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TAGETE 3-1997
IL PIEDE PIATTO SINTOMATICO
La sua rilevanza in ambito lavorativo
Po, G. Pratesi, A. Vallini, L. Antola1
Gli autori disaminano il piede piatto sintomatico in ambito medico legale sia in infortunistica privata, sia in responsabilità civile, ed in sede INAIL, con uno studio su di un campione di popolazione riferito ad una città media intorno ai 100000 abitanti. Riportano una classificazione personale di tale patologia con note di terapia. La revisione della letteratura esaminata non è stata di grande aiuto al fine dello studio .
Introduzione
"Piede piatto” è una dizione che viene usata in senso generico ed include svariate deformità quali il piede piatto valgo, il calcagno valgo, il piede valgo‐convesso congenito e altri.
Al fine di evitare l’istaurarsi di una deformità progressiva con invalidità permanente, è importante che i piedi piatti patologici siano diagnosticati il più presto possibile e sia instaurata una corretta terapia.
Tale procedura talvolta non viene seguita sia per abbandono dell'indirizzo terapeutico da parte del paziente, sia per la particolare "malignità" del quadro clinico e, talvolta, per mancata diagnosi.
In tal modo si può giungere in età adulta con problematiche ormai inveterate, irrisolvibili dal punto di vista ortesico e fisioterapico, spesso scarsamente risolvibili anche con procedure chirurgiche.
Tali situazioni ormai stabilizzate, comportano un elevato costo sociale e da un punto di vista strettamente medico legale, dei problemi di coscienza circa l'attendibilità o meno della sintomatologia talvolta teatralmente riferita.
Materiale e Classificazioni
Le deformità anatomiche che si instaurano nel piede piatto possono essere convenzionalmente divise in due categorie: primitive e secondarie.
1) PIEDE PIATTO PRIMITIVO a) p.p. lasso
b) p.p. da astragalo verticale congenito c) p.p. da calcagno valgo
d) p.p. da scafoide accessorio e p.p. in displasia generalizzata
1Clinica Ortopedica, Università di Pisa
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2) PIEDE PIATTO SECONDARIO a) p.p. da artrite reumatoide
b) p.p. da alterazioni neuromuscolari (es. spastico peroneale) c) p.p. post‐traumatico ‐ disallineamento astragalo calcaneale ‐ rottura del tibiale posteriore
Piede Piatto Lasso
E' questa una entità abbastanza comune, frequentemente asintomatico soprattutto nei pazienti più giovani. Vi sono statistiche che ritengono che solo un p.p. lasso su 1000 sia doloroso e che le forme asintomatiche non necessitino di alcun trattamento.
Nella nostra osservazione personale, la percentuale di casi sintomatici è decisamente più alta. Il limite della veridicità di tale impressione è ovviamente determinato dal dato soggettivo.
E' vero altresì che, di fronte a situazioni "genuine", le più scevre da motivazioni finalistiche, anche il più tetragono scetticismo medico legale ‚ portato a cedere il passo ad un più fiducioso rapporto medico‐paziente.
L'eccessiva pronazione del retropiede è l'alterazione posturale più comune in soggetti infanti in sovrappeso e deve essere trattata non appena i medesimi caricano.
Il problema focale rimane quello di poter puntualizzare, almeno approssimativamente, quanti bambini con p.p. lasso svilupperanno un p.p. doloroso ed invalidante in età adulta.
