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INNOVATIVA SENTENZA SUL CONSENSO INFORMATIVO DEL TRIBUNALE DI NAPOLI SENTENZA 1317/98

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INNOVATIVA SENTENZA SUL CONSENSO INFORMATIVO DEL TRIBUNALE DI NAPOLI

SENTENZA 1317/98

Il Tribunale di Napoli – I Sezione civile così composta:

Dr. G. A. Presidente Dr. I. Z. Giudice

Dr. M. R. C. M. Giudice rel.

Riunito in camera di consiglio, ha pronunziato la seguente SENTENZA

Nella causa civile iscritta al n. 3307 del ruolo generale degli affari contenziosi dell’anno 1994, avente ad OGGETTO: danni, e vertente

TRA

B. M. G., elettivamente domiciliata in Napoli, alla piazza Esedra Ed. Edilforum Is. F 10 Centro Direzionale, presso l’avv. E. L. e l’avv. M. L., dai quali è rappresentata e difesa in virtù di procura a margine dell’atto di citazione

ATTRICE NONCHE’

T. C., T. P. e T. F., elettivamente domiciliati in Napoli, Piazza Esedra Edilforum Is. F 10 Centro Direzionale, presso gli avv.ti E. e M. L., da cui sono rappresentati e difesi per procura a margine dei rispettivi atti di intervento

INTERVENUTI Muto Dr. P.

CONVENUTO NONCHE’

Centro di Radiologia “Prof. V. M. e del Dr. R. M. e C. s.a.s, in persona del legale rapp.te p.t.

elettivamente domiciliato in Napoli, alla via G. P. n.73, presso l’avv. G. V., dal quale è rappresentato e difeso in virtù di procura a margine della comparsa di costituzione

CONVENUTA NONCHE’

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Casa di Cura C. S. s.p.a., in persona del legale rapp.te p.t., elettivamente domiciliato in Napoli, via Mosca, 4 presso l’avv. U. R., da cui è rappresentato e difeso per procura in calce all’atto di citazione

CONVENUTA NONCHE’

s.p.a. Reale Mutua Assicurazioni in persona del legale rapp.te p.t., elettivamente domiciliato in Napoli, corso V. Emanuele 42, presso gli avv. T. e F. E., da cui è rappresentato e difeso per procura in calce alla copia notificata dell’atto di chiamata in causa

TERZA CHIAMATA NONCHE’

Fondiaria Ass.ni s.p.a., in persona del legale rapp.te p.t., elettivamente domiciliato in Napoli, Riviera di Chiaia 95 presso l’Avv. A. C., da cui è rappresentato e difeso per procura a margine dell’atto di intervento volontario

INTERVENIENTE VOLONTARIA CONCLUSIONI

All’udienza del 20/6/96, i procuratori delle parti concludevano come a rispettivi atti e i procuratori dell’attrice e degli interventori chiedevano il rinnovo della C.T.U. e, nel merito, concludevano come da atto di citazione a comparse di intervento

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 7-8/2 e 1/4/94, B. M. G. conveniva in giudizio, davanti a questo Tribunale, il Dr. P. M., lo Studio di Radiologia “Prof. V. M.”, in persona legale rapp.te, nonché la s.p.a. Casa di Cura Casa del Sole, per essere risarcita da tutti i danni morali e patrimoniali nella misura che si riservava di definire nel corso del giudizio da lei subiti a causa di colpa professionale attribuibile al Dr. M.

L’attrice esponeva di essere stata sottoposta ad intervento di tumorectomia alla mammella e che, in seguito ad un riacutizzarsi dei dolori ossei alla colonna vertebrale nel 1989, si era ricoverata per eseguire una serie di analisi che le avevano riscontrato la presenza i metastasi a livello della colonna cervicale, della scapola destra e delle vertebre D9 e L3, per cui era stata sottoposta ad un ciclo di chemioterapia e di RT presso la Casa di Cura Clinica, con acceleratore sui due campi maggiormente colpiti D9 e L3.

L’attrice precisava di aver ottenuto buoni risultati e di essere stata sottoposta anche a soppressione ovarica e di aver successivamente praticato controlli periodici fino al dicembre 1991, data in cui, a seguito di una, a suo dire lieve, sintomatologia dolorosa, veniva invitata dal suo medico oncologo al Dr. P. M., perché si valutasse l’opportunità di ulteriore applicazione di radioterapia.

L’attrice deduce a che il M. aveva deciso di sottoporla ad un nuovo ciclo di RT sui medesimi campi irradiati nel 1989 e l’aveva consigliata di recarsi presso il Centro “V. Muto”, esistente presso la Casa del Sole, in quanto, a suo dire, vi era acceleratore lineare più moderno.

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La B. deduceva che il Prof. M. non l’aveva informata sui rischi cui andava incontro con tale nuovo trattamento e l’aveva sottoposta per 26 gg dal 20/1/92 al 14/2/92 ad irradiazione su D9 e L3 con frazioni giornaliere di 2 Gy, per una dose totale di 28 Gy su D9 e 30 Gy su L3.

L’attrice lamentava che, dopo qualche mese e, precisamente nel novembre 1992, aveva cominciato ad accusare delle parestesie a livello distale degli arti inferiori ed aveva, quindi, eseguito due risonanze magnetiche che avevano evidenziato una necrosi centrale del midollo di tipo siringomielitico, dovuta mielite da raggi.

L’attrice precisava che, attualmente, era completamente paralizzata e costretta a vivere su una sedia a rotelle, presentando paraplegia dal seno in già, ipotrofia degli arti inferiori e incontinenza completa delle urine e delle feci.

