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Inno ad Apollo Delio (III) Inni omerici, vv

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Inno ad Apollo Delio (III)

Inni omerici, vv. 1-178

G U I D A A L L A L E T T U R A

G

ravida di Apollo, Leto sente che ormai è giunto il momento di partorire il figlio concepito da Zeus, ma nessuna terra vuole accoglierla, poiché tutte temono l’ira della gelosissima Hera, legittima moglie del re degli dèi. Allora Leto si rivolge a De- lo, allettando quell’isola spoglia e infeconda con la prospettiva della fama e della pro- sperità che le recherà il culto del dio che sta per nascere. Dopo qualche esitazione, De- lo accetta di dare i natali ad Apollo.

Riportiamo qui i vv. 1-178 di quello che i codici tramandano come Inno ad Apol- lo e che prosegue per altri 369 versi con la celebrazione del dio in quanto signore del- l’oracolo di Delfi. Già verso la fine del ’700 il Ruhnkenius (David Ruhnken) aveva so- stenuto che in realtà si tratta di due distinti inni, uno ad Apollo Delio e l’altro ad Apol- lo Delfico. Ciò potrebbe essere confermato dal fatto che sia la prima sia la seconda par- te hanno un loro esordio e una loro chiusa, e che ai vv. 172-173 si trova addirittura la sfragiv", la «firma» dell’autore, cosa da cui forse nacque la notissima tradizione del- la cecità di Omero e della sua nascita a Chio. Non va taciuto, comunque, che diversi studiosi hanno sostenuto con validi argomenti l’unità del componimento e che esso può essere stato redatto nella forma attuale da un rapsodo di epoca imprecisata, il qua- le fuse, e forse rielaborò, materiale innografico a lui preesistente. In ogni modo, la par- te iniziale, che celebra la nascita del dio nell’isola di Delo, risulta artisticamente assai pregevole e tocca punte di elevata liricità nella scena del travagliato parto di Leto, che stremata dalle interminabili doglie genera infine il dio aggrappandosi a una palma e puntando le ginocchia sull’erba di un prato. Inoltre il canto si schiude a un vivace squar- cio autobiografico (inconsueto alla rigida impersonalità dell’epos) nell’apostrofe con- clusiva rivolta dal poeta alle sue ascoltatrici; ed è qui che, forse per la prima volta in modo esplicito, il poeta epico afferma la funzione eternatrice della poesia, la quale ren- derà immortale sia la bellezza e la grazia delle fanciulle, sia colui che le celebra. Co- me altre figure del pantheon ellenico, quella di Apollo assomma in sé caratteri ambi- gui e spesso contrastanti, dovuti anche al fatto che in essa confluiscono e si fondono attributi in origine appartenenti a diverse divinità. Guaritore e Distruttore, dio del mi- cidiale arco e della cetra melodiosa, divinità solare ma capace anche di calare dall’Olim- po «simile a notte» (Il. 1, 47), si può ben comprendere come egli, ancor prima di ve- nire alla luce, susciti sgomento in Delo, lusingata dal privilegio che Leto le offre, ma anche atterrita dalla prospettiva di dare i natali a un dio che sarà «oltre misura vio- lento» (livhn... ajtavsqalon, al v. 67). Può apparire sconcertante che proprio la divini- tà dell’equilibrio e della moderazione, la quale verrà contrapposta al ‘trasgressivo’ Dio- niso, sia qui designata con un aggettivo indicante cieca sfrenatezza (ajtasqalivh è l’«em- pietà» dei compagni di Odisseo in Od. 1, 7); tuttavia non riteniamo che per questo si possa parlare di «una concezione della divinità che è estranea alla forma mentis dei greci» (F. Càssola): questo non è l’Apollo del «conosci te stesso», quello – per inten- derci – dei filosofi e dei poeti più tardi, ma come gli altri antichi dèi egli è qui anco- ra personificazione della forza terribile e affascinante di una natura da cui l’uomo si sente dominato, una natura che è nello stesso tempo fonte di bellezza e di morte.

