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L’Onu: ancora orrori a Mosul quaranta impiccati ai lampioni

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Academic year: 2022

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L’Onu: ancora orrori a Mosul

quaranta impiccati ai lampioni

Cartelli del Daesh sui cadaveri con la scritta «traditori»

Nuove conferme: il califfo al-Baghdadi è già scappato

lmeno 40 civili sono stati uccisi a Mosul e poi ap- pesi ai pali della luce dal Daesh. È l’Onu a denun- ciare l’episodio che sarebbe accaduto martedì. I corpi, con indosso tute arancioni e la scritta in rosso «tra- ditori e agenti dell’Isf», le Forze di sicurezza irachene, so- no stati appesi in diversi distretti di Mosul.

Proseguono, intanto, gli scontri tra le forze d’élite irache- ne ed i jihadisti nella parte orientale di Mosul, roccaforte del Califfato. Lo ha riferito il colonnello delle forze del- l’antiterrorismo Muntadhar Salem, precisando che si stan- no verificando «violenti scontri» nel quartiere di al Ar- bajiyya, a circa 5 chilometri dal centro. L’obiettivo delle for- ze irachene è di avanzare nel quartiere di al-Bakr, sempre

ad est di Mosul, circondandolo. Entrambi i quartiere so- no adiacenti a quello di al-Qadisiyyah, dove venerdì si è combattuto violentemente. Continua pure l’esodo dei ci- vili in fuga. L’artiglieria ha colpito tre autobomba lancia- te dal Daesh contro obiettivi dell’esercito iracheno.

Inoltre i miliziani del Daesh hanno ucciso due persone nel- l’area di Wadi Hajar, a sud di Mosul, perché «spie»: i due uomini sono stati bruciati vivi con l’accusa di aver rivela- to delle informazioni all’esercito iracheno. Nei giorni scor- si gli uomini del Daesh avevano ucciso otto civili a sud- ovest di Kirkuk, schiacciandoli con un bulldozer, sempre perché sospettati di essere «spie» del governo di Baghdad e dei curdi. Da quanto è stata lanciata l’offensiva sono cir-

ca 48mila gli sfollati censiti dall’Acnur. Centinaia di civili soccorsi, afferma l’Oim, hanno «infezioni respiratorie e ustioni per i giacimenti petroliferi in fiamme, così come ferite da proiettile e colpi di mortaio» mentre scarseggia- no gli aiuti sanitari e umanitari.

Infine, il governatore della provincia di Ninive, Nofal Ha- madi al-Sultan, ha confermato che Abu Bakr al-Baghda- di sarebbe fuggito da Mosul. Il governatore ha rivelato di avere «informazioni confermate sulla fuga del leader di Daesh da Mosul» come risulterebbe dall’ultima registra- zione audio diffusa da Abu Bakr al-Baghdadi lo scorso 3 novembre. (A.E.)

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A

LUCAGERONICO INVIATO AERBIL

araqosh». Solo il nome, pronunciato lungo i cor- ridoi spettrali del centro commerciale “Nistiman”, ora provo- ca un sobbalzo di gioia fra i profughi cristiani. Quando, la sera del 18 otto- bre, giunse dal fronte la notizia della liberazione della cittadella cristiana nel centro della Piana di Ninive, «è sta- ta un’esplosione di gioia come per l’annuncio di Pasqua. Ancora più di Pasqua», racconta padre Jalal Jako.

Suono di campanelle nei corridoi, ur- la e balli di festa dei bambini, e subi- to la preghiera nella cappella ricava- ta nell’ambulacro del quarto piano.

A inizio ottobre padre Jalal – il parro- co delle baraccopoli – è tornato fra la sua gente dopo due mesi di sosta: a fi- ne luglio il suo campo di Ashti era sta- to smantellato e le famiglie trasferite in appartamenti affittati dalla dioce- si di Mosul. La notizia che il Daesh per qualche ora era rientrato in città è sta- to un tuffo al cuore per tutta la sua nuova comunità, circa 1.300 sfollati da Qaraqosh e Bartalla. Poi la certez- za, con le prime foto dei soldati cri- stiani arruolati nell’esercito iracheno che rimbalzano di telefonino in te- lefonino: «Qaraqosh è libera». Ma non ancora accessibile. Solo alcuni sacer- doti, con la scorta dell’esercito, han- no varcato i posti di blocco: una pri- ma Messa è stata celebrata domeni- ca 20 ottobre, dopo due anni di silen- zio forzato, nella cattedrale dell’Im- macolata concezione ancora deva- stata e vuota di fedeli. Anche padre Ja- lal quella domenica è ritornato a Qa- raqosh, ha baciato l’ingresso della cat- tedrale e accarezzato l’altare dove ven- ne ordinato sacerdote.

