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CONSIDERAZIONI DEL CTU Prof. Alessandro Chini

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Academic year: 2022

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CONSIDERAZIONI DEL CTU

Prof. Alessandro Chini

La simulazione di una C.T.U. in tema di presunta responsabilità professionale, deve avere a mio avviso, trattandosi di un corso di aggiornamento, non tanto le finalità di una eventuale valutazione

medico-legale del danno quanto, soprattutto, quella di individuare corretti parametri di giudizio relativamente ai primi due quesiti che, di norma, il Magistrato pone al medico-legale.

Ricordo a questo proposito come il primo richieda se lo stato del paziente trovava indicazione nell'intervento in concreto eseguito e come, il secondo sia particolarmente complesso.

Nello stesso, infatti, si chiede, sostanzialmente, se nell'esecuzione dell'intervento vi sia stata o meno l'adozione di tutte le cautele e gli accorgimenti dettati dalla scienza medica e suggeriti dall’esperienza, nonché il rispetto delle regole tecniche e l'osservanza delle norme di carattere deontologico, precisando -in caso di risposta negativa- se vi sia stata grave negligenza e/o imperizia e/o imprudenza valutabile ex art. 2236 c.c.

Nel caso in discussione, in merito al primo quesito non si può che rispondere positivamente in quanto si trattava di una paziente definita in termini ortopedici displasica cioè di una paziente che aveva in anamnesi una lussazione congenita di anca bilaterale e trattata, in età infantile, con apparecchi gessati per due anni e, all'età di 19 e di 21 anni, di osteotomia derotativa dei colli femorali.

L'intervento chirurgico di protesizzazione di anca destra e certamente non altri, era pertanto indicato trattandosi di un soggetto che, a causa delle anche displasiche, aveva sviluppato una patologia artrosica secondaria bilaterale, maggiore a destra, definita ingravescente.

Prof. Medicina Legale, Presidente dell’Associazione “M. Gioia”, Roma.

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Ricordo come, in questo tipo di intervento, le vie chirurgiche di elezione sono la antero- laterale, la laterale e la posteriore e che vengono preferite, l'una all'altra, a seconda dalla esperienza che ha il chirurgo.

Ricordo ancora, comunque, che, la via antero-laterale permette un più facile posizionamento del cotile ma ha lo svantaggio di ledere sempre il nervo femoro-cutaneo che, la via posteriore ha il vantaggio di valutare meglio il nervo sciatico poiché questi è presente visivamente nel campo operatorio ma ha lo svantaggio di una certa difficoltà nel posizionamento del cotile e che la via laterale, la più seguita, e che è quella scelta dal nostro operatore, ha lo svantaggio di essere molto aggressiva nei confronti delle strutture muscolari distrettuali.

In relazione, poi, al secondo quesito, l'aspetto fondamentale da prendere in esame e sul quale vanno postulate precise considerazioni medico-legali è la insorta, fin dal momento del rientro in reparto della paziente, della paralisi dello SPE dal lato operato e, pertanto, di un danno che, senza alcun dubbio, si è verificato durante l'atto operatorio.

Va altresì precisato che la paralisi si è modificata nel tempo passando da una paralisi totale ad un deficit parziale di tale nervo segno evidente, questo, che durante l'atto operatorio non si è verificata una recisione dello stesso.

Ma il punto medico-legale da chiarire è quello di stabilire, se tale danno, complicanza peraltro perceritualmente modesta ma presente in tutte le casistiche operatorie delle varie scuole ortopediche e da definire indubbiamente iatrogeno, sia in rapporto soltanto di causalità materiale con l'intervento in discussione, o se lo stesso sia anche conseguenza di una condotta professionale non corretta dell'èquipe chirurgica e/o del personale, anche paramedico, comunque addetto alla sala operatoria.

Orbene, ricordato ancora una volta che il nervo non è stato certamente reciso durante l'atto operatorio, la sua paralisi, inizialmente totale e successivamente parziale, può essere stata

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determinata dalla compressione del divaricatore apposto per visualizzare il fondo del cotile, da un suo imbrigliamento nella reinserzione dei muscoli extrarotatori e/o, infine, da un allungamento dell'arto che, nella specie, è stato di cm. 3,5 rispetto al controlaterale e/o da una sua eccessiva trazione nella manovra di riduzione.

Ma a prescindere da queste ipotesi patogenetiche, nessuna delle quali documentabile e/o dimostrabile, la problematica legata al quesito sull'esistenza o meno di una condotta professionale erronea e, pertanto, di una responsabilità colposa è legata purtroppo, ad un accertamento che non è stato eseguito.

Mi riferisco al non effettuato studio elettrofisiologico dello SPE che avrebbe evidenziato a quale livello dello stesso si sia verificata la lesione che ne ha comportato la iniziale paralisi e la successiva paresi.

Nella specie, infatti, si dice che vi è una paralisi dello SPE ma ovviamente, in assenza di uno studio elettrofisiologico, non se le fibre del nervo siano state compromesse in corrispondenza del fondo del cotile, in corrispondenza del gran trocantere, in corrispondenza del III prossimale del femore od ancora più distalmente.

Uno studio elettrofisiologico dello sciatico della paziente, ripeto, ci avrebbe certamente potuto indirizzare sull'effettivo livello della lesione.

Infatti un interessamento del nervo sciatico e più precisamente delle fibre che vanno a comporre lo sciatico popliteo esterno a livello del cotile apposto ci avrebbe potuto indirizzare verso una lesione da compressione del divaricatore.

Una lesione del nervo sciatico a livello del gran trocantere ci avrebbe potuto indirizzare nel riconoscere un suo interessamento da reinserzione e legatura dei muscoli extrarotatori.