Quei piedi che presentano una deformità lassa o comunque dinamica, devono essere trattati; se non trattati possono progredire verso una deformità rigida. Il p.p. flessibile si caratterizza per il differente aspetto in carico e fuori carico (arco pseudonormale in assenza di carico che si appiattisce sotto carico). L'atteggiamento è di solito in valgismo ed eversione, con avampiede abdotto. Naturalmente vi è un'ampia gamma di aspetti clinici del p.p., mentre gli aspetti radiografici sono caratterizzati da un aumento dell'angolo astragalo‐calcaneare, aumento dell'angolo di declinazione astragalico, diminuzione dell'angolo di inclinazione calcaneare sino alla inversione della volta. Le possibili cause dei p.p. lasso sono molte:
avampiede e retropiede valgo, accorciamento congenito del tendine d'Achille, anomalie ormonali, ipoplasia congenita ossea del calcagno e dell'astragalo, ecc. Particolare attenzione viene posta all'eversione del calcagno che, se maggiore di 5 gradi, viene ritenuta patologica. In questi casi i soggetti possono accusare una sintomatologia tipica consistente in dolori alla volta longitudinale, dolori ai piedi e alle gambe, affaticamento, crampi muscolari aggravati dall'attività e migliorati dal riposo. Tale sintomatologia abbastanza tipica ed associata all'inconfutabile quadro clinico, può essere talvolta motivata da fatti puramente vascolari determinanti un'algodistrofia.
La diagnosi differenziale etiopatogenetica si imporrebbe, poiché‚ profondamente diverso è l'approccio terapeutico. Certamente il tipo di attività lavorativa incide in maniera determinante sull'espressività sintomatica del p.p.. Questo non vuol dire che al comparire della sintomatologia debba essere cambiato tipo di lavoro; la terapia ortesica abbinata ad idonei cicli di fisioterapia e/o chiroterapia (senza dover necessariamente ricorrere alla dannosa terapia medica infiltrativa) spesso ottiene delle remissioni anche durature della sintomatologia algica.
Sconsigliamo caldamente la risoluzione chirurgica (osteotomie di calcagno, ritenzioni tendinee, artrorisi osteotomia plantare in minus del cuboide, ecc.) in quanto oltre a non dare
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mai effetti estremamente positivi creeranno, pressoché sicuramente una invalidità secondaria sostenuta da una psiconevrosi da indennizzo, data la "gravità" del provvedimento terapeutico effettuato.
Astragalo Verticale Congenito
Ha una storia fin dalla nascita anche se il dolore, in età infantile, spesso non è presente e compare invece piuttosto tardivamente durante l'adolescenza.
Trattandosi di forma ossea congenita il trattamento, conservativo o chirurgico, deve essere intrapreso precocemente..
Piede Talo ‐ Calcagno Valgo
Le parti molli dorsali sono contratte e limitano la flessione plantare e la eversione. Può essere unico o bilaterale e può derivare da malposizioni fetali o da disordini neuromuscolari.
L'astragalo è in flessione plantare relativamente al calcagno. La terapia va intrapresa tempestivamente con manipolazioni, ortesi, apparecchi gessati.
In età adulta è necessario il trattamento chirurgico. E' questa una situazione già evidente all'assunzione del lavoratore per cui successivi contenziosi non dovrebbero verificarsi.
Scafoide Accessorio
Ha varie dizioni come scafoide dorsale, pre‐alluce, navicolare secondario. E' un osso sesamoide, spesso associato ad inserzione anomala del tibiale posteriore. Lo scafoide accessorio è solitamente un prolungamento posteriore‐mediale di uno scafoide slargato, nel 5‐
10% dei piedi. Spesso il tendine del tibiale posteriore si inserisce all'accessorio e passa sopra il bordo mediale dello scafoide invece di inserirsi sotto. In tali casi il supporto insufficiente e l'alterata linea di forze del tibiale posteriore contribuiscono allo sviluppo del piede piatto.
Quindi il tendine del m. tibiale posteriore può essere indebolito, ma la possibilità di escursione è normale nella maggior parte dei casi. Il trattamento è relativo ai sintomi: se il dolore è importante, il trattamento deve essere chirurgico. Tale forma non può entrare nemmeno in discussione in ambito infortunistico.
