Custodia della memoria e assenza di storia L’Unione donne italiane
Patrizia Gabrielli
“Ledonne dell’Udi”, ancora oggi questa breve locu zione rimanda a poche immagini stereotipate: le mili tantidi ferro dell’emancipazione nei primi trent’anni dell’Italia repubblicana, le donne tradizionali, che guardano con diffidenza il femminismodellegiovani, neglianni settanta.Stereotipi natie cresciutidentro quella grande areadella sinistra italiana che oggi, nel bene e nelmale, non esiste più, e, comesempreacca
de, la dissoluzione di una grandetradizione porta con sé molti problemi, enon solo politici,marappresen
tanoanche un 'occasione dirilettura del passatodanuo vi punti divista1.
Queste considerazioni di Rosangela Pesenti — curatrice con Caterina Liotti e Delfina Trombo
ni di “Volevamo cambiare il mondo". Memorie e storie di donne dell' Udi in Emilia Romagna
— enucleano alcune delle ragioni e dei proble
mi che si addensano intorno alla storia dell’U- di, l’associazione che, per la sua attitudine a coin
volgere nel discorso politico desideri e speran
ze nutrite da donne di differenti generazioni, ha realizzato una capillare e diffusa rete di inizia
tive rendendosi visibile nello scenario dell’Ita
lia repubblicana. Le sue origini, che risalgono al 1944, la collocano in una sorta di crocevia nel quale convergono le esperienze maturate in se
no ai Gruppi di difesa della donna: un dato che
trova conferma nelle numerose affinità che con
traddistinguono i rispettivi programmi delle due organizzazioni e nella continuità di esperienze che si rintraccia anche solo scorrendo il lungo elenco di nomi delle aderenti e osservando i vol
ti che confluirono dall’una all’altra associazio
ne, talvolta quasi in una naturale soluzione di continuità2. Vi si incontrano però, per altri ver
si, le culture politiche e le strategie organizzati
ve realizzate dal “partito nuovo, nazionale e di massa” delineato da Paimiro Togliatti, il quale fin dal suo rientro in patria indicò, tra i punti del
la nuova agenda politica comunista, la realizza
zione di una specifica organizzazione femmini
le il cui scopo precipuo consisteva nell’apporto di un maggiore numero di iscrizioni e suffragi al partito. Nella bozza della relazione presenta
ta a una delle prime riunioni sul “lavoro fem
minile” che si svolse 1 ’ 8 maggio del 1944—va
le a dire all’attivo dei quadri femminili napole
tani del Pei — si legge:
Perorganizzareledonneitaliane della parte liberata dobbiamo tenerpresentilostato di guerra,la menta lità meridionale e la democratizzazione delledonnedi fronte alladifficile situazioneattualeeporcidifronte due compiti da assolvere. 1° — Rinforzare dalpunto
1 Rosangela Pesenti, Fuoriscena, in “Volevamo cambiareil mondo". Memorie e storie di donne dell’UdiinEmilia Romagna,acuradi Caterina Liotti, Rosangela Pesenti e Delfina Tromboni, Roma,Carocci,2002,p.71.
2 Sullastoriaesullefinalità dei Gruppi didifesasirimanda ad Anna Rossi-Doria, Le donne sulla scena politica,in Storia dell’Italiarepubblicana,voi. I, La costruzione dellademocrazia. Dallacaduta del fascismo aglianni cinquanta, Torino, Einaudi, 1994, pp.778-846; Archivio centrale dell’Udi, I Gruppi di difesa delladonna1943-1945,Presenta zione di Anna Bravo,Roma,Udi, 1995. Si vedaanche BiancaGuidetti Serra, Quello chescrivevano le donnedella Resistenza sui loro giornali,in Laura Derossi (a cura di), 1945. Il voto alle donne, Milano, Angeli, 1998, pp.102-134.
‘Italia contemporanea’', settembre 2003, n. 232
Patrizia Gabrielli
di vista femminileil nostro partito. 2° —Creare una vasta organizzazionedi massa alla quale possano ade
riretuttele donne italiane che noiavremocosì modo
di orientare3. •
3 Atuttele donneitaliane,8maggio1944, in Esperienzee identitàdei comunisti italiani, “Critica marxista”, 1988, n. 3-4, p.12.
4 Ivi, p. 15.Per quanto concerne la posizione di Paimiro Togliatti sull’emancipazione femminile sirimanda al noto Di
scorsoalla Conferenzadelle donne comuniste,in PalmiroTogliatti,Opere, a cura diLucianoGruppi, voi.V, 1944- 1955, Roma,EditoriRiuniti, 1984,pp. 144-162.
5 Paul Ginsborg, Berlusconi:ambizioni patrimoniali di una democrazia mediatica, trad.Emilia Benghi, Torino, Ei
naudi, 2003, p.19.
6 Sivedaa riguardo Anna Garofalo, L’italiana in Italia, Bari,Laterza, 1956.
Riprendendo questo concetto nelle righe con
clusive del documento si ribadiva:
In questolavorole nostre compagne pur essendo sem pre le più attive, le più diligenti, quelleche più con
tribuisconoallosviluppo dell’organizzazionedovran
no cercare diattivizzare il maggior numerodi donne, di interessarle al lavoro,di far sì che essediventino le animatrici diquestomovimento.Così a contattocon numerosedonne lenostrecompagne potrannoorien
tarle efare in modo che quando queste donne parteci
peranno attivamente allavitanazionale essenon sia
noimpreparate e quindichediventino una forza afa
vore delle forze progressive enon una forzain mano alla reazione4.
Per cogliere la gamma di fattori che contribui
rono allo sviluppo dell’associazionismo fem
minile nel secondo dopoguerra, oltre agli obiet
tivi del Pei e a quelli dei Gruppi di difesa, oc
corre considerare il senso di delusione, talvolta di amarezza, che affiora dalle testimonianze di tante militanti della sinistra, come in quelle di donne afferenti ad altri schieramenti, che costi
tuisce una delle possibili variabili cui riferirsi per sondare l’Italia dei primi anni del dopo
guerra. Non furono poche coloro che dovettero ben presto misurarsi con i limiti e con le chiu
sure della società italiana e della nuova classe politica persino sul diritto al suffragio, cui la stessa sinistra acconsentì — per dirla con Paul Ginsborg — “con qualche trepidazione”5 e che era, invece, apparso alla maggioranza delle sue sostenitrici un’acquisizione scontata. Sul riflus
so delle prospettive invitano a riflettere pubbli-
ciste, scrittrici e politiche, da Anna Garofalo, giornalista e direttrice a partire dal settembre 1944 della rubrica radiofonica Parole di una donna6, a Maria Federici, presidente del Centro italiano femminile (Cif) dal 1945 al 1949, la qua
le a ridosso della campagna elettorale del 1946 commentava:
Quando nei prossimi annisaràentratonel novero del le cose normali [...]l’eserciziodel voto femminile, ri pensandoalla fatica che si è fatta per [...] orientare fa
vorevolmente sulla questioneuominidigoverno, pub
blica opinione e attenzione femminile emaschile,ci verrà daridere.
