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PAOLA LICCI
Disponibilità del diritto, inderogabilità della normativa e interessi superindividuali: quali i limiti alla arbitrabilità delle liti societarie?
1. – Con la sentenza in commento (1), la Corte torna sul tema della arbitrabilità delle controversie in materia societaria quando siano gioco norme inderogabili di legge poste anche a tutela degli interessi della società e di terzi.
Proposto appello avverso la sentenza con cui viene disposta la revoca dalla carica di amministratore in una società in accomandita semplice per violazione delle disposizioni che prescrivono la chiarezza e la precisione dei bilanci, la Corte d’appello torinese decide nel merito e rigetta l’eccezione di improponibilità della domanda sollevata a causa della presenza di una clausola compromissoria per arbitrato irrituale nello statuto sociale. In forza della convenzione arbitrale, la lite avrebbe dovuto essere sottratta alla cognizione dei giudici dello Stato e decisa da arbitri.
Il ricorso per cassazione (2), , avente ad oggetto la sentenza di seconde cure, verte sulla violazione dell’art. 806 c.p.c. Erroneamente – secondo il ricorrente – la Corte d’appello ha deciso nel merito della controversia attesa la presenza di una clausola compromissoria statutaria che avrebbe dovuto vincolare le parti alla via arbitrale, privando il giudice del potere giurisdizionale. In alternativa, avrebbe dovuto invece dichiarare efficace la convenzione di arbitrato declinando la propria competenza in favore dei giudici privati.
Nel dichiarare infondato il motivo di ricorso, la Corte di legittimità afferma la generale compromettibilità delle controversie societarie fatta eccezione per quelle che coinvolgono interessi della società o dei terzi protetti da norme inderogabili di legge. Ancora una volta (3), quindi, l’arbitrabilità delle liti in materia di società viene ancorata alla natura superindividuale delle situazioni soggettive tutelate. L’area dell’indisponibilità dei diritti (unico limite positivamente imposto alla compromettibilità) andrebbe perciò a coincidere con interessi protetti da norme inderogabili «la cui violazione determina una reazione dell’ordinamento svincolata da qualsiasi iniziativa di parte».
2. – Il caso di specie origina da una domanda di revoca dell’amministratore di una società in accomandita semplice per violazione delle disposizioni che prescrivono la precisione e la chiarezza dei bilanci. E’ questa, a detta della sentenza, una materia che coinvolge interessi collettivi dei soci e dei terzi tutelati da norme cogenti, e perciò non arbitrabile (4). In sostanza, viene assunto come
(1) Per un primo commento alla sentenza vd. D. De Giorgi, I limiti alla compromettibilità in arbitri di controversie societarie:
una decisione discutibile della Cassazione, in Corr. giur. 2012, 366 ss.
(2) La censura si articola in realtà su due motivi, essendo dedotta anche la nullità del procedimento e della sentenza per difetto di integrità del contraddittorio, ma qui interessa soffermarsi solo su quello relativo alla violazione dell’art. 806 c.p.c.
(3) All’uopo la sentenza cita dei precedenti giurisprudenziali conformi. Cfr. Cass. 23 febbraio 2005, n. 3772, in Soc.
2006, 637 ss., con nota di N. Soldati, Arbitrato societario e impugnazione di delibera assembleare consortile, e in Riv. arb. 2006, 297 ss.
con nota di L. Groppoli, L’incidenza dell’interesse «sociale» sull’arbitrabilità; Cass. 18 febbraio 1988, n. 1739, in Foro it. 1988, I, 3349; Cass. 7 febbraio 1968, n. 404; Cass. 19 settembre 2000, n. 12412, in Giust. civ. 2001, I, 405 ss., con nota di G. Vidiri, Compromesso (e clausola compromissoria) e controversie in materia societaria.