Displasia generalizzata
Il p.p. può apparire nel contesto di malattie come il Marfan, l'Agitrogriposi, ecc.;
quest’ultima quando è localizzata ai piedi produce un p.p. rigido. Essa è caratterizzata dalla congenita rigidità delle articolazioni ed è a tutt'oggi considerata una miopatia primaria.
La terapia conservativa ha, in tale patologia, scarsa efficacia e si impone, il più delle volte, il trattamento chirurgico.
Nella sindrome di Marfan, l'eccessivo accrescimento osseo è il risultato di una continua ossificazione, rimanendo a lungo presenti le cartilagini di accrescimento. In tale sindrome è presente marcata lassità ligamentosa che condiziona il p.p. ed il ginocchio recurvato; il trattamento preferibile è ortesico.
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Artrite
Il piede è sede frequente di artrite reumatoide e nelle fasi iniziali ‚è coinvolto in percentuale uguale alle mani. L'articolazione più colpita è la mediotarsica, con perdita dell'integrità ligamentosa, cedimento dei rapporti articolari e quindi p.p. .
La situazione tarsale può indurre uno spasmo peroneale e secondariamente p. p.; il trattamento è in genere conservativo‐ortesico; raramente si ricorre a fusioni astragalo‐
scafoidee o similari.
Patologie Neuromuscolari
Paralisi, polio, spina bifida, diastematomielia, sono di solito causa di piede cavo, ma variante abbastanza frequente è il piede piatto‐valgo. La terapia è conservativa finché possibile, poi chirurgica; ad esempio il Piede Piatto Secondario è una deformità rigida e di solito dolente nel bambino e nell'adolescente accompagnata da spasmo del muscolo peroneo breve. La causa più comune è la presenza di una barra ossea o fibrocartilaginea intertarsale. Occasionalmente il p.p. rigido può essere causato da t.b.c, A.R., osteomielite, sindrome del seno del tarso, traumi. La causa dello spasmo in se stessa non è ben chiara; si è pensato che la limitazione della articolarità della sottoastragalica con la comparsa di dolore possa scatenare un arco riflesso che tende a supportare l'articolazione con la comparsa di una tensione eccessiva dei muscoli peronei.
Altri attribuiscono ad over‐stress del legamento a siepe la causa dello spasmo. Qualunque sia la causa, il vero spasmo peroneale non è facilmente obiettivabile. Di fronte a problemi che si perpetuano da tempo, si notano spesso pseudospasmi, che rappresentano una contrattura secondaria delle parti molli e che persistono anche quando i nervi coinvolti sono sottoposti a blocco anestetico.
Si possono formare vari tipi di barre singole tra le diverse ossa del tarso ed eventuali barre multiple. Le barre possono essere di diverse dimensioni, parziali o totali, flessibili o rigide.
La fusione può ossificare con il tempo, limitando i movimenti e la sintomatologia dolorosa può essere presente fino a fusione avvenuta. Successivamente, in seguito ad un brusco esordio della sintomatologia dolorosa, può essere sospettata la frattura di una sinostosi. In questi casi, oltre al dolore tarsale ed alla limitazione della sottoastragalica, è abbastanza frequente un conflitto dorsale della testa dell'astragalo, da considerare sicuro stato preartrosico.
Le fusioni incomplete sono caratterizzate da irregolarità ossee in prossimità delle articolazioni; talvolta particolari proiezioni possono essere necessarie per evidenziare le barre o le fusioni parziali. Il trattamento chirurgico è indicato solo a fusioni radiograficamente dimostrabili (ora ben evidenziabili anche con la TAC) mentre, in tutti gli altri casi dove sussista un problema medico legale, è prima di tutto necessario un corretto inquadramento di causa e concausa occasionale. Inconfutabile ci sembra la situazione di un'alterata anatomia sottoastragalica conseguente ad un evento traumatico chiaro e ben documentato: i crismi dell'infortunio sono cioè perfettamente e costantemente rispettati. Ben diverse sono le considerazioni in merito alle cause occupazionali e di fronte ad una sospetta sindrome del seno del tarso.