Mnhvsomai oujde; lavqwmai ΔApovllwno" eJkavtoio, o{n te qeoi; kata; dw'ma Dio;" tromevousin ijovnta:

kaiv rJav tΔ ajnai?ssousin ejpi; scedo;n ejrcomevnoio

T 7

Io mi ricorderò, e non voglio dimenticarmi, di Apollo arciere che fa tremare gli dei mentre giunge alla dimora di Zeus:

al suo avvicinarsi balzano in piedi

(2)

pavnte" ajfΔ eJdravwn, o{te faivdima tovxa titaivnei.

5 Lhtw; dΔ oi[h mivmne parai; Dii; terpikerauvnw/, h{ rJa biovn tΔ ejcavlasse kai; ejklhvi>se farevtrhn, kaiv oiJ ajpΔ ijfqivmwn w[mwn ceivressin eJlou'sa tovxon ajnekrevmase pro;" kivona patro;" eJoi'o

passavlou ejk crusevou: to;n dΔ eij" qrovnon ei|sen a[gousa.

10 Tw'/ dΔ a[ra nevktar e[dwke path;r devpai> cruseivw/

deiknuvmeno" fivlon uiJovn, e[peita de; daivmone" a[lloi e[nqa kaqivzousin: caivrei dev te povtnia Lhtwv, ou{neka toxofovron kai; kartero;n uiJo;n e[tikten.

Cai're mavkairΔ w\ Lhtoi', ejpei; tevke" ajglaa; tevkna

15 ΔApovllwnav tΔ a[nakta kai; “Artemin ijocevairan, th;n me;n ejn ΔOrtugivh/, to;n de; kranah'/ ejni; Dhvlw/, keklimevnh pro;" makro;n o[ro" kai; Kuvnqion o[cqon, ajgcotavtw foivniko" uJpΔ ΔInwpoi'o rJeevqroi".

Pw'" tavr sΔ uJmnhvsw pavntw" eu[umnon ejovnta…

20 Pavnth/ gavr toi, Foi'be, nomo;" beblhvatai wj/dh'", hjme;n ajnΔ h[peiron portitrovfon hjdΔ ajna; nhvsou".

Pa'sai de; skopiaiv toi a{don kai; prwvone" a[kroi uJyhlw'n ojrevwn potamoiv qΔ a{la de; prorevonte", ajktaiv tΔ eij" a{la keklimevnai limevne" te qalavssh".

25 «H w{" se prw'ton Lhtw; tevke cavrma brotoi'si, klinqei'sa pro;" Kuvnqou o[ro" kranah'/ ejni; nhvsw/

Dhvlw/ ejn ajmfiruvth/… eJkavterqe de; ku'ma kelaino;n ejxhv/ei cevrson de; ligupnoivoi" ajnevmoisin:

e[nqen ajpornuvmeno" pa'si qnhtoi'sin ajnavssei".

tutti, dai loro seggi, quando egli tende l’arco raggiante.

5 Leto soltanto rimane tranquilla, al fianco di Zeus signore del fulmine;

ella poi scioglie la corda, chiude la faretra, e, dalle forti spalle togliendo con le sue mani

l’arco, lo appende alla colonna presso cui siede il padre, a un chiodo d’oro; e conduce il dio a sedere sul trono.

10 Ed ecco, il padre gli porge il nettare nella coppa d’oro salutando suo figlio; allora gli altri dei

siedono ai loro posti, e si rallegra la veneranda Leto poiché ha generato un figlio possente, armato di arco.

Salve, o Leto beata, poiché hai generato nobili figli:

15 Apollo sovrano e Artemide saettatrice, questa in Ortigia,1quello nella rocciosa Delo

piegandoti presso il grande monte, l’altura del Cinto,2 vicino alla palma, lungo le correnti dell’Inopo.

Come ti canterò, poiché tu sei celebrato in tutti gl’inni?

20 Dovunque, o Febo, si offre materia al canto in tuo onore:

e sulla terra nutrice di armenti, e nelle isole.

A te sono care tutte le cime, e le alte vette

dei monti sublimi, e i fiumi che si versano in mare, e i promontori digradanti nelle acque, e i golfi marini.

25 Forse, come dapprima Leto ti diede alla luce, gioia per i mortali, piegandosi presso il monte Cinto, nell’isola rocciosa,

Delo circondata dal mare? Da ogni parte i neri flutti battevano la spiaggia, al soffio sonoro dei venti.