(4)Nello stesso senso vd. Trib. Belluno, 26 ottobre 2005, in Giur. it. 2006, 1639, con nota di F. Restano, Brevi considerazioni sull’arbitrato societario quale strumento per la risoluzione delle controversie tra amministratori e società; Trib. Biella 8 gennaio 2001, in Giur. it. 2001, 978, con nota di A. Bertolotti, Revoca di amministratore, tutela cautelare, compromettibilità in arbitri:
osservazioni sul tema; Trib. Cagliari 17 novembre 1997, in Riv. giur. sarda 1998, 749; Trib. Padova 20 giugno 1989, in Foro pad.
1989, I, 327. Contra Trib. Monza 14 dicembre 2001, in Soc. 2002, 1019 con nota di M. Cupido, Procedimento per la revoca
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parametro per la valutazione della compromettibilità della lite la inderogabilità della normativa che regola la materia, da cui si fa discendere in automatico la indisponibilità dei diritti controversi.
Il ragionamento giurisprudenziale parte dall’assunto erroneo che norme inderogabili e diritti indisponibili siano coincidenti. Così, ogniqualvolta un diritto è regolato da una disposizione a tutela di interessi superindividuali, esso è sempre non arbitrabile perché non disponibile.
L’art. 34 d. lgs. 17 gennaio 2003, n. 5 (5), nell’individuare i limiti oggettivi all’arbitrabilità delle liti societarie, non lascia traccia dell’impossibilità di devolvere ad arbitri controversie su diritti regolati da disposizioni inderogabili di legge. Ai sensi dell’art. 34 cit., infatti, «gli atti costitutivi delle società (…)possono, mediante clausole compromissorie, prevedere la devoluzione ad arbitri di alcune ovvero di tutte le controversie insorgenti tra i soci ovvero tra i soci e la società che abbiano ad oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale» (6) (7).Unico limite oggettivo è quindi la disponibilità del diritto in contesa (8).
La disponibilità del diritto costituisce d’altra parte un limite generale alla risoluzione delle controversie fondata su una manifestazione di volontà privata (sia essa contenuta in un negozio o in una convenzione che demanda a terzi la risoluzione della lite) (9). Resta da comprendere, al fine di delimitare l’area dell’arbitrato, quale sia in concreto il significato da attribuire a “diritti disponibili”
e se per caso l’accezione ai fini dell’arbitrato sia più limitata o più ampia di quella generale. Un riferimento normativo è rinvenibile nell’art. 1966, comma 2, c.c. il quale si limita, in relazione alla transazione, a prevedere che la indisponibilità dei diritti deriva da espressa disposizione di legge o dalla natura degli stessi. Nel primo caso nulla questio: se è la legge a prevedere che un diritto non possa essere liberamente disposto dal suo titolare, allora certamente esso non potrà costituire oggetto di arbitrato nel caso in cui sorga una controversia che lo riguardi. Più problematico è invece individuare quando un diritto è indisponibile per natura.
3. – Tracciare i confini della indisponibilità per natura si è detto essere compito assai arduo
(10). All’uopo ciò che rileva è l’esistenza, rispetto al diritto controverso, del potere negoziale in capo
dell’amministratore di società personale; Trib. Catania 28 marzo 1998, in Giur. comm. 2000, II, 507, con nota di A. Mirone, Questioni in tema di arbitrato e controversie societarie, con riferimento particolare al bilancio delle società di persone.
(5) Si precisa che le norme sull’arbitrato societario sono le uniche ad oggi sopravvissute all’abrogazione graduale del d.
lgs. 17 gennaio 2003, n. 5 prima ad opera della l. 19 giugno 2009, n. 69 e poi del d. lgs. 4 marzo 2010, n. 28.
(6) L’art. 12 della legge delega 3 ottobre 2001, n. 366 nel delegare il governo ad emanare entro un anno nuove norme di procedura « per una più rapida ed efficace risoluzione » delle controversie societarie, stabiliva al terzo comma che la riforma « può altresì prevedere la possibilità che gli statuti delle società commerciali contengano clausole compromissorie, anche in deroga agli articoli 806 e 808 del codice di procedura civile». Il legislatore delegante, in sostanza, autorizzava il delegato a rendere possibile l’arbitrato societario anche per controversie riguardanti diritti indisponibili. Tale facoltà non è stata sfruttata sicché la materia indisponibile resta ad oggi incompromettibile. Sulla previsione della legge delega vd. in particolare G. Ruffini, Arbitrato e disponibilità dei diritti nella legge delega per la riforma del diritto societario, in questa Rivista 2002, 133 ss.; Id., Il nuovo arbitrato per le controversie societarie, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2004, 499 ss.; F.P. Luiso, Commento sub art. 34 d. lgs.