Si costituivano in giudizio il marito dell’attrice, T. C., e i figli della stessa B. T. P. e F., spiegando intervento volontario nei confronti dei convenuti, per ottenere il risarcimento dei danni morali e materiali da loro subiti in conseguenza delle lesioni gravissime, di cui era affetta la loro congiunta.

Si costituiva in giudizio il Centro di Radiologia “Prof. V. M” di R. M. s.a.s., confutando qualsiasi responsabilità rispetto ai presupposti danni, chiedendo e ottenendo di chiamare in causa, a scopo di garanzia, la s.p.a. Reale Mutua, compagnia assicuratrice dello Studio.

Si costituiva in giudizio la predetta compagnia Assicuratrice, negando ogni responsabilità del proprio assicurato.

Si costituiva in giudizio anche la Casa del Sole s.p.a., deducendo il proprio difetto di legittimazione passiva, per essere completamente estranea ai fatti di causa, in forza di una scrittura intervenuta tra essa e lo “Studio Prof. V. M.”, che prevedeva la sua irresponsabilità rispetto ogni pretesa vantata da terzi, comunque collegata con l’attività di radioterapia, posta in essere nei suoi locali e con la sia apparecchiatura.

Interveniva in giudizio volontariamente la S.p.a. Fondiaria, compagnia assicuratrice del Dr. P.

M., negando ogni responsabilità dell’attrice del Dr. M. e l’attribuibilità delle attuali condizioni dell’attrice alla terapia, cui era stata sottoposta da parte del Dr. M.

In particolare, l’interveniente volontaria confutava anche il profilo di responsabilità della mancanza di consenso informato, in quanto il Dr. M., a suo dire, aveva informato in dettaglio dell’effettiva portata e gravità della terapia non l’attrice, ma il marito dell’inferma, che gli aveva ingiunto di non parlarne con la moglie, per non procurarle un ulteriore trauma.

Espletata C.T.U. medico legale, ammesso e reso interrogatorio formale del Dr. M., nonché ammesso, ma non reso lo stesso incombente da parte del legale rapp.te della Casa di Cura s.p.a., resi chiarimenti dal C.T.U., disattesa istanza di ordinanza ingiunzione ex art. 186 c.p.c., la causa, sulle conclusioni di cui in epigrafe, veniva rinviata al Collegio, che, in data 16/1/98, se ne riservava la decisione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente, occorre dichiarare la contumacia del Dr. P. M., costituitosi in giudizio solo nella qualità di legale rappresentante dello “Studio di Radiologia Prof. V. M.” di R. M. e C. s.a.s., nonostante fosse stato evocato dall’attrice anche personalmente.

Deve, anche sempre in via preliminare dichiararsi l’ammissibilità dell’intervento volontario di T.

C., T. P. e T. F., stretti congiunti dell’attrice ha hanno prospettato di aver subito direttamente danni in seguito all’evento dannoso per cui è causa vertendosi in materia di intervento volontario autonomo, nonché l’ammissibilità dell’intervento volontario della s.p.a. Fondiaria Ass.ni, compagnia assicuratrice del Dr. M. per la responsabilità civile da colpa professionale, interveniente ad adiuvadum ed avente chiaro interesse ad una pronuncia negativa sulla responsabilità del proprio assicurato, convenuto, nel presente giudizio, proprio per una prospettata ipotesi di colpa professionale (vedi art. 105 c.p.c.).

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Passando al merito, il Tribunale, per chiarezza di esposizione, ritiene opportuno partire dall’esame dei profili di responsabilità allegati dall’attrice e dagli interventori a sostegno delle loro richieste risarcitorie, rimarcando che le medesime domande si ricollegano ad una prospettata responsabilità contrattuale dell’operatore Dr. M., del Centro di Radiologia “Prof. V. M.” e della Casa del Sole s.p.a. per inesatta esecuzione degli obblighi contrattuali anche sotto il profilo della mancanza del c.d. consenso informato, nonché nel contempo, ad un’ipotesi di responsabilità extracontrattuale degli stessi per grave colpa professionale per pretesa imperizia, sia nella fase diagnostica, che nella fase esecutiva della prestazione di radioterapia cui venne sottoposta la B.

Il Tribunale, alla luce delle considerazioni che seguono, ritiene di poter escludere profili di responsabilità dell’operatore Dr. M. degli altri convenuti, sia sotto il profilo della responsabilità contrattuale, che extracontrattuale, mentre ritiene sussistente l’ipotesi di responsabilità precontrattuale per violazione dell’obbligo di informazione da parte del Dr. M.

I particolare, non appaiono condivisibili le censure della difesa della B. e dei suoi congiunti all’espletata C.T.U., che, per contro, appare esente da vizi logici e che, se, da un lato, trova smentita nelle note dei periti da parte attrice, dall’altro, trova conforto in note altrettanto autorevoli dei periti di parte convenuta, nonché in copiosa lettura medica allegata.

Ora, alla stregua del convincente ragionamento logico del C.T.U., il Tribunale ritiene di aver acquisito gli elementi per ricostruire, con sufficiente certezza, la triste vicenda di cui fu protagonista l’attrice, dopo essere stata sottoposta nel 1982 ad un intervento di tumorectomia per carcinoma alla mammella.

Risulta acquisito che la stessa B. non ebbe problemi particolari fino al 1989, quando insorsero dolori al rachide e le viene accertata, tramite scintigrafia e TAC del rachide, carico d D9 e L3 un'estesa area osteolitica, interessante i corpi vertebrali ed il muro posteriore, reperto sintomatico di malattia metastatica, a seguito del quale l’attrice venne sottoposta presso la Clinica Mediterranea ad un ciclo di chemio e di radioterapia dal 26/3/89 al 9/4/89, in 12 sedute, con acceleratore su due campi vertebrali diretti, corrispondenti al D9 e L3 e poi, in seguito ad evidenti miglioramenti, a soppressione anche con radioterapia della funzionalità ovarica.

