.134.601,13 100%

MORCIANO DI ROMAGNA 330.073,00 346.315,42 105%

MORFASSO 11.400,00 7.070,00 62%

NOCERA TERINESE 125.664,17 34.320,00 27%

OCCHIOBELLO 650.000,00 658.084,76 101%

PISA 1.630.084,42 1.585.141,40 97%

PONTE DI LEGNO - - -

POSINA - - -

POVEGLIANO VERONESE 320.000,00 320.000,00 100%

RIMINI 13.445.774,89 12.669.131,03 94%

RIVISONDOLI 48.000,00 48.000,00 100%

ROCCARASO 305.174,43 298.995,39 98%

SOVERATO 90.000,00 90.000,00 100%

VIGNOLA 1.792.000,00 1.573.500,00 88%

BASTIA UMBRA 645.000,00 675.108,88 105%

BELLUNO 513.038,06 513.039,06 100%

CINTO CAOMAGGIORE 130.000,00 96.212,00 74%

TEMÙ - - -

BERCETO - - -

Fonte: nostra elaborazione su dati Ministero dell’Interno (Certifi cati ai consuntivi), anni vari

(31)

Tale breve disamina permette di mettere in luce come non si possa parlare di successo dell’imposta di scopo. Soprattutto dal raffronto delle riscossioni complessive, circa 23 milioni di euro, con alcune stime che, nel 2007, pre- vedevano come l’imposta di scopo “con un’aliquota dello 0,5 per mille po- trebbe […] produrre un gettito complessivo di circa 942.000.000 di euro”(7).

Si tratta di dati che si basano sull’assunto, puramente teorico, che tutti gli 8.100 Comuni italiani avrebbero applicato l’imposta di scopo e che per- mettono di avere un quadro sull’attuazione di tale tributo e di interrogarsi sulle ragioni di tale scarsa attuazione.

In particolare le ragioni del mancato decollo dell’imposta di scopo pos- sono rinvenirsi:

• nel suo concretizzarsi quale addizionale IMU;

• nella durata limitata nel tempo;

7 Pais Becher A., La nuova imposta di scopo nei Comuni, Giugno 2007, articolo tratto da sito www.revisori.it/EL%20imposta%20di%20scopo.pag, consultato in data 02/11/2015

Figura 3 Raffronto tra accertamenti e riscossioni delle imposte di scopo, 2007-2014

Fonte: nostra elaborazione su dati Ministero dell’Interno (Certificati ai consuntivi), anni -

1.000.000 2.000.000 3.000.000 4.000.000 5.000.000 6.000.000 7.000.000

2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014

euro

anni

Accertamenti Riscossioni (Comp. + residui)

(32)

• nelle modalità di previsione del rimborso in caso di mancata realizza- zione dell’intervento;

• nelle regole contabili e nei vincoli alla finanza locale;

• nel contesto socio-economico e normativo degli anni più recenti.

L’imposta di scopo quale addizionale IMU

Una delle ragioni dello scarso successo dell’imposta di scopo può farsi ri- salire al suo essere, nei fatti, un’addizionale dell’IMU, così come previsto anche dal D.Lgs. 23/2011.

Si tratta di una previsione che apre, anche con riferimento all’imposta di scopo, una serie di problematiche derivanti dalla certezza di risorse di cui necessitano gli Enti Locali.

L’IMU, infatti, pur rappresentando formalmente un’imposta comunale, nella sostanza, rappresenta una leva fiscale che non è che marginalmente nelle mani dei Comuni.

Come ha sottolineato la Corte dei Conti(8) “risulta difficile individuare uno stretto collegamento fra l’autonomia impositiva accordata e quella con- cretamente esercitata e, nell’ambito di quest’ultima, fra scelte autonome degli amministratori locali e decisioni condizionate dal legislatore nazio- nale”, rivelandosi l’autonomia locale “limitata e condizionata”.

A tal proposito uno studio della Fondazione Rosselli(9) mostra una forte differenza tra forma e sostanza: il peso delle scelte discrezionali degli Enti Locali sui tributi propri infatti è quantificabile in un range compreso tra l’11% ed il 20%, il che significa che per ogni 100 euro di tributi locali, so- lamente 20 euro (arrotondando per eccesso) rientrano nella piena discre- zionalità del Comune impositore, a causa di vincoli normativi e finanziari.