17 gennaio 2003, n. 5, in Il nuovo processo societario, a cura di F.P. Luiso, Torino 2006, 562 s.; S. Chiarloni, Appunti sulle controversie deducibili in arbitrato societario e sulla natura del lodo, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2004, 127 ss.
(7) Ai sensi dell’art. 34, comma 5, cit., non possono inoltre costituire oggetto di clausola compromissoria «le controversie nelle quali la legge preveda l’intervento obbligatorio del Pubblico Ministero».
(8) La disponibilità del diritto rappresenta altresì un limite generale alla compromettibilità in arbitri ai sensi dell’art.
806 c.p.c.
(9) Il d. lgs. 4 marzo 2010, n. 28, che ha generalizzato la mediazione per le controversie civili e commerciali, prevede la disponibilità del diritto quale limite alla mediabilità della lite. In argomento vd. R. Tiscini, La mediazione civile e commerciale.
Composizione della lite e processo nel d. lgs. n. 28/2010 e nei D.M. nn. 180/2010 e 145/2011, Torino 2011, 21 ss.
(10) Per una elencazione della casistica di diritti indisponibili per natura vd. E. Zucconi Galli Fonseca, Commento sub art. 806 c.p.c., in Arbitrato, Commentario diretto da F. Carpi, Bologna 2007, 27 ss.; Id., Commento sub art. 806 c.p.c., in La nuova disciplina dell’arbitrato, Commentario a cura di S. Menchini, Padova 2010, 6 ss. vd. anche P. Licci, L’ambito di applicazione del d.
lgs. n. 28/2010, in Corso di mediazione civile e commerciale, a cura di R. Tiscini, Milano 2012, 27 ss.
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alle parti, ossia del potere di darsi regole di condotta che l’ordinamento recepisce come vincolanti
(11). Ove manchi il potere negoziale allora il diritto è indisponibile e non arbitrabile.
A nulla invece rileva la presenza di norme inderogabili di legge che regolano la materia controversa. Queste ultime impediscono alle parti e all’arbitro di dare al rapporto una disciplina contrastante con quanto previsto dalla norma, ma lasciano alla parte, la cui situazione soggettiva è oggetto di protezione, la libera disponibilità dei diritti, una volta che questi siano sorti (e quindi la scelta di ricorrere all’arbitrato). Così, ad es., nelle controversie di lavoro, le voci componenti la retribuzione sono regolate da norme inderogabili sicché ogni atto dispositivo di esse deve essere conforme alla normativa inderogabile, pena la sua eventuale annullabilità su istanza della parte interessata. Ciò non toglie però che il lavoratore possa ugualmente disporne (12). E’ sua la scelta di far valere una regola posta nel proprio interesse. Se non lo fa, l’atto dispositivo è perfettamente valido.
In altre parole, mentre la norma inderogabile non impedisce l’arbitrabilità della lite ma fissa solo delle regole che devono essere applicate dall’arbitro chiamato a decidere (a pena di annullabilità della decisione arbitrale che l’interessato può o meno far valere), l’indisponibilità del diritto rende inammissibile qualsiasi decisione arbitrale su di esso (13).
Anche la presenza di interessi collettivi o superindividuali disciplinati da norme imperative (14) non è sufficiente per escludere la disponibilità e quindi l’arbitrabilità della lite. La superindividualità delle situazioni soggettive tutelate non importa necessariamente la indisponibilità del relativo diritto, potendo l’interesse pubblico essere garantito da strumenti di tecnica processuale come l’impugnazione del lodo.