Può dirsi acquisito che la B. ebbe buoni risultati, che riprese la sua vita ordinaria fino a quando nel novembre 1991 ebbe una ripresa della sintomatologia dolorosa e dal suo oncologo di fiducia Dr.

M. per effettuare un nuovo ciclo di radioterapia.

E’ provato (vedi anche interrogatorio formale del M.), che lo stesso Dr. M. indirizzò la paziente allo Studio “Prof. V. M.” s.a.s. presso la Casa del Sole s.p.a., ove erano presenti macchinari più recenti, e che lì effettuò alla B. un ciclo di radioterapia e precisamente dal 20/2/92 al 16/2/92, con acceleratore su L3 e D9 con campi obliqui, con 2 Gy al giorno per complessive 30 Gy su L3 e 28 Gy su D9.

Può dirsi, inoltre, provato che la B. ebbe un’attenzione della sintomatologia dolorosa, tanto che è incontestato che effettuò con il marito, subito dopo la fine del trattamento, un viaggio di piacere e deve ritenersi, del pari, provato che la stessa continuò a star bene, fin quando non cominciò ad avere prima un fenomeno di parestesia al piede e, noi, in rapido progresso, parestesie agli arti inferiori e al bacino, fino ad arrivare, purtroppo, nel giro di pochi mesi, ad una paraplegia flaccida agli arti inferiori perdita completa della sensibilità con livello a D5, connotata da incontinenza sfinterica, con gravissima compromissione organica che la costringono, attualmente a stare allettata, avendo difficoltà anche a stare seduta in poltrona per paralisi dei muscoli del tronco. (vedi relazione Prof.

Campanella e C.T.U. pag 14 e seg.).

Ora, il C.T.U., rispondendo a precisi quesiti in merito, ha dedotto che, con certezza, l’attuale gravissima patologia a livello midollare dell’attrice è sicuramente ascrivibile alla terapia radiante effettuata solo pochi mesi prima del suo insorgere, evidenziando, peraltro, che la stessa radioterapia praticata alla B. si presentava opportuna e necessaria quando la paziente venne inviata dal suo oncologo al Dr. M., in quanto la comparazione tra le indagini praticate nel 1989 e quelle che qui propriamente interessano nel 1991 presentavano una sostanziale differenza a livello di L9, soprattutto con riferimento alla stratigrafia del 13/11/91 e alla Tac del 3/12/91, che evidenziava

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“rarefazione della tela spongiosa dei processi traversi di L2 definito di non sicuro significato patologico”, sintomi che legittimavano il sospetto di una ripresa del processo metastatico e che, quindi, imponevano un trattamento terapeutico urgente e risolutivo.

Deve quindi, escludersi una imperizia diagnostica del convenuto, come, alla stregua dei rilievi della C.T.U., deve escludersi anche che la tecnica di irradiazione adottata – irradiazione con frazionamento si 2 Gy su D9 per un totale di 28 Gy e di complessivi 30 Gy su L3 sia stata non congrua, anche tenuto conto delle precedenti irradiazioni, dovendo l’operatore radiologo ispirarsi a necessari criteri di radicabilità, in quanto l’applicazione di un dosaggio diverso e minore non avrebbe i risultati auspicabili. /vedi pag. 28 C.T.U.).

Il C.T.U. ha sottolineato che appare corretto, oltre che il dosaggio anche la tecnica di irradiazione adoperata, precisando tuttavia, che l’applicazione irradiante comportava dei rischi, valutabili, a suo dire, nell’ordine del 5%, di una necrosi midollare ipotesi poi purtroppo verificatasi giungendo ad escludere una responsabilità professionale nel trattamento diagnostico e terapeutico e, altresì, la presenza di ipotesi di imperizia, imprudenza e negligenza, evidenziando, però, la necessità che la paziente fosse informata, all’atto dell’irradiazione, del predetto non insignificante rischio, accennando in tal modo all’assenza di consenso informato, concetto su cui si tornerà di qui a poco, laddove la presente motivazione riguarderà l’aspetto della riconosciuta responsabilità del convenuto Dr. Muto e dello Studio “Prof. V. M.” per mancanza informazione.

A questo punto, sembra necessario premettere che la più recente giurisprudenza ritiene sussistere la responsabilità del sanitario per violazione dell’obbligo di informazione, sottolineando che lo stesso risponde delle conseguenze dannose prevedibili che derivino al paziente, anche quando come nel caso in esame non sia allo stesso medico ascrivibile alcun altro profilo di responsabilità professionale. (vedi in particolare Appello Milano 2/5/1995, Tribunale Padova 9/8/1985 e la recente Cass. 8/7/1994 n. 6464)

Venendo all’inquadramento della violazione dell’obbligo di informazione, deve segnalarsi che è ancora discussa la natura di tale adempimento: da alcuni ricondotta nell’ambito della responsabilità precontrattuale, sotto il profilo della sua incidenza sulla formazione di un valido consenso, ex art, 1338 c.c. (ad es. Cass. 364/97), mentre da altri la predetta fattispecie è inquadrata nell’ambito della responsabilità contrattuale, in quanto il contratto si predefinirebbe con l’accettazione del medico in relazione all’attività diagnostica, qualificandosi il dovere di informazione non come obbligo prenegoziale, ma come vero e proprio dovere conseguente alla conclusione del contratto. (vedi ad es. Cass. 29/3/1976 n. 1132)

Da segnalarsi, ancora, è, poi, che, più recentemente, in dottrina ed in giurisprudenza, si è sottolineata la necessità di tenere distinto il consenso all’intervento da quello all’attività negoziale, dando in definitiva al dovere di informazione una valenza autonoma e, quindi, finendo con il riconoscere valore autonomo alla correlativa violazione dell’obbligo di informazione, in quanto correlata alla lesione di un diritto costituzionalmente protetto (vedi: Cass. 10094/94).

