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Custodia della memoria e assenza di storia L Unione donne italiane

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Custodia della memoria e assenza di storia L’Unione donne italiane

Patrizia Gabrielli

Ledonne dellUdi, ancora oggi questa breve locu­ zione rimanda a poche immagini stereotipate: le mili­ tantidi ferro dell’emancipazione nei primi trent’anni dell’Italia repubblicana, le donne tradizionali, che guardano con diffidenza il femminismodellegiovani, neglianni settanta.Stereotipi natie cresciutidentro quella grande areadella sinistra italiana che oggi, nel bene e nelmale, non esiste più, e, comesempreacca­

de, la dissoluzione di una grandetradizione porta con sé molti problemi, enon solo politici,marappresen­

tanoanche un 'occasione dirilettura del passatodanuo­ vi punti divista1.

Queste considerazioni di Rosangela Pesenti — curatrice con Caterina Liotti e Delfina Trombo­

ni di “Volevamo cambiare il mondo". Memorie e storie di donne dell' Udi in Emilia Romagna

— enucleano alcune delle ragioni e dei proble­

mi che si addensano intorno alla storia dell’U- di, l’associazione che, per la sua attitudine a coin­

volgere nel discorso politico desideri e speran­

ze nutrite da donne di differenti generazioni, ha realizzato una capillare e diffusa rete di inizia­

tive rendendosi visibile nello scenario dell’Ita­

lia repubblicana. Le sue origini, che risalgono al 1944, la collocano in una sorta di crocevia nel quale convergono le esperienze maturate in se­

no ai Gruppi di difesa della donna: un dato che

trova conferma nelle numerose affinità che con­

traddistinguono i rispettivi programmi delle due organizzazioni e nella continuità di esperienze che si rintraccia anche solo scorrendo il lungo elenco di nomi delle aderenti e osservando i vol­

ti che confluirono dall’una all’altra associazio­

ne, talvolta quasi in una naturale soluzione di continuità2. Vi si incontrano però, per altri ver­

si, le culture politiche e le strategie organizzati­

ve realizzate dal “partito nuovo, nazionale e di massa” delineato da Paimiro Togliatti, il quale fin dal suo rientro in patria indicò, tra i punti del­

la nuova agenda politica comunista, la realizza­

zione di una specifica organizzazione femmini­

le il cui scopo precipuo consisteva nell’apporto di un maggiore numero di iscrizioni e suffragi al partito. Nella bozza della relazione presenta­

ta a una delle prime riunioni sul “lavoro fem­

minile” che si svolse 1 ’ 8 maggio del 1944—va­

le a dire all’attivo dei quadri femminili napole­

tani del Pei — si legge:

Perorganizzareledonneitaliane della parte liberata dobbiamo tenerpresentilostato di guerra,la menta­ lità meridionale e la democratizzazione delledonnedi fronte alladifficile situazioneattualeeporcidifronte due compiti da assolvere. — Rinforzare dalpunto

1 Rosangela Pesenti, Fuoriscena, inVolevamo cambiareil mondo". Memorie e storie di donne dell’UdiinEmilia Romagna,acuradi Caterina Liotti, Rosangela Pesenti e Delfina Tromboni, Roma,Carocci,2002,p.71.

2 Sullastoriaesullefinalità dei Gruppi didifesasirimanda ad Anna Rossi-Doria, Le donne sulla scena politica,in Storia dell’Italiarepubblicana,voi. I, La costruzione dellademocrazia. Dallacaduta del fascismo aglianni cinquanta, Torino, Einaudi, 1994, pp.778-846; Archivio centrale dell’Udi, I Gruppi di difesa delladonna1943-1945,Presenta­ zione di Anna Bravo,Roma,Udi, 1995. Si vedaanche BiancaGuidetti Serra, Quello chescrivevano le donnedella Resistenza sui loro giornali,in Laura Derossi (a cura di), 1945. Il voto alle donne, Milano, Angeli, 1998, pp.102-134.

Italia contemporanea’', settembre 2003, n. 232

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Patrizia Gabrielli

di vista femminileil nostro partito. 2° —Creare una vasta organizzazionedi massa alla quale possano ade­

riretuttele donne italiane che noiavremocosì modo

di orientare3. •

3 Atuttele donneitaliane,8maggio1944, in Esperienzee identitàdei comunisti italiani, “Critica marxista, 1988, n. 3-4, p.12.

4 Ivi, p. 15.Per quanto concerne la posizione di Paimiro Togliatti sull’emancipazione femminile sirimanda al noto Di­

scorsoalla Conferenzadelle donne comuniste,in PalmiroTogliatti,Opere, a cura diLucianoGruppi, voi.V, 1944- 1955, Roma,EditoriRiuniti, 1984,pp. 144-162.

5 Paul Ginsborg, Berlusconi:ambizioni patrimoniali di una democrazia mediatica, trad.Emilia Benghi, Torino, Ei­

naudi, 2003, p.19.

6 Sivedaa riguardo Anna Garofalo, L’italiana in Italia, Bari,Laterza, 1956.

Riprendendo questo concetto nelle righe con­

clusive del documento si ribadiva:

In questolavorole nostre compagne pur essendo sem­ pre le più attive, le più diligenti, quelleche più con­

tribuisconoallosviluppo dellorganizzazionedovran­

no cercare diattivizzare il maggior numerodi donne, di interessarle al lavoro,di far che essediventino le animatrici diquestomovimento.Così a contattocon numerosedonne lenostrecompagne potrannoorien­

tarle efare in modo che quando queste donne parteci­

peranno attivamente allavitanazionale essenon sia­

noimpreparate e quindichediventino una forza afa­

vore delle forze progressive enon una forzain mano alla reazione4.

Per cogliere la gamma di fattori che contribui­

rono allo sviluppo dell’associazionismo fem­

minile nel secondo dopoguerra, oltre agli obiet­

tivi del Pei e a quelli dei Gruppi di difesa, oc­

corre considerare il senso di delusione, talvolta di amarezza, che affiora dalle testimonianze di tante militanti della sinistra, come in quelle di donne afferenti ad altri schieramenti, che costi­

tuisce una delle possibili variabili cui riferirsi per sondare l’Italia dei primi anni del dopo­

guerra. Non furono poche coloro che dovettero ben presto misurarsi con i limiti e con le chiu­

sure della società italiana e della nuova classe politica persino sul diritto al suffragio, cui la stessa sinistra acconsentì — per dirla con Paul Ginsborg — “con qualche trepidazione”5 e che era, invece, apparso alla maggioranza delle sue sostenitrici un’acquisizione scontata. Sul riflus­

so delle prospettive invitano a riflettere pubbli-

ciste, scrittrici e politiche, da Anna Garofalo, giornalista e direttrice a partire dal settembre 1944 della rubrica radiofonica Parole di una donna6, a Maria Federici, presidente del Centro italiano femminile (Cif) dal 1945 al 1949, la qua­

le a ridosso della campagna elettorale del 1946 commentava:

Quando nei prossimi annisaràentratonel novero del­ le cose normali [...]l’eserciziodel voto femminile, ri­ pensandoalla fatica che si è fatta per [...] orientare fa­

vorevolmente sulla questioneuominidigoverno, pub­

blica opinione e attenzione femminile emaschile,ci verrà daridere.