A molte questioni inerenti il riconoscimento del
la piena cittadinanza rinviano le testimonianze pubblicate nel volume “Volevamo cambiare il mondo” — curate da Angela Remaggi e corre
date da un sintetico profilo biografico — rila
sciate da donne confluite nell’arco di cin- quanf anni nell’Udi dell’Emilia Romagna, tut
te nate tra il primo ventennio del secolo e gli an
ni settanta, come testimonia il caso di Paolina Brandolini del 1919, contadina e operaia, la più anziana delle intervistate, e quello di Brunella Mosca, la più giovane, nata nel 1972, impiega
ta presso uno studio legale. Le loro voci ci of
frono la misura delle trasformazioni sociali che hanno attraversato il paese e i loro effetti sulla vita delle donne: tra le prime generazioni e le più recenti vi sono state conquiste di rilievo sul piano dei diritti e consistenti cambiamenti nei costumi, dal diritto al suffragio al divorzio, dal
l’accesso all’istruzione a quello alle professio
ni, dalla riforma del diritto familiare alla condi
visione di una nuova concezione del proprio cor
po, della sessualità, delle relazioni familiari. La varietà dei soggetti proposti costituisce il tratto
Custodia della memoria e assenza di storia 509
specifico di questo libro, frutto di un lavoro più ampio, promosso dal Centro di documentazio
ne delle donne di Modena, sul quale si sofferma Caterina Liotti. Illustrandone le origini, le fina
lità e ripercorrendone le tappe, l’autrice offre in
dicazioni sia sulla definizione del campione e della griglia delle interviste — informazioni che si rivelano utili per seguire la struttura dei rac
conti e per valutare la prevalenza di alcuni spe
cifici tratti dell’autorappresentazione7 — sia sui criteri che hanno favorito la scelta dei novanta- quattro brani pubblicati (ma duecento sono le interviste raccolte) sia, infine, sugli obiettivi del
la ricerca, che prendono spunto dal desiderio di rendere fruibile a un pubblico ampio le memo
rie dell’associazione al fine di incrementare nuo
vi studi e — sottolinea Lia Randi nella Presen
tazione — di valorizzare la propria identità, que
stione non secondaria per resistenza stessa di un’associazione politica.
7 Si veda "Volevamo cambiare il mondo",cit.,pp. 267-272.
8 Presentazione di Lia Randi a"Volevamo cambiare il mondo",p. 14.
9 Hanno richiamato l’attenzione su questa tipologia di associazioni trascurate dalla storiapoliticaLucettaScaraffia, AnnaMariaIsastia, Donne ottimiste. Femminismo e associazioni borghesi nell’Otto eNovecento, Bologna,Il Muli no, 2002.
10 D.Tromboni, Di donna in donna.Ritratti in puntadi penna (1945-1960),in “Volevamo cambiare ilmondo”, cit., pp. 39-69.
11 Per unapproccio metodologico alle fontiorali, oltreal volume di Luisa Passerini, Storia e soggettività. Le fonti ora
li, la memoria, Firenze, La Nuova Italia, 1988, siveda Giovanni DeLuna,La passione e laragione.Fontie metodi Questa nostra impresa — perchédiquesto si tratta —
ha permesso che venisseroalla luce—come in uno scavo per strati— i mille pezzi, i frammenti di una sto
ria collettiva edi centostorie individuali; le parole au
tentiche, ipensieri appena abbozzati, i volti che pren donoforma, gli sguardi ingenui e quellidisincantati, qualcheferita ancora aperta e qualchealtra ormairi marginata8.
La storia della soggettività ha aperto anche nel
l’ambito della storia politica ampie prospettive e numerose innovazioni. Tuttavia, sarebbe ri
duttivo delineare una storia dell’Udi riferendo
si solamente al vissuto delle militanti perché si rischierebbe di confinare questa esperienza ne
gli angusti orizzonti di una storia interna men
tre essa merita di essere collocata nella storia
della società italiana oltre che nel quadro delio sviluppo delle altre espressioni politiche fem
minili, quali i movimenti dei partiti politici, il Centro italiano femminile, il Consiglio nazio
nale donne italiane (Cndi), le organizzazioni di tipo professionale, quali la Federazione italiana fra laureate e diplomate di istituti superiori (Fil- dis), la Federazione italiana donne arti profes
sioni affari (Fidapa) e altre9. Da qui la necessità di definire una periodizzazione utile anche per cogliere i tratti dell’autorappresentazione, cui è dedicato l’intervento di Delfina Tromboni, che chiamano in causa i temi della scelta e dell’ap
partenenza. Si tratta di questioni ampiamente frequentate dalla storiografia sulle militanze po
litiche, la cui considerazione ha favorito la de
finizione di una mappa delle culture affluite nei partiti e nei movimenti10 11 e che meritano di es
sere valutate anche nel caso specifico dell’Udi.
A riguardo e nell’intento di valorizzare l’iden
tità di genere dell’associazione, Delfina Trom
boni pone l’accento sulla specificità delle “re
lazioni tra donne” rischiando tuttavia di proporre tali relazioni come un dato a-storico, trascuran
do, dunque, la loro storicità e la differente ca
ratterizzazione che assumono nelle continue ri
visitazioni della memoria".