Di certo un segno di speranza. Ma tut- ti sanno, in questo spettrale palazzo- ne di sette piani nel centro di Erbil die- tro al cimitero, con i primi due piani occupati da negozi, il terzo da uffici, e altri tre con i vani-negozio trasforma- ti in affollati mini-appartamenti, tut- ti sanno che è ancora troppo presto per rientrare. Ogni sera, nella struttu- ra che un ricchissimo orafo cristiano

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di Kirkuk ha messo a disposizione gra- tuitamente per i profughi siro-catto- lico, la festa spontanea dei più picco- li nell’ampio corridoio si trasforma in un canto di liberazione: «Qaraqosh li- bera», «Bartalla libera», «Nimrud libe- ra», «Mosul libera» inneggiano sem- plici cartelloni colorati mentre due casse collegate a un pc diffondono musiche popolari.

Una esultanza che nasconde ancora un mare di incertezza e angoscia.

Quando si potrà tornare? «Prima de- vono bonificare la città da tutte le bombe. Poi si dovrà riallacciare l’ac- qua», risponde Rabee Yousif Soran, veterinario di Qaraqosh eletto capo di un’ala di “Nistiman”. «E poi ci vuole

protezione internazionale. Vogliamo la presenza di milizie cristiane ap- poggiate da potenze europee». Di tut- ti gli altri «non abbiamo fiducia». In molti ricordano la notte del 6 agosto del 2014 come un «tradimento». La promessa dei peshmerga curdi di pro-

teggere la cintura degli antichi villag- gi cristiani dall’avanzata del Califfato rimangiata in una notte: ordini venu- ti dall’alto che hanno determinato, con la fuga dei 120mila cristiani, un ve- spaio di risentimenti e sospetti.

«Che sicurezza avremo dopo la libe- razione. Chi ci difenderà?», si chiede anche Hassen. Fa parte di un grup- po di giovani catechisti. Con lui pu- re Saray: «Ora abbiamo la forza di ri- partire. Ma quando saremo lì e ve- dremo le nostre case distrutte e a- vremo gli occhi pieni di macerie, for- se ci verrà meno quella forza e capi- remo che non è più casa nostra». È la paura del Daesh, che non si può cancellare con un colpo di spugna o

una raffica di mitra: «Da due anni ci chiediamo: quando verrà sconfitto il Daesh? Ma potremo vivere con queste parole che risuonano nella nostra testa?», si chiede Diana.

Ritornare, per un popolo intero, nel- la terra dove si parla e si prega in a- ramaico dal 300 dopo Cristo? «Spe- riamo di tornare, ma gli anni della ri- costruzione saranno ancora più dif- ficili: si deve lavorare per la riconci- liazione fra la gente», spiega fratel Ba- sim, rogazionista come padre Jalal, pure lui a “Nistiman”.

Si combatte ancora mentre le auto- rità locali cercano di riannodare le fi- la spezzate da due anni di guerra. Il consiglio comunale di Mosul, in esi-

lio a Dohuk, avrebbe ripreso a riunir- si, come pure le autorità locali degli altri villaggi liberati. Si sogna di ritor- nare, guardando la guerra in diretta sulle tv satellitari, ma intanto c’è chi combatte. Due battaglioni cristiani so- no parte delle forze speciali antiter- rorismo entrate a Bartalla. A Qaraqo- sh sarebbe in azione anche la “Ninive protection unit”, cristiani dipendenti dal ministero della Difesa di Baghdad.

C’è chi parla anche degli “Ashuri”, gli Assiri, una milizia cristiana di circa 400 elementi pronta ad entrare in azione.

Nuove alleanze e timore di signori del- la guerra locali capaci di fare da ago della bilancia: come Atil al-Yugefi, ex governatore di Mosul su cui pesa un ordine di cattura ma al comando di una potente milizia personale. Per questo ritornare, per i cristiani della Piana di Ninive, vorrà dire aver ga- rantito uno spazio fra nuovi e vecchi poteri locali. Un «governatorato cri- stiano» sui villaggi liberati è una ipo- tesi che piace ad alcuni leader politi- ci della comunità, ma è ancora trop- po presto per tornare come per issa- re bandiere e scrivere ordinanze.

Intanto, come un mostro, il Daesh continua a colpire e a Mosul la batta- glia casa per casa è solo ai primi gior- ni. Sui social si fa la conta dei «marti- ri». Molti di più di quelli dichiarati uf- ficialmente, ti dicono. E a sera tutti si sintonizzano su Google map e vanno a cercare la loro casa abbandonata.

Sulle scale che portano all’uscita di

“Nistiman” un anziano soldato, me- glio non chiedere di quale battaglio- ne o milizia, con un sorriso mesto sa- luta abuna Jalal: «Hanno bombarda- to la mia casa», dice. «Allah Karim!», e- sclama a mo’ di saluto. «Dio è gene- roso». Provvederà.

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Nel centro di accoglienza Nistiman:

canti di gioia per la liberazione, ma

«quando vedremo le macerie forse capiremo che non è più casa nostra»

Intervista. «La pace è possibile: anche Focsiv in campo»

ianfranco Cattai, presidente Focsiv, la campagna «Hu- manity» vuole allargare la presenza del sistema Foc- siv dal Kurdistan ad altre re- gioni del Medio Oriente.

Perché questa scelta?

Perché i fattori che deter- minano la non risoluzione del conflitto armato tocca- no una regione quanto mai vasta ed è proprio per que- sto che noi, grazie alla pre- senza diretta o indiretta dei nostri associati, abbiamo deciso di allargare a una fet- ta di Medio Oriente la no- stra attenzione.