Di là muovendo, tu regni su tutti i mortali.

1. Nome di diverse località, di cui la più celebre si trova a Sira- cusa.

2. Il Cinto e l’Inopo, nominato al verso successivo, sono il mon- te e il fiume di Delo.

(3)

30 ”Ossou" Krhvth ãtΔÃ ejnto;" e[cei kai; dh'mo" ΔAqhnw'n nh'sov" tΔ Aijgivnh nausikleithv tΔ Eu[boia

Aijgaiv tΔ Eijresivai te kai; ajgciavlh Pepavrhqo"

Qrhi?kiov" tΔ ΔAqovw" kai; Phlivou a[kra kavrhna Qrhi>kivh te Savmo" “Idh" tΔ o[rea skioventa

35 Sku'ro" kai; Fwvkaia kai; Aujtokavnh" o[ro" aijpu;

“Imbro" tΔ eujktimevnh kai; Lh'mno" ajmicqalovessa Levsbo" tΔ hjgaqevh Mavkaro" e{do" Aijolivwno"

kai; Civo", h} nhvswn liparwtavth eijn aJli; kei'tai, paipalovei" te Mivma" kai; Kwruvkou a[kra kavrhna

40 kai; Klavro" aijglhvessa kai; Aijsagevh" o[ro" aijpu;

kai; Savmo" uJdrhlh; Mukavlh" tΔ aijpeina; kavrhna Mivlhtov" te Kovw" te, povli" Merovpwn ajnqrwvpwn, kai; Knivdo" aijpeinh; kai; Kavrpaqo" hjnemovessa Navxo" tΔ hjde; Pavro" ÔRhvnaiav te petrhvessa,

45 tovsson e[pΔ wjdivnousa ÔEkhbovlon i{keto Lhtwv, ei[ tiv" oiJ gaievwn uiJei' qevloi oijkiva qevsqai.

AiJ de; mavlΔ ejtrovmeon kai; ejdeivdisan, oujdev ti" e[tlh Foi'bon devxasqai kai; piotevrh per ejou'sa

privn gΔ o{te dhv rJΔ ejpi; Dhvlou ejbhvseto povtnia Lhtwv,

50 kaiv min ajneiromevnh e[pea pteroventa proshuvda:

«Dh'lΔ h\ a[r kΔ ejqevloi" e{do" e[mmenai ui|o" ejmoi'o Foivbou ΔApovllwno", qevsqai tΔ e[ni pivona nhovn…

“Allo" dΔ ou[ ti" sei'ov poqΔ a{yetai, oujdev se tivsei, oujdΔ eu[bwn sev gΔ e[sesqai oji?omai ou[tΔ eu[mhlon,

55 oujde; truvghn oi[sei", ou[tΔ a]r futa; muriva fuvsei".

30 Fra quante genti ospita Creta, e la terra di Atene,3 e l’isola di Egina, e l’Eubea gloriosa per le navi, ed Ege, e Iresie, e la marina Pepareto,

e il tracio Athos, e le vette del Pelio,

e Samotracia, e l’ombroso massiccio dell’Ida,

35 Sciro e Focea, e l’arduo monte di Autocane, e la ospitale Imbro, e Lemno feconda, e la sacra Lesbo, dimora dell’Eolide Màcare,

e Chio, la più fiorente tra le isole che giacciono sul mare, e l’impervio Mimante, e le alte vette di Corico,

40 e Claro luminosa, e l’arduo monte di Aisagea, e Samo ricca di acque, e le vette eccelse di Micale, e Mileto, e Coo, città dei Meropi,

e l’eccelsa Cnido, e Carpato battuta dai venti, e Nasso e Paro e la rocciosa Renea:

45 per tanto spazio si aggirò Leto, già dolorante per il parto dell’arciere, chiedendo se una di queste terre volesse offrire una dimora a suo figlio.

Ma esse tremavano e temevano molto, né alcuna osava per quanto fosse prospera, ospitare Febo,

finché la veneranda Leto giunse a Delo

50 e, interrogandola, le rivolse parole alate:

«Delo, vorresti forse essere la dimora di mio figlio, Febo Apollo, e accogliere in te un pingue tempio?