8 Corte dei Conti, “Attuazione e prospettive del federalismo fiscale” - Audizione presso la Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale, 6 marzo 2014

9 Nicolai M., Primo Rapporto sulla Finanza Pubblica. Finanza Pubblica e federalismo, Fon- dazione Rosselli, Maggioli Editore, Santarcangelo di Romagna (RN), 2012

(33)

Un chiaro esempio di tale concetto si può rinvenire nel caso limite del 2013, quando il pareggio elettorale di febbraio pose prepotentemente sul tavolo delle trattative tra i partiti l’IMU sulla prima casa, divenendo uno tra i temi più caldi del panorama politico di quei mesi, complice la difficile formazione di un Esecutivo.

Fu in questo clima che il Governo Letta varò (a pochi giorni dalla scadenza ordinaria del 16 giugno 2013) il D.L. 54/2013 rubricato “Interventi urgenti in tema di sospensione dell’imposta municipale propria, di rifinanziamen- to di ammortizzatori sociali in deroga, di proroga in materia di lavoro a tempo determinato presso le pubbliche amministrazioni e di eliminazione degli stipendi dei parlamentari membri del Governo” nel quale, all’art. 1, si sospendeva l’applicazione dell’IMU sulla prima casa.

Nonostante il dibattito intorno all’IMU sulla prima casa sia stato arricchito anche da contributi istituzionali, quale quello del Ministero dell’Econo- mia, che prese posizione contro l’abolizione del prelievo sull’abitazione principale in quanto “non […] pienamente giustificabile sul piano dell’e- quità ed efficienza del tributo”(10), anche la seconda rata IMU (sempre sul- le prime case) venne abolita dall’art. 1 del D.L. 133/2013, del 30 novem- bre, convertito in legge il 29 gennaio 2014 (Lg. 5/2014). Si realizzò così

“un farraginoso e mediocre rimescolamento delle carte”(11) il cui effetto più evidente, oltre a dimostrare il potere nullo dei Comuni su un tributo, teoricamente comunale, è stata la proroga del bilancio di previsione per l’anno 2013 al 30 novembre 2013.

Questo potere scarso di intervento sull’IMU si riverbera necessariamente sull’imposta di scopo la cui previsione, anche finanziaria, è resa difficile dal- le variazioni nazionali all’imposizione comunale. Una riduzione della base imponibile IMU, infatti, potrebbe comportare un’importante riduzione del

10 MEF, Ipotesi di revisione del prelievo sugli immobili, 7 agosto 2013

11 Di Liddo G., Zanardi A., La finanza locale, i primi segnali di assestamento, in La finanza pubblica italiana - Rapporto 2014, Ed. Il Mulino, Bologna, 2015

(34)

gettito dell’imposta di scopo con la necessità, per il Comune, di ricorrere ad ulteriori ed impreviste forme di finanziamento degli investimenti.

A tal proposito è opportuno ricordare anche il rischio che l’abolizione dell’IMU sulla prima casa rischia di derubricare il tema dell’imposta di scopo a mera patrimoniale sulle seconde case. Essa andrebbe a colpire i non residenti, svilendo, come per le imposte di soggiorno (della quale rappresenterebbe una sorta di duplicazione), il principio del no taxation without representation. Tale imposta, nei fatti, agirebbe su un ambito sog- gettivo che solo in minima parte beneficerà degli investimenti finanziati con la medesima. Si tratta di un forte limite che impedisce alle imposte di scopo, come attualmente regolate dalla normativa nazionale, di catturare integralmente il valore aggiunto degli interventi pubblici.

Al contrario non è ben chiaro, dalla formulazione della normativa, cosa possa accadere nel caso in cui si abbia un ampliamento della base impo- nibile IMU, con il conseguente superamento del costo dell’opera o della diversa percentuale prevista di copertura da parte dell’imposta di scopo.

In tal caso, infatti, non emerge nulla in ordine né alla necessità di rimbor- sare ovvero di riutilizzare le somme per opere similari od altra soluzione.

Da tale contesto è evidente come non solo l’autonomia finanziaria, ma anche l’esigenza di certezza delle risorse comunali risulti particolarmente frustrata.

Un secondo tema critico relativo alle imposte di scopo è il potere ridotto, ove non nullo, di intervento degli Enti Locali che emerge dai risicati spazi formali di manovra concessi dalla normativa.

Sia il D.Lgs. 23/2011, sia il D.Lgs. 68/2011, che normano al loro interno, rispettivamente le imposte di scopo comunali e provinciali, fanno esplici- to riferimento alla necessità di approvare da parte degli organi consiliari degli Enti che intendono attivare l’imposta di scopo dei regolamenti ex art. 52 del D.Lgs. 446/1997.