La S.C. ha, infatti, affermato, seguendo un ragionamento che il Tribunale ritiene pienamente condivisibile, che, mentre appare riduttivo fondare la legittimazione dell’attività medica sul consenso dell’avente diritto, in una pregressa concezione puramente penalistica ex art 51 c.p., in quanto l’attività medica deve considerarsi in sé legittima, trovando la sua legittimazione proprio nella tutela del bene della salute costituzionalmente gratuito, tuttavia deve rinvenirsi la necessità di un consenso immune da vizi ed eventualmente non contrario all’ordine pubblico e al buon costume nello stesso dettato costituzionale, laddove all’art. 13 è affermata la inviolabilità della libertà personale ivi compresa la libertà di salvaguardare la propria salute e laddove all’art. 32 II coma il Costituente vieta i trattamenti sanitari obbligatori, al di fuori delle disposizioni di legge.

E’ stato, quindi, anche esattamente rinvenuta un’altra fonte normativa della necessità del consenso informato della L. 23/12/78 n. 833, che esclude, all’art. 33, la possibilità di accertamenti e trattamenti sanitari contro la volontà del paziente, se questo è in grado di prestarlo. (vedi sempre Cass. 26/11/1994 n. 10014)

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Da annotare, ai fini di un completo quadro di riferimento delle c.d. fonti del consenso informato, il riferimento ai principi del codice deontologico dei medici, in cui particolare attenzione viene prestata proprio alla necessità per il medico di rendere preventivamente edotto il paziente delle conseguenze della terapia da praticare. (vedi artt. 29 e seg. Cod. deontologico del 1995)

In definitiva, deve ritenersi, ormai, principio giurisprudenziale consolidato che incorra in responsabilità il medico che effettui una prestazione in assenza di preventivo consenso, che, necessariamente, per essere valido, deve essere informato, cioè deve essere preceduto da informazione, in quanto è chiaro che, senza conoscenza, non vi può essere decisione libera, autonoma e consapevole.

In questo senso, quindi, non può che condividersi la tesi giurisprudenziale che ritiene che il paziente sia informato della natura dell’intervento a cui deve essere sottoposto, della sua portata, delle sue possibili conseguenze negative, senza che si possa distinguere tra il tipo di intervento terapeutico o semplicemente estetico, in quanto il paziente, solo se preventivamente informato, potrà consapevolmente decidere se sottoporsi all’intervento e se ometterlo, facendo un bilanciamento, personalissimo evidentemente, tra i vantaggi e rischi possibili connessi alla terapia.

In definitiva, allo stato attuale dell’elaborazione giurisprudenziale che ci si è sforzati di riportare nelle brevi considerazioni che precedono, ritiene il tribunale che possa affermarsi che il dovere di procurarsi un consenso informato da parte del paziente abbia un’incidenza autonoma nella configurazione di un illecito colposo, comportando la lesione dei predetti principi costituzionali di autodeterminazione dello stesso paziente, con la giurisprudenza di ascrivere a responsabilità del medico, che abbia omesso di ottenere un valido consenso informato, quei danni configurabili come conseguenze prevedibili del trattamento medico cui il paziente è stato sottoposto, senza aver potuto decidere autonomamente e liberamente, per non averne avuto informazione completa, se accettarli o meno.

In altri termini, deve ritenersi sussistere ipotesi di responsabilità professionale, quando ci sia violazione del dovere di informazione, cui consegue non solo la violazione del diritto costituzionalmente garantito dell’autodeterminazione, ma anche il danno alla salute del paziente derivato casualmente dall’intervento, pur necessario e correttamente eseguito, in tale ipotesi, il paziente, non ha potuto scegliere personalmente ma praticare in cura, accettandone il relativo rischio pur non derivante da ipotesi di colpa professionale, oppure rifiutare lo stesso intervento, in una scelta che solo lo stesso paziente poteva effettuare.

Venendo al caso in esame, l’attrice ha adempiuto al suo onere probatorio, ex art. 2697c.c., provando di non essere stata informata, dimostrando, in altri termini, che il Dr. M. non l’aveva informata circa le possibili conseguenze della terapia irradiante che fu sottoposta (vedi sull’onere della prova in materia di consenso informato: Cass. 2971/1993 n. 119, Cass. 25/11/1994 n. 10014, appello Milano 30/4/1991 in Foro It. 1, 2855)

Il convenuto, in sede di interrogatorio formale, ritualmente deferitogli proprio in merito all’assenza di una preventiva informazione alla attrice delle conseguenze della terapia irradiante che stava per esserle praticata, ha ammesso di non aver informato la B. delle eventuali conseguenze della terapia, perché, a suo dire, “per precise disposizioni de marito, doveva presentare il caso come non dovuto a metastasi legata alla malattia di base”, adombrando, quindi, di aver agito perché indottovi dal marito, circostanza, peraltro, di cui non ha fornito prova. (vedi dichiarazioni rese dal M. in sede di interrogatorio formale)

Ora, a parte l’efficacia esaustiva confessoria delle dichiarazioni del M. lui sfavorevoli, anche a voler riconoscere che egli agì nel modo predetto, perché indottovi dal marito, è certo che l’attrice, tuttora, non è a conoscenza dell’attribuibilità alla cura praticabile delle sue attuali condizioni e lo stesso M. non ha neppure provato, ma neppure allegato di aver dato un’esatta e completa informativa al di lei marito, circostanza quest’ultima che non potrebbe, comunque, aver alcun valore scriminante, in quanto il consenso, naturalmente, per essere valido ed efficace, deve prevenire dallo stesso paziente, quando costui ed è certamente il caso della B. che lo era all’epoca e lo è tuttora perfettamente capace di intendere e di volere. (vedi C.T.U.)