A molte questioni inerenti il riconoscimento del­

la piena cittadinanza rinviano le testimonianze pubblicate nel volume “Volevamo cambiare il mondo” — curate da Angela Remaggi e corre­

date da un sintetico profilo biografico — rila­

sciate da donne confluite nell’arco di cin- quanf anni nell’Udi dell’Emilia Romagna, tut­

te nate tra il primo ventennio del secolo e gli an­

ni settanta, come testimonia il caso di Paolina Brandolini del 1919, contadina e operaia, la più anziana delle intervistate, e quello di Brunella Mosca, la più giovane, nata nel 1972, impiega­

ta presso uno studio legale. Le loro voci ci of­

frono la misura delle trasformazioni sociali che hanno attraversato il paese e i loro effetti sulla vita delle donne: tra le prime generazioni e le più recenti vi sono state conquiste di rilievo sul piano dei diritti e consistenti cambiamenti nei costumi, dal diritto al suffragio al divorzio, dal­

l’accesso all’istruzione a quello alle professio­

ni, dalla riforma del diritto familiare alla condi­

visione di una nuova concezione del proprio cor­

po, della sessualità, delle relazioni familiari. La varietà dei soggetti proposti costituisce il tratto

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Custodia della memoria e assenza di storia 509

specifico di questo libro, frutto di un lavoro più ampio, promosso dal Centro di documentazio­

ne delle donne di Modena, sul quale si sofferma Caterina Liotti. Illustrandone le origini, le fina­

lità e ripercorrendone le tappe, l’autrice offre in­

dicazioni sia sulla definizione del campione e della griglia delle interviste — informazioni che si rivelano utili per seguire la struttura dei rac­

conti e per valutare la prevalenza di alcuni spe­

cifici tratti dell’autorappresentazione7 — sia sui criteri che hanno favorito la scelta dei novanta- quattro brani pubblicati (ma duecento sono le interviste raccolte) sia, infine, sugli obiettivi del­

la ricerca, che prendono spunto dal desiderio di rendere fruibile a un pubblico ampio le memo­

rie dell’associazione al fine di incrementare nuo­

vi studi e — sottolinea Lia Randi nella Presen­

tazione — di valorizzare la propria identità, que­

stione non secondaria per resistenza stessa di un’associazione politica.

7 Si veda "Volevamo cambiare il mondo",cit.,pp. 267-272.

8 Presentazione di Lia Randi a"Volevamo cambiare il mondo",p. 14.

9 Hanno richiamato l’attenzione su questa tipologia di associazioni trascurate dalla storiapoliticaLucettaScaraffia, AnnaMariaIsastia, Donne ottimiste. Femminismo e associazioni borghesi nell’Otto eNovecento, Bologna,Il Muli­ no, 2002.

10 D.Tromboni, Di donna in donna.Ritratti in puntadi penna (1945-1960),in “Volevamo cambiare ilmondo”, cit., pp. 39-69.

11 Per unapproccio metodologico alle fontiorali, oltreal volume di Luisa Passerini, Storia e soggettività. Le fonti ora­

li, la memoria, Firenze, La Nuova Italia, 1988, siveda Giovanni DeLuna,La passione e laragione.Fontie metodi Questa nostra impresa perchédiquesto si tratta —

ha permesso che venisseroalla lucecome in uno scavo per strati i mille pezzi, i frammenti di una sto­

ria collettiva edi centostorie individuali; le parole au­

tentiche, ipensieri appena abbozzati, i volti che pren­ donoforma, gli sguardi ingenui e quellidisincantati, qualcheferita ancora aperta e qualchealtra ormairi­ marginata8.

La storia della soggettività ha aperto anche nel­

l’ambito della storia politica ampie prospettive e numerose innovazioni. Tuttavia, sarebbe ri­

duttivo delineare una storia dell’Udi riferendo­

si solamente al vissuto delle militanti perché si rischierebbe di confinare questa esperienza ne­

gli angusti orizzonti di una storia interna men­

tre essa merita di essere collocata nella storia

della società italiana oltre che nel quadro delio sviluppo delle altre espressioni politiche fem­

minili, quali i movimenti dei partiti politici, il Centro italiano femminile, il Consiglio nazio­

nale donne italiane (Cndi), le organizzazioni di tipo professionale, quali la Federazione italiana fra laureate e diplomate di istituti superiori (Fil- dis), la Federazione italiana donne arti profes­

sioni affari (Fidapa) e altre9. Da qui la necessità di definire una periodizzazione utile anche per cogliere i tratti dell’autorappresentazione, cui è dedicato l’intervento di Delfina Tromboni, che chiamano in causa i temi della scelta e dell’ap­

partenenza. Si tratta di questioni ampiamente frequentate dalla storiografia sulle militanze po­

litiche, la cui considerazione ha favorito la de­

finizione di una mappa delle culture affluite nei partiti e nei movimenti10 11 e che meritano di es­

sere valutate anche nel caso specifico dell’Udi.

A riguardo e nell’intento di valorizzare l’iden­

tità di genere dell’associazione, Delfina Trom­

boni pone l’accento sulla specificità delle “re­

lazioni tra donne” rischiando tuttavia di proporre tali relazioni come un dato a-storico, trascuran­

do, dunque, la loro storicità e la differente ca­

ratterizzazione che assumono nelle continue ri­

visitazioni della memoria".