Quando alla materia controversa siano sottese norme a tutela dell’ordine pubblico, l’arbitro può decidere purché attraverso la propria decisione non giunga ad un risultato con esse contrastante
(15). La possibilità di impugnare il lodo per errores in iudicando in iure è più che sufficiente per raggiungere lo scopo: impedire che producano effetto dei lodi il cui contenuto è incompatibile con l’ordine pubblico e le norme imperative.
In estrema sintesi, anche in presenza di interessi superindividuali l’arbitro può decidere purché non produca un risultato contrastante con l’ordine pubblico, risultato che altrimenti sarà dichiarato nullo (16)(17) .
(11) Così F.P. Luiso, Diritto processuale civile, V, Milano 2011, 80.
(12) In tal senso, F.P. Luiso, L’impugnazione del lodo di equità, in Riv. arb. 2002, 462; P. Licci, op. ult. cit., 30, 31.
(13) Sul rapporto tra norma inderogabile e indisponibilità dei diritti vd. R. Tiscini, La mediazione civile e commerciale, cit., 22; G.F. Ricci, Dalla «transigibilità» alla «disponibilità» del diritto. I nuovi orizzonti dell’arbitrato, in Riv. arb. 2006, 267 ss.; F.
Ungaretti Dell’Immagine, Note su indisponibilità dei diritti, inderogabilità della normativa ed impugnazione delle delibere assembleari, in Riv. Arb. 2009, 329 ss.; F. De Santis, Inderogabilità della norma, disponibilità del diritto ed arbitrabilità delle controversie societarie, in Giur.
merito 2008, 2254 ss.; P. Licci, L’ambito di applicazione, in Osservatorio sulla mediazione civile e commerciale, a cura di G. Scaccia e R.
Tiscini, in Notarilia 2011, 58 ss.
(14) Sul rapporto tra norma imperativa e norma inderogabile vd. E. Russo, Norma imperativa, norma cogente,norma inderogabile, norma indisponibile, norma dispositiva, norma suppletiva, in Riv. dir. civ. 2001, I, 573 ss.
(15) In argomento F.P. Luiso, L’impugnazione del lodo, cit., 463, secondo cui «la contrarietà del lodo all’ordine pubblico non origina, in sé dalla violazione delle norme inderogabili, quanto dal risultato cui esso giunge».
(16) Sulla differenza tra nullità e annullabilità del lodo v. F.P. Luiso, op. ult. cit., 467.
(17) D’altra parte, la scelta di prevedere per l’arbitrato societario la disponibilità del diritto in luogo della transigibilità (come previsto per l’arbitrato di diritto comune dal vecchio testo dell’art. 806 c.p.c. precedente alla riforma del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40) quale limite all’arbitrabilità delle controversie implica che sia possibile compromettere in arbitri anche materie che non possono costituire oggetto di transazione come le questioni di nullità derivanti dall’illiceità dei negozi per violazione di norme imperative o di ordine pubblico. Ciò che rileva ai fini dell’arbitrato è che il diritto sia disponibile.
Pertanto anche in presenza di norme imperative e di ordine pubblico è possibile compromettere in arbitri salvo che il legislatore abbia inteso tutelare l’interesse pubblico a tal punto da comprimere in senso assoluto ogni disponibilità del diritto.
In tal senso v. G.F. Ricci, op. ult. cit., 267 secondo cui «se il fondamento del divieto dell’art. 1972 c.c. sta nella tutela di principi di ordine pubblico volti ad impedire che attraverso un regolamento negoziale si abbia la sanatoria di un particolare tipo di nullità che più di altre l’ordine pubblico offende, non si può certo dire che lo stesso fondamento possa rinvenirsi in un ipotetico divieto di sottoporre ad arbitri la controversia, giacché con l’arbitrato si ha l’effettiva applicazione di quella
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4. – Veniamo alla questione della compromettibilità in arbitri delle controversie relative alla revoca degli amministratori di società personali.