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Ricordiamo infatti come il dato clinico sia eminentemente soggettivo e che comunque, a prescindere dalla difficile dimostrabilità, mancano totalmente dell'egida infortunistica e risultano semmai come fenomeni da fatica inseribili nel novero delle tecnopatie acquisite.
P.P. Post‐Trauma
Le fratture del calcagno e in minor misura dell'astragalo, sono la causa più frequente di degenerazione della sottoastragalica e della mediotarsica, con conseguenti alterazioni morfologiche del piede che nella maggior parte dei casi evolve in piattismo. L'artrosi dolorosa che ne consegue può condurre ad un piede piatto contratto per cui terapie conservative diventano di prima scelta e solo eccezionalmente si deve ricorrere al trattamento chirurgico.
L'altra causa principale di p.p. traumatico, su base degenerativa, è la rottura del tibiale posteriore. In questi casi si rende necessaria la ripartizione immediata poiché‚ quelle tardive non hanno successo e quindi il trattamento a distanza sarà eventualmente di trasposizione tendinea. In età avanzata trova sempre indicazione il trattamento conservativo.
Conclusioni
In definitiva il p.p. post‐traumatico è l'unica situazione di p.p. sintomatico "genuina" dal punto di vista medico legale.
E' facile comprendere come solo in tale circostanza possa realmente esistere il nesso causa‐
effetto e come tutte le altre situazioni sopraricordate siano più o meno preesistenti.
Ovviamente gli effetti post‐traumatici sono di gravità variabile, comunque sempre importanti, quando determinino una forma di piede piatto.
Abbiamo finora parlato come trauma causa di piede piatto secondario, ma ci sembra opportuno analizzare la circostanza non eccezionale di piede piatto preesistente come causa o concausa di trauma e quindi, in definitiva, di una patologia in autoaggravamento.
Esemplifichiamo brevemente con una situazione che prendiamo ad esempio; se un soggetto con p.p. lasso che subisce un primo trauma distorsivo alla tibiotarsica e che, nonostante il corretto trattamento di immobilizzazione prima e rieducazione funzionale poi, innesca un meccanismo autoaggravante di dolore, con deambulazione non corretta e con ripetuti episodi distorsivi e peggioramento del piattismo bilateralmente. Quali siano le cause anatomopatologiche influenti su tale evoluzione peggiorativa, ancora oggi sfuggono alla nostra comprensione ma questi casi sono frequenti nella pratica medico legale. Si pone pertanto un quesito in ambito medico legale; seppur risulta chiaro il problema in rapporto assicurativo privato dove la perdita o la riduzione della funzione è imputabile a causa preesistente e quindi non indennizzabile, a nostro modo di vedere il danno secondario‚
legittimamente esigibile in R.C. e soprattutto in infortunistica lavorativa dove la concausalità è riconosciuta per statuto può talvolta essere non riconosciuto.
In definitiva tali situazioni post‐traumatiche possono essere realmente invalidanti fino a percentuali considerevoli, specialmente sul terreno del riconoscimento delle inabilità specifiche.
Vorremmo dunque in conclusione suggerire molta cautela nel riconoscimento di una idoneità indiscriminata in soggetti portatori di p.p., proprio per il rischio traumatico generico
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cui questi soggetti sono sottoposti con possibile coinvolgimento di altri segmenti osteoarticolari.
La nostra ricerca ci ha comunque condotto a dei risultati importanti nel cui ambito credevamo di avere delle sicurezze .Ci riferiamo in modo specifico all'ambito INAIL: il nostro campione è stato volutamente estrapolato da casistiche riferite di una città media caratterizzata da altissimo contenzioso. Ebbene, la voce "piede piatto" o complicazioni piede piatto ed infortuni secondari a piede piatto compare raramente. Tutto ciò può significare due cose:
1. che il p.p. sintomatico dell'adulto è cosa estremamente rara
2. che forse, più prosaicamente , il p.p. non è ancora stato "scoperto" come causa di contenzioso da parte dell'assicurato.