Le interviste pubblicate in “Volevamo cam­

biare il mondo” sollecitano più di una riflessio­

ne sui possibili indirizzi della storiografia e sul­

la necessità di elaborare categorie e codici che allarghino le strette maglie del politico per aprir­

si al sociale. Rimandano al senso dell’apparte­

nenza e al suo strutturarsi intorno a un nucleo di valori politici e umani, al sentimento di ricono­

scenza verso un’organizzazione che permise a molte di misurarsi con spazi diversi da quello

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domestico, dei campi e dell’aia, dai confini ri­

stretti del piccolo laboratorio di sartoria, di svi­

luppare il proprio senso critico e di riconoscere le proprie capacità. Inoltre, rinviano alla storia sociale del secondo dopoguerra e al ruolo del- l’Unione donne italiane nei processi di moder­

nizzazione e pongono al centro la considerazio­

ne di una prospettiva che sappia valutare stori­

camente una testimonianza come quella di Wil­

ma Occhi, nata nel 1933, bracciante, che narra la sua esperienza di maturazione individuale e civile prima che politica:

LUdi miha insegnato a camminare, a parlare,a stare in mezzoalla gente [... ]a mangiare la prima bistecca [...]perché per starein mezzo alla gentedevi com­

portarti. .. non ridere troppo, non dire parolacce, devi stare insieme alla gente.Evero? Acamminare devi sta­

reattenta, perché c’è sempre chi ti guarda [...]. Ionon ero mai stataal ristorante! Allora [con unadelegazio­ ne dell’Udi“da Massasiamo andate via in otto o die­

ci”] andiamo in un ristorante e ciportanola nostra bi­

stecca,eallora... non avevo mai adoperato il coltello e la forchetta tutte due in unavolta, sono troppi tutti e due in una volta... Allora dice una “come facciamo a mangiare?” “Staizitta!Come, stai zitta?! Nonve­ di che ho tutti questi attrezzi qui?. Allora, mentre sia­

mo lì... io guardavo sempre il tavolo delle dirigenti, perché era che imparavo, guardando loro... e allo­

ra:“Ma dai,sifacosìAh, beh, tu che sai tut­ to...”, dicevano: perché avevo già guardato![...]Ca­

pito? È stata una bella scena quellalì;lUdi ci hafat­

tomangiare la prima bistecca12.

Molte pagine di “ Volevamo cambiare il mondo"

ruotano intorno al rapporto memoria-storia- identità, sul quale la storiografia delle donne si è soffermata fin dalle sue origini promuovendo

specifiche iniziative, e Rosangela Pesenti, col­

legandosi a questo dibattito, focalizza l’atten­

zione sull’opportunità di scandagliare a fondo gli stereotipi, in altre parole propone di prende­

re le distanze dalla “istituzione della femmini­

lità”13: orientamento che può essere considera­

to tra gli assi portanti del femminismo e parte integrante delle originarie aspirazioni della sto­

ria delle donne, tradottosi, in molti studi, in una lettura critica delle costruzioni sclerotizzate, del- l’analisi e della decostruzione dei modelli do­

minanti nelle diverse fasi storiche. Anche Cate­

rina Liotti, nell'introduzione, riprende questo nodo tematico auspicando una ricostruzione sto­

rica che, senza trascurare la soggettività, i sen­

timenti e le emozioni delle protagoniste, valuti quanto effettivamente la pratica politica dell’U- di abbia inciso in “un mondo che continua a re­

stare quello degli uomini”14.

Al di là di questa denuncia politica — che per la sua radicalità rischia di sminuire i suc­

cessi ottenuti dai movimenti delle donne di cui il volume stesso è testimonianza —, l’autrice, dichiarando l’esigenza di ricostruire e di valu­

tare storicamente il fenomeno Udi nel quadro più generale della storia politica e sociale del­

l’Italia repubblicana, pone l’accento sulla ca­

renza di studi a riguardo. Su questo aspetto, an­

che solo da un sintetico bilancio storiografico, se da una parte è possibile scorgere molte la­

cune — che vanno ricondotte in parte alla de­

bolezza della storia delle donne nel campo del­

la contemporaneistica15 — dall’altra è anche possibile individuare, negli ultimi anni, più di un cambiamento, almeno per quanto concerne

dello storico contemporaneo,Milano, La NuovaItalia, 2001, pp. 137-153. Sulla memoria si vedano anche, oltre al vo­ lume, ormai consideratounclassico, di Maurice Halbwachs, La memoria collettiva, a cura di PaoloJedlowski,con Postfazione di LuisaPasserini, Milano, Unicopli, 1987, P. Jedlowski, Memoria,esperienzae modernità, Milano, An­ geli,1989e P.Jedlowski,Marita Rampazi (acuradi), Il sensodel passato. Per unasociologia della memoria,Mila­

no, Angeli, 1991.

12 In D.Tromboni, Di donna in donna, cit., pp.64-65.

13L’espressione è diRosi Braidotti,Inmetamorfosi. Versouna teoria materialista del divenire, a cura di Maria Na- dotti, Milano, Feltrinelli, 2003,p.21.

14Volevamo cambiareil mondo", cit.,p. 29.

15Questavalutazione può essere estesa anche alle altre associazioni femminilidell’Italia repubblicana, si pensianche soltanto alCndi che ancora attendediessere studiato. Diversa,anche se limitata, la produzione sul Cif.Si vedano a ri-

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Custodia della memoria e assenza di storia 511

la storia dei movimenti politici. I primi segna­

li di un’inversione di tendenza risalgono alla metà degli anni novanta e sono rappresentati dai due volumi della Storia dell’Italia repub­

blicana pubblicati da Einaudi, che propongo­

no saggi specifici sulle politiche delle donne16 e da Diventare cittadine di Anna Rossi-Doria la quale, indagando le ragioni profonde del dif­

ficile rapporto tra donne e cittadinanza, ha po­

sto al centro dell’attenzione l’evento voto,

“evento tanto più grande quanto più conside­

rato, spesso dai contemporanei e sempre dagli storici, come un non evento”17. Altri studi, in­

centrati su differenti realtà locali e rivolti prin­

cipalmente alle pratiche dell’associazionismo femminile, favorivano approfondimenti e indi­

cavano alcune possibili linee di indagine18. Al­

cune ricerche, condividendo l’esigenza di ol­

trepassare i tradizionali canoni della storia po­

litica attraverso il ricorso alla soggettività —

penso al bel lavoro di Marco Minardi —, si con­

centravano sull’analisi delle autobiografie e in­

dagavano sulle ragioni della scelta, sulle ge­

rarchie di valori condivise, sull’identità delle militanti19.