Le interviste pubblicate in “Volevamo cam
biare il mondo” sollecitano più di una riflessio
ne sui possibili indirizzi della storiografia e sul
la necessità di elaborare categorie e codici che allarghino le strette maglie del politico per aprir
si al sociale. Rimandano al senso dell’apparte
nenza e al suo strutturarsi intorno a un nucleo di valori politici e umani, al sentimento di ricono
scenza verso un’organizzazione che permise a molte di misurarsi con spazi diversi da quello
domestico, dei campi e dell’aia, dai confini ri
stretti del piccolo laboratorio di sartoria, di svi
luppare il proprio senso critico e di riconoscere le proprie capacità. Inoltre, rinviano alla storia sociale del secondo dopoguerra e al ruolo del- l’Unione donne italiane nei processi di moder
nizzazione e pongono al centro la considerazio
ne di una prospettiva che sappia valutare stori
camente una testimonianza come quella di Wil
ma Occhi, nata nel 1933, bracciante, che narra la sua esperienza di maturazione individuale e civile prima che politica:
L’Udi miha insegnato a camminare, a parlare,a stare in mezzoalla gente [... ]a mangiare la prima bistecca [...]perché per starein mezzo alla gentedevi com
portarti. .. non ridere troppo, non dire parolacce, devi stare insieme alla gente.Evero? Acamminare devi sta
reattenta, perché c’è sempre chi ti guarda [...]. Ionon ero mai stataal ristorante! Allora [con unadelegazio ne dell’Udi“da Massasiamo andate via in otto o die
ci”] andiamo in un ristorante e ciportanola nostra bi
stecca,eallora... non avevo mai adoperato il coltello e la forchetta tutt’e due in unavolta, sono troppi tutti e due in una volta... Allora dice una “come facciamo a mangiare?” “Staizitta!” “Come, stai zitta?! Nonve di che ho tutti questi attrezzi qui?”. Allora, mentre sia
mo lì... io guardavo sempre il tavolo delle dirigenti, perché era là che imparavo, guardando loro... e allo
ra:“Ma dai,sifacosì“Ah, beh, tu che sai tut to...”, dicevano: perché avevo già guardato![...]Ca
pito? È stata una bella scena quellalì;l’Udi ci hafat
tomangiare la prima bistecca12.
Molte pagine di “ Volevamo cambiare il mondo"
ruotano intorno al rapporto memoria-storia- identità, sul quale la storiografia delle donne si è soffermata fin dalle sue origini promuovendo
specifiche iniziative, e Rosangela Pesenti, col
legandosi a questo dibattito, focalizza l’atten
zione sull’opportunità di scandagliare a fondo gli stereotipi, in altre parole propone di prende
re le distanze dalla “istituzione della femmini
lità”13: orientamento che può essere considera
to tra gli assi portanti del femminismo e parte integrante delle originarie aspirazioni della sto
ria delle donne, tradottosi, in molti studi, in una lettura critica delle costruzioni sclerotizzate, del- l’analisi e della decostruzione dei modelli do
minanti nelle diverse fasi storiche. Anche Cate
rina Liotti, nell'introduzione, riprende questo nodo tematico auspicando una ricostruzione sto
rica che, senza trascurare la soggettività, i sen
timenti e le emozioni delle protagoniste, valuti quanto effettivamente la pratica politica dell’U- di abbia inciso in “un mondo che continua a re
stare quello degli uomini”14.
Al di là di questa denuncia politica — che per la sua radicalità rischia di sminuire i suc
cessi ottenuti dai movimenti delle donne di cui il volume stesso è testimonianza —, l’autrice, dichiarando l’esigenza di ricostruire e di valu
tare storicamente il fenomeno Udi nel quadro più generale della storia politica e sociale del
l’Italia repubblicana, pone l’accento sulla ca
renza di studi a riguardo. Su questo aspetto, an
che solo da un sintetico bilancio storiografico, se da una parte è possibile scorgere molte la
cune — che vanno ricondotte in parte alla de
bolezza della storia delle donne nel campo del
la contemporaneistica15 — dall’altra è anche possibile individuare, negli ultimi anni, più di un cambiamento, almeno per quanto concerne
dello storico contemporaneo,Milano, La NuovaItalia, 2001, pp. 137-153. Sulla memoria si vedano anche, oltre al vo lume, ormai consideratounclassico, di Maurice Halbwachs, La memoria collettiva, a cura di PaoloJedlowski,con Postfazione di LuisaPasserini, Milano, Unicopli, 1987, P. Jedlowski, Memoria,esperienzae modernità, Milano, An geli,1989e P.Jedlowski,Marita Rampazi (acuradi), Il sensodel passato. Per unasociologia della memoria,Mila
no, Angeli, 1991.
12 In D.Tromboni, Di donna in donna, cit., pp.64-65.
13L’espressione è diRosi Braidotti,Inmetamorfosi. Versouna teoria materialista del divenire, a cura di Maria Na- dotti, Milano, Feltrinelli, 2003,p.21.
14 “Volevamo cambiareil mondo", cit.,p. 29.
15Questavalutazione può essere estesa anche alle altre associazioni femminilidell’Italia repubblicana, si pensianche soltanto alCndi che ancora attendediessere studiato. Diversa,anche se limitata, la produzione sul Cif.Si vedano a ri-
Custodia della memoria e assenza di storia 511
la storia dei movimenti politici. I primi segna
li di un’inversione di tendenza risalgono alla metà degli anni novanta e sono rappresentati dai due volumi della Storia dell’Italia repub
blicana pubblicati da Einaudi, che propongo
no saggi specifici sulle politiche delle donne16 e da Diventare cittadine di Anna Rossi-Doria la quale, indagando le ragioni profonde del dif
ficile rapporto tra donne e cittadinanza, ha po
sto al centro dell’attenzione l’evento voto,
“evento tanto più grande quanto più conside
rato, spesso dai contemporanei e sempre dagli storici, come un non evento”17. Altri studi, in
centrati su differenti realtà locali e rivolti prin
cipalmente alle pratiche dell’associazionismo femminile, favorivano approfondimenti e indi
cavano alcune possibili linee di indagine18. Al
cune ricerche, condividendo l’esigenza di ol
trepassare i tradizionali canoni della storia po
litica attraverso il ricorso alla soggettività —
penso al bel lavoro di Marco Minardi —, si con
centravano sull’analisi delle autobiografie e in
dagavano sulle ragioni della scelta, sulle ge
rarchie di valori condivise, sull’identità delle militanti19.