Nessun altro mai si occuperà di te, né ti onorerà;

e io credo che tu non sarai davvero ricca di armenti, né di greggi,

55 né porterai raccolti, né produrrai molti alberi.

3. I vv. 30-44 comprendono un lungo catalogo di toponimi, per lo più isole e città costiere del- l’Egeo, che scandisce il penoso errare di Leto alla ricerca di una terra su cui partorire.

(4)

Aij dev kΔ ΔApovllwno" eJkaevrgou nho;n e[chsqa, a[nqrwpoiv toi pavnte" ajginhvsousΔ eJkatovmba"

ejnqavdΔ ajgeirovmenoi, knivsh dev toi a[speto" aijei;

dhmou' ajnai?xei, boskhvsei" qΔ oi{ kev sΔ e[cwsi

60 ceiro;" ajpΔ ajllotrivh", ejpei; ou[ toi pi'ar uJpΔ ou\da"».

’W" favto: cai're de; Dh'lo", ajmeibomevnh de; proshuvda:

«Lhtoi', kudivsth quvgater megavlou Koivoio, ajspasivh ken ejgwv ge gonh;n eJkavtoio a[nakto"

dexaivmhn: aijnw'" ga;r ejthvtumovn eijmi dushch;"

65 ajndravsin, w|de dev ken peritimhvessa genoivmhn.

ΔAlla; tovde tromevw, Lhtoi', e[po", oujdev se keuvsw:

livhn gavr tinav fasin ajtavsqalon ΔApovllwna e[ssesqai, mevga de; prutaneusevmen ajqanavtoisi kai; qnhtoi'si brotoi'sin ejpi; zeivdwron a[rouran.

70 Tw'/ rJΔ aijnw'" deivdoika kata; frevna kai; kata; qumo;n mh; oJpovtΔ a]n to; prw'ton i[dh/ favo" hjelivoio

nh'son ajtimhvsa", ejpei; h\ kranahvpedov" eijmi, possi; katastrevya" w[sh/ aJlo;" ejn pelavgessin.

“EnqΔ ejme; me;n mevga ku'ma kata; krato;" a{li" aijei;

75 kluvssei, oJ dΔ a[llhn gai'an ajfivxetai h{ ken a{dh/ oiJ teuvxasqai nhovn te kai; a[lsea dendrhventa:

pouluvpode" dΔ ejn ejmoi; qalavma" fw'kaiv te mevlainai oijkiva poihvsontai ajkhdeva chvtei> law'n:

ajllΔ ei[ moi tlaivh" ge qea; mevgan o{rkon ojmovssai,

80 ejnqavde min prw'ton teuvxein perikalleva nho;n e[mmenai ajnqrwvpwn crhsthvrion: aujta;r e[peita

Ma se tu ospiti un tempio di Apollo arciere, tutti gli uomini ti porteranno ecatombi

qui riunendosi; e da te sempre un infinito aroma di grasso si leverà, e tu potrai nutrire il tuo popolo

60 per mano di stranieri: perché non hai ricchezza nel tuo suolo».

Così parlava; e Delo ne fu rallegrata, e rispondendo diceva:

«Leto, augusta figlia del possente Ceo,4 di gran cuore, in verità, la nascita del dio arciere

accoglierei: infatti, io sono davvero eccessivamente oscura

65 fra gli uomini; così invece diventerei famosa.

Ma, non te lo nasconderò, Leto, io sono preoccupata per questa voce:

dicono infatti che Apollo sarà un dio oltre misura violento e avrà un grande potere fra gl’immortali,

e fra gli uomini mortali, sulla terra feconda.

70 Perciò temo assai, nella mente e nel cuore,

che, quando egli vedrà per la prima volta la luce del sole, dispregiando l’isola – poiché io sono invero una terra rocciosa –, calcandomi coi piedi mi sprofondi nelle acque del mare.

Allora gli alti flutti senza numero, sul mio capo, per sempre

75 mi sommergeranno, ed egli se ne andrà in un altro paese che a lui piaccia, per fare sorgere un tempio e un bosco sacro folto di alberi;

e i polipi su di me i loro covi, e le nere foche5

le loro dimore faranno, al sicuro, perché io sarò deserta.

