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Academic year: 2022

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Come cambiano le disuguaglianze

Negli ultimi anni sono aumentate le disuguaglianze socioeconomiche nei Paesi avanzati. Queste tendenze hanno riguardato anche l’Italia, dove si sono ampliati i divari tra generazioni e tra aree territoriali.

L’intervento redistributivo delle istituzioni pubbliche non è stato in grado di invertire queste tendenze, nonostante la crescita della spesa sociale complessiva. Serve quindi una prospettiva di più lungo periodo, con politiche capaci di ridurre le disuguaglianze e fare spazio alla costruzione del bene comune.

Devis Geron e Tiziano Vecchiato

Cambiano tra ricchi e poveri

L

e disuguaglianze di reddito stanno subendo l’impatto del- la globalizzazione, dei cambia- menti tecnologici, della cresci- ta dei redditi da capitale, dei cambiamenti nel mercato del lavoro. Nel contempo si è ridotta la capacità dello stato di contenere l’aumento delle disuguaglianze con una equa redistribuzione dei proventi della solidarietà fiscale (Keeley B., 2015).

Qualcosa sta quindi avvenendo, ma in direzioni diverse da quello che ci si poteva aspettare, almeno in due ambiti rilevanti: i redditi da lavoro e la capacità redistributiva dello stato. Vediamo come spiegare queste considerazioni e cosa può aiutarci a capire le tendenze in atto, se necessario a reinter- pretarle, con analisi e strategie in grado di

contrastare la crescita delle disuguaglianze nel nostro paese.

L’Indagine 2018 della Banca d’Italia sui bilanci delle famiglie italiane evidenzia come la quota di ricchezza netta detenuta dal 30 per cento più povero delle famiglie valga circa l’1% della ricchezza complessiva e come tre quarti di queste famiglie siano a rischio di povertà. Non è difficile immagi- narlo visto il valore del tutto residuale della

«ricchezza»

che deten- gono. Non è ricchez- za ma, per una parte di queste f a m i g l i e, è povertà, m i s e r i a ,

AUTORI

Devis Geron, ricercatore Fonda- zione «E. Zancan», Padova.

Tiziano Vecchiato, direttore Fon- dazione «E. Zancan», Padova.

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Analogamente, tra il 2006 e il 2016 il ri- schio di povertà è mediamente diminuito tra i nuclei con capofamiglia pensionato, mentre è aumentato per le famiglie con capofamiglia lavoratore dipendente o auto- nomo (fig. 2) nonché tra i nuclei con capo- famiglia in condizione non lavorativa.

Nel Mezzogiorno quasi una persona su sette (13,3%) vive in una famiglia senza redditi da lavoro (contro il 6,1% dei resi- denti nel Nord e il 6,9% nell’Italia centrale).

Questo dato contribuisce a spiegare il diva- rio territoriale del disagio socioeconomico.

Anche se tra il 2006 e il 2016 il rischio di povertà nell’Italia meridionale è rimasto so- stanzialmente stabile (mentre è aumentato nel Centro-Nord), la percentuale di perso- ne a rischio di povertà nel Mezzogiorno è rimasta circa tripla rispetto al resto del Pae- se (fig. 3). Su 4,7 milioni di persone stimate in povertà assoluta in Italia nel 2016, circa 2 milioni vivevano nel Mezzogiorno, pari al 9,8% dei residenti, mentre la corrisponden- te percentuale era pari al 6,7% nel Nord e al 7,3% nel Centro (Istat, 2017a).

Queste dinamiche della povertà in Italia hanno accompagnato la crescita delle disu- guaglianze reddituali complessive. La disu- guaglianza dei redditi, misurata dall’indice di Gini (una misura di disuguaglianza che varia tra 0 – livello minimo – fino a 1 – livello massimo) nel 2016 ha raggiunto il 33,5 per cento, in aumento rispetto al 33 per cento del 2012 e del 2014 (Banca d’I- talia, 2018). Nei dieci anni tra il 2006 e il 2016 il livello della disuguaglianza (sempre misurato dall’indice di Gini) è aumentato di circa 1,5 punti percentuali.