Il rapporto con il Partito comunista ricorre in molte pagine di questa bibliografia e le autrici convergono sostanzialmente — almeno per quanto concerne gli anni cinquanta — sul pie­

no riconoscimento di questo legame ma, nel con­

tempo, considerano i minimi spazi di autonomia goduti dall’Udi, spazi sempre negoziabili e mai scontati. La storia dell’Udi comincia a essere in­

serita in una più ampia cornice e sembra muo­

versi lungo diverse coordinate, quali le scelte del partito, le contingenze della politica nazionale e locale e, in qualche caso, si avviano studi com­

parativi che valutano il suo sviluppo anche in relazione a quello del Cif, l’organizzazione che è stata per un periodo, con maggiore o minore

guardo CeciliaDau Novelli e al.. Donne delnostrotempo. Il Centroitaliano femminile (1945-1995),Roma, Studium, 1995; Elisa Bizzarri, L'organizzazione del movimento femminile cattolico dal1943 al1948, Roma, Quadernidella Fiap, s.d.(1980); AnnaMiceli, Trastoriaememoria,Roma, Puntografico, 1995(2a ed.). Perquanto riguarda, invece, la bibliografia sui movimentifemministi,alla riccaproduzionedi taglio(corico nonne corrisponde un’altra altrettan­

to ampia di ricerchestoriche. Su questotema,oltreaipioneristci lavoridi Bianca Maria Frabotta (acura di), Femmi­

nismoe lotta di classeinItalia (1970-1973), Roma, Savelli, 1973edi Rosalba Spagnoletti (acura di), Imovimenti femministi in Italia, Roma, Savelli, 1974, sivedano IImovimentofemminista degli anni'70,Memoria”, 1987, n. 19- 20; Jasmine Ergas, Nelle maglie della politica: femminismo, istituzionie politiche sociali nellItalia degli anni ‘70, Milano,Angeli, 1986.Costituisce uninteressante studio ricco di suggerimenti metodologici anche per la storia dei femminismi L. Passerini, Storiadidonne e femministe, cit.

16A. Rossi-Doria, Le donne sulla scena politica, inStoriadell’Italia repubblicana,voi. I,cit.,pp. 777-846; Fiamma Lussana, Le donne e lamodernizzazione: il neofemminismodegli anni settanta,inStoriadell'Italia repubblicana,voi.

Ili, L’Italia nella crisi mondiale. L’ultimo ventennio, Torino, Einaudi, 1997,pp. 471-565; PaolaDiCori,Culture del femminismo.Il casodella storia delledonne, in Storiadell'Italia repubblicana, voi. Ili, cit., pp. 801-861.Si veda an­

che Comune diRoma,Ufficio progetti donna, Il voto alle donne cinquant’anni dopo (Attidelconvegno nazionale pro­ mossodal Cif in collaborazione con il Comune di Roma, Campidoglio,6-7 marzo1995), Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 1996; Annarita Buttafuoco,Cittadine italiane al voto,Passato e presente”, 1997,n.40,pp.9-15;

L. Derossi(a cura di), 1945.Il voto alle donne, cit.

17A. Rossi-Doria, Diventare cittadine.Ilvoto alle donne in Italia, Firenze,Giunti,1996,p. 19.

18Si veda Dianella Gagliani, Un vocabolario per l’attivismo politico delle donne, inPauranon abbiamo.L'Unione donneitaliane di Reggio Emilia nei documenti, nelle immagini,nella memoria:1945-1982,Bologna, Il nove, 1993.

Sebbeneincentratosulla Resistenza èriccodi spunti e richiami al secondo dopoguerra il volume Università di Bolo­ gna, Dipartimentodi discipline storiche, Donne, guerra, politica.Esperienze ememorie della Resistenza,a cura di Dianella Gagliani, EldaGuerra, LauraMariani,FiorenzaTarozzi, Bologna, Clueb, 2000.

19Marco Minardi, Ragazzedei borghi in tempo di guerra. Storie di operaie e antifascistenei quartieri popolari di Par­ ma,Parma, Istituto storico dellaResistenza di Parma,1991.Si vedano a riguardo anche le ricerchedi Michela Gavioli,

"Genere" e militanza politica nelPei e nell’Udi aFerrara edi PaolaZappaterra,Autobiografia e tensione allapoli­

tica nelle comuniste bolognesi 1945-1955in Donne reali, donneimmaginate,numero monografico di “Storia e pro­ blemi contemporanei”,n.20,1997,pp. 63-83 e pp.49-63.Sebbene con un diverso taglio siveda nello stesso numero Ornella Domenicali, Iprimipassi dell’UdidiRavenna, pp. 85-103.

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incidenza rispetto alle realtà territoriali e al gra­

do dello scontro politico negli anni della guerra fredda, sua antagonista20.

20 Si rimandaa Patrizia Gabrielli, Il club delle virtuose. Udì e Cif nelle Marche dall’antifascismo allaguerra fredda, Ancona, Il lavoro editoriale, 2000.

21C.Liotti, Introduzione,cit., p.24.

22 Testimonianza di Adele VassurainVolevamo cambiareil mondo", cit., p.253.

23 C.Liotti, Introduzione,cit., p. 22.

Queste nuove linee di ricerca hanno favorito una certa presa di distanza dal binomio control- lo-autonomia e il superamento di una visione li­

neare della storia dell’associazione cogliendo le fratture o le piccole smagliature che la segnano.

In special modo questi dati divengono evidenti quando dalla storia della politica si passa a quel­

la dei soggetti che vivono la politica, e si riceve così conferma della difficoltà di attribuire al le­

game con il Pei un’unica interpretazione. Tra le protagoniste convivono posizioni assai diversi­

ficate se non addirittura contrapposte: per Mirka, pseudonimo assunto da Laura Polizzi durante la guerra partigiana,

L’Unione donneitaliane non eraunorganizzazione au­ tonomadel Pei. Era diretta da comuniste,oltre che da altre forze politiche, ma noi eravamo laforza politica più determinante,egemone, ma addirittura prendeva­ mole direttive dal partito ed è inutilechestiamo qui a menarla tanto, anchese poi eraun dareeavere21.

Vi sono anche altre voci, quelle di coloro che ri­

cordano soprattutto lo stare insieme tra donne in un rapporto mediato o diretto:

A me per esempioafferma Adele Vassura—ha for­ mato molto la Repetto, laDal Pozzo. E poi iosono cre­

sciuta con la Dal Pozzo. E poi sono cresciuta con “Noi Donne. [...] Per esempio io non ricordo dei momen­ ti belli nelPei, anche seho partecipato abbastanza, co­

me ho vissuto quellinellUdi [...].Ad esempiocon Giorgia ci siamo sempre volute bene e abbiamo sem­

pre lavoratonell’Udi insiemee leiera convinta.co- me me e siamo legatissime, ci vogliamo bene,ci sia­

mo divertite: quandoabbiamofatto lalbero dellami­ mosa, perchéavevamo anche delle idee, poi lei èuna che non si è mairisparmiata22.