Ma se tu volessi, o dea, farmi un solenne giuramento

80 che qui, prima che altrove, egli edificherà uno splendido tempio destinato a essere oracolo per gli uomini; e dopo…6

4. Secondo Esiodo (Teogonia 404-408) Leto è figlia dei Titani Ceo e Febe.

5. Questi animali erano diffusi nel mare Egeo fino a tempi rela- tivamente recenti.

6. Dopo questo verso deve es- serne caduto almeno un altro col senso di «innalzi templi an- che in altri luoghi».

(5)

* * *

pavnta" ejpΔ ajnqrwvpou", ejpei; h\ poluwvnumo" e[stai».

’W" a[rΔ e[fh: Lhtw; de; qew'n mevgan o{rkon o[mossen:

«“Istw nu'n tavde gai'a kai; oujrano;" eujru;" u{perqen

85 kai; to; kateibovmenon Stugo;" u{dwr, o{" te mevgisto"

o{rko" deinovtatov" te pevlei makavressi qeoi'sin:

h\ mh;n Foivbou th'/de quwvdh" e[ssetai aijei;

bwmo;" kai; tevmeno", tivsei dev sev gΔ e[xoca pavntwn».

Aujta;r ejpeiv rJΔ o[mosevn te teleuvthsevn te to;n o{rkon,

90 Dh'lo" me;n mavla cai're govnw/ eJkavtoio a[nakto", Lhtw; dΔ ejnnh'mavr te kai; ejnneva nuvkta" ajevlptoi"

wjdivnessi pevparto. Qeai; dΔ e[san e[ndoqi pa'sai o{ssai a[ristai e[san, Diwvnh te ÔReivh te

ΔIcnaivh te Qevmi" kai; ajgavstono" ΔAmfitrivth,

95 a[llai tΔ ajqavnatai, novsfin leukwlevnou ”Hrh":

ªh|sto ga;r ejn megavroisi Dio;" nefelhgerevtaoº.

Mouvnh dΔ oujk ejpevpusto mogostovko" Eijleivquia:

h|sto ga;r a[krw/ ΔOluvmpw/ uJpo; crusevoisi nevfessin

”Hrh" fradmosuvnh/" leukwlevnou, h{ min e[ruke

100 zhlosuvnh/ o{ tΔ a[rΔ uiJo;n ajmuvmonav te kraterovn te Lhtw; tevxesqai kalliplovkamo" tovtΔ e[mellen.

AiJ dΔ “Irin prou[pemyan eju>ktimevnh" ajpo; nhvsou ajxevmen Eijleivquian, uJposcovmenai mevgan o{rmon cruseivoisi livnoisin ejermevnon ejnneavphcun:

105 novsfin dΔ h[nwgon kalevein leukwlevnou ”Hrh"

mhv min e[peitΔ ejpevessin ajpostrevyeien ijou'san.

fra tutti gli uomini, poiché certo egli sarà celebrato con molti nomi».

Così dunque disse; e Leto pronunciò il solenne giuramento degli dei:

«Sia ora testimone di queste parole la terra, e l’ampio cielo sopra di noi,

85 e l’acqua che si versa negli abissi, l’acqua di Stige – che è il più possente e il più tremendo vindice7per gli dei beati –:

in verità, qui esisterà sempre l’odoroso altare di Febo, e il suo santuario; ed egli ti onorerà più di ogni altra terra».

E quando ella ebbe giurato, e pronunciato per intero la formula,

90 Delo gioiva profondamente per la nascita del dio arciere:

ma Leto per nove giorni e nove notti da indicibili dolori era trafitta. Le stavano vicine le dee, tutte le più grandi: Dione e Rea,8

e Temi9di Icne, e Anfitrite10dalla voce sonora,

95 e le altre immortali, ma non Era dalle bianche braccia:

[ella infatti sedeva nelle sale di Zeus adunatore di nembi].

Soltanto Ilitia, che procura il travaglio del parto, nulla sapeva;

sedeva infatti sulla cima dell’Olimpo, fra nubi d’oro,

secondo i disegni di Era dalle bianche braccia, che la teneva in disparte

100 per invidia: poiché Leto dalle belle trecce stava allora per generare un figlio nobile e forte.