Purtroppo sono andamenti di lungo pe- riodo che rappresentano la situazione reale al netto degli interventi settoriali per ridurli.

Descrivono uno smottamento sociale ben più forte di tutto quello che si fa per evitar- lo. Misura la sconfitta dell'assistenzialismo di corto respiro utilizzato per arginare le disuguaglianze con trasferimenti che non redistribuiscono ricchezza ma cronicizzano le povertà.

difficile possibilità di sostentamento, cre- scita dei figli, partecipazione alla vita socia- le. I dati dell’Istat confermano che accade più facilmente nelle famiglie con figli pic- coli (Canali C. e altri 2017).

Nel contempo il 30% più ricco delle fa- miglie italiane detiene circa il 75% del pa- trimonio netto complessivo. Oltre il 40%

di questo patrimonio è detenuto dal 5% più benestante tra queste famiglie. Il loro red- dito principale non è da lavoro ma da capi- tale ed è questa una delle ragioni per cui la crisi del mercato del lavoro non penalizza la loro condizione ma per certi aspetti la favorisce.

Sono infatti i primi a beneficiare della ripresa, tra i primi a risentire delle positi- vità/criticità dei mercati finanziari e sono invece le persone e famiglie più povere a risentire delle conseguenze dell’instabilità economica e sociale. Sono condizioni di- suguali perché la perdita maggiore penaliz- za gli ultimi, che inevitabilmente sono più esposti alle influenze negative e non invece a quelle positive. È una delle ragioni per cui le disuguaglianze sono aumentate negli ul- timi anni.

Cambiano tra generazioni e tra Nord e Sud

Tra il 2006 e il 2016 l’andamento del disagio sociale misurato in base al reddito e/o alla ricchezza ha avuto ricadute diverse tra classi d’età e tra zone del Paese. È an- cora la Banca d’Italia (2018) a sottolineare che, complessivamente, la quota di persone a rischio di povertà in Italia è passata dal 19,6% nel 2006 al 22,9% nel 2016. Consi- derando l’incidenza del rischio di povertà a seconda delle caratteristiche del capofa- miglia, risulta però che, nei dieci anni tra il 2006 e il 2016, mediamente la povertà è aumentata soprattutto tra i nuclei familia- ri con capofamiglia più giovane (fino a 45 anni) mentre è diminuita tra i nuclei con capofamiglia con età maggiore di 65 anni (fig. 1).

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Fig. 1 – Incidenza individui a rischio di povertà (%), per età del capofamiglia

0 5 10 15 20 25 30 35

fino a 35 anni da 35 a 45

anni da 45 a 55

anni da 55 a 65

anni oltre 65 anni 2006 2016

Fonte: Banca d’Italia (2018).

Fig. 2 – Incidenza individui a rischio di povertà (%), per condizione professionale del capofamiglia

Fonte: Banca d’Italia (2018).

Fig. 3 – Incidenza individui a rischio di povertà (%), per area geografica di residenza

0 5 10 15 20 25 30 35 40 45

Nord Centro Sud

2006 2016 Fonte: Banca d’Italia (2018).

0 5 10 15 20 25

Lavoratore dipendente Lavoratore

indipendente Pensionato 2006 2016

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L’aumento delle disuguaglianze è dan- noso anche per la crescita economica di lungo termine in quanto l’incremento della disuguaglianza reddituale avrebbe sottratto in media 4,7 punti percentuali alla crescita cumulativa tra il 1990 e il 2010 nei Paesi Ocse (Ocse, 2015).