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In altri termini, un eventuale consenso informato del marito, nn provato, ma si ripete, neppure chiaramente allegato dal convenuto essendo l’attrice in cui praticò il trattamento pienamente capace non varrebbe ad escludere l’inadempimento, potendosi ricorrere al consenso dei parenti solo in presenza di incapacità del paziente (vedi Tribunale Messina 11/7/1995) o in ipotesi del tutto diverse di situazioni di emergenza, in cui la stessa patologia imponga scelte terapeutiche immediate. Quanto poi, al riferimento ad una mancata violazione del codice deontologico, affermata dal M. in sede di interrogatorio formale, occorre rivelare che il codice deontologico non può derogare alle norme, né tanto meno ai principi costituzionali e che, dall’altra parte, il nuovo codice deontologico approvato peraltro successivamente alle vicende per cui è causa ha riguardo espressamente come ha già noto alla materia del consenso informato, valorizzando un concetto che, comunque, era già contenuto nel precedente codice deontologico ora abrogato e vigente all’epoca dei fatti, laddove sostanzialmente si riteneva il consenso implicito nel rapporto fiduciario con il medico (vedi artt. 29, 31 e 32 Codice Deontologico 24 - 25/6/1995 e art. 40 Codice del 1989).

Deve, in definitiva ritenersi fondata l’ipotesi di responsabilità precontrattuale del Dr. M. e della convenuta “s.a.s. Studio V. M.”, attesa la riconosciuta ipotesi di responsabilità per violazione del dovere di informazione, ascrivibile al M., legale rappresentante del Centro di Radiologia “Prof. V.

M.” non sembra al Tribunale di poter ritenere provata alcuna ipotesi di inadempimento ascrivibile alla “Casa del Sole”, in quanto, pur non avendo rilevanza esterna la scrittura prodotta a riguardo della difesa della Clinica, la riconosciuta ipotesi di responsabilità per mancanza di consenso attiene secondo la ricostruzione operata dal Tribunale ad una fase precontrattuale a cui risulta estranea la struttura della clinica Casa del Sole, dove, peraltro, incontestabile, venne effettuata la terapia radiante, eseguita correttamente.

Venendo, quindi, alla quantificazione delle pretese attrici, deve partirsi dagli esiti della C.T.U., che ha riconosciuto nella B. come complicanze prevedibili nell’ordine del 5% della terapia irradiante cui venne sottoposta in assenza di consenso informato “una necrosi midollare da irradiazione con paraplegia agli arti inferiori, perdita della sensibilità con livello D4 D5, incontinenza urinaria, ritenzione fecale e nevrosi reattiva di tipo depressivo” (vedi C.T.U. pag. 30 e seg), con totale attuale invalidità permanente e con necessità di assistenza continua e totale compromissione della possibilità di avere una vita sessuale.

Il C.T.U. Prof. M., peraltro, ha correttamente ritenuto che le condizioni psicofisiche della B., preesistenti al trattamento irradiate, erano già connotate da notevole grado di inabilità per la compromissione metastatica di due vertebre e per il coinvolgimento di alcune altre vicine, per gli esiti della escissione di un carcinoma mammario e di un precedente trattamento irradiante, per cui alla stessa attrice poteva essere riconosciuta, all’epoca del trattamento per cui è causa, sia come compromissione della capacità lavorativa che come danno biologico, un’incapacità dei 40 – 45%.

Sarà a questa valutazione, quindi, che il Tribunale si atterrà per la liquidazione dei rischi danni.

In particolare, in assenza di prova di danno da lucro cessante di inabilità permanente, essendo la B. casalinga, assunta voce si ritiene di poter liquidare sotto tale profilo, in conformità a principi consolidati di cui alla nota sentenza Corte Costituzionale n. 184/86, senza duplicare il danno che le verrà di qui a poco riconosciuto a titolo diverso.

Il Tribunale, aderendo a principi ormai consolidati, ritiene che, nel concetto di danno biologico, siano compresi il rilevatissimo danno alla vita di relazione, da invalidità permanente e temporanea, estetico, da perdita di chance, etc.

In proposito, quantunque possa ormai ritenersi ius receptum è opportuno ricordare che il danno biologico deve essere considerato in un aspetto statico, corrispondente alla diminuzione del bene primario dell’integrità psicofisica in sé e per sé considerata, e in un aspetto dinamico, corrispondente alle manifestazioni o espressioni quotidiane del bene salute che riguardano sia l’attività lavorativa che tutte le attività extralavorative.

Così intenso, il concetto di danno biologico assume un contenuto così ampio ed un significativo totalizzante da far rifluire in tale componente risarcitoria alcune figure di danno quali, come visto, il danno alla vita di relazione, il danno alla sfera sessuale, il danno estetico, etc., e da far

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ricomprendere nel proprio ambito sia la capacità di lavoro generica, sia, infine, il periodo di malattia temporanea del lavoratore che abbia continuato a percepire l’intera retribuzione (cfr. fra le tante Tribunale Pisa 16 gennaio 1985, in Resp. Civ. e prev. 1985, 433).

A titolo, quindi, di danno biologico da invalidità permanente attesa l’età dell’attrice all’epoca del fatto, la percentuale di invalidità del 60% riconosciutale in conseguenza della terapia, della completa compromissione della possibilità di avere rapporti sessuali si ritiene di liquidare equitativamente la somma complessiva di £. 230.000.000 di lire, con riferimento al potere attuale di acquisto della moneta, comprensiva anche degli interessi maturati dall’evento lesivo ad oggi, su cui comporteranno gli interessi legali ulteriori della decisione.