Occorre muovere dalla verifica della disponibilità del diritto del singolo socio accomandante di richiedere la revoca dalla carica di amministratore del socio accomandatario. La sentenza offre una risposta negativa al quesito in forza della presenza nella materia in esame di interessi protetti da norme inderogabili, la cui violazione determina una reazione dell’ordinamento svincolata da qualsiasi iniziativa di parte. In particolare, il problema della compromettibilità si pone quando le ragioni poste alla base della richiesta di revoca dell’amministratore attengono alla violazione dei principi di chiarezza e verità del bilancio a tutela di un interesse collettivo (18).
Il piano dell’indagine andrebbe distinto – contrariamente a quanto fatto dalla sentenza in commento – sotto due profili: da un lato, la verifica della generale arbitrabilità delle liti sulla revoca degli amministratori nelle società personali, indipendentemente dalla natura della giusta causa ex art.
2259 c.c.; dall’altro, l’esame delle ragioni che conducono il socio a richiedere la revoca dell’amministratore, per valutare quale incidenza possano avere le cause di revoca ai fini della disponibilità del diritto in contesa.
Iniziamo dal primo dei due profili.
Parte della giurisprudenza è incline a ritenere che non sia compromettibile in arbitri la domanda di revoca del socio accomandatario dal potere di amministrare, poiché il suo eventuale accoglimento comporta lo scioglimento della società per impossibilità di funzionamento (19). Il che lederebbe interessi collettivi. Tale indirizzo tuttavia non tiene conto che unico limite alla compromettibilità è la disponibilità del diritto, non anche la natura degli interessi protetti dalla norma. Si è detto che si ha un diritto disponibile quando rispetto ad esso le parti hanno un potere negoziale, ossia il potere di stabilire regole di condotta vincolanti, provocando una modificazione giuridica di pari effetto a quella che potrebbe prodursi con una decisione di un giudice (20).
Sotto questo profilo, il diritto di revoca del socio è perfettamente disponibile. Infatti, ai sensi dell’art. 2259 c.c. – norma applicabile anche nel caso di società in accomandita semplice – la revoca
«può» essere chiesta giudizialmente da ciascun socio. Il che significa che il socio ha la facoltà e quindi la disponibilità di rimuovere l’amministratore dal suo ufficio, a nulla rilevando l’interesse generale eventualmente sotteso alla richiesta di revoca (21). E’ evidente quindi che, contrariamente a quanto affermato dalla sentenza, l’azione è vincolata all’iniziativa della parte che gode del diritto disponibile di richiedere la revoca dell’amministratore.
Quanto al rischio che la revoca comporti per la s.a.s. lo scioglimento della società per impossibilità di funzionamento ai sensi dell’art. 2323 c.c. (22), anche esso è rimesso alla libera iniziativa della parte ed è perciò disponibile. In altre parole, se dalla richiesta di revoca
sanzione che l’art. 1972 c.c. non vuole esclusa». Così anche E. Zucconi Galli Fonseca, Commento sub art. 806 c.p.c., in La nuova disciplina, cit., 5. Diversamente, F. Corsini, Prime riflessioni sulla nuova riforma dell’arbitrato, in Corr. giur., 2006, 516 ss.; F. Carpi, Profiuli dell’arbitrato in materia di società, in Riv. arb. 2003, 417 ss. In argomento vd. anche G. Ruffini, Arbitrato e disponibilità dei diritti, cit., 142.
(18) Sui motivi della revoca v. § successivo.
(19) Così Trib. Belluno, 26 ottobre 2005, cit. secondo cui sarebbe invece compromettibile solo la controversia relativa all’esclusione del socio. Vd. anche Trib. Biella, 8 gennaio 2001, cit.; Cass. 15 marzo 1983, n. 1900, in Giur. comm. 1983, II, 829. Contra Trib. Monza, 14 dicembre 2001, cit.; Trib. Genova, 25 gennaio 1982, in Giur. comm. 1982, II, 684; Trib. Catania, 28 marzo 1998, cit., secondo cui l’arbitrato sulla revoca dell’amministratore di società personali sarebbe disponibile in quanto azione di tipo strettamente personale.
(20) Cfr. E.F. Ricci, Il nuovo arbitrato societario, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2003, 522.