La capacità redistributiva diminuisce

Con l’espressione «capacità redistributi- va» intendiamo una delle funzioni princi- pali dello stato che con la solidarietà fiscale raccoglie le risorse necessarie per il funzio- namento delle istituzioni nelle loro diverse articolazioni, dei servizi di interesse gene- rale, dei servizi di welfare. L’obiettivo è di raccogliere e redistribuire in modi coerenti con la finalità costituzionale di ridurre le di- suguaglianze, favorendo coesione e giusti- zia sociale. Un modo per capire se e come questo avviene è considerare la distribuzio- ne delle risposte (dove è possibile) o quan- tomeno della capacità di finanziarle con la spesa locale.

In Italia ci sono variazioni territoriali nella capacità di spesa sociale dei comuni che sono storicamente presenti tra le diver- se regioni italiane (tab. 1). Considerando soltanto le regioni a statuto ordinario, nel 2014 il valore di spesa sociale totale più elevato (162 euro pro capite), registrato in Qualcosa di simile sta

avvenendo altrove

Nel 2015 nei Paesi Ocse, il 10% più ric- co della popolazione aveva mediamente un reddito 9,6 volte superiore al reddito del 10% più povero. Negli anni Ottanta questo rapporto era 7,1 ed è poi aumentato fino a 8,1 negli anni Novanta e 9,1 negli anni Duemila. In media, il 10% delle famiglie più ricche detiene la metà della ricchezza totale, mentre il 40% più povero delle fami- glie detiene poco più del 3% del patrimo- nio totale (Ocse, 2015).

Anche nei Paesi Ocse durante la crisi le disuguaglianze sono ulteriormente cresciu- te, soprattutto a causa delle difficoltà nel mercato del lavoro. L’intervento pubbli- co redistributivo ha in parte compensato queste dinamiche, ma i redditi delle fami- glie più povere sono comunque diminuiti in misura significativa, particolarmente nei Paesi maggiormente colpiti dalla crisi. Di conseguenza, anche la ripresa economica registrata negli ultimi anni non ha ridotto le disuguaglianze (fig. 4). Nel 2013/2014, la disuguaglianza dei redditi disponibili (mi- surata con l’indice di Gini) ha raggiunto in media nei Paesi Ocse il livello di 0,318, in aumento rispetto al livello nel 2010 (0,315), leggermente più elevato del valore pre-crisi (0,317 nel 2007) e comunque al livello mas- simo dalla metà degli anni Ottanta (Ocse, 2016).

Fig. 4 – Disuguaglianza (coeff. di Gini) del reddito disponibile, Paesi Ocse, nel 2007, 2010 e 2014

Fonte: Ocse (2016).

0,20 0,25 0,30 0,35 0,40 0,45 0,50

Islanda Norvegia Danimarca Slovenia Finlandia Rep. Ceca Belgio Rep. Slovacca Austria Svezia Lussemburgo Paesi Bassi Ungheria Germania Francia Svizzera Polonia Corea Irlanda Canada Italia Giappone Nuova… Australia Portogallo Grecia Spagna Lettonia Regno Unito Estonia Israele Turchia Stati Uniti Messico Cile OCSE

2014 o ultimo anno disponibile 2010 2007

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bria) era 7,5 volte nel 2010, 6,6 nel 2011, 6,3 nel 2012 e 7,4 nel 2013. Questi differenziali territoriali suggeriscono che le risorse im- pegnate per la spesa sociale dal livello più vicino ai cittadini – quello comunale – non riflettono e vanno in direzione contraria alla distribuzione territoriale del disagio so- cioeconomico.

Nel caso dell’assistenza sociale questa incapacità sistemica di affrontare i proble- mi con maggiore equità costituisce, para- dossalmente, un potenziale molto grande (tab. 2), se solo si identificasse la parte dei trasferimenti da trasformare in servizi, in particolare per la non autosufficienza, l’in- fanzia e la famiglia.