Ricordiamo infatti come nelle cause di pensionamento compare solo eccezionalmente.
Naturalmente il nostro lavoro ha dovuto articolarsi nelle varie sedi assicurative (Assicurazioni sociali, R.C., Assicurazioni private, Medicina Sportiva, Responsabilità Medica ecc.).
La materia del contendere non è mai emersa nella nostra ricerca a fronte di piedi piatti post‐
traumatici, peraltro al giorno d'oggi molto finemente documentabile al di là della clinica e radiologia convenzionali con TAC, RMN, Baropodogramma ecc.
E’ ovvio come la sottigliezza e la difficoltà nell'attribuzione di una qualsiasi percentuale si delinei quando si tratta di inquadrare il p.p. come causa o concausa di patologia limitrofa (tibio‐
tarsica e terzo inferiore di gamba) o come p.p. in autoaggravamento in seguito ad eventi traumatici successivi talvolta subentranti. Con un parallelismo audace vorremmo sostenere che l'ortopedico e il medico legale si trovino, a fronte di tutta questa patologia (pretestata o non pretestata) esattamente come di fronte al famigerato trauma distorsivo del rachide cervicale, tanto che ricorre il rischio anche in questo ambito, di adire a soluzioni equitative, a basso livello, anonime e certamente, in casi molto selezionati, riduttive.
Nelle fasi di reclutamento ed assunzione riguardo alla patologia in questione non sussiste la necessità di certificazione ai fini dell'assunzione al lavoro o per esonero da mansioni lavorative, in vari enti (Forze Armate, FF SS, PS) tale situazione morbosa configura insieme a tali patologie una condizione di esonero o non idoneità al servizio ed ai rispettivi regolamenti cui di volta in volta si fanno riferimento per ogni fattispecie.
In sede di idoneità generica allo sport la tematica specifica non è neppure sfiorata, caratteristica comune a molte problematiche scheletriche anche di altra importanza, come ad esempio la spondilolistesi, in un'ottica superficiale ed approssimativa.
Come abbiamo precedentemente accennato, ben delineati sono i termini della questione in ambito assicurativo privato, mentre il quesito diventa spinoso in ambito INAIL: L'Istituto procede infatti con un criterio valutativo (che può apparire opinabile) facendo riferimento alla valutazione di lesioni ben documentabili in coesistenza con un piede piatto.
La preesistenza viene considerata tramite l'applicazione della formula di Gabrielli che quantifica il concorso di inabilità, cioè il rapporto tra danno precedente determinato dall'infortunio e capacità lavorativa preesistente ad esso. Si ammette cioè, in definitiva, l'aggravamento da concausa ma viene stimato molto poco.
E' chiaro che l'applicazione di formule non può attuarsi in caso di quadri sintomatologici superficiali per cui l'Istituto è orientato al riconoscimento di una minima cura ed eventuale
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riconoscimento di inabilità temporanea. In contenziosi protratti addirittura si tende a derubricare il fatto demandandolo ad inquadramento INPS.
In responsabilità civile vige l'accezione della concausa (in senso riduttivo) per l'aggravamento del piede piatto e dei suoi effetti dopo ovvia e dettagliata documentazione.
E' naturalmente previsto l'onere della prova e la tendenza è quella di una riduzione equitativa che, considerate le ventilate clausole in deroga che prevederebbero una franchigia dal 3% al 5% conduce quindi solo ad una liquidazione di danno alla salute che potrebbe comunque rappresentare liquidazione nei limiti della legge ai sensi degli articoli 2022 e 2043 del Codice Civile (tutela privilegiata della salute) e non ai sensi del 1226 del Codice Civile e del 2056 della Costituzione della Repubblica Italiana (tutela patrimoniale).