(21) Vd. Trib. Monza, 14 dicembre 2001, cit., secondo cui «ben si possono immaginare situazioni ove le parti azionino diritti affidati al privato anche nell’interesse generale, eppur rinunziabili e disponibili dallo stesso, poiché il legislatore confida proprio nella razionalità del soggetto agente».
(22) Ai sensi dell’art. 2323 c.c. la società in accomandita semplice si scioglie quando rimangono solo soci accomandanti o solo accomandatari e nel termine di sei mesi non sia sostituito il socio che è venuto meno.
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dell’amministratore accomandatario vengono meno le condizioni per la sopravvivenza della società (perché ad esempio, come nel caso di specie, si ha una società con due soli soci, e viene meno il socio accomandatario), chi ha agito esercitando il diritto di revoca può sempre consentire l’ingresso di un altro socio accomandatario o la modifica dell’atto costitutivo che trasformi l’accomandante in accomandatario (23), evitando così lo scioglimento. Il singolo socio ha quindi sempre il potere di scegliere se agire e se far conseguire alla sua azione la perdita di funzionamento della società.
Concludendo, il diritto di ottenere la revoca dell’amministratore di una s.a.s. ha natura disponibile in quanto è affidato dall’ordinamento al singolo socio il quale ha la facoltà di esercitarlo o di rinunziarvi anche se ciò dovesse comportare la lesione di interessi di soggetti terzi la cui azione resterebbe comunque impregiudicata (24).
5. – Pure riconoscendo in linea di principio l’arbitrabilità delle controversie societarie, e non escludendo espressamente la compromettibilità delle liti sulla revoca degli amministratori, la sentenza nega la disponibilità della materia quando la giusta causa ex art. 2259 c.c. sia rappresentata dalla violazione da parte dell’amministratore delle disposizioni che prescrivono la chiarezza e la precisione del bilancio. In sostanza il giudicante ritiene che il motivo della revoca sia assorbente tanto da qualificare differentemente l’azione come disponibile oppure no. Se la causa della revoca è legata alla violazione di interessi superindividuali –afferma la sentenza - allora il diritto dell’art.
2259 c.c. è indisponibile. Se ne deduce a contrario che ove alla revoca siano sottesi interessi individuali del socio essa sarà arbitrabile. In altre parole, la verifica della possibilità di ricorrere all’arbitrato trascende dal petitum dell’azione promossa e dipende solo dalle ragioni che vengono addotte a fondamento della domanda di revoca.
La scelta non è condivisibile.
Ogniqualvolta venga promossa un’azione ex art. 2259 c.c., l’indagine sulla sussistenza di una giusta causa si risolve nella verifica dell’adempimento da parte dell’amministratore dei doveri che garantiscono il funzionamento della società, a nulla rilevando se siano doveri posti nell’interesse solo della società o anche di terzi. Oggetto del controllo di disponibilità nell’azione di revoca per giusta causa non può che essere il diritto ad ottenere la rimozione dell’amministratore dal suo ufficio, a prescindere dal tipo di comportamento che dà luogo alla revoca. L’interesse superindividuale eventualmente leso dall’azione dell’amministratore non costituisce oggetto di indagine nel giudizio sulla revoca ma rappresenta solo un elemento alla stregua del quale si decide se il potere dell’art. 2259 c.c. è stato correttamente esercitato.
D’altra parte, se è certo che il socio può non esercitare il diritto di revoca, non si comprende perché dovrebbe essergli negata la possibilità di rinunciare a tale diritto quando vi sia violazione di norme inderogabili. Il diritto alla richiesta di revoca o è disponibile o non lo è. Non si può subordinare l’arbitrabilità della materia alle ragioni sottese all’azione promossa (25).
Ad ogni buon conto, ove volesse estendersi la ratio dell’arbitrabilità anche alle cause della revoca, non è detto che gli interessi sottesi alle regole che prescrivono la chiarezza e la precisione dei bilanci determinino la indisponibilità della materia, tanto vero che non può rendersi indisponibile la materia ma solo il diritto.
