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I DIRITTI DEL LAVORATORE. COME DIFENDERSI?

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L'ONERE DELLA PROVA NEL DANNO ALLA PROFESSIONALITÀ:

I DIRITTI DEL LAVORATORE. COME DIFENDERSI?

Avv. Salvatore Candido

Per focalizzare esattamente le necessità difensive a carico del lavoratore, è bene in via preliminare qualificare il mobbing.

Esso consiste nella sistematica persecuzione psicologica di un lavoratore da parte del contesto in cui lavora. Per esserci vero mobbing deve esserci, quindi, una certa durata della vessazione, la

sua ripetizione costante e frequente. In una parola non è riconosciuto come mobbing il verificarsi di singoli conflitti, casuali ed estemporanei: un certo grado di conf1ittualità nel mondo del lavoro può ritenersi fisiologico ed è comunque sempre esistito.

Esso è un lento stillicidio di persecuzioni, attacchi ed umiliazioni che perdura inesorabilmente nel tempo, e proprio nella lunga durata ha la sua forza devastante, che provoca un progressivo disadattamento lavorativo della vittima.

Ciò porta a trasferimenti, declassamenti di mansione, punizioni di vario tipo, in modo da mettere il lavoratore in condizione di rassegnare le dimissioni, chiedere il prepensionamento o, nei casi più eclatanti, di essere licenziato.

Sia chiaro. Una tipica azienda è conflittuale, e questa conflittualità fisiologica non costituisce mobbing, anche se è terreno fertile sviluppo. Si tratta di un conflitto generalizzato, che vede tutti contro tutti e non ha una vittima cristallizzata: si fa notare di

Avvocato, Siracusa

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tanto in tanto con banali diverbi d'opinione, discussioni, piccole accuse e ripicche, manifestazioni del classico ed universalmente noto tentativo di emergere sugli altri.

Maggiore è la flessibilità o precarietà del lavoro, maggiore è la possibilità che basti un nonnulla per la perdita del posto di lavoro: maggiore sarà quindi la concorrenza tra colleghi, anche a colpi bassi, per mantenere la propria competitività.

Ed il bello è che di fronte a situazioni negative, vi è una latente attribuzione di responsabilità anche a carico delle vittime, se non altro perché non reagiscono, non riescono a superare indenni il trauma: praticamente. il mobbing colpisce i più deboli. Avete mai visto un “duro” (tra virgolette), uno di quelli che risponde a tono, che non subisce, ma ribatte colpo su colpo, anche solo verbalmente, oggetto di mobbing? Il mobber, a mio avviso, sotto questo profilo, è pure un vigliacco, che prevarica sempre e solo il più debole!

Tanto, che il mobbing è stato definito come una subdola forma di terrorismo psicologico.

Comunque, va tenuto presente che, almeno nel cosiddetto mondo civile, tutti siamo sottoposti a stimoli mobbizzanti: si pensi ai controlli delle telefonate, all'attività subdola subliminale della pubblicità, al consumismo come valore teleologico e quasi (sostiene il dr.

Marigliano) teologico.

E non va dimenticato che il mobbing è pericoloso anche per l'azienda stessa: una vittima di mobbing è assente dal posto di lavoro per malattia, riceve però egualmente lo stipendio per un servizio che non svolge, mentre l'azienda è costretta a retribuire un sostituto.

Inoltre, in termini di rendimento il mobber perde - è stato calcolato - circa il 10% del suo tempo per mobbizzare la vittima ed il mobbizzato presenta un calo di attenzione ed efficienza fino al 50%.

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Secondo una statistica europea effettuata dalla Clinica deI Lavoro di Milano, gli italiani affetti da mobbing sono oltre un milione, il 78% al nord, il 20% al centro e solamente l'8%

al sud; però, ben il 25% del totale dei dipendenti sarebbe esposto al mobbing.