(35)

Tali regolamenti sono approvati con deliberazione del Comune e della Provincia non oltre il termine di approvazione del bilancio di previsione, non hanno effetti prima del 1° gennaio dell’anno successivo e devono essere obbligatoriamente trasmessi al Ministero dell’Economia e delle Finanze, entro trenta giorni dalla data in cui sono divenuti esecutivi e sono resi pubblici.

È di particolare interesse, in questa trattazione, la previsione specifica del comma 1 dell’art. 52 in oggetto che prevede che gli Enti Locali “possono disciplinare con regolamento le proprie entrate, anche tributarie, salvo per quanto attiene alla individuazione e definizione delle fattispecie imponibili, dei soggetti passivi e della aliquota massima dei singoli tributi, nel rispet- to delle esigenze di semplificazione degli adempimenti dei contribuenti”.

Posto che gli Enti non possono individuare e definire le fattispecie impo- nibili, vale a dire l’oggetto dell’imposizione, i soggetti passivi e l’aliquota massima, emerge in tutta evidenza come la potestà tributaria delle Au- tonomie Locali si ferma a scelte marginali di definizione dell’aliquota, entro limiti ben definiti dalla legge, di eventuali esenzioni, senza tuttavia variare i soggetti passivi, e poche altre leve.

Il comma 5, del medesimo art. 52, prevede inoltre talune specificazioni in ordine alle previsioni di tali regolamenti, con riferimento all’accerta- mento dei tributi, che può avvenire anche in forma associata tra più Enti Locali, la necessità, qualora si affidi a terzi l’accertamento e la riscos- sione dei tributi, che sia garantito il rispetto delle procedure di evidenza pubblica e che tale procedura non comporti oneri aggiuntivi a carico dei contribuenti.

La previsione di un limite alla durata dell’imposizione

Sin dalla Lg. 296/2006 è stato previsto un limite temporale di applicazio- ne dell’imposta di scopo. Tale limite, originariamente definito in 5 anni è stato poi incrementato a 10 anni dal D.Lgs. 23/2011.

Pur nell’opportunità di una tale dilazione nel tempo occorre richiamare,

(36)

da un lato, come le incertezze che gravano sulla finanza locale rendano difficili previsioni per un lasso di tempo così lungo, da un altro è neces- sario evidenziare i potenziali impatti di una tale imposizione sulle scelte degli Enti Locali in tempi di imposizione di scopo.

Come emerge dai dati Dipartimento per lo sviluppo e la coesione econo- mica (oggi Agenzia per la coesione territoriale), esposti dall’Accordo di Partenariato 2014-2020 sui Fondi UE, la tempistica media di realizzazione delle opere pubbliche è ricompresa in una forbice che va da 2 anni e 9 mesi per le opere inferiori a 100.000 euro, fino ad oltre 14 anni e 6 mesi per le infrastrutture con valore superiore a 100 milioni di euro.

Figura 4 Tempi medi di realizzazione delle opere pubbliche, 2014

Fonte: DPS, Accordo di Partenariato sui fondi strutturali europei 2014-2020, ottobre 2014 Progettazione Affidamento Lavori

> 100

50 - 100

20 - 50

10 - 20

5 - 10

2 - 5

1 - 2

0,5 - 1

0,2 - 0,5

0,1 - 0,2

< 0,1

6,0 5,0 4,7 4,0 3,6 3,3 3,0 2,7 2,5 2,3 2,1

14,6 anni 11,6 anni

10,2 anni 8,7 anni 7,7 anni 6,6 anni 5,8 anni 4,9 anni 4,2 anni 3,6 anni

2,9 anni

0 2 4 6 8

anni

importi (milioni euro)

10 12 14 16

1,3

1,2

1,1

1,0

0,8

0,7

0,6

0,5

0,4

0,4

7,2

5,4

4,4

3,8

3,2

2,6

2,1

1,7

1,2

0,9

0,4 0,7

(37)

Si tratta di valori medi che non escludono tempistiche ridotte, ma nem- meno tempistiche più elevate, ragion per cui, nell’ottica della prudente gestione, pare azzardato (allo stato delle cose) finanziare con imposta di scopo opere finanziariamente importanti.

Dopo i 10 anni, infatti, non sono chiare le soluzioni permesse dalla norma.

Si tratta, nei fatti, di un meccanismo che, pur potendo configurarsi quale stimolo ad una riduzione delle tempistiche di realizzazione delle infra- strutture, spinge gli Enti a finanziare con le imposte di scopo solo le ope- re minori con un duplice effetto:

• la scarsa capacità di ammortizzare i costi derivanti da un incremento della complessità burocratica e gestionale (tra cui il dover far fronte a nuove incombenze a fronte della sostanziale impossibilità ad assume- re personale) derivante dall’introduzione dell’imposta di scopo;

• il disincentivo a forme di imposizione che vadano oltre i meri confini amministrativi degli Enti interessati, per la realizzazione di opere in grado di generare economie territoriali importanti, a fronte di investi- menti più onerosi di quelli “sostenibili” da una tempistica così ridotta.