Ma le dee, dall’isola ospitale, mandarono Iride,11

perché conducesse Ilitia,12a questa promettevano una grande ghirlanda di nove cubiti, intrecciata con fili d’oro;

105 e ordinavano di chiamarla eludendo Era dalle bianche braccia perché questa, con le sue parole, non la distogliesse poi dal venire.

E quando ebbe udito queste cose, la veloce Iride dal piede di vento

7. Cioè garante del giuramento.

8. Rispettivamente madri di Afrodite e di Zeus.

9. Dea della giustizia; Icne è una località della Tessaglia in cui Themis aveva un culto parti- colare.

10. È una Nereide (ninfa ma- rina) sposa di Posidone.

11. Personificazione dell’arco- baleno, era la messaggera degli dèi.

12. Dea protettrice delle parto- rienti.

(6)

Aujta;r ejpei; tov gΔ a[kouse podhvnemo" wjkeva “Iri"

bh' rJa qevein, tacevw" de; dihvnuse pa'n to; meshguv.

Aujta;r ejpeiv rJΔ i{kane qew'n e{do" aijpu;n “Olumpon

110 aujtivkΔ a[rΔ Eijleivquian ajpo; megavroio quvraze ejkprokalessamevnh e[pea pteroventa proshuvda pavnta mavlΔ wJ" ejpevtellon ΔOluvmpia dwvmatΔ e[cousai.

Th'/ dΔ a[ra qumo;n e[peiqen ejni; sthvqessi fivloisi, ba;n de; posi; trhvrwsi peleiavsin i[qmaqΔ oJmoi'ai.

115 Eu\tΔ ejpi; Dhvlou e[baine mogostovko" Eijleivquia, th;n tovte dh; tovko" ei|le, menoivnhsen de; tekevsqai.

ΔAmfi; de; foivniki bavle phvcee, gou'na dΔ e[reise leimw'ni malakw'/, meivdhse de; gai'Δ uJpevnerqen:

ejk dΔ e[qore pro; fovw" dev, qeai; dΔ ojlovluxan a{pasai.

120 “Enqa sev, h[i>e Foi'be, qeai; lovon u{dati kalw'/

aJgnw'" kai; kaqarw'", spavrxan dΔ ejn favrei> leukw'/

leptw'/ nhgatevw/: peri; de; cruvseon strovfon h|kan.

OujdΔ a[rΔ ΔApovllwna crusavora qhvsato mhvthr, ajlla; Qevmi" nevktar te kai; ajmbrosivhn ejrateinh;n

125 ajqanavth/sin cersi;n ejphvrxato: cai're de; Lhtw;

ou{neka toxofovron kai; kartero;n uiJo;n e[tikten.

Aujta;r ejpei; dhv, Foi'be, katevbrw" a[mbroton ei\dar, ou[ sev gΔ e[peitΔ i[scon cruvseoi strovfoi ajspaivronta, oujdΔ e[ti desmav sΔ e[ruke, luvonto de; peivrata pavnta.

130 Aujtivka dΔ ajqanavth/si methuvda Foi'bo" ΔApovllwn:

«Ei[h moi kivqariv" te fivlh kai; kampuvla tovxa, crhvsw dΔ ajnqrwvpoisi Dio;" nhmerteva boulhvn».

si avviò di corsa, e rapidamente compì tutto il cammino.

E quando giunse alla dimora degli dei, l’Olimpo sublime,

110 subito chiamando fuori Ilitia, dalla sala interna alla soglia, le rivolse parole alate,

proprio come le avevano ordinato le dee che abitano la sede dell’Olimpo.

E subito Iride le convinceva il cuore nel petto,

e si avviavano, simili nel movimento a trepide colombe.

115 Quando Ilitia, che procura il travaglio del parto, giunse a Delo, allora subito le doglie presero Leto, e sentì l’impulso di partorire.

Cinse con le braccia la palma, e puntò le ginocchia sul soffice prato; sorrise sotto di lei la terra,

e il dio balzò fuori alla luce: le dee, tutte insieme, levarono un grido.