ONERE DELLA PROVA

Ha ragione l'avv. Umberto Oliva quando sostiene che “la teorizzazione del mobbing nasce in seguito ad un percorso a ritroso - dall'effetto alla causa - intrapreso dagli psicologi del lavoro”.

Lo schema ricostruttivo, sempre seguendo la tesi dell'avv. Oliva, è il seguente: 1) il mobbing è fatto notorio; 2) accertamento della sussistenza dei comportamenti datoriali riconducibili a tale fenomeno; 3) accertamento del danno psichico e della sua riconducibilità al mobbing subito in azienda; 4) liquidazione del danno.

La giurisprudenza, soprattutto di merito, in assenza di disposizioni normative che fornissero una qualificazione giuridica al mobbing, ha tentato di individuare criteri di identificazione del fenomeno, accordando tutela risarcitoria per lo più riconducendo le fattispecie nell'ambito della previsione dell'art.2087 cod. civ., che tutela la personalità morale e l'integrità fisica del lavoratore: questa norma è stato ritenuto sia in grado di ricomprendere e sanzionare tutti gli atti e i comportamenti del datore - o dei suoi dipendenti, della cui condotta è tenuto a rispondere ex art.2049 cod. civ. - lesivi della persona del lavoratore. E' sin troppo evidente, però, che il mobbizzato può far ben ricorso al1a tutela apprestata dall'art.2043 cod. civ., anche in relazione all’art.32 Cost. Le differenze, relative all'azione per responsabilità contrattuale o extracontrattuale, riguardano e il termine prescrizionale e, molto più importante, l'onere della prova.

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Peraltro, il collega che ha tenuto la condotta vessatoria può essere chiamato a rispondere personalmente nei confronti della vittima ex art.2043 cod. civ., ferma restando la responsabilità del datore di lavoro ex art.2049 per il fatto illecito del suo dipendente mobber.

Già nel 1998, con sentenza 9 maggio (in Ogl, l, 1998 p.345), il Tribunale di Milano aveva condannato il datore di lavoro a risarcire il danno derivante da inadempimento contrattuale ex art.2087 cod. civ. per il fatto di non aver provveduto alla tutela di una dipendente molestata da altro dipendente, pur essendone a conoscenza.

La Corte di Cassazione, peraltro, con la sentenza n. 5491 del 2000, ha chiarito il contenuto dell'art.2087 cod. civ.: "non può ritenersi limitato al rispetto della legislazione tipica della prevenzione, riguardando altresì il divieto, per il datore di lavora, di porre in essere, nell'ambito aziendale, comportamenti che siano lesivi del diritto all'integrità psicofisica del lavoratore",

Riconosciuta quindi, sia la natura contrattuale che extracontrattuale del diritto al risarcimento

del danno derivante direttamente dall'obbligo per il datore di lavoro ex art.2087 cod. civ.

di tutelare non solo sotto il profilo antinfortunistico il lavoratore ma in un'ottica complessiva di tutela psicofisica, oltre che dal combinato disposto di cui agli artt.32 Cost. e 2043 cod. civ., ne consegue che in termini di ripartizione dell'onere probatorio potrà applicarsi il criterio più favorevole al ricorrente, che è quello che deriva dalla responsabilità contrattuale. Spetterà al datare di 1avoro, se vuole evitare profili di responsabilità.

dimostrare di aver posto in essere tutte le misure necessarie per tutelare l'integrità psicofisica del lavoratore; a questi spetterà la dimostrazione della sussistenza del nesso

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causate tra evento lesivo e comportamento datoriale (come espressamente deciso dalla Cassazione con la richiamata sentenza n. 5491/2000).