Ulteriore aspetto controverso dell’apposizione di un limite decennale alla possibilità di imporre tributi di scopo è la asimmetria temporale che si verifica tra il momento della riscossione e il momento in cui si esplicitano i benefici derivanti dall’infrastruttura che, nei fatti, mortifica la possibi- lità di introdurre un’imposta orientata alla cattura del valore. Questo in quanto la durata decennale dell’imposizione non permette all’imposta di cogliere tutte le esternalità e, in particolare, quelle connesse all’opera, destinate a espletarsi nel medio-lungo periodo.

L’abbattimento del termine decennale permetterebbe di strutturare una forma impositiva connessa ai benefici ed alle esternalità emergenti e permetterebbe una connessione tra imposizione e piano finanziario di gestione dell’investimento.

Emerge, in tale frangente, come non sia necessario un limite temporale quanto uno stretto vincolo alle tempistiche dell’opera da realizzare con incentivi al rispetto delle medesime da parte del costruttore, aspetti que-

(38)

sti che non attengono al diritto tributario ed alla finanza pubblica in senso stretto, ma al diritto contrattuale.

L’obbligo di rimborso in caso di mancato avvio dell’opera

Sin dalla prima release della normativa in materia di imposte di scopo era previsto l’obbligo, a carico dell’Amministrazione, di retrocedere l’im- posta nel caso in cui l’opera finanziata non prendesse avvio entro un termine definito in due anni dalla data prevista dal progetto esecutivo.

Si tratta di una previsione che, pur se sostenuta dalla valida ratio di evi- tare che gli introiti dell’imposta di scopo vengano utilizzati per scopi dif- ferenti da quelli previsti, rappresenta un punto critico della normativa in quanto non considera in alcun modo i ritardi ed i blocchi alle opere causate dai vincoli di finanza pubblica.

La normativa vigente, da un lato, impone il rimborso delle imposte riscos- se anche nel caso in cui siano vincoli emergenti a rendere necessario il mancato avvio dell’opere (ad esempio un aggravio delle regole di finanza pubblica), dall’altro lascia una pericolosa lacuna nel caso in cui l’opera prenda avvio entro i termini stabiliti ex lege ma non giunga a conclusione.

Da un’interpretazione letterale sembrerebbe che il legislatore voglia tute- lare il contribuente solo in fase di avvio dell’opera senza porre attenzione alla reale realizzazione della medesima.

Dal punto di vista finanziario, invece, tale disposizione presenta dei rischi derivanti dalla richiesta agli Enti di rimborsare risorse che, in un tempo futuro, risultano già spese, con i conseguenti rischi in termini di equilibri di bilancio.

A parere di chi scrive, quindi, accanto all’indubbia necessità di una clau- sola di salvaguardia che tuteli i contribuenti, si rivela necessario un ripen- samento della medesima che vada, da un lato, a penalizzare il mancato rispetto di consegna dell’opera, con imputazione al soggetto responsa- bile degli oneri derivanti dal ritardo, ma dall’altro, tenga in debita consi-

(39)

derazione i vincoli e i limiti imposti dalla normativa sulla finanza locale e in tema di contabilità, con una previsione di esclusioni dai vincoli o altre modalità che vadano ad incentivare, e non ad ostacolare, l’introduzione di imposte di scopo e le infrastrutture ad esse connesse.

Le regole contabili e i vincoli alla finanza locale

Nel corso degli ultimi anni le Autonomie Locali sono state oggetto di crescenti vincoli di natura contabile e finanziaria che hanno minato seria- mente la flessibilità della gestione del bilancio pubblico e la possibilità di ricorrere all’indebitamento per il finanziamento degli investimenti.

Tra le principali novità in materia di finanza locale si ricorda il cd. pa- reggio di bilancio, introdotto nel nostro ordinamento a seguito della Lg.

Cost. 1/2012 (che ha recepito a livello costituzionale il Fiscal compact si- glato a livello UE nel marzo 2012), e attuato per gli Enti Locali con la Lg.

243/2012, in vigore a partire dal 1° gennaio 2016.