Il rapporto con il Partito comunista ricorre in molte pagine di questa bibliografia e le autrici convergono sostanzialmente — almeno per quanto concerne gli anni cinquanta — sul pie
no riconoscimento di questo legame ma, nel con
tempo, considerano i minimi spazi di autonomia goduti dall’Udi, spazi sempre negoziabili e mai scontati. La storia dell’Udi comincia a essere in
serita in una più ampia cornice e sembra muo
versi lungo diverse coordinate, quali le scelte del partito, le contingenze della politica nazionale e locale e, in qualche caso, si avviano studi com
parativi che valutano il suo sviluppo anche in relazione a quello del Cif, l’organizzazione che è stata per un periodo, con maggiore o minore
guardo CeciliaDau Novelli e al.. Donne delnostrotempo. Il Centroitaliano femminile (1945-1995),Roma, Studium, 1995; Elisa Bizzarri, L'organizzazione del movimento femminile cattolico dal1943 al1948, Roma, Quadernidella Fiap, s.d.(1980); AnnaMiceli, Trastoriaememoria,Roma, Puntografico, 1995(2a ed.). Perquanto riguarda, invece, la bibliografia sui movimentifemministi,alla riccaproduzionedi taglio(corico nonne corrisponde un’altra altrettan
to ampia di ricerchestoriche. Su questotema,oltreaipioneristci lavoridi Bianca Maria Frabotta (acura di), Femmi
nismoe lotta di classeinItalia (1970-1973), Roma, Savelli, 1973edi Rosalba Spagnoletti (acura di), Imovimenti femministi in Italia, Roma, Savelli, 1974, sivedano IImovimentofemminista degli anni'70, “Memoria”, 1987, n. 19- 20; Jasmine Ergas, Nelle maglie della politica: femminismo, istituzionie politiche sociali nell’Italia degli anni ‘70, Milano,Angeli, 1986.Costituisce uninteressante studio ricco di suggerimenti metodologici anche per la storia dei femminismi L. Passerini, Storiadidonne e femministe, cit.
16A. Rossi-Doria, Le donne sulla scena politica, inStoriadell’Italia repubblicana,voi. I,cit.,pp. 777-846; Fiamma Lussana, Le donne e lamodernizzazione: il neofemminismodegli anni settanta,inStoriadell'Italia repubblicana,voi.
Ili, L’Italia nella crisi mondiale. L’ultimo ventennio, Torino, Einaudi, 1997,pp. 471-565; PaolaDiCori,Culture del femminismo.Il casodella storia delledonne, in Storiadell'Italia repubblicana, voi. Ili, cit., pp. 801-861.Si veda an
che Comune diRoma,Ufficio progetti donna, Il voto alle donne cinquant’anni dopo (Attidelconvegno nazionale pro mossodal Cif in collaborazione con il Comune di Roma, Campidoglio,6-7 marzo1995), Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 1996; Annarita Buttafuoco,Cittadine italiane al voto, “Passato e presente”, 1997,n.40,pp.9-15;
L. Derossi(a cura di), 1945.Il voto alle donne, cit.
17A. Rossi-Doria, Diventare cittadine.Ilvoto alle donne in Italia, Firenze,Giunti,1996,p. 19.
18Si veda Dianella Gagliani, Un vocabolario per l’attivismo politico delle donne, inPauranon abbiamo.L'Unione donneitaliane di Reggio Emilia nei documenti, nelle immagini,nella memoria:1945-1982,Bologna, Il nove, 1993.
Sebbeneincentratosulla Resistenza èriccodi spunti e richiami al secondo dopoguerra il volume Università di Bolo gna, Dipartimentodi discipline storiche, Donne, guerra, politica.Esperienze ememorie della Resistenza,a cura di Dianella Gagliani, EldaGuerra, LauraMariani,FiorenzaTarozzi, Bologna, Clueb, 2000.
19Marco Minardi, Ragazzedei borghi in tempo di guerra. Storie di operaie e antifascistenei quartieri popolari di Par ma,Parma, Istituto storico dellaResistenza di Parma,1991.Si vedano a riguardo anche le ricerchedi Michela Gavioli,
"Genere" e militanza politica nelPei e nell’Udi aFerrara edi PaolaZappaterra,Autobiografia e tensione allapoli
tica nelle comuniste bolognesi 1945-1955in Donne reali, donneimmaginate,numero monografico di “Storia e pro blemi contemporanei”,n.20,1997,pp. 63-83 e pp.49-63.Sebbene con un diverso taglio siveda nello stesso numero Ornella Domenicali, Iprimipassi dell’UdidiRavenna, pp. 85-103.
incidenza rispetto alle realtà territoriali e al gra
do dello scontro politico negli anni della guerra fredda, sua antagonista20.
20 Si rimandaa Patrizia Gabrielli, Il club delle virtuose. Udì e Cif nelle Marche dall’antifascismo allaguerra fredda, Ancona, Il lavoro editoriale, 2000.
21C.Liotti, Introduzione,cit., p.24.
22 Testimonianza di Adele Vassurain “Volevamo cambiareil mondo", cit., p.253.
23 C.Liotti, Introduzione,cit., p. 22.
Queste nuove linee di ricerca hanno favorito una certa presa di distanza dal binomio control- lo-autonomia e il superamento di una visione li
neare della storia dell’associazione cogliendo le fratture o le piccole smagliature che la segnano.
In special modo questi dati divengono evidenti quando dalla storia della politica si passa a quel
la dei soggetti che vivono la politica, e si riceve così conferma della difficoltà di attribuire al le
game con il Pei un’unica interpretazione. Tra le protagoniste convivono posizioni assai diversi
ficate se non addirittura contrapposte: per Mirka, pseudonimo assunto da Laura Polizzi durante la guerra partigiana,
L’Unione donneitaliane non eraun’ organizzazione au tonomadel Pei. Era diretta da comuniste,oltre che da altre forze politiche, ma noi eravamo laforza politica più determinante,egemone, ma addirittura prendeva mole direttive dal partito ed è inutilechestiamo qui a menarla tanto, anchese poi eraun dareeavere21.
Vi sono anche altre voci, quelle di coloro che ri
cordano soprattutto lo stare insieme tra donne in un rapporto mediato o diretto:
A me per esempio—afferma Adele Vassura—ha for mato molto la Repetto, laDal Pozzo. E poi iosono cre
sciuta con la Dal Pozzo. E poi sono cresciuta con “Noi Donne”. [...] Per esempio io non ricordo dei momen ti belli nelPei, anche seho partecipato abbastanza, co
me ho vissuto quellinell’Udi [...].Ad esempiocon Giorgia ci siamo sempre volute bene e abbiamo sem
pre lavoratonell’Udi insiemee leiera convinta.co- me me e siamo legatissime, ci vogliamo bene,ci sia
mo divertite: quandoabbiamofatto l’albero dellami mosa, perchéavevamo anche delle idee, poi lei èuna che non si è mairisparmiata22.