120 Allora, o Febo luminoso,13le dee ti lavavano in acqua limpida, con mani sacre e pure; ti fasciavano con un candido drappo, sottile, intatto; intorno avvolgevano un aureo nastro.

La madre non diede il suo latte ad Apollo dalla spada d’oro:

Temide14invece il nettare e l’amabile ambrosia

125 con le mani immortali gli versava; e Leto era piena di gioia poiché aveva generato un figlio possente, armato di arco.

Ma quando tu, Febo, fosti sazio del nutrimento immortale, certo non più ti trattenevano i nastri d’oro, mentre tu ti agitavi, né le fasce ti erano d’impedimento: anzi, si sciolsero tutti i legami.

130 E subito Febo Apollo disse alle dee immortali:

«Siano miei privilegi la cetra e l’arco ricurvo;

inoltre, io rivelerò agli uomini l’immutabile volere di Zeus».15 Così dicendo, muoveva sulla terra dalle ampie strade

13. Qui l’epiteto h[i>o" viene fat- to derivare da hjwv" «aurora»; al- tri lo interpretano diversamente.

14. Lo stesso che Temi o The- mis (cfr. v. 94).

15. Si allude qui al potere profe- tico di Apollo.

(7)

’W" eijpw;n ejbivbasken ajpo; cqono;" eujruodeivh"

Foi'bo" ajkersekovmh" eJkathbovlo": aiJ dΔ a[ra pa'sai

135 qavmbeon ajqavnatai, crusw'/ dΔ a[ra Dh'lo" a{pasa bebrivqei, kaqorw'sa Dio;" Lhtou'" te genevqlhn, ghqosuvnh/ o{ti min qeo;" ei{leto oijkiva qevsqai

138 nhvswn hjpeivrou te, fivlhse de; khrovqi ma'llon.

140 Aujto;" dΔ ajrgurovtoxe, a[nax eJkathbovlΔ “Apollon, a[llote mevn tΔ ejpi; Kuvnqou ejbhvsao paipalovento", a[llote dΔ a]n nhvsou" te kai; ajnevra" hjlavskaze".

Polloiv toi nhoiv te kai; a[lsea dendrhventa, pa'sai de; skopiaiv te fivlai kai; prwvone" a[kroi

145 uJyhlw'n ojrevwn, potamoiv qΔ a{la de; prorevonte":

ajlla; su; Dhvlw/ Foi'be mavlistΔ ejpitevrpeai h\tor, e[nqa toi eJlkecivtwne" ΔIavone" hjgerevqontai aujtoi'" su;n paivdessi kai; aijdoivh/" ajlovcoisin.

OiJ dev se pugmacivh/ te kai; ojrchqmw'/ kai; ajoidh'/

150 mnhsavmenoi tevrpousin o{tan sthvswntai ajgw'na.

Faivh kΔ ajqanavtou" kai; ajghvrw" e[mmenai aijei;

o}" tovtΔ ejpantiavseiΔ o{tΔ ΔIavone" ajqrovoi ei\en:

pavntwn gavr ken i[doito cavrin, tevryaito de; qumo;n a[ndra" tΔ eijsorovwn kallizwvnou" te gunai'ka"

155 nh'av" tΔ wjkeiva" hjdΔ aujtw'n kthvmata pollav.

Pro;" de; tovde mevga qau'ma, o{ou klevo" ou[potΔ ojlei'tai, kou'rai Dhliavde" ÔEkathbelevtao qeravpnai:

ai{ tΔ ejpei; a]r prw'ton me;n ΔApovllwnΔ uJmnhvswsin, au\ti" dΔ au\ Lhtwv te kai; “Artemin ijocevairan,

Febo dalla chioma intonsa, il dio che colpisce lontano; tutte

135 le dee immortali restavano attonite, e subito l’intera Delo si copriva d’oro contemplando il figlio di Zeus e di Leto, per la gioia: poiché il dio l’aveva scelta per farne la sua dimora

138 fra le isole e il continente, e l’aveva preferita nel suo cuore.16

140 E tu, o signore dall’arco d’argento, che colpisci lontano, ora ti recavi sull’impervio Cinto

ora vagavi per le isole e tra gli uomini;

molti templi ti appartengono, e boschi sacri folti di alberi, e ti sono care tutte le cime, le alte vette