La Lg. 243/2012 (pareggio di bilancio) disegna un nuovo quadro degli equilibri prevedendo che un Ente si trovi in equilibrio qualora registri un saldo non negativo (in termini di competenza e di cassa) tra:

• entrate finali e spese finali;

• entrate correnti e spese correnti, ivi comprese le quote di capitale di ammortamento del debito.

Tali disposizioni trovano attuazione;

• nel combinato disposto degli artt. 162 e 193 del TUEL che prevedono la necessità di raggiungere, tanto a preventivo quanto a consuntivo, l’equilibrio di parte corrente, oltre che l’equilibrio di parte capitale tra investimenti e fonti di finanziamento (ivi compreso l’indebitamento) e l’equilibrio delle partite finanziarie (concessioni e riscossioni di crediti);

• le previsioni della Lg. 208/2015 (legge di stabilità 2016) che prevede il superamento del patto di stabilità interno a favore di un nuovo vincolo basato sul saldo di competenza tra entrate finali e spese finali (il cd.

pareggio di bilancio).

(40)

A norma dell’art. 10 della Lg. 243/2012, inoltre, si prevedono ulteriori vincoli all’indebitamento che potrà essere consentito solo per il finanzia- mento degli investimenti con una disciplina che prevede:

• limiti alla durata del piano di ammortamento che non sia superiore alla vita utile dell’investimento;

• la necessità di intese regionali volte a garantire l’equilibrio degli Enti della Regione di appartenenza;

• la possibilità di ricorrere all’indebitamento nel limite dell’ammontare dei prestiti annualmente rimborsati.

Queste importanti novità normative, unitamente ai limiti di cui all’art. 204 del TUEL, che prevede vincoli alla crescita degli interessi passivi soste- nuti dagli Enti (che non possono superare il 10% delle entrate correnti), spingono alla ricerca costante di nuove forme di finanziamento delle in- frastrutture indispensabili per il rilancio economico.

In questo contesto l’imposta di scopo troverebbe ampi spazi di manovra in quanto presenta una struttura contabile che va a rendere meno pesante l’impatto degli investimenti sugli equilibri del nuovo saldo di competenza finale previsto dalla Lg. 208/2015. Nella pratica contabile, infatti, si avreb- be una registrazione di entrate tributarie (anziché entrate da accensioni prestiti ininfluenti per gli equilibri) che andrebbero a ridurre (ove non ad annullare) l’impatto negativo che le spese in conto capitale avrebbero sui saldi di bilancio.

Nonostante, almeno in questo caso, i vincoli rappresentino un incentivo potenziale permangono nella normativa contabile taluni aspetti critici e di ostacolo all’imposizione di scopo, che occorrerà presidiare nella legi- slazione futura in tema di vincoli di bilancio e di contabilità.

Un primo tema riguarda il patto di stabilità che, pur se soppresso dalla Lg. 208/2015, è stato tra i principali imputati dei ritardi dei pagamenti delle P.A., per via del saldo di competenza mista che nei fatti bloccava la cassa, e della dilazione continua della realizzazione di importanti opere infrastrut- turali. Anche se il nuovo meccanismo introdotto in ottemperanza alla Lg.

243/2012 sembra possa permettere di superare molte delle complessità e

Riferimenti

Documenti correlati

Con l’IVA imposta da imposta a differenza che con l’IVA base da base e l’imposta plurifase (cumulativa) sul valore pieno ho che:. L’imposta complessiva sul bene non dipende dal

Quanto previsto ai fini IRPEF (cui si rinvia) dall’art. 66/2014 ha effetto anche ai fini IRAP per i soggetti che producono reddito agrario su base catastale. Anche per il

Eseguire il campionamento alla data pianificata ponendo maggiore attenzione alla tecnica di campionamento Probabile contaminazione da parte degli operatori che hanno eseguito

A Doha, in Dicembre, durante la conferenza delle Nazioni Unite sul finanziamento allo sviluppo, gli impegni dell’Europa per un aumento dell’aiuto (0,56% del PIL nel 2010) così come

Ed infatti se per i tributi periodici il limite di € 12,00 ha la sua ragionevolezza in rapporto alla misura ordinaria dell’entità economica del prelievo per anno di imposta,

Secondo l’Avvocato generale della Corte Ue le autorità giudiziarie italia- ne non sono competenti a valutare la legittimità delle decisioni della Com- missione di risoluzione

La richiesta di parere è da considerarsi ammissibile sotto il profilo soggettivo e procedurale in quanto è stata sottoscritta dall’organo legittimato a

«www.diritto.regione.veneto.it»,Numero Unico 2013, pubblicato a marzo 2015, p.. 5  prodotto o un servizio, ma l’indice di riferimento per la gestione economica del sistema azienda a