Tra questi due estremi si snodano diversi modi di essere, talvolta connessi all’appartenenza ge­

nerazionale, alla posizione di dirigenti, di mili­

tanti o di simpatizzanti, da cui derivano diffe­

renti modi di intendere l’impegno politico che non possono essere né azzerati né omologati.

Spesso, invece, la storiografia sul Partito co­

munista ha manifestato la tendenza a conside­

rare l’Udi all’interno del collateralismo, assu­

mendo un’impostazione che rischia di sottova­

lutare i conflitti di genere attivi nel partito e la loro specificità politica, insomma, di negare una dimensione sessuata del suo fare politica. In so­

stanza questa lettura rischia di smarrire un dato inerente alle scelte dell’Unione — come del re­

sto a quelle di altre associazioni femminili — che possono essere sintetizzate nel disegno di legittimare il pieno accesso delle donne alla sfe­

ra pubblica e di promuovere nel contempo una sua ridefinizione.

Su questo punto Caterina Liotti svolge alcu­

ne considerazioni sostenendo che “[...] l’Udi inizia un percorso che rivoluziona la sfera del­

la politica con la presenza delle donne”23. Pro­

prio in relazione al Pei, meriterebbe di essere meglio studiato raffermarsi al suo interno di una cultura della cittadinanza, cui la tradizione co­

munista poteva offrire limitati suggerimenti, te­

nendo presente, invece, il possibile ascendente e l’incidenza delle politiche dell’Udi che si fa promotrice di una vasta opera di solidarietà e di impegno civile, volta alla declinazione di un nuo­

vo paradigma della cittadinanza democratica e alla definizione di un nuovo ruolo civile delle donne. Nello stesso tempo andrebbe anche af­

frontato lo studio del ventennio settanta-ottan- ta, quando l’elaborazione femminista — diffu­

sa anche dall’Udi dopo le iniziali prese di di­

stanza — immette nella cultura comunista una

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Custodia della memoria e assenza di storia 513

nuova visione della famiglia, della sessualità, delle libertà individuali24.

24 Suquesti aspettie, più in generale, sulsistema di valori del Pei rimando allo studio comparativo dedicato alla cul­

tura cattolica, comunista esocialista diAnna Tonelli, Politicae amore.Storiadell'educazione ai sentimenti nell’Ita­ lia contemporanea, Bologna, IlMulino, 2003.

25Ho avuto modo ditrattare questi aspettiin Fenicotteri in volo. Donne comuniste nel ventennio fascista,Roma, Ca­ rocci,1999. Tali posizioni derivate dalla Terza Intemazionale si riscontrano in altri partiti comunisti;atale proposito si veda per esempiola vicenda del Pcfcui fa riferimentoChristine Bard,Les femmes ele pouvoir politique dans la France de l’entre-deux-guerres, in ArmelleLe Bras-Chopard, Janine Mossuz-Lavau (a cura di), Les femmeset la po- litique, Paris,L’Harmattan, 1997, conparticolareriferimentoa p.43.

26 Renzo Martinelli, StoriadelPartito comunista italiano,voi. VI,IlPartitonuovo" dalla Liberazioneal 18 aprile, Torino,Einaudi,1995, pp. 11-12.

L’Udi fu concepita dal Pei alla stregua di una

“cinghia di trasmissione” necessaria — come si legge nel documento del 1944 — per “orienta­

re le donne”; nei suoi disegni, pertanto, il con­

trollo era indiscusso e i dirigenti si adoperarono per raggiungerlo. Da qui gli invii di direttive e di rapporti, di cui gli archivi del Pei e dell’Udi conservano tracce consistenti e regolari. Tutta­

via, è proprio la loro analisi a suggerire di usci­

re dalla dicotomia controllo-autonomia, come dalla cornice della continuità, per rivolgersi a un quadro più frastagliato, composto da diversi seg­

menti, nel quale le scelte dei diversi attori me­

ritano di essere esaminate nella loro relazione con le esigenze del Pei e con la sua linea strate­

gica, con quelle espresse dall’associazionismo femminile e con i desideri delle donne, con le scelte compiute dalle istituzioni e con la storia della società italiana nel suo complesso.

La relazione tra il Pei e l’Udi, più che lungo una linea di totale riconoscimento, si attesta su quella di un conflitto spesso latente che si ma­

nifesta negli interstizi in cui l’Udi agisce per af­

fermare la propria identità e per contrattare mar­

gini di autonomia. Nel quadro di queste rela­

zioni, essa può essere considerata alla stregua di un imprevisto, nel senso che se da un lato as­

solse la funzione di canale di mobilitazione del consenso, dall’altra, sulla base di un’azione cri­

tica, immise vari elementi di imprevedibilità ne­

gli schemi della sinistra italiana incardinati nel paradigma di classe. La cultura politica dei di­

rigenti comunisti presentava una debole, se non

addirittura assente, consapevolezza della speci­

ficità di quella che allora si definiva condizione femminile. Lo dimostra il disprezzo verso il fem­

minismo che marca la storia del partito fin dal­

le sue origini con gravi ricadute sulle scelte del­

le militanti emancipazioniste25.

Nonostante l’afflusso nelle file del partito nuovo di iscritti e di simpatizzanti che avevano maturato la propria scelta durante la guerra e la Resistenza, la maggioranza dei quadri naziona­

li proveniva dal vecchio Pcd’L II primo vertice del partito - ha sottolineato Renzo Martinelli - è “contraddistinto da alcuni caratteri immedia­

tamente evidenti” tra i quali spicca “l’assenza di quadri femminili”, “nessuno fa parte delle nuo­

ve leve di dirigenti espresse dalla guerra di Li­

berazione (molti di questi dirigenti sono però già inseriti tra i quadri delle federazioni provincia­

li): cosicché, nel suo insieme, la direzione del Pei rappresenta assai efficacemente la continuità storica del partito”26. Dirigenti e militanti di ba­

se mostrarono in più di un’occasione l’inade­

guatezza della propria cultura di fronte alla scel­

ta dell’Udi di far agire nello spazio politico un pensiero e un progetto che inserivano nel nuo­

vo scenario dell’Italia repubblicana un modello di cittadinanza democratica capace di prevede­

re garanzie e diritti connessi all’appartenenza di genere. Quei corpi di donne che invasero le se­

zioni del partito e le sedi istituzionali erano ca­

richi di desideri spesso nominati con difficoltà, talvolta persino taciuti e frutto di un malessere esistenziale che Giuliana Ferri, partigiana e gior­

nalista, raccontò nel suo bel romanzo Un quar­

to di donna:

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Il mio globo mi piace, anzi lo amo e lo riamo conti­

nuamente. L’ho voluto così, pulito, scarno, abbondan­ tedi valori, inzeppato ditrinci,cresciuto nelsuotem­

po,pienodibuone intenzioni, frettoloso. Così fretto­ loso checerte volte mi scappa dalle mani. E mentre corre sulle ore, rotola sul pranzo e sulla cena,sul buio della notte esulla luce delgiorno, io certevolte mici stanco dentro. E finisco per nondominarlo più. È que­

stoilmomento in cuiperdoi margini dellamia gio­ ventùepiuttostocheunpensiero, un sorriso,unano­

vità,unaboccata d’aria, cercoun tranquillante che mi aiuti27.

27Giuliana Ferri, Un quartodidonna, Padova, Marsilio, 1973, pp.9-10.

28Sullacapacità di negoziazionerimandoad AmaliaSignorelli, Ilpragmatismodelle donne. La condizione femmini­

lenella trasformazione delle campagne,in SimonettaPiccone Stella,Chiara Saraceno (a curadi), Genere. La costru­

zionesociale del femminilee del maschile, Bologna, Il Mulino, 1996,pp.223-251.

29 Franco Riva,Disincanto e possibilità. Introduzione a Remo Bodei, LuigiFrancoPizzolato(a cura di),Lapolitica e la felicità, Roma,Edizioni lavoro, 1997, pp.XXXIII-XXXIV.

30 C. Liotti, Introduzione, cit., pp. 21-22.

Silenzi che produssero sensibili ritardi sul pia­

no, per esempio, della conquista dei diritti civi­

li, ma che meritano di essere considerati non so­

lo in quanto frutto di inconsapevolezza, di una rozza e ingenua tradizione politica, ma anche in quanto misura di una coscienza degli ostacoli che si frapponevano tra il desiderio e la realtà, delle resistenze che le rivendicazioni volte a una trasformazione delle relazioni familiari avreb­

bero incontrato nella società italiana. In alcuni passaggi la posta in gioco rischiava di essere tal­

mente alta che l’Udi stessa scelse di tacere: il silenzio avrebbe potuto rivelarsi funzionale al­

la negoziazione. Questa “ambiguità”, questa tensione tra tradizione e innovazione — che si rinviene in varie circostanze nella storia della politica delle donne e che le donne governano28

— si colora allora di un portato critico e acqui­

sta il senso di una scelta che mira a conferire una propria impronta al sistema politico e alle istituzioni repubblicane. Nelle sue relazioni con le istituzioni, nella considerazione delle oppor­

tunità che le leggi offrivano, si rintraccia quel­

lo che Franco Riva ha definito il principio di ra­

gionevolezza che “non significa in nessun mo­

do l’appiattimento sulla situazione stessa [...];

né equivale d’altronde all’uso strumentale di

qualche principio di realtà, con il quale smor­

zare, al modo della conservazione, ogni ecces­

sivo entusiasmo nella progettazione. Il princi­

pio di ragionevolezza significa al contrario l’as­

sunzione responsabile, a partire dalla situazio­

ne di un atteggiamento di costante e comune apertura progettuale”29.

Franca Baldrati, che entra nel circolo Udi di Alfonsine ancora adolescente tra il 1963 e il 1964, ripercorrendo le tappe del suo attivismo politico si è soffermata sulle opportunità di re­

lazione che si schiusero appena prese a fre­

quentare l’associazione:

L’Udi ti dava l’occasionedi incontrarti tra donne, quin­ di ti facevi latua confidenza, così, uscivi dopo lariu­ nione, stavi insiemeper berti qualcosainsieme e ti da­ va questa occasione comunquedi relazioni fra donne che... poteva sfociareinun’amiciziaperché chiara­

mente in un gruppoc’èsempre quellacheprivilegi, quindi si era legati molto, cioè io mi sono legata per alcuni periodi a molte persone che facevano parte pro­

prio dellamiavitaprivata30.

L’elemento della socializzazione è presente in molte interviste, attraversa con continuità una storia di oltre cinquant’anni e assume nei ricor­

di tinte differenti: si ritrova nell’esperienza del­

le giovani donne dell’Associazione ragazze d’I­

talia, quindi nella prima generazione di militan­

ti, come nella memoria di coloro che vi aderi­

rono trent’anni dopo:

Il mio incontro con l’Udi — ricorda Pina Nuzzo — ri­ sale a quando mi sono trasferita a Modena, nel *73.

Avevo ventun’anni,miero appena sposata e avevo ap­

pena fatto unfiglio. Mi sonotrovata inuna situazione completamente nuova e un giornoero con questo bam­

bino dipochimesi, disperata perchéero passata dauna vita completamente libera, da studentessa a Roma, al­ la responsabilità di unafamiglia. Mi ricordochepre­

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Custodia della memoria e assenza di storia 515

sa dalla disperazione guardavo dalla finestra conque­ sto bambino in braccio e pensavo: mah, siccome gli uomini si incontranoneibar, forse esisteun luogo in questacittà dove le donne si incontrano. Questa cosa mi pareva che al Nord fosse possibile. La mattina do­ po, conquesto pensieroche migirava nellatesta, so­ noandatadalla fruttivendola sotto casa e ho trovatoil coraggio didomandare:Signora, nonè che a Mode­ na esisteun posto dove ledonne si incontrano?. Lei mi ha guardatoe mi ha detto: Sì, c’èl’Udi.Ero fe­

lice perché la mia intuizione era vera: c’era questo luo­

go mitico31.

31 Testimonianza di PinaNuzzo in"Volevamo cambiareil mondo”, cit., p. 194.

32P. Ginsborg, L’Italia deltempo presente. Famiglia,societàcivile, Stato 1980-1996, Torino,Einaudi, 1998, pp. 201- 202.

33A. Rossi-Doria, Donne, femminismo, processi di trasformazione, “I viaggi di Erotodo”, Novecento,1994, n. 22,pp.

271-281,p. 272.

34 Rosangela Pesenti, Gliarchivi dell’Udi e unastoria da raccontare, “Genesis”, Diritti e privilegi, 2002, n. 1-2,pp.

212-216, p. 213.