Tra questi due estremi si snodano diversi modi di essere, talvolta connessi all’appartenenza ge
nerazionale, alla posizione di dirigenti, di mili
tanti o di simpatizzanti, da cui derivano diffe
renti modi di intendere l’impegno politico che non possono essere né azzerati né omologati.
Spesso, invece, la storiografia sul Partito co
munista ha manifestato la tendenza a conside
rare l’Udi all’interno del collateralismo, assu
mendo un’impostazione che rischia di sottova
lutare i conflitti di genere attivi nel partito e la loro specificità politica, insomma, di negare una dimensione sessuata del suo fare politica. In so
stanza questa lettura rischia di smarrire un dato inerente alle scelte dell’Unione — come del re
sto a quelle di altre associazioni femminili — che possono essere sintetizzate nel disegno di legittimare il pieno accesso delle donne alla sfe
ra pubblica e di promuovere nel contempo una sua ridefinizione.
Su questo punto Caterina Liotti svolge alcu
ne considerazioni sostenendo che “[...] l’Udi inizia un percorso che rivoluziona la sfera del
la politica con la presenza delle donne”23. Pro
prio in relazione al Pei, meriterebbe di essere meglio studiato raffermarsi al suo interno di una cultura della cittadinanza, cui la tradizione co
munista poteva offrire limitati suggerimenti, te
nendo presente, invece, il possibile ascendente e l’incidenza delle politiche dell’Udi che si fa promotrice di una vasta opera di solidarietà e di impegno civile, volta alla declinazione di un nuo
vo paradigma della cittadinanza democratica e alla definizione di un nuovo ruolo civile delle donne. Nello stesso tempo andrebbe anche af
frontato lo studio del ventennio settanta-ottan- ta, quando l’elaborazione femminista — diffu
sa anche dall’Udi dopo le iniziali prese di di
stanza — immette nella cultura comunista una
Custodia della memoria e assenza di storia 513
nuova visione della famiglia, della sessualità, delle libertà individuali24.
24 Suquesti aspettie, più in generale, sulsistema di valori del Pei rimando allo studio comparativo dedicato alla cul
tura cattolica, comunista esocialista diAnna Tonelli, Politicae amore.Storiadell'educazione ai sentimenti nell’Ita lia contemporanea, Bologna, IlMulino, 2003.
25Ho avuto modo ditrattare questi aspettiin Fenicotteri in volo. Donne comuniste nel ventennio fascista,Roma, Ca rocci,1999. Tali posizioni derivate dalla Terza Intemazionale si riscontrano in altri partiti comunisti;atale proposito si veda per esempiola vicenda del Pcfcui fa riferimentoChristine Bard,Les femmes ele pouvoir politique dans la France de l’entre-deux-guerres, in ArmelleLe Bras-Chopard, Janine Mossuz-Lavau (a cura di), Les femmeset la po- litique, Paris,L’Harmattan, 1997, conparticolareriferimentoa p.43.
26 Renzo Martinelli, StoriadelPartito comunista italiano,voi. VI,Il“Partitonuovo" dalla Liberazioneal 18 aprile, Torino,Einaudi,1995, pp. 11-12.
L’Udi fu concepita dal Pei alla stregua di una
“cinghia di trasmissione” necessaria — come si legge nel documento del 1944 — per “orienta
re le donne”; nei suoi disegni, pertanto, il con
trollo era indiscusso e i dirigenti si adoperarono per raggiungerlo. Da qui gli invii di direttive e di rapporti, di cui gli archivi del Pei e dell’Udi conservano tracce consistenti e regolari. Tutta
via, è proprio la loro analisi a suggerire di usci
re dalla dicotomia controllo-autonomia, come dalla cornice della continuità, per rivolgersi a un quadro più frastagliato, composto da diversi seg
menti, nel quale le scelte dei diversi attori me
ritano di essere esaminate nella loro relazione con le esigenze del Pei e con la sua linea strate
gica, con quelle espresse dall’associazionismo femminile e con i desideri delle donne, con le scelte compiute dalle istituzioni e con la storia della società italiana nel suo complesso.
La relazione tra il Pei e l’Udi, più che lungo una linea di totale riconoscimento, si attesta su quella di un conflitto spesso latente che si ma
nifesta negli interstizi in cui l’Udi agisce per af
fermare la propria identità e per contrattare mar
gini di autonomia. Nel quadro di queste rela
zioni, essa può essere considerata alla stregua di un imprevisto, nel senso che se da un lato as
solse la funzione di canale di mobilitazione del consenso, dall’altra, sulla base di un’azione cri
tica, immise vari elementi di imprevedibilità ne
gli schemi della sinistra italiana incardinati nel paradigma di classe. La cultura politica dei di
rigenti comunisti presentava una debole, se non
addirittura assente, consapevolezza della speci
ficità di quella che allora si definiva condizione femminile. Lo dimostra il disprezzo verso il fem
minismo che marca la storia del partito fin dal
le sue origini con gravi ricadute sulle scelte del
le militanti emancipazioniste25.