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Infine una lesione del nervo sciatico al III inferiore di coscia od anche a livello della testa peroneale, quando già diventato sciatico popliteo esterno, ci avrebbe potuto indirizzare verso un suo interessamento da stiramento per manovre incongrue.

Soltanto la conoscenza del livello di lesione avrebbe potuto orientarci, a mio avviso, sulla esistenza o meno di una eventuale responsabilità dell'èquipe chirurgica e/o del personale paramedico comunque addetto alla sala operatoria.

Infatti una protratta compressione da divaricatore ci potrebbe indirizzare verso un 'assenza di colpa professionale in quanto il chirurgo appone il divaricatore subito al di sotto del fondo cotiloideo e solo una anomala anatomia dello sciatico, congenita o da sovvertimento, come nella specie, post-operatorio distrettuale, potrebbe trovare elementi per una compressione.

Diverso sarebbe il discorso se lo sciatico fosse stato compresso, in corrispondenza del gran trocantere da una legatura durante la reinserzione degli extrarotatori in quanto tale evenienza ci potrebbe indirizzare verso una responsabilità del chirurgo operatore per non aver riconosciuto il nervo ed averlo inglobato durante la reinserzione e legatura dei muscoli extrarotatori.

Una lesione del nervo sciatico a livello del III inferiore del femore o dopo la sua divisione a livello della testa peroneale ci potrebbe indirizzare verso una incauta e/o eccessiva trazione al momento del posizionamento dello stelo femorale nel neo-cotile o nella manovra di riduzione ed orientarci verso una responsabilità degli ausiliari di sala operatoria, oppure della èquipe chirurgica ed in particolare del terzo operatore. Tenendo conto che sulla paziente, operata per via laterale, si è necessariamente intervenuti ad anca flessa e marcatamente addotta e quindi il terzo operatore, posizionato dal lato opposto del primo, può aver per tutto il tempo dell'atto operatorio, eccessivamente compresso la regione laterale del ginocchio per mantenere la posizione.

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Nelle casistiche di cui abbiamo preso visione, però, una tale situazione si verifica, di norma, in persone molto anziane e con stato di magrezza. La nostra paziente, quando è stata sottoposta all'intervento aveva 46anni ed era in buone condizione generali (altezza cm. 160 e peso Kg. 55).

Per quanto attiene la problematica se, nella specie, siano state osservate le norme deontologiche, il Magistrato nel suo quesito, ritengo che faccia riferimento all'esistenza o meno di un consenso informato.

Non intendo affrontare tale argomento perché, in primo luogo, lo ritengo di natura ed interesse giuridico e non medico-legale e, secondariamente, perché il mio pensiero sul problema è stato ed è diverso e contrario a quanto negli ultimi anni ha prevalentemente espresso la Giurisprudenza civile e penale sia di merito che di legittimità.

Ma, anche rischiando (ovviamente si scherza) di essere accusato di istigazione a disubbidire alle Leggi (art. 266 e 415 c.p.) voglio quanto meno accennarvi quale è, sull'argomento, la mia opinione.

Premesso come sia a tutti noto che il consenso cosiddetto "informato" non è una liberatoria e non solleva i medici da eventuali responsabilità, anche deontologicamente (art. 40 del relativo Codice) il consenso è implicito nel rapporto di fiducia e deve essere esplicito soltanto quando l'atto medico compatti un rischio particolare od una diminuzione permanente dell'integrità fisica.

Analogo concetto è espresso nell'art. 4 della Guida Europea di etica medica.

D'altra parte la teoria del consenso presunto da me condivisa è, ancora oggi, sostenuta da autorevoli correnti giuridiche ed è fondata sulla assunzione, da parte del medico, della piena e totale responsabilità del trattamento dando a tale assunzione, al di là di atti burocratici puramente formali e degli adempimenti giuridici (la legge Italiana rende obbligatoria la stesura scritta del consenso solo nei casi di interruzione di gravidanza, di trasfusioni di sangue, di accertamenti per HIV e sperimentazione di farmaci) un valore altamente etico.

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Ed, infine, è da prendere in considerazione il problema della applicabilità o meno, nella specie, del disposto dell'art. 2236 c.c. per il quale il professionista, quando è impegnato a risolvere problemi che presentano particolari difficoltà, risponde soltanto quando è ravvisabile, oltre ovviamente al dolo, la colpa grave.

A questo proposito non si può non ritenere, a fronte di una routine banale che caratterizza oggi l'atto operatorio di artroprotesi d'anca, che viene realizzata rispettando protocolli ormai standardizzati, che, nella specie, l'anatomia della regione coxo-femorale destra della paziente, anche a non volerla definire sovvertita, non presentava certamente caratteri di normalità, essendo già stata sede di un intervento chirurgico derotativo dell'anca stessa, comportando pertanto l'attuale intervento, a mio avviso, proprio la soluzione di problemi di particolare difficoltà risolutiva.

Ma, per concludere, indipendentemente dall'ammettere o meno tale ultima fattispecie, peraltro in discussione soltanto in caso di ammissione di una responsabilità professionale, nel caso presentato, non riteniamo possibile rispondere al quesito posto dal Magistrato, in mancanza di una precisa conoscenza sull'entità della lesione del nervo SPE e, soprattutto, della conoscenza del livello della lesione che ha interessato il nervo, secondo motivati e quindi corretti presupposti clinici e medico-legali. Nella sua attribuzione di "perito dei periti" e avendo peraltro a disposizione elementi di giudizio non conosciuti dal medico-legale e ricordando che la consulenza tecnica d'ufficio non è una prova ma soltanto un elemento della stessa, egli saprà certamente, con l'equità che caratterizza ogni suo giudizio, correttamente valutare il caso in questa sede in discussione.

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