I sintomi del vero mobbing sono essenzialmente psicosomatici, cioè nascono dalla psiche, ma si ripercuotono concretamente anche sul fisico tramite varie patologie. Il primo sintomo evidente è l'insonnia, poi possono subentrare grave depressione, inappetenza, mal di testa, reazioni emotive esplosive ed improvvise, come pianto apparentemente immotivato. Soprattutto, forte aggressività. Dall'aggressione patita scaturiscono sindromi, a volte gravi, di natura ansioso-depressiva, i cui sviluppi ed effetti sono spesso imprevedibili e portano a conseguenze profondamente disastrose per la salute del soggetto, oltre che alla compromissione dei suoi rapporti personali e familiari. Tanto vero, che - per quanto attiene ai familiari - si parla di doppio mobbing: la vittima soffre e trasmette la propria sofferenza alla famiglia che, almeno per un certo tempo, resisterà, ma quando le

risorse saranno esaurite, entrerà anch'essa in crisi.

Occorre, allora, verificare come sia mutata la vita del mobbizzato: se l'esistenza si è trasformata in una non-esistenza, se rifiuta i rapporti interpersonali, se non ha più stimoli sul lavoro, allora è indispensabile l'aiuto dello psicologo.

Inoltre, occorrerà provare anche testimonialmente la modificazione in pejus della vita lavorativa, sociale, familiare del soggetto.

La difficoltà, rilevavano di già l'avv. Ambrosio ed il dr. Bona, sarà nella formulazione dei capitoli di prova, onde evitare che essi siano mere inammissibili valutazioni: occorrerà richiedere di

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descrivere oggettivamente come è mutato il modo di atteggiarsi del soggetto, cioè le modificazioni della vita quotidiana, quel non fare più quello che egli faceva prima, a causa di un illegittimo comportamento compromissivo della stabilità preesistente, con perdita di stimoli e motivazioni.

Ed è compito del medico legale, in non allo psicologo, fornire al Giudice gli strumenti per distinguere il mero transeunte turbamento dell'animo, dal vero e proprio disturbo mentale, inteso come peggioramento del modo di essere a causa di un disturbo psichico, determinato da una lesione psichica, cioè da un’ingiusta turbativa del suo equilibrio psichico.

Perché di vero e proprio disturbo mentale si discute in capo al mobbizzato. E tale danno è sempre oggetto di tutela ex art.32 Cost., come la Corte Costituzionale - con la arcinota sentenza 184/86 - ha affermato, chiarendo la piena risarcibilità del danno alla salute ed evitando ogni distinzione tra integrità fisica ed integrità psichica: l'individuo è composto di soma e di psiche, la salute è una soltanto ed essa può essere lesa sia vulnerando il soma che vulnerando la psiche.

Certo, la violenza psicologica sul lavoro può non avere solo conseguenze psichiche ma determinare anche l'insorgenza patologie organiche, come ipertensione, ulcera, ischemia cardiaca.

I problemi sorgono in merito all'accertamento di detto danno psichico. A differenza del danno biologico di tipo fisico, infatti, il danno psichico non è direttamente constatabile, non è la frattura di un osso, la lesione psichica è fenomeno intangibile, con sintomatologia essenzialmente soggettiva. Occorrerà, cioè, tener conto della cosiddetta "struttura fisica di

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base" del soggetto, atteso che lo stesso evento lesivo può comportare situazioni di danno completamente differenti da soggetto a soggetto.

Inoltre non va dimenticato che i disturbi psichici presentano assoluta mutevolezza nel tempo, sia per le notevoli capacità di adattamento e recupero della psiche, sia per la perenne evoluzione della componente psichica della salute umana, sia - non ultima - per la eccessiva durata dei processi di lavoro. Il che rende a volte difficile pure al medico legale ed allo psicologo sia l'eziopatogenesi che la distinzione tra "temporaneità" e "permanenza"

della patologia e, conseguentemente, per quel che qui interessa, della loro esatta quantificazione.

Certo, in due recenti sentenze rese dal Tribunale di Torino - Sezione Lavoro, in data 16.11.99 e 30.12.99, il Giudice ha ritenuto che il ricorso alla consulenza tecnica non fosse necessario, in quanto la patologia risultava documentata da idonei certificati medici e le dichiarazioni testimoniali escludevano che lavoratori avessero in precedenza sofferto dei medesimi disturbi, così ritenendo provato il nesso eziologico, cioè l'insorgenza dello stato patologico in concomitanza con il periodo di condotta vessatoria nell'ambiente di lavoro.