A titolo di danno morale, liquidabile nella specie, essendo ipotizzabile nel caso in esame la fattispecie del reato di lesioni colpose per violazione del principio costituzionale della possibilità di autodeterminarsi, attese le gravi sofferenze patite dalla B., costretta ormai per sempre a vivere allettata, incontinente e che, tragicamente, (vedesi C.T.U.) dichiara di “essere trattenuta dal porre fine alla sua vita unicamente del pensiero dei figli”, il Tribunale ritiene di liquidare equitativamente la somma di £ 300.000.000, e espressa con riferimento al potere attuale di acquisto della moneta, oltre interessi legali ulteriori della decisione. (vedi in merito alla possibilità di liquidazione di danno morale, in ipotesi di assenza di consenso informato: Corte di Appello di Genova 5/4/1995)

A titolo, invece di danno emergente progresso per spese mediche e varie documentate vanno liquidate £. 46.504.299, da rivalutare in £. 53.563.651 (£.46.504.299x1,1518 coef. riv. avuto equitativamente a riferimento dell’ottobre 1993), oltre interessi legali sull’importo non rivalutato dall’epoca dei rispettivi esborsi (vedi in merito al calcolo degli interessi nelle obbligazioni di valore:

Cass. S. Un. 22/4/1995 n. 1712 e fatture e ricevute in atti).

Infine, a titolo di danno emergente per spese future, attesa la sicura necessità dell’attrice di avvalersi continuamente di aiuto estraneo da remunerare anche per i più semplici atti quotidiani, considerata la prospettiva ipotizzabile di vita futura dell’attrice, il Tribunale ritiene di liquidare, equitativamente, l’ulteriore somma di £. 200.000.000, sempre con riferimento all’attuale potere di acquisto della moneta e con interessi legali della decisione. Tale somma appare congrua, anche atteso che viene liquidato ad oggi anticipatamente un importo che l’attrice dovrebbe essere corrisposto periodicamente in epoca successiva.

Occorre, ora, esaminare le richieste risarcitorie avanzate dagli interventori, T. C., marito dell’attrice e T. P. e F., figli della stessa B., che, nelle aspettative comparse di intervento, hanno richiesto i risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali da loro direttamente subite in conseguenza delle lesioni riportate della loro congiunta.

Appare, quindi, necessario formulare alcune osservazioni che a, giudizio del Collegio, legittimo il riconoscimento di questo diritto ed il conseguente accoglimento delle relative domande di risarcimento.

Il Tribunale non ignora che, ancora recentemente la Suprema Corte (Cass. Sez. III, 17 ottobre 1992, n. 1141, Cass. Sez. III 21/5/1996 n. 4671) ha affermato che i prossimi congiunti della persona offesa dal reato di lesioni personali, ancorché eventualmente minore di età, non hanno diritto al risarcimento dei danni non patrimoniali.

La Corte ha giustificato tale affermazione, sostenendo che il riconoscimento della spettanza del risarcimento del danno, quale conseguenza dello stesso reato, anche a favore di altre persone ; sia pure i genitori, significherebbe “duplicare l’obbligo del risarcimento incombente sul colpevole”.

Tuttavia la giurisprudenza di merito ha, invece, evidenziato che, dovendosi ammettere che danneggiato da un fatto illecito è, sia il soggetto che ebbe a subire la lesione, sia chiunque altri abbia risentito, in conseguenza di quel fatto illecito, un qualsiasi momento di varia natura ed entità, deve considerarsi consentita una lettera più ampia e più moderna dell’art. 185 c.p., che, del resto, non sembra trovare ostacolo neanche nella formulazione letterale della disposizione codicistica in parola, la quale non prevede che l’obbligo del risarcimento resti limitato al soggetto passivo del reato stesso.

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E’ stato, infatti, notato che il fondamento della norma è sempre e comunque rappresentato del danno, giacché è la sussistenza di un danno patrimoniale o non patrimoniale cagionato dal reato, che obbliga il colpevole al risarcimento.

Se è vero, infatti, che il danno risarcibile deve essere quello patito dal soggetto passivo, si deve, però, guardare all’insorgere, a seguito della commissione del reato, di un danno e non alla figura del danneggiato, poiché quel danno o comunque altri danni possono essere stati risentiti da una pluralità di persone e non solo dal soggetto direttamente offeso dal reato.

Si è noto, dunque, che la preoccupazione espressa dalla Suprema Corte con le decisioni ricordate appaia non condivisibile, in quanto, nel caso di danno anche per altri soggetti, non ci si trova di fronte alla ripetizione dello stesso risarcimento, già riconosciuto alla persona direttamente offesa dal reato, ma ad un altro e differente risarcimento, quanto all’impostazione di calcolo ed importo.

La giurisprudenza di merito sempre più presenti e soprattutto nel rispetto delle aspirazioni sempre più presenti in materia per l’accresciuta consapevolezza delle implicazioni correlate alle ipotesi di danni, è congiunta ad un’interpretazione estensiva degli artt. 2043 1223 c.c., idonea ad adeguare la portata letterale di tali norme all’effettiva volontà legislativa, e ciò a tutela di un numero di casi più ampio di quello che la mera dizione letterale comporterebbe.