Nonostante l’afflusso nelle file del partito nuovo di iscritti e di simpatizzanti che avevano maturato la propria scelta durante la guerra e la Resistenza, la maggioranza dei quadri naziona
li proveniva dal vecchio Pcd’L II primo vertice del partito - ha sottolineato Renzo Martinelli - è “contraddistinto da alcuni caratteri immedia
tamente evidenti” tra i quali spicca “l’assenza di quadri femminili”, “nessuno fa parte delle nuo
ve leve di dirigenti espresse dalla guerra di Li
berazione (molti di questi dirigenti sono però già inseriti tra i quadri delle federazioni provincia
li): cosicché, nel suo insieme, la direzione del Pei rappresenta assai efficacemente la continuità storica del partito”26. Dirigenti e militanti di ba
se mostrarono in più di un’occasione l’inade
guatezza della propria cultura di fronte alla scel
ta dell’Udi di far agire nello spazio politico un pensiero e un progetto che inserivano nel nuo
vo scenario dell’Italia repubblicana un modello di cittadinanza democratica capace di prevede
re garanzie e diritti connessi all’appartenenza di genere. Quei corpi di donne che invasero le se
zioni del partito e le sedi istituzionali erano ca
richi di desideri spesso nominati con difficoltà, talvolta persino taciuti e frutto di un malessere esistenziale che Giuliana Ferri, partigiana e gior
nalista, raccontò nel suo bel romanzo Un quar
to di donna:
Il mio globo mi piace, anzi lo amo e lo riamo conti
nuamente. L’ho voluto così, pulito, scarno, abbondan tedi valori, inzeppato ditrinci,cresciuto nelsuotem
po,pienodibuone intenzioni, frettoloso. Così fretto loso checerte volte mi scappa dalle mani. E mentre corre sulle ore, rotola sul pranzo e sulla cena,sul buio della notte esulla luce delgiorno, io certevolte mici stanco dentro. E finisco per nondominarlo più. È que
stoilmomento in cuiperdoi margini dellamia gio ventùepiuttostocheunpensiero, un sorriso,unano
vità,unaboccata d’aria, cercoun tranquillante che mi aiuti27.
27Giuliana Ferri, Un quartodidonna, Padova, Marsilio, 1973, pp.9-10.
28Sullacapacità di negoziazionerimandoad AmaliaSignorelli, Ilpragmatismodelle donne. La condizione femmini
lenella trasformazione delle campagne,in SimonettaPiccone Stella,Chiara Saraceno (a curadi), Genere. La costru
zionesociale del femminilee del maschile, Bologna, Il Mulino, 1996,pp.223-251.
29 Franco Riva,Disincanto e possibilità. Introduzione a Remo Bodei, LuigiFrancoPizzolato(a cura di),Lapolitica e la felicità, Roma,Edizioni lavoro, 1997, pp.XXXIII-XXXIV.
30 C. Liotti, Introduzione, cit., pp. 21-22.
Silenzi che produssero sensibili ritardi sul pia
no, per esempio, della conquista dei diritti civi
li, ma che meritano di essere considerati non so
lo in quanto frutto di inconsapevolezza, di una rozza e ingenua tradizione politica, ma anche in quanto misura di una coscienza degli ostacoli che si frapponevano tra il desiderio e la realtà, delle resistenze che le rivendicazioni volte a una trasformazione delle relazioni familiari avreb
bero incontrato nella società italiana. In alcuni passaggi la posta in gioco rischiava di essere tal
mente alta che l’Udi stessa scelse di tacere: il silenzio avrebbe potuto rivelarsi funzionale al
la negoziazione. Questa “ambiguità”, questa tensione tra tradizione e innovazione — che si rinviene in varie circostanze nella storia della politica delle donne e che le donne governano28
— si colora allora di un portato critico e acqui
sta il senso di una scelta che mira a conferire una propria impronta al sistema politico e alle istituzioni repubblicane. Nelle sue relazioni con le istituzioni, nella considerazione delle oppor
tunità che le leggi offrivano, si rintraccia quel
lo che Franco Riva ha definito il principio di ra
gionevolezza che “non significa in nessun mo
do l’appiattimento sulla situazione stessa [...];
né equivale d’altronde all’uso strumentale di
qualche principio di realtà, con il quale smor
zare, al modo della conservazione, ogni ecces
sivo entusiasmo nella progettazione. Il princi
pio di ragionevolezza significa al contrario l’as
sunzione responsabile, a partire dalla situazio
ne di un atteggiamento di costante e comune apertura progettuale”29.
Franca Baldrati, che entra nel circolo Udi di Alfonsine ancora adolescente tra il 1963 e il 1964, ripercorrendo le tappe del suo attivismo politico si è soffermata sulle opportunità di re
lazione che si schiusero appena prese a fre
quentare l’associazione:
L’Udi ti dava l’occasionedi incontrarti tra donne, quin di ti facevi latua confidenza, così, uscivi dopo lariu nione, stavi insiemeper berti qualcosainsieme e ti da va questa occasione comunquedi relazioni fra donne che... poteva sfociareinun’amiciziaperché chiara
mente in un gruppoc’èsempre quellacheprivilegi, quindi si era legati molto, cioè io mi sono legata per alcuni periodi a molte persone che facevano parte pro
prio dellamiavitaprivata30.
L’elemento della socializzazione è presente in molte interviste, attraversa con continuità una storia di oltre cinquant’anni e assume nei ricor
di tinte differenti: si ritrova nell’esperienza del
le giovani donne dell’Associazione ragazze d’I
talia, quindi nella prima generazione di militan
ti, come nella memoria di coloro che vi aderi
rono trent’anni dopo:
Il mio incontro con l’Udi — ricorda Pina Nuzzo — ri sale a quando mi sono trasferita a Modena, nel *73.
Avevo ventun’anni,miero appena sposata e avevo ap
pena fatto unfiglio. Mi sonotrovata inuna situazione completamente nuova e un giornoero con questo bam
bino dipochimesi, disperata perchéero passata dauna vita completamente libera, da studentessa a Roma, al la responsabilità di unafamiglia. Mi ricordochepre
Custodia della memoria e assenza di storia 515
sa dalla disperazione guardavo dalla finestra conque sto bambino in braccio e pensavo: mah, siccome gli uomini si incontranoneibar, forse esisteun luogo in questacittà dove le donne si incontrano. Questa cosa mi pareva che al Nord fosse possibile. La mattina do po, conquesto pensieroche migirava nellatesta, so noandatadalla fruttivendola sotto casa e ho trovatoil coraggio didomandare: “Signora, nonè che a Mode na esisteun posto dove ledonne si incontrano?”. Lei mi ha guardatoe mi ha detto: “Sì, c’èl’Udi”.Ero fe
lice perché la mia intuizione era vera: c’era questo luo
go mitico31.
31 Testimonianza di PinaNuzzo in"Volevamo cambiareil mondo”, cit., p. 194.
32P. Ginsborg, L’Italia deltempo presente. Famiglia,societàcivile, Stato 1980-1996, Torino,Einaudi, 1998, pp. 201- 202.
33A. Rossi-Doria, Donne, femminismo, processi di trasformazione, “I viaggi di Erotodo”, Novecento,1994, n. 22,pp.
271-281,p. 272.
34 Rosangela Pesenti, Gliarchivi dell’Udi e unastoria da raccontare, “Genesis”, Diritti e privilegi, 2002, n. 1-2,pp.
212-216, p. 213.