35 Testimonianza diPina Nuzzo in "Volevamocambiare il mondo”, cit.,p.195.

In Italia, ancora alle soglie degli anni sessanta, i momenti di sociabilità erano sostanzialmente maschili e le reti di relazioni femminili restava­

no, per la maggioranza, ristrette all’ambito fa­

miliare32. Nel quadro delle limitate opportunità di relazione praticate dalle donne, almeno fino alla metà degli anni settanta, la capacità dell’U- di di offrire spazi di socializzazione acquista al­

lora uno spessore non trascurabile per valutare la modernità del suo progetto date le connes­

sioni presenti tra possibilità di aggregazione e sviluppo della cittadinanza democratica. Var­

rebbe poi la pena di riflettere sulla funzione di diaframma da essa assunta proprio in virtù di un’elaborazione capace di attutire lo iato tra gli effetti, tutf altro che lineari per l’esistenza del­

le donne, delle trasformazioni rapide e la “net­

ta continuità delle rappresentazioni del femmi­

nile: stereotipi, definizioni, paure e idealizza­

zioni delle donne sono connotati da una lun­

ghissima durata, assolutamente senza paragoni.

Forse in nessun altro campo la cultura odierna mostra simili sopravvivenze di sedimentazioni plurisecolari”33. Le autrici dei saggi raccolti in

“ Volevamo cambiare il mondo" segnalano la ca­

pacità dell’Udi di essere punto di incontro tra

differenti generazioni; e se pongono questo ca­

rattere al centro di una cultura politica che pre­

vede il riconoscimento e la definizione delle po­

sizioni, il dialogo, lo scontro o la mediazione, prendono in tal modo le distanze da un’inter­

pretazione fondata sulla “predisposizione natu­

rale delle donne” che finirebbe per ridurre que­

sto peculiare tratto politico dell’Udi alla stregua di un dato biologico parte di quel complesso co­

strutto definito materno. Tutti passaggi che tro­

vano espressione, per esempio, in occasione del- l’XI Congresso del 1982, interpretato come una vera e propria “svolta politica [...] che azzera l’organizzazione gerarchica nelle singole sedi e nella dimensione territoriale e genera, come uni­

co organismo dirigente, l’assemblea nazionale autoconvocata aperta a tutte”34. Un passaggio che rappresenta un mutamento radicale nella sto­

ria dell’Associazione tanto da essere considera­

to un evento periodizzante. Pina Nuzzo evoca la fatica di quel rapporto che diviene più pesante quando il filo della trasmissione si interrompe e stenta a riannodarsi:

Sono stati annidifficilissimi, oggi li raccontocosì,ma ci sono state cosetremende:aggressioni,violenze, mal­

dicenze eilsospetto di avereamicizieparticolari sto parlando di un periodo in cui nemmeno sapevo che cosa significassequesta espressione in un Udiche nonprevedeva alcuntipo di amicizia personale...La politica èstata anche questo35.

Diffusione e trasmissione tra generazioni si rea­

lizzano attraverso una trama di relazioni indivi­

duali e collettive che trovano concretezza nelle sedi dell’Udi, luoghi di confine tra gli spazi pub­

blici e quelli privati, e ciò in virtù dei contenu­

ti che le aderenti vi fanno confluire. Questa ca­

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516

ratteristica è stata valorizzata dalle militanti e ha costituito, in qualche occasione, una risposta al­

le critiche dei movimenti femministi degli anni settanta che, decisi a fare dell’Udi un termine dell’erronea equazione emancipazione — omo­

logazione al modello maschile, avevano igno­

rato o trascurato tali aspetti36. L’insistenza sul­

le relazioni tra donne e la valorizzazione del­

l’apparato retorico di virtù e di valori che le so­

stengono, dall’amicizia alla solidarietà, hanno finito però per sottovalutare se non addirittura offuscare l’immagine dell’Udi e la sua atten­

zione alle forme di costruzione del consenso tra le quali acquistano rilievo, oltre alle reti di soli­

darietà, anche la definizione di progetti e pro­

grammi e la loro circolazione attraverso un ap­

parato di liturgie politiche.

36 Mi riferisco in particolare a unintervento di Vania Chiurlotto che rende con efficacia il clima di quegli anni. V. Chiur­ lotto,Strani soggetti, in AnnaMaria Crispino, Francesca Izzo (acura di), Cultura e politicadelledonne ela sinistra in Italia (Atti delseminarionazionale, Roma, 4-5 maggio 1992), “IG Informazioni,1992, n. 3,pp. 171-180.

37 Testimonianza di Giulietta SacentiinVolevamo cambiare il mondo", cit., p.224.

38 Testimonianza di Carla Lanfranchi, ivi, p. 165.

39 Suiprocessi di modernizzazione deglianni cinquanta si veda almeno Guido Crainz,Storiadelmiracoloitaliano.

Culture, identità,trasformazioni fragli anni cinquantaesessanta, Roma, Donzelli, 1996. Sugliinflussi del modello americano e,più in generale, dei processidi modernizzazione sul Peisi veda Stephen Gundle, / comunisti italianitra Hollywood e Mosca. La sfida della culturadi massa (1943-1991), Firenze,Giunti, 1995.

A tale proposito occorre sottolineare quanto il ricordo della festa scorra nelle memorie indi­

viduali, tanto da divenire tratto costitutivo del­

la fisionomia dell’Udi:

Iprimi anni facevamo le mostre deilavori fatti in ca­

sa,dentro alla Casa del popolo cheeraappenastata fatta, fu fattanel ’48 [...]. Alla fine si facevauna lot­ teria, perché il ricamato e le maglie tornavano acasa maletortevenivanomangiatee sidavanoin premio le torteche avevano portato le donne per raccogliere un po’ di soldi perché poi dopo si faceva la festa 18 marzo, si ballava e bisognava pagarel’orchestra;quin­ di raccoglievamo i soldi in questo modo37.

Questa testimonianza di Giulietta Sacenti, che si avvicina all’Udi nella metà degli anni cin­

quanta, è simile a quella di Carla Lanfranchi, che invece aderisce all’associazione alla fine de­

gli anni settanta:

Il primo impatto che ho avutoall’Udi[...]non mi ri­ cordoesattamente ma fu probabilmenteper un 8 mar­ zo. Insomma miricordouna grandissima voglia di in­ ventare delle cose. Anche latrasgressivitàse vuoi e l’allegria, la gioia di vivere,lavoglia di esserci [..,]

cioèquesta creatività, la gioia diesserciedi sentire38.