Deve, poi, considerarsi che il danno non patrimoniale va identificato nell’ingiusto perturbamento psichico del danneggiato, derivante dal fatto reato, costituito da quelle sofferenze fisiche e morali, nei confronti delle quali il risarcimento del danno non assume una funzione reintegrativa, ma costituisce solo un’adeguata riparazione (cfr. Cass. Pen., sez. IV, 11 ottobre 1983 n. 8136), la quale, sfuggendo ad una precisa valutazione analitica, resta affidata ad apprezzamenti discrezionali ed equitativi del giudice del merito, il quale nell’effettuare la relativa quantificazione, deve tener conto delle effettive sofferenze patite dall’offeso, della gravità dell’illecito di rilievo penale e di tutti gli elementi peculiari della fattispecie concreta, in modo da rendere la somma riconosciuta adeguata al particolare caso concreto ed evitare che la stessa rappresenti solamente un simulacro di risarcimento (vedi per il concetto di danno non patrimoniale e la sua determinazione equitativa : Cass. Civ., sez.

III, 18 dicembre 1987 n. 9430).

In definitiva, deve concludersi che, secondo concetti già espressi da questo Tribunale in altre decisioni, una restrizione dei soggetti legittimati ad agire per il risarcimento del danno non patrimoniale non risulta dalla lettura dell’art.185 c.p. che si limita, infatti, a circoscriverne la categoria ai danni derivanti dal reato senza porre alcuna esclusione di aventi diritto al risarcimento e che, agli effetti della tutela risarcitoria, ex art. 2043 c.c. degli interessi lesi, non è richiesto normativamente che tali interessi debbano avere circostanza di diritto soggettivi e che, infine, dal tenore normativo dell’art. 2059 c.c., valutato anche alla stregua dei lavori preparatori, emerge che, in caso di reato, è più intensa l’offerta all’ordine giuridico, per cui il risarcimento dei danni non patrimoniali persegue lo scopo di una più rigorosa repressione e prevenzione, di natura estranea alla funzione risarcitoria di altri tipi di danno.

In omaggio ai seguenti principi, il Tribunale ritiene che interventori, stretti congiunti dell’attrice, abbiano diritto al risarcimento del danno morale, anche in considerazione del fatto che hanno continuamente sott’occhio la loro congiunta, irreversibilmente minorata per danno conseguente a fatto reato.

Pertanto, gli interventori hanno diritto iure proprio al risarcimento del danno morale, consistente anche nella violazione del diritto alla serenità familiare, risarcibile in via equitativa (cfr. Tribunale Milano 16 maggio 1988, Nuova giur. Civ. commentata 1989, I, 152).

In proposito, appare opportuno notare che il danno morale, così come il danno biologico, è stato considerato come danno evento, indifettibile all’azione lesiva e, quindi risarcibili indipendentemente dal fatto che il soggetto su cui incide sia il medesimo nei cui confronti si è rivolta la condotta lesiva, oppure se come nel caso in esame sia persona diversa, richiedendosi, però, che la lesione assuma un grado particolarmente elevato ed il rapporto tra il soggetto direttamente leso e l’altro rientri in quella sfera di affettività del tutto particolare, intercorrente tra i coniugi o tra stretti congiunti (quali naturalmente i figli), tale da rendere plausibile,

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aprioristicamente e secondo regole di comune esperienza, tale sofferenza (vedi Tribunale Bologna 16/5/1995 come ha riconosciuto il danno morale in ipotesi di lesioni gravissime agli stretti congiunti e per considerazioni analoghe Tribunale Milano, 18 giugno 1990 ed infine Cass. Pen. Sez.

IV 9/6/1983).

A titolo di risarcimento del danno morale, ritiene il Tribunale di liquidare, valore attuale della moneta ed equitativamente, l’importo di £. 100.000.000 per il marito e £. 50.000.000 per ciascun figlio, somme che appaiono congrue fronte delle sofferenze da ognuno di loro già patite e purtroppo ancora da patire ancora.

Anche la domanda di ristoro del danno biologico sopportato dagli interventori deve essere accolta.

In ipotesi analoghe, è stato chiarito che il diritto risarcitorio al danno biologico sussiste, iure proprio, in quanto gli stretti congiunti subiscono direttamente una lesione del bene salute, da intendersi come diritto all’integrità psichica e a tutte le sue estrinsecazioni, ivi compresa la perdita di interesse e di iniziativa, avendosi riguardo alle implicazioni che il fatto lesivo può produrre sull’emotività e sull’equilibrio personale e con riferimento anche alla futura difficoltà di partecipare alla vita sociale e alla subita demotivazione alle prospettive di vita futura (Tribunale Milano 2/9/1993).

Per maggior completezza di motivazione, deve rilevarsi ai fini del risarcimento di tale voce di danno che, a seguito dell’evento dannoso, il regolare rapporto familiare è stato inciso e pregiudicato (cfr. In proposito Tribunale Vicenza 27 gennaio 1990 per analoghe considerazioni relative però ad ipotesi di lesioni ad un figlio), con la logica conseguenza che gli terventori sono stati, sono e saranno costretti a svolgere, a causa delle conseguenze lesive dell’evento, prestazioni di carattere, non solo personale, superiori agli obblighi stabiliti per legge. (Tribunale Milano 1973/1990, Pretura Milano 4/4/1996, Tribunale Milano 4/6/1990)

Deve poi, considerarsi che risulta per gli stessi interventori a causa delle condizioni della loro congiunta impossibile il ripristino di un normale menage familiare, in relazione alle condizioni sociali, economiche e culturali del nucleo familiare stesso, con particolare riferimento alla vita di relazione della coppia e del rapporto madre figli, con conseguente impossibilità di continuare ad intrattenere, quasi del tutto, le pregresse relazioni sociali.