35 Testimonianza diPina Nuzzo in "Volevamocambiare il mondo”, cit.,p.195.
In Italia, ancora alle soglie degli anni sessanta, i momenti di sociabilità erano sostanzialmente maschili e le reti di relazioni femminili restava
no, per la maggioranza, ristrette all’ambito fa
miliare32. Nel quadro delle limitate opportunità di relazione praticate dalle donne, almeno fino alla metà degli anni settanta, la capacità dell’U- di di offrire spazi di socializzazione acquista al
lora uno spessore non trascurabile per valutare la modernità del suo progetto date le connes
sioni presenti tra possibilità di aggregazione e sviluppo della cittadinanza democratica. Var
rebbe poi la pena di riflettere sulla funzione di diaframma da essa assunta proprio in virtù di un’elaborazione capace di attutire lo iato tra gli effetti, tutf altro che lineari per l’esistenza del
le donne, delle trasformazioni rapide e la “net
ta continuità delle rappresentazioni del femmi
nile: stereotipi, definizioni, paure e idealizza
zioni delle donne sono connotati da una lun
ghissima durata, assolutamente senza paragoni.
Forse in nessun altro campo la cultura odierna mostra simili sopravvivenze di sedimentazioni plurisecolari”33. Le autrici dei saggi raccolti in
“ Volevamo cambiare il mondo" segnalano la ca
pacità dell’Udi di essere punto di incontro tra
differenti generazioni; e se pongono questo ca
rattere al centro di una cultura politica che pre
vede il riconoscimento e la definizione delle po
sizioni, il dialogo, lo scontro o la mediazione, prendono in tal modo le distanze da un’inter
pretazione fondata sulla “predisposizione natu
rale delle donne” che finirebbe per ridurre que
sto peculiare tratto politico dell’Udi alla stregua di un dato biologico parte di quel complesso co
strutto definito materno. Tutti passaggi che tro
vano espressione, per esempio, in occasione del- l’XI Congresso del 1982, interpretato come una vera e propria “svolta politica [...] che azzera l’organizzazione gerarchica nelle singole sedi e nella dimensione territoriale e genera, come uni
co organismo dirigente, l’assemblea nazionale autoconvocata aperta a tutte”34. Un passaggio che rappresenta un mutamento radicale nella sto
ria dell’Associazione tanto da essere considera
to un evento periodizzante. Pina Nuzzo evoca la fatica di quel rapporto che diviene più pesante quando il filo della trasmissione si interrompe e stenta a riannodarsi:
Sono stati annidifficilissimi, oggi li raccontocosì,ma ci sono state cosetremende:aggressioni,violenze, mal
dicenze eilsospetto di avereamicizieparticolari — sto parlando di un periodo in cui nemmeno sapevo che cosa significassequesta espressione — in un Udiche nonprevedeva alcuntipo di amicizia personale...La politica èstata anche questo35.
Diffusione e trasmissione tra generazioni si rea
lizzano attraverso una trama di relazioni indivi
duali e collettive che trovano concretezza nelle sedi dell’Udi, luoghi di confine tra gli spazi pub
blici e quelli privati, e ciò in virtù dei contenu
ti che le aderenti vi fanno confluire. Questa ca
516
ratteristica è stata valorizzata dalle militanti e ha costituito, in qualche occasione, una risposta al
le critiche dei movimenti femministi degli anni settanta che, decisi a fare dell’Udi un termine dell’erronea equazione emancipazione — omo
logazione al modello maschile, avevano igno
rato o trascurato tali aspetti36. L’insistenza sul
le relazioni tra donne e la valorizzazione del
l’apparato retorico di virtù e di valori che le so
stengono, dall’amicizia alla solidarietà, hanno finito però per sottovalutare se non addirittura offuscare l’immagine dell’Udi e la sua atten
zione alle forme di costruzione del consenso tra le quali acquistano rilievo, oltre alle reti di soli
darietà, anche la definizione di progetti e pro
grammi e la loro circolazione attraverso un ap
parato di liturgie politiche.
36 Mi riferisco in particolare a unintervento di Vania Chiurlotto che rende con efficacia il clima di quegli anni. V. Chiur lotto,Strani soggetti, in AnnaMaria Crispino, Francesca Izzo (acura di), Cultura e politicadelledonne ela sinistra in Italia (Atti delseminarionazionale, Roma, 4-5 maggio 1992), “IG Informazioni”,1992, n. 3,pp. 171-180.
37 Testimonianza di Giulietta Sacentiin“Volevamo cambiare il mondo", cit., p.224.
38 Testimonianza di Carla Lanfranchi, ivi, p. 165.
39 Suiprocessi di modernizzazione deglianni cinquanta si veda almeno Guido Crainz,Storiadelmiracoloitaliano.
Culture, identità,trasformazioni fragli anni cinquantaesessanta, Roma, Donzelli, 1996. Sugliinflussi del modello americano e,più in generale, dei processidi modernizzazione sul Peisi veda Stephen Gundle, / comunisti italianitra Hollywood e Mosca. La sfida della culturadi massa (1943-1991), Firenze,Giunti, 1995.
A tale proposito occorre sottolineare quanto il ricordo della festa scorra nelle memorie indi
viduali, tanto da divenire tratto costitutivo del
la fisionomia dell’Udi:
Iprimi anni facevamo le mostre deilavori fatti in ca
sa,dentro alla Casa del popolo cheeraappenastata fatta, fu fattanel ’48 [...]. Alla fine si facevauna lot teria, perché il ricamato e le maglie tornavano acasa maletortevenivanomangiatelì e sidavanoin premio le torteche avevano portato le donne per raccogliere un po’ di soldi perché poi dopo si faceva la festa 1’8 marzo, si ballava e bisognava pagarel’orchestra;quin di raccoglievamo i soldi in questo modo37.
Questa testimonianza di Giulietta Sacenti, che si avvicina all’Udi nella metà degli anni cin
quanta, è simile a quella di Carla Lanfranchi, che invece aderisce all’associazione alla fine de
gli anni settanta:
Il primo impatto che ho avutoall’Udi[...]non mi ri cordoesattamente ma fu probabilmenteper un 8 mar zo. Insomma miricordouna grandissima voglia di in ventare delle cose. Anche latrasgressivitàse vuoi e l’allegria, la gioia di vivere,lavoglia di esserci [..,]
cioèquesta creatività, la gioia diesserciedi sentire38.