Sebbene i partiti di massa del secondo dopoguerra abbiano rivolto una decisiva attenzione alla di­

mensione ricreativa, tanto che stampa e materia­

li di propaganda diffusero notizie sulla promo­

zione di lotterie, carnevali per adulti e bambini, gare sportive, feste con orchestre, danze e reie­

zione di miss e stelline39 — dati che rivelano un’ampia consapevolezza circa la capacità at­

trattiva di rituali e di miti —, la storia politica del­

le donne, privilegiando la dimensione “pratica”

del femminismo e dell’emancipazionismo, ha fi­

nito per trascurarne la carica creativa. Nel se­

condo dopoguerra le associazioni femminili, con­

sapevoli del fatto che la realizzazione di spazi lu­

dici e la ricerca di simboli capaci di colpire la mente e il cuore potevano agevolare la circola­

zione del discorso politico (che tra l’altro incon­

trava nel basso tasso di alfabetizzazione politica femminile uno dei principali ostacoli), si orien­

tano verso la ricerca di forme di autorappresen­

tazione al fine di conferire visibilità alla propria presenza e azione politica. Si assiste allora alla ricerca di linguaggi e di segni capaci di richia­

mare un universo di valori di riferimento, di su­

scitare emozioni, di alimentare un comune sen­

tire. Una ricerca i cui contenuti meritano di es­

sere scandagliati in profondità per cogliere i va­

ri aspetti del disegno politico e la sua difficoltà a intaccare le rappresentazioni dominanti.

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Custodia della memoria e assenza di storia 517

Ho avuto modo di soffermarmi più distesa­

mente su questo aspetto e di fornire maggiori ar­

gomentazioni di quelle che potrei offrire per ra­

gioni di spazio in questa sede40, tuttavia, vorrei richiamare l’attenzione su alcuni dati: la me­

moria della festa, la definizione di rituali e nuo­

vi miti hanno una valenza politica molto forte nello scenario degli ultimi sessant’anni e l’Udi ne è consapevole41, non si accontenta di appro­

priarsi di schemi costituiti ma ne crea di origi­

nali, funzionali alla circolazione del proprio di­

scorso politico. È questo uno dei terreni da at­

traversare per ricomporre le sfaccettature della sua identità e il senso di appartenenza elabora­

to dalle singole associate.

40 II riferimento è a P. Gabrielli, // club delle virtuose, cit.

41Sulle liturgie politiche, anche nell’Italia repubblicana,siveda Maurizio Ridolfi(a cura di), Almanacco della Re­

pubblica. Storiad'Italiaattraverso le tradizioni, le istituzioni e le simbologierepubblicane,Milano, Bruno Mondato- ri, 2003.

42 Oltre al già analizzato "Volevamocambiareil mondo",il Centrodidocumentazione delledonne di Modena, nato nel 1996,ha dedicato adiverse tematiche numerosepubblicazioni, tuttefinalizzate allavalorizzazione dell’esperien­ za storica femminile. Paola Nava, Ragioni e Sentimenti.Leoperaiedella Sipedi Spilamberto dal fascismo agli anni sessanta, Modena, Centro documentazione donna. Mucchi Editore, 1998; Fiorella Iacono(a cura di), Le donne in 40 annidiimmagini.Le fotografie dell'ArchivioUdidiModena dal 1944 agli anni 80, Unione donneitaliane-Centro do­

cumentazione donna,Modena,1988; Daniela dell’Orco (a cura di), Oltre ilsuffragio. Il problema della cittadinanza nellastoria enella politica delle donne, Modena, Comune di Modena-Assessorato alla Cultura, Servizio biblioteche, 1997; Daniela dell’Orco, Nora Sigman, Ereditàrivelate. Le donnenelle amministrazioni localimodenesi, 1946-1960, Modena, Centro documentazione donna,Mucchi Editore, 2000;MilenaFranchini, Ausiliario, vieni fuori!". Breve storia del Servizio Ausiliario Femminile della R.S.I. di Modena (1944-45),Modena,Centro documentazione donna, Il Fiorino, 2001.

Tornando alla produzione dell’ultimo decen­

nio, vale la pena di sottolineare la sostanziale estraneità dell’Udi a quell’esplosione d’interes­

se che ha favorito la definizione di ampie bi­

bliografie sul secondo dopoguerra e sui partiti politici che sono stati i principali protagonisti di questa stagione. Un’attenzione maturata — co­

me è noto — anche sull’onda della crisi della si­

nistra italiana che ha favorito analisi e bilanci, richiamando l’attenzione su vari aspetti e pas­

saggi della storia del Pei e dei suoi militanti. Pur essendo parte di questa sinistra e pur contando su una forte identità, l’Udi è passata quasi in­

denne da questa esplosione: essa ha però defi­

nito e realizzato un progetto di tutela della pro­

pria memoria alla cui edificazione hanno con­

corso da un lato la sua vigorosa identità politi­

ca e di genere, dall’altro la ormai diffusa con­

sapevolezza civile sul valore della memoria che ha prodotto, oltre a un ampio dibattito e a una robusta bibliografia di riferimento, anche l’isti­

tuzione di archivi e di centri di documentazio­

ne in numerose aree del paese.

Per l’Udi, la garanzia di una memoria indi­

viduale e collettiva ha trovato finora realizza­

zione in un progetto che si articola lungo due principali traiettorie: la prima procede con la produzione di memoria mediante la raccolta di testimonianze finalizzata alla valorizzazione delle identità delle militanti, nella convinzione che la dispersione di questo patrimonio potreb­

be offuscare la stessa identità collettiva dell’as­

sociazione42. Il recupero delle testimonianze orali — che emergono a fatica e talvolta affatto dalle carte prodotte dalle strutture dirigenti del­

le associazioni e dei partiti, persino di un’asso­

ciazione tanto complessa e sfaccettata quale è l’Udi — incide sulla natura di questo patrimo­

nio archivistico che accoglie, come molti mo­

derni archivi, metri e metri di nastri registrati, incisi da voci diverse, con parole e desideri, fi­

nanche emozioni: un insieme di documenti che modifica il volto stesso dell’archivio e gli con­

ferisce specificità. La seconda linea di intervento dell’Udi scorre in armonia con la prima ed è fi­

nalizzata alla valorizzazione degli archivi cen­

trali e periferici mediante la custodia e l’ordi­

namento delle carte, oltre alla produzione di stru­

menti di corredo che le rendano fruibili. In que­

Riferimenti

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