La spesa sanitaria si è invece stabilizzata, in termini aggregati, negli ultimi anni (fino

Tab. 1 – Spesa sociale comunale complessiva, per le persone povere e per quelle in disagio economico, valori in euro pro capite a prezzi correnti, per regione/provincia autonoma, 2014

Regione Spesa sociale

complessiva Spesa per persone in

disagio economico Spesa area povertà Spesa per persone povere e a quelle con

disagio economico

Piemonte 123 41 9 50

Valle d’Aosta 264 10 7 17

Lombardia 120 37 6 43

P.A. Bolzano 486 99 19 119

P.A. Trento 255 18 22 40

Veneto 106 33 8 41

Friuli-Venezia Giulia 240 78 24 102

Liguria 126 27 11 38

Emilia-Romagna 162 26 10 35

Toscana 128 34 11 45

Umbria 86 18 4 22

Marche 110 24 5 29

Lazio 142 32 9 40

Abruzzo 63 8 2 11

Molise 46 7 2 9

Campania 41 6 3 8

Puglia 67 14 6 20

Basilicata 67 11 7 17

Calabria 18 4 2 6

Sicilia 72 13 4 17

Sardegna 237 78 33 112

Italia 114 28 8 36

Fonte: elaborazione Fondazione Zancan su dati Istat.

Emilia-Romagna, superava di 9 volte il va- lore più basso (18 euro pro capite), registra- to in Calabria.

Il valore della spesa comunale per le per- sone in disagio economico nel 2014 oscilla- va da 4 euro pro capite in Calabria a 41 euro pro capite in Piemonte. La spesa per l’area povertà variava da circa 2 euro pro capite in Calabria a 11 euro pro capite in Liguria e Toscana. Nel 2014 c’era un rapporto di 9 a 1 tra il valore della spesa per il contrasto al disagio economico e alla povertà estrema in Piemonte (quasi 50 euro pro capite) e il corrispondente valore in Calabria (poco più di 5 euro pro capite). È un divario più ampio rispetto agli anni precedenti: infatti il rapporto tra la spesa pro capite più eleva- ta (in Piemonte) e quella più bassa (in Cala-

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nel 2016 (tab. 3). In particolare, il trend di crescita della spesa sanitaria nazionale ha conosciuto un rallentamento a partire dal 2006 (anno in cui l’incremento su base an- nua si è fermato al 2,9%, contro il 7% nel

Tab. 2 – Spesa assistenziale riclassificata (valori di spesa in milioni di euro), Italia, 2012-2016

2012 2013 2014 2015 2016 %

Pensioni e assegni sociali 4.075 4.393 4.606 4.740 4.872 7,8

Pensioni di guerra 763 711 665 604 553 0,9

Prestazioni agli invalidi civili 15.003 15.464 15.742 15.864 16.136 25,9

Prestazioni ai non vedenti 1.126 1.139 1.140 1.132 1.138 1,8

Prestazioni ai non udenti 180 184 186 191 195 0,3

Altri assegni e sussidi 3.425 3.595 10.341 13.957 14.460 23,2

Servizi sociali* 8.984 9.073 9.109 8.622 9.149 14,7

Assegni familiari 6.266 6.333 6.311 6.166 6.350 10,2

Integrazioni al minimo delle pensioni 11.200 10.894 10.472 9.940 9.347 15,0

Totale (stima) 51.022 51.786 58.572 61.216 62.200 100,0

* Corrisponde alla voce «Prestazioni sociali in natura» nella classificazione Istat.

Fonte: elaborazione Fondazione Zancan su dati Istat (Istat, 2017b) e Inps (www.inps.it).