Sebbene i partiti di massa del secondo dopoguerra abbiano rivolto una decisiva attenzione alla di
mensione ricreativa, tanto che stampa e materia
li di propaganda diffusero notizie sulla promo
zione di lotterie, carnevali per adulti e bambini, gare sportive, feste con orchestre, danze e reie
zione di miss e stelline39 — dati che rivelano un’ampia consapevolezza circa la capacità at
trattiva di rituali e di miti —, la storia politica del
le donne, privilegiando la dimensione “pratica”
del femminismo e dell’emancipazionismo, ha fi
nito per trascurarne la carica creativa. Nel se
condo dopoguerra le associazioni femminili, con
sapevoli del fatto che la realizzazione di spazi lu
dici e la ricerca di simboli capaci di colpire la mente e il cuore potevano agevolare la circola
zione del discorso politico (che tra l’altro incon
trava nel basso tasso di alfabetizzazione politica femminile uno dei principali ostacoli), si orien
tano verso la ricerca di forme di autorappresen
tazione al fine di conferire visibilità alla propria presenza e azione politica. Si assiste allora alla ricerca di linguaggi e di segni capaci di richia
mare un universo di valori di riferimento, di su
scitare emozioni, di alimentare un comune sen
tire. Una ricerca i cui contenuti meritano di es
sere scandagliati in profondità per cogliere i va
ri aspetti del disegno politico e la sua difficoltà a intaccare le rappresentazioni dominanti.
Custodia della memoria e assenza di storia 517
Ho avuto modo di soffermarmi più distesa
mente su questo aspetto e di fornire maggiori ar
gomentazioni di quelle che potrei offrire per ra
gioni di spazio in questa sede40, tuttavia, vorrei richiamare l’attenzione su alcuni dati: la me
moria della festa, la definizione di rituali e nuo
vi miti hanno una valenza politica molto forte nello scenario degli ultimi sessant’anni e l’Udi ne è consapevole41, non si accontenta di appro
priarsi di schemi costituiti ma ne crea di origi
nali, funzionali alla circolazione del proprio di
scorso politico. È questo uno dei terreni da at
traversare per ricomporre le sfaccettature della sua identità e il senso di appartenenza elabora
to dalle singole associate.
40 II riferimento è a P. Gabrielli, // club delle virtuose, cit.
41Sulle liturgie politiche, anche nell’Italia repubblicana,siveda Maurizio Ridolfi(a cura di), Almanacco della Re
pubblica. Storiad'Italiaattraverso le tradizioni, le istituzioni e le simbologierepubblicane,Milano, Bruno Mondato- ri, 2003.
42 Oltre al già analizzato "Volevamocambiareil mondo",il Centrodidocumentazione delledonne di Modena, nato nel 1996,ha dedicato adiverse tematiche numerosepubblicazioni, tuttefinalizzate allavalorizzazione dell’esperien za storica femminile. Paola Nava, Ragioni e Sentimenti.Leoperaiedella Sipedi Spilamberto dal fascismo agli anni sessanta, Modena, Centro documentazione donna. Mucchi Editore, 1998; Fiorella Iacono(a cura di), Le donne in 40 annidiimmagini.Le fotografie dell'ArchivioUdidiModena dal 1944 agli anni ‘80, Unione donneitaliane-Centro do
cumentazione donna,Modena,1988; Daniela dell’Orco (a cura di), Oltre ilsuffragio. Il problema della cittadinanza nellastoria enella politica delle donne, Modena, Comune di Modena-Assessorato alla Cultura, Servizio biblioteche, 1997; Daniela dell’Orco, Nora Sigman, Ereditàrivelate. Le donnenelle amministrazioni localimodenesi, 1946-1960, Modena, Centro documentazione donna,Mucchi Editore, 2000;MilenaFranchini, “Ausiliario, vieni fuori!". Breve storia del Servizio Ausiliario Femminile della R.S.I. di Modena (1944-45),Modena,Centro documentazione donna, Il Fiorino, 2001.
Tornando alla produzione dell’ultimo decen
nio, vale la pena di sottolineare la sostanziale estraneità dell’Udi a quell’esplosione d’interes
se che ha favorito la definizione di ampie bi
bliografie sul secondo dopoguerra e sui partiti politici che sono stati i principali protagonisti di questa stagione. Un’attenzione maturata — co
me è noto — anche sull’onda della crisi della si
nistra italiana che ha favorito analisi e bilanci, richiamando l’attenzione su vari aspetti e pas
saggi della storia del Pei e dei suoi militanti. Pur essendo parte di questa sinistra e pur contando su una forte identità, l’Udi è passata quasi in
denne da questa esplosione: essa ha però defi
nito e realizzato un progetto di tutela della pro
pria memoria alla cui edificazione hanno con
corso da un lato la sua vigorosa identità politi
ca e di genere, dall’altro la ormai diffusa con
sapevolezza civile sul valore della memoria che ha prodotto, oltre a un ampio dibattito e a una robusta bibliografia di riferimento, anche l’isti
tuzione di archivi e di centri di documentazio
ne in numerose aree del paese.
Per l’Udi, la garanzia di una memoria indi
viduale e collettiva ha trovato finora realizza
zione in un progetto che si articola lungo due principali traiettorie: la prima procede con la produzione di memoria mediante la raccolta di testimonianze finalizzata alla valorizzazione delle identità delle militanti, nella convinzione che la dispersione di questo patrimonio potreb
be offuscare la stessa identità collettiva dell’as
sociazione42. Il recupero delle testimonianze orali — che emergono a fatica e talvolta affatto dalle carte prodotte dalle strutture dirigenti del
le associazioni e dei partiti, persino di un’asso
ciazione tanto complessa e sfaccettata quale è l’Udi — incide sulla natura di questo patrimo
nio archivistico che accoglie, come molti mo
derni archivi, metri e metri di nastri registrati, incisi da voci diverse, con parole e desideri, fi
nanche emozioni: un insieme di documenti che modifica il volto stesso dell’archivio e gli con
ferisce specificità. La seconda linea di intervento dell’Udi scorre in armonia con la prima ed è fi
nalizzata alla valorizzazione degli archivi cen
trali e periferici mediante la custodia e l’ordi
namento delle carte, oltre alla produzione di stru
menti di corredo che le rendano fruibili. In que