145 dei monti sublimi, e i fiumi che si versano in mare:

ma tu, o Febo, più che di ogni altro luogo, ti compiaci nel tuo cuore di Delo,

dove per te si adunano gli Ioni dalle lunghe tuniche coi loro figli e con le nobili spose;

essi, col pugilato, la danza ed il canto,

150 ti allietano, ricordandosi di te, quando bandiscono l’agone.17 Chi fosse presente quando gli Ioni sono riuniti

direbbe che sono immortali, e immuni da vecchiezza in eterno:

potrebbe osservare la grazia comune a tutti, e si allieterebbe nell’animo contemplando gli uomini, e le donne dalle belle cinture,

155 e le navi veloci, e le loro abbondanti ricchezze.

E v’è ancora una grande meraviglia, la cui gloria non perirà mai:

le fanciulle di Delo, ancelle del dio che colpisce lontano.

Esse dopo aver celebrato, primo fra tutti, Apollo, e poi Leto e Artemide saettatrice,

16. Il v. 139 è stato espunto nella edizione riportata.

17. La gara.

(8)

160 mnhsavmenai ajndrw'n te palaiw'n hjde; gunaikw'n u{mnon ajeivdousin, qevlgousi de; fu'lΔ ajnqrwvpwn.

Pavntwn dΔ ajnqrwvpwn fwna;" kai; krembaliastu;n mimei'sqΔ i[sasin: faivh dev ken aujto;" e{kasto"

fqevggesqΔ: ou{tw sfin kalh; sunavrhren ajoidhv.

165 ΔAllΔ a[geqΔ iJlhvkoi me;n ΔApovllwn ΔArtevmidi xuvn, caivrete dΔ uJmei'" pa'sai: ejmei'o de; kai; metovpisqe mnhvsasqΔ, oJppovte kevn ti" ejpicqonivwn ajnqrwvpwn ejnqavdΔ ajneivrhtai xei'no" talapeivrio" ejlqwvn:

««W kou'rai, tiv" dΔ u[mmin ajnh;r h{disto" ajoidw'n

170 ejnqavde pwlei'tai, kai; tevw/ tevrpesqe mavlista…».

ÔUmei'" dΔ eu\ mavla pa'sai uJpokrivnasqΔ eujfhvmo":

«Tuflo;" ajnhvr, oijkei' de; Civw/ e[ni paipaloevssh/, tou' pa'sai metovpisqen ajristeuvousin ajoidaiv».

ÔHmei'" dΔ uJmevteron klevo" oi[somen o{sson ejpΔ ai\an

175 ajnqrwvpwn strefovmesqa povlei" eu\ naietawvsa":

oiJ dΔ ejpi; dh; peivsontai, ejpei; kai; ejthvtumovn ejstin.

Aujta;r ejgw;n ouj lhvxw eJkhbovlon ΔApovllwna uJmnevwn ajrgurovtoxon o}n hju?komo" tevke Lhtwv.

160 rammentando gli eroi e le donne dei tempi antichi intonano un inno, e incantano le stirpi degli uomini.

Di tutti gli uomini le voci e gli accenti

sanno imitare: ognuno direbbe d’essere lui stesso a parlare, tanto bene si adegua il loro canto armonioso.

165 Ordunque siate benigni, Apollo con Artemide, e voi tutte siate felici, e di me anche in futuro

ricordatevi, quando uno degli uomini che vivono sulla terra, uno straniero, che qui giunga dopo aver molto sofferto, vi chieda:

«O fanciulle, chi è per voi il più dolce tra gli aedi

170 che qui sono soliti venire, e chi vi è più gradito?»

E voi tutte, concordi, rispondete con parole di lode:

«È un uomo cieco, e vive nella rocciosa Chio:

tutti i suoi canti saranno per sempre i più belli».

Ed io porterò la vostra fama dovunque sulla terra

175 andrò vagando tra le città popolose degli uomini;

certo, essi mi crederanno, poiché questa è la verità.

Io poi non cesserò di cantare Apollo arciere

dall’arco d’argento, che Leto dalle belle chiome ha generato.

(trad. di F. Càssola, op. cit.)

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