Un progetto, come preci- sato sul sito di Focsiv, so- stenuto da un consorzio.

Anche questa una novità rispetto a «Emergenza Kurdistan» di cui «Huma- nity» è l’evoluzione. Cosa comporta questo?

Accanto ai partner che si so- no impegnati nel progetto

«Emergenza Kurdistan» (A- cli, Auci, Azione Cattolica, Banca Etica, International Help, Iscos-Cisl, Masci, M- cl, Università Cattolica) ab- biamo deciso, con altri sei soci Focsiv di costituire un consorzio di investimento, che evidentemente non va a sottrarre fondi a quanto già raccolto, con l’obiettivo di allargare l’impatto e la re- te di chi effettivamente la- vora in questo campo sia in Italia che sul posto.

Con quali obiettivi?

Questa nuova campagna

«Essere umani con gli esse- ri umani» mira fondamen- talmente a tre obiettivi. In- nanzitutto informare e con- tro-informare, e sensibiliz- zare sul messaggio lanciato nel luglio 2016 da papa Francesco per la Siria: la pa- ce è possibile, si può arriva- re alla risoluzione del con- flitto armato. Vogliamo con- tribuire allo sforzo dei tan- ti che sono già impegnati per questo, far sentire al ne- goziatore Onu di Ginevra, a Staffan de Mistura che sta facendo il «lavoro dell’im- possibile» che non è il solo a voler arrivare almeno alla sospensione del conflitto

armato. Il secondo obietti- vo è quello di instaurare un dialogo inclusivo, basto sul rispetto della dignità uma- na, con le società locali. Per fare questo è importante, dopo aver raggiunto il pri- mo obiettivo, che si lavori molto sul concetto del per- dono reciproco, del rispet- to dell’umanità di ciascuno.

Il terzo obiettivo è quello

che già facciamo abitual- mente: sostenere i Paesi e le persone colpite dal dram- ma della guerra, in partico- lare gli sfollati, i rifugiati, le minoranze e le comunità o- spitanti. Noi che facciamo tante difficoltà ad ospitare gli stranieri non ci rendia- mo conto dell’impatto che hanno già i profughi sulla popolazione locale per e- sempio in Libano e ormai anche in Kurdistan. Proprio per questo abbiamo senti- to l’esigenza di irrobustirci come azione.

Che tipo di garanzie ci so- no di riuscire ad operare in Siria, dove è in corso una guerra, e in altri contesti non facili, con efficacia, li-

bertà e indipendenza?

La risposta è complessa.

Abbiamo l’esperienza del Kurdistan dove operiamo a Erbil e Kirkuk, ma a Kirkuk non direttamente, perché sappiamo che non possia- mo essere fisicamente pre- senti. Operiamo attraverso persone del posto e affida- bili che conosciamo diret- tamente. Questo garantisce la sicurezza dei nostri ope- ratori, ma anche che i fon- di investiti vadano a buon fine. Questo, sempre per re- stare al Kurdistan, non eli- mina il fatto che qualche se- gnale di allarme sulla sicu- rezza, ultimamente, sia sta- to recepito pure ad Erbil. In altri Paesi i soci del consor-

zio hanno operatori locali, quindi non italiani, che so- no più tutelati e conoscono bene la situazione locale. In questo modo si creano competenze specifiche e interventi mirati, come ad esempio quello dei fratelli maristi per il progetto della distribuzione dell’acqua ad Aleppo.

Luca Geronico

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Gianfranco Cattai

Cattai: «Dobbiamo ricostruire relazioni e lavorare sul tema

del perdono»

Sognando un giorno il ritorno a Qaraqosh

I profughi cristiani rifugiati a Erbil: «Via le bombe, poi protezione internazionale»

Sono migliaia i profughi siriani e iracheni in fuga da violenze e macerie e accolti nei campi profughi in Kur- distan, Siria, Libano, Giordania e Turchia. I volontari di Focsiv (Federazione Organismi Cristiani Servizio In- ternazionale Volontario) li accolgono con cibo, cure me- diche, istruzione dando conforto a chi ha perso tutto.

NON LASCIAMOLI SOLI. DONA ORA

In posta: ccp 47405006 intestato a Focsiv – causale: Av- venire per Emergenza Siria-Kurdistan. In banca: tra- mite bonifico a Banca Etica sul conto intestato a Focsiv For Humanity (Iban: IT 63 U 05018 03200 0000 0017 9669) – causale: Avvenire per Emergenza Siria-Kurdi- stan. On line dal sito: humanity.focsiv.it

LA FAME

La distribuzione del cibo ai profughi ospitati nel campo di Khazer nel nord dell’Iraq:

da Mosul, a due settimane dall’inizio dell’offensiva, sono già scappati 48mila civili Sopra, una statua equestre bersagliata durante i combattimenti nella cittadina di Bashiqa, una ventina di chilometri a est della “capitale” del Califfato (LaPresse/Reuters)

20 M O N D O 13 Novembre 2016 Domenica

Riferimenti

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