Tab. 3 – Spesa sanitaria corrente pro capite (valori in euro), regioni italiane, 2002, 2009 e 2016

Regione 2002 2009 2016

Piemonte 1.387,9 1.914,6 1.878,8

Valle d'Aosta 1.586,8 2.084,9 2.014,9

Lombardia 1.403,9 1.796,8 1.886,9

Provincia autonoma di Bolzano 1.851,9 2.144,5 2.320,1

Provincia autonoma di Trento 1.572,9 2.055,8 2.129,0

Veneto 1.380,9 1.787,3 1.834,4

Friuli-Venezia Giulia 1.398,4 1.973,3 1.932,3

Liguria 1.533,2 2.074,2 2.025,4

Emilia Romagna 1.461,7 1.926,7 1.984,7

Toscana 1.427,1 1.949,8 1.948,2

Umbria 1.434,1 1.836,9 1.901,9

Marche 1.396,1 1.778,3 1.813,2

Lazio 1.438,7 2.061,0 1.830,3

Abruzzo 1.439,8 1.790,2 1.806,7

Molise 1.397,0 2.095,5 2.112,2

Campania 1.325,1 1.762,5 1.716,7

Puglia 1.252,5 1.763,6 1.770,9

Basilicata 1.220,9 1.774,7 1.815,3

Calabria 1.271,6 1.773,5 1.729,7

Sicilia 1.303,5 1.679,9 1.737,9

Sardegna 1.353,7 1.856,6 1.980,5

ITALIA 1.384,1 1.851,4 1.856,1

Fonte: elaborazione Fondazione Zancan su dati Ministero dell’Economia e delle Finanze (2017).

al 2016), dopo andamenti crescenti più marcati nei primi anni Duemila. Lo si può notare confrontando il valore della spesa sanitaria corrente pro capite in Italia nel 2002 con i corrispondenti valori nel 2009 e

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Fig. 5 – Spesa sanitaria corrente pro capite (valori in euro), regioni italiane, 2002

0 500 1.000 1.500 2.000 2.500

Piemonte Valle d'Aosta Lombardia P.A. di Bolzano P.A. di Trento Veneto Friuli Venezia Giulia Liguria Emilia Romagna Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna ITALIA

Fonte: elaborazione Fondazione Zancan su dati Ministero dell’Economia e delle Finanze (2017).

Fig. 6 – Spesa sanitaria corrente pro capite (valori in euro), regioni italiane, 2009

0 500 1.000 1.500 2.000 2.500

Piemonte Valle d'Aosta Lombardia P.A. di Bolzano P.A. di Trento Veneto Friuli Venezia Giulia Liguria Emilia Romagna Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna ITALIA

Fonte: elaborazione Fondazione Zancan su dati Ministero dell’Economia e delle Finanze (2017).

Fig. 7 – Spesa sanitaria corrente pro capite (valori in euro), regioni italiane, 2016

0 500 1.000 1.500 2.000 2.500

Piemonte Valle d'Aosta Lombardia P.A. di Bolzano P.A. di Trento Veneto Friuli Venezia Giulia Liguria Emilia Romagna Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna ITALIA

Fonte: elaborazione Fondazione Zancan su dati Ministero dell’Economia e delle Finanze (2017).

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da improbabili presunzioni controfattuali tipiche dei mondi socialmente pericolosi.

I dati proposti in precedenza descrivono alcune faticose possibilità. Ci sono voluti 15 anni per meglio equilibrare la distribuzio- ne della spesa sanitaria pro capite, al netto delle regioni e province a statuto speciale.

Quanti anni ci vorranno per riequilibrare la distribuzione della spesa per assistenza so- ciale? Quanti anni ci vorranno per riequili- brare il rapporto tra trasferimenti e servizi, rimodulando le voci di spesa assistenziale gestite direttamente dallo stato? Dovreb- bero essere redistributive, come vorrebbe la Costituzione, invece contribuiscono ad aumentare le disuguaglianze e in certi casi ad amplificarle, con la maggiore capacità di trasferimenti economici di alcune regioni rispetto alle altre.

È il paradosso di un welfare che, non da oggi, abbiamo definito «degenerativo»

(Vecchiato T., 2013; Fondazione Zancan, 2017; 2018). Potrebbe peggiorare ulterior- mente se non affronterà queste sfide, in modi strutturali, evitando le pratiche di ri- duzione del danno. Impediscono di andare alla radice dei problemi e non fanno tutto il bene che invece potrebbero fare.