Ed ancor prima, il Pretore di Trento, con sentenza 22.2.93 (in Giust.Civ. 1994, I. 555).

relativa ad un caso di molestie sessuali sfociate nelle dimissioni della lavoratrice, aveva ritenuto che "non può sussistere dubbio che l'insistente corteggiamento, a cui il datore di lavoro ha sottoposto la ricorrente, anche mediante pesanti ingerenze nella sua vita personale (basti pensare alla richiesta di incontrarsi durante le ferie) provocò nella giovane un sicuro turbamento della sfera emotiva".

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Il Prof. Monateri giunge a ritenere che “anche se la lesione non ammontasse ad un livello patologicamente rilevante, ma vi fosse un turbamento giuridicamente rilevante, il danno psichico sarebbe di per se risarcibile" (La responsabilità Civile; in Tratt. Dir. Civ. diretto da Sacco, Torino 1998,301 e segg.).

Certo, ove la CTU fosse ritenuta necessaria dal Magistrato, va ricordato che il nuovo (si fa per dire) rito civile non ha innovato in relazione alla figura ed ai compiti del consulente.

Pertanto, il Giudice potrà assegnare al consulente, meglio se ai consulenti (medico legale e psicologo), oltre alla comune funzione deducente, anche quella percipiente, con attribuzione dell'incarico di acquisire, ex artt.62 e 194 c.p.c., notizie ed accertare fatti anche non rilevabili negli atti processuali, sempre che si tratti di dati rilevabili solo con ricorso a determinate cognizioni tecniche e di quelle che siano intimamente collegate con quelle già acquisite attraverso il meccanismo delle prove. Il (o i) CTU potrà quindi essere autorizzato a domandare

chiarimenti alle parti e ad assumere informazioni presso terzi; ed anche in mancanza di tale preventiva autorizzazione, tuttavia, le informazioni raccolte dall'ausiliario del Giudice, quando vengano indicate le fonti in modo da consentire il controllo delle parti e quando sia assicurato il contraddittorio nella loro raccolta possono ben concorrere, con le altre risultanze di causa, alla formazione del convincimento del Giudice. In questi termini, è stato ritenuto che "nessuna alterazione dell'onere probatorio sia ravvisabile nell'attribuzione al consulente della funzione più o meno ampia di indagare - a fini diagnostici e valutativi - nel vissuto del danneggiato antecedente al sinistro, per selezionare ed interpretare dati che possono limitare l'efficienza causale dell'illecito oggetto

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del giudizio" (Cataldi, Il danno psichico tra medicina legale e diritto, in Giur .Merito 1997, IV, 641).

È sin troppo evidente, però, che le maggiori difficoltà siano costituite dalla prova testimoniale di cui abbiamo detto a causa delle reticenze dei colleghi per le pressioni del datore di lavoro e per la paura di perdere il posto di lavoro. Difficoltà riconosciute dalla stessa Corte di Cassazione, la quale - nella sentenza n.143/2000 - ha scritto che "la prova del mobbing è particolarmente difficoltosa a causa di eventuali

sacche di omertà, sempre presenti, o per altre ragioni".

In ogni caso, non va sottaciuto che la Sez. II del1a Cassazione, con la sentenza n.12206 dell’

11.12.1993, ha ammesso, quale fonte di prova ex art.2712 cod. civ. la registrazione su nastro magnetico di una conversazione telefonica, ammissibile anche ex art.615 bis c.p.

Ma è giocoforza - ex art.2697 cod. civ. - provare la veridicità delle prevaricazioni subite, l'effettività delle stesse ed il nesso eziologico tra queste due circostanze e la patologia conseguente, che abbia fatto ridurre o perdere la capacità lavorativa specifica, in riferimento alle caratteristiche professionali del lavoratore, sia quelle acquisite con apposita formazione, che quelle che sono frutto dell'esperienza cumulata.