Per il marito dell’attrice si aggiunge, poi, l’impossibilità di continuare ad avere una normale vita sessuale coniugale per le attuali condizioni della moglie, circostanza questa che ricade sicuramente nel concetto di danno biologico sopra evidenziata e di cui si terrà conto nella liquidazione. (vedi Cass. 21/5/1996 n. 4671, Corte Costituzionale 18/12/1987 n. 561)

Ritiene, quindi, il Tribunale, valutata ogni circostanza sopra individuata, in relazione alle rispettive condizioni degli interventori, di liquidare, al valore attuale della moneta ed equitativamente, l’importo di £. 50.000.000 per ciascun figlio e £. 100.000.000 per il T. C., oltre sempre interessi legali della decisione.

In definitiva, il Dr. M. e la s.a.s. Centro di Radiologia “Prof. M.” vanno condannati solidamente al pagamento in favore dell’attrice della complessiva somma di £. 883.563.651, oltre interessi legali decorrenti come sopra indicato ed in favore dell’interventore T. C. della somma di £. 200.000.000 e degli interventori T. P. e T. F. Della somma di £. 100.000.000 ciascuno, oltre interessi legali dalla decisione.

Va poi accolta la domanda di garanzia spiegata dal centro di Radiologia “Prof. V. M.” nei confronti della s.p.a. Reale Mutua nei limiti del massimale di polizza e, quindi, la s.p.a. Reale Mutua va condannata a tenere indenne la propria assicurata di quanto la stessa dovrà pagare per sorta, interessi e spese per l’effetto della presente decisione nei limiti del massimale di polizza.

Uguale pronuncia dovrà, poi, farsi nei confronti della s.p.a. Fondiaria Assicurazioni, compagnia assicuratrice del Dr. M. per la responsabilità professionale, interventrice adesiva nel presente giudizio, per far dichiarare l’irresponsabilità del proprio assistito.

La predetta pronuncia, nei limiti del prodotto massimale di polizza di £. 1.000.000.000, può essere assunta anche in assenza di chiamata in garanzia da parte del convenuto M., rimasto

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personalmente contumace, avendo la s.p.a. Fondiaria concluso, sia pure in via subordinata, chiedendo che, nella denegata ipotesi di accoglimento della domanda attrice, l’obbligo della Fondiaria stessa fosse limitato nei limiti della garanzia assicurativa recata dalla polizza n.

60.510.753.82 e separatamente al “massimale persona” di £. 1.000.000.000, come da polizza da essa contestualmente prodotta, dando quindi, accettazione ad una pronuncia di rivalsa nei suoi confronti, che, del resto l’assicurato avrebbe potuto azionare in diverso giudizio, con esiti sicuramente favorevoli. (vedi conclusioni del procuratore della s.p.a. Fondiaria a verbale dell’udienza di precisazione delle conclusioni del 20/6/1996)

Le spese seguono la soccombenza, con liquidazione come in dispositivo (comprensive anche delle spese stragiudiziali, ove utili, necessarie e non eccessive), rimarcandosi che non compete la richiesta rivalutazione monetaria delle processuali sostenute (vedi Cass. 14/4/1991 n. 2247).

Motivo di equità inducono all’integrale compensazione delle spese tra l’attrice, gli interventori e la convenuta s.p.a. Casa del Sole.

La presente decisione è provvisoriamente esecutiva per legge, non è necessario farne oggetto di un capo specifico del dispositivo.

P. Q. M.

Il Tribunale di Napoli, definitivamente pronunziando in ordine alla domanda proposta da B. M.

G., con atto di citazione notificato il 7-14/4/1994, nonché sulle domande svolte nelle rispettive comparse di intervento da T. C., T. F. E T. P., così provvede :

a) condanna il Dr. P. M. e lo Studio “Prof. V. M. del Dr. R. M. e C. s.a.s. al pagamento solidale in favore dell’attrice della somma di £. 783.563.651, oltre interessi legali così come precisato in motivazione ed al pagamento in favore di T. C. della somma di £. 200.000.000, oltre interessi legali dalla decisione ed al pagamento infine in favore di T. F. e T. P. della somma di £.

100.000.000 ciascuno, oltre interessi legali della decisione ;

b) rigetta le domande dell’attrice e degli interventori nei confronti della s.p.a. Casa del Sole, compensando le spese di giudizio ;

c) condanna i convenuti Dr. P. M. e lo studio “Prof. V. M.” di R. M. e C. s.a.s. al pagamento delle spese di giudizio attrici che si liquidano in complessive £. 30.659.915, di cui £. 2.659.915 per spese, £. 11.000.000 per diritti e £. 16.000.000 per onorari oltre IVA, C.P.A. e rimborso spese come per legge, con distrazione in favore dell’Avv. E. L., anticipante ; condanna i medesimi convenuti ala pagamento delle spese processuali degli interventori T. P. e F. liquidate in complessive £. 14.544.900, di cui £. 544.900 per spese, £. 6.000.000 per diritti e £. 8.000.000 per onorari, oltre IVA e C.P.A. e rimborso spese generali come per legge con distrazione in favore dell’Avv. M. L., anticipante ed infine alle spese in favore dell’interventore T. C., liquidate in £.

13.500.000, di cui £. 5.000.000 per spese, £. 6.0000.000 e £. 7.000.000 per onorario, oltre IVA e C.P.A. come per legge e rimborso spese generali, con distrazione in favore dell’Avv. E. L., anticipante ;

d) condanna la s.p.a. Reale Mutua Assicurazioni e la Fondiaria Ass.ni s.p.a. a tenere indenni i rispettivi assicurati Dr. P. M. e Studio “Prof. V. M.” del Dr. R. M. e C. s.a.s. di quanto dai loro assicurati pagato effetto della presente decisione per sorta, interessi e spese nei limiti dei massimali di polizza rispettivi.

Così deciso in Napoli, il 30/1/1998, in Camera di Consiglio.

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