SUMMARY

Over the last years, socioeconomic ine- qualities have increased in the developed countries. This trend has also affected Italy, with widening gaps both among generations and among territorial areas.

The redistributive intervention of the state has not been able to change these trends, despite an increase in the overall social expenditure. It is therefore neces- sary to adopt a longer-tem policy per- spective, capable of reducing inequalities and working for the common good.

2005). Il rallentamento della dinamica è poi proseguito anche negli anni seguenti – in particolare nell’ultimo periodo dal 2011 al 2016. In questo andamento c’è stata una leggera riduzione della variabilità interre- gionale della spesa pro capite (fig. 5, 6, 7) in quanto il coefficiente di variazione tra re- gioni si è ridotto dal 9,6% nel 2002 al 7,9%

nel 2016.

Considerazioni conclusive

Mentre nei paesi in via di sviluppo alcu- ne disuguaglianze si stanno riducendo, sta avvenendo il contrario nei paesi sviluppati.

Non è quanto un certo modello economi- co aveva promesso, sostenendo che l’im- patto sociale dello sviluppo sarebbe bastato o, in altre parole, che le briciole dello svi- luppo economico cadendo dalle tavole dei più fortunati sarebbero bastate per ridurre disuguaglianze che invece sono struttura- li e non legate ad andamenti opinabili del ciclo economico. Strano che si sia potuto credere in queste false promesse. Non ve- nivano da esperti improvvisati ma da fonti autorevoli, accreditate sul piano scientifico e istituzionale, che ancora oggi utilizzano posizioni dominanti di natura culturale e politica per sostenere verità prive di evi- denze. Non sono verità ma ideologie, cioè false credenze che persistono oltre il nove- cento, il secolo che più di sempre è riuscito a gestirle in modi destabilizzanti e spesso violenti.

Ma questa contraddizione non è solo frutto di irresponsabilità e conflitti di in- teresse, ma di ingiustizie perpetrate a dan- no dell’interesse generale e dei poveri in particolare. Ci parla anche della necessità e urgenza di cambiare. Ci vuole coraggio non comune, mentre i ceppi resistenti del conformismo tradizionale non cedono speranza alle nuove generazioni. L’osses- sione degli utili a breve (economici e politi- ci) impedisce sguardi di più lungo periodo, necessari per fare spazio alla costruzione autentica del bene comune, non declamato

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Banca d’Italia (2018), Indagine sui bilanci delle famiglie italiane nell’anno 2016, Statistiche, www.bancaditalia.it

Canali C., Geron D. e Vecchiato T. (2017), Italian families living in poverty: Perspectives on their needs, supports and strengths, in «Children and Youth Services Review», http://dx.doi.

org/10.1016/j.childyouth.2017.06.006.

Fondazione Zancan (2017), POVERI e COSÌ non SIA, La lotta alla povertà. Rapporto 2017, Il Mulino Bologna.

Fondazione Zancan (2018), Se questo è welfare, La lotta alla povertà. Rapporto 2018, Il Mu- lino Bologna.

Istat (2017a), La povertà in Italia. Anno 2016, www.istat.it.

Istat (2017b), Conti della Protezione sociale, http://dati.istat.it/.

Keeley B. (2015), Income Inequality: The Gap between Rich and Poor, OECD Insights, OECD Publishing, Parigi.

Ministero dell’Economia e delle Finanze (2017), Il monitoraggio della spesa sanitaria, Rap- porto n. 4, Roma.

Ocse (2015), In it together: why less inequality benefits all, OECD Publishing, Parigi.

Ocse (2016), Income Inequality Update «Income inequality remains high in the face of weak re- covery» (November 2016), http://www.oecd.org/social/inequality-and-poverty.htm Vecchiato T. (2013), Welfare degenerativo o generativo?, in Fondazione E. Zancan, Rigenerare

capacità e risorse. La lotta alla povertà. Rapporto 2013, Il Mulino, Bologna, pp. 67-80.

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