Per quanto attiene al demensionamento -cioè la condotta volta a colpire la professionalità del lavoratore, al quale viene impedito di svolgere le mansioni per le quali fu assunto e di competenza (art. 2103 cod. civ.), ovvero al quale viene imposto di svolgere mansioni prive di potenzialità evolutive e migliorative della sua professionalità – però, la giurisprudenza (per citare solamente due sentenze della Suprema Corte, la n. 421 del 13.1.2001 e la n.

2.11.2001) ritiene che il dannosia di re ipsa per lesione del bene immateriale della dignità

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umana e della personalità morale del lavoratore, risarcibili quali danno biologico sub specie danno psichico, danno morale e danno esistenziale. Di conseguenza, il lavoratore emarginato avrà diritto al relativo risarcimento, valutabile (Cass. Sez. Lav. 2.1.2002 n.10 e n. 15868 del 12.11.2002) o mediante il parametro della retribuzione o in via equitativa ex art. 1226 cod. civ..

PER CONCLUDERE

Il mobbing, quale conseguenza di esposizione lenta e protratta nel tempo ad un "agente dannoso", può essere incluso tra le malattie professionali, alla stregua della ipoacusia quale conseguenza del rumore ambientale, dell'asbestosi quale conseguenza dell'esposizione all'amianto e del saturnismo quale conseguenza dell'esposizione al piombo?

La Corte Costituzionale, con la sentenza n.179/88, ha segnato il passaggio dal sistema chiuso tabellare delle malattie professionali a quello aperto o extratabellare, ritenendo riconoscibili dall'Inail, cioè, le malattie comunque correlate all'attività lavorativa; ed il D.L.

vo n.38/2000, alltart.l0, facendo proprio tale concetto, ha espressamente qualificato come malattia professionale anche quella “non tabellata”.

Dal punto di vista penalistico, è intervenuta ancora una volta la Suprema Corte di Cassazione la quale, con la sentenza n.10090 del 12.3.2001 della Sezione II Penale, ha ritenuto punibile ex art.572 c.p. (inserito tra i delitti contro l'assistenza familiare), ritenendo la convivenza sul luogo di lavoro equiparabile a quella familiare, la condotta del datore di lavoro e dei suoi preposti che, nell'ambito del rapporto di lavoro subordinato, abbiano posto in essere atti volontari

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idonei a produrre uno stato di abituale sofferenza fisica e morale nei dipendenti, per stimolarne la produttività ed accrescere i profitti.

D'altra parte, la dizione della norma ammette questa interpretazione: "chiunque maltratta una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l'esercizio di una professione o di un'arte"

Allora. Certificati medici possibilmente provenienti da strutture del Servizio Sanitario

Pubblico, consulenza tecnica di parte redatta da medico legale e psicologo che cristallizzi lo stato di prostrazione del mobbizzato) prove testimoniali tese a provare lo stato psicologico anteriore, le vessazioni subite e la loro durata, quindi il nesso eziologico con lo stato di frustrazione successivo, riflessi negativi sulla famiglia. A questo punto, se del caso, richiesta all'Inail di riconoscimento di malattia professionale; sempre se del caso, denuncia del mobber ex art.572 c.p.; giudizio civile ex art.414 c.p.c., previo tentativo obbligatorio di conciliazione ex art.410 c.p.c., per richiedere il risarcimento del danno biologico sub specie danno psichico, del danno morale e del danno esistenziale subiti.

Spesso, in pratica, per inibire demansionamento o mutamento di mansioni, si ricorre alla tutela cautelare ex art.700 c.p.c,. al fine di evitare il verificarsi o l'aggravarsi di pregiudizi irreparabili alla professionalità ed alla salute del lavoratore.

Infine. I familiari del mobbizzato, una volta provato il mobbing, hanno anch'essi diritto a richiedere il risarcimento del danno iure proprio, sia biologico ove ne ricorrano i requisiti, sia esistenziale che morale.

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