(23) Così Cass. 23 luglio 1994, n. 6871, in Foro it. 1996, I 248.
(24) In tal senso A. Mirone, Questioni in tema di arbitrato e controversie societarie, cit., 528 ss.
(25) In tal senso v. A. Mirone, Questioni in tema di arbitrato e controversie societarie, cit., 528 ss; M. Cupido, Procedimento per la revoca, cit., 1021; V. Salafia, La clausola compromissoria negli statuti sociali, in Soc. 2001, 1043; F. Restano, op. cit., 1648. Con riferimento all’impugnativa delle deliberazioni sul bilancio v. L. Salvaneschi, Dall’equazione “impugnazione di bilancio = mai compromettibile” all’equazione “impugnazione di bilancio = sempre compromettibile”, in Corr. giur. 2011, 1140, secondo cui l’arbitrabilità di una controversia è data dalla disponibilità del diritto che ne costituisce oggetto, a prescindere dal vizio che si fa valere attraverso l’impugnativa della delibera assembleare; Id., Impugnativa in via arbitrale della delibera di approvazione del bilancio, in Riv.
arb. 2010, 60 ss.
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Si è’ già detto (26) infatti che la superindividualità delle situazioni soggettive tutelate non importa necessariamente la indisponibilità del relativo diritto, potendo l’interesse pubblico essere fatto valere attraverso l’impugnazione del lodo. L’eventuale lesione dell’ordine pubblico (27) che giustifichi la richiesta di revoca dell’amministratore può essere accertata tanto dal giudice quanto dall’arbitro, fermo restando che il perdurare della lesione all’interesse pubblico dopo la pronuncia del lodo, per un errore di giudizio dell’arbitro, sarà sindacabile in sede di impugnazione (28).
6. – La soluzione condivisa dalla sentenza in commento, che porta ad escludere l’arbitrabilità dell’azione di revoca degli amministratori di società personali ogniqualvolta siano in gioco interessi superindividuali, rappresenta una occasione persa per individuare concretamente i confini della disponibilità del diritto.
Il problema della compromettibilità è nodale per l’efficienza dell’arbitrato societario. Negare il diritto di avvalersi della clausola compromissoria sol perché siano in gioco interessi collettivi significa condannare l’arbitrato del d. lgs. 5/2003 a non funzionare. D’altronde la lite sociale è per eccellenza caratterizzata da un oggetto collettivo e riguarda il più delle volte interessi che travalicano quelli dei singoli soci. Ancorare la disponibilità del diritto alla natura del’interesse protetto dalla norma non è perciò di aiuto per tracciare i confini dell’arbitrato societario che altrimenti potrebbe ben di rado operare.
La scelta di autonomia privata liberamente effettuata dalle parti attraverso la clausola compromissoria non può essere penalizzata per la presenza di interessi di terzi. Questi ultimi sono tutelabili anche in sede arbitrale a condizione che siano applicate le norme cogenti da parte dell’arbitro terzo e imparziale.
E’ allora necessario, per garantire l’effettività dell’opzione arbitrale (29), che la disponibilità non sia valutata in rapporto alla titolarità degli interessi protetti ma solo in base alla reale natura del diritto in contesa che abbia le caratteristiche della inalienabilità e della irrinunciabilità. Ma per ora nulla è cambiato.
(26) V. supra § 3.
(27) Si precisa che i concetti di ordine pubblico e interesse pubblico non sono coincidenti. Mentre le norme di ordine pubblico tutelano sempre un interesse generale, non è detto che quest’ultimo sia protetto solo da norme di ordine pubblico.
(28) La possibilità di impugnare il lodo per violazione delle norme di ordine pubblico è poi la prova che anche una materia sorretta da interessi pubblici è arbitrabile. Diversamente, non avrebbe senso alcuno prevedere come motivo di impugnazione un qualcosa (regole di ordine pubblico) che non può costituire oggetto di giudizio.
(29). Così G. Ruffini, Arbitrato e disponibilità dei diritti, cit., 143.