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Come chiudere i debiti con Agenzia Entrate

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Come chiudere i debiti con Agenzia Entrate

Autore: Paolo Remer | 21/02/2021

Tutte le possibilità di definire le pendenze tributarie abbattendo l’importo da versare al Fisco o dilazionando i termini di pagamento.

Controlli sulle dichiarazioni fiscali, avvisi di accertamento, liquidazioni d’imposta, cartelle di pagamento: quando arriva il postino o apri la casella Pec e vedi che il

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mittente è l’Agenzia delle Entrate hai ragione ad essere preoccupato. Negli ultimi anni, l’Amministrazione finanziaria, aiutata dalle potenzialità informatiche e dalle numerose banche dati di cui dispone, è diventata tremendamente efficiente nelle attività volte al recupero dei tributi (anche se poi in parecchi casi non riesce a incassare le somme).

Così l’ammontare richiesto ai contribuenti italiani che non riescono a versare il dovuto negli stretti termini previsti cresce e si accumula sempre più. Le somme non pagate diventano consistenti e aumentano ancora a causa delle sanzioni e degli interessi. C’è chi rischia, o ha già subito, il pignoramento dello stipendio o della pensione e l’espropriazione forzata dei suoi beni immobili. Ma esistono numerose possibilità per fronteggiare queste situazioni: ci sono varie vie d’uscita vantaggiose, tutte pienamente legittime, che consentono di eliminare l’esposizione debitoria, o almeno di ridurla notevolmente e di diluire i pagamenti residui nel tempo, anche su periodi molto lunghi. Vediamo allora come chiudere i debiti con l’Agenzia delle Entrate: nel ventaglio di strumenti che ti indicheremo potrai trovare la soluzione per te più adatta.

Gli strumenti di definizione dei debiti con il Fisco

Non sempre è necessario pagare l’intero importo che viene richiesto dal Fisco.

Innanzitutto, c’è la possibilità di non dover pagare tutto e subito, ed è la rateizzazione. Vedremo tra poco che questo strumento è stato potenziato e incentivato a seguito della crisi economica derivata dalla pandemia di Covid-19 e ora risulta molto più appetibile rispetto al recente passato.

Poi, ci sono modi che consentono di abbattere l’importo dovuto anche in misura notevole, come la transazione fiscale raggiunta con l’Agenzia delle Entrate ed il saldo e stralcio nei casi di sovraindebitamento, oppure l’accertamento con adesione, che è aperto a tutti e richiede solo di rispettare determinati termini per presentare l’istanza.

C’è poi la via classica di contestazione del debito richiesto: è quella dell’impugnazione dell’atto di accertamento, proponendo ricorso al giudice tributario. Se ci sono validi motivi per opporsi alla pretesa fiscale conviene senz’altro farlo, in modo da ottenere l’annullamento integrale dell’atto impositivo

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emanato dall’Agenzia. Qui, c’è anche la possibilità di chiedere l’immediata sospensione del provvedimento (che altrimenti sarebbe subito esecutivo), per evitarne gli effetti pregiudizievoli e attendere con più tranquillità l’arrivo della sentenza.

La rateizzazione del debito con l’Agenzia delle Entrate

Per rateizzare il debito con l’Agenzia delle Entrate non è necessario attendere che venga emanato un avviso di accertamento esecutivo o arrivi una cartella di pagamento: si può chiedere la dilazione sin dal momento in cui perviene la comunicazione di irregolarità emessa dall’Agenzia (detta anche “avviso bonario”).

In questo documento, vengono contestate preliminarmente al contribuente le irregolarità o le incongruenze riscontrate nelle dichiarazioni presentate ai fini delle imposte sui redditi o dell’Iva, in modo da dargli una possibilità anticipata di riconoscere la validità della contestazione e di regolarizzare subito la propria posizione, entro il termine di 30 giorni dal ricevimento della comunicazione.

Chi aderisce, beneficerà delle sanzioni ridotte rispetto all’ordinario 30% sulla maggiore imposta: si paga il 10% per le comunicazioni emesse a seguito di controllo automatico [1] e il 20% per quelle derivanti dal controllo formale [2].

Come rateizzare le somme dovute all’Agenzia delle Entrate

Le modalità di rateizzazione dipendono dall’importo richiesto dall’Agenzia delle Entrate e precisamente:

fino a 5.000 euro, si può rateizzare la somma in un massimo di 8 rate trimestrali di pari importo;

oltre 5.000 euro, la rateizzazione può essere concessa fino ad un massimo di 20 rate trimestrali di pari importo.

Il numero e l’importo delle rate concedibili vengono determinati dall’ufficio; per individuare immediatamente questi dati si può utilizzare la funzione sul sito

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ufficiale dell’Agenzia delle Entrate presente nell’area “Servizi” e intitolata

“Determinazione dei versamenti rateali”, indicando il proprio codice fiscale e la data di ricevimento della comunicazione di irregolarità.

Quando l’Agenzia accoglie la domanda, bisogna versare la prima rata entro 30 giorni dal ricevimento della comunicazione di irregolarità. Si può pagare anche con il modello F24 precompilato già allegato alla comunicazione. Sulle rate successive alla prima, si applicano gli interessi, attualmente al tasso del 3,5%

annuo.

Il ritardo nel pagamento delle rate non comporta la decadenza dalla rateazione concessa, purché sia lieve: è possibile versare la rata scaduta entro il termine di versamento della successiva (o entro 90 giorni se è l’ultima rata), e, in tal caso, l’Agenzia iscriverà a ruolo gli interessi e la sanzione per i soli importi versati in ritardo ed i relativi giorni. Per ulteriori dettagli, leggi l’articolo: “Avviso bonario a rate: come funziona“.

La rateazione con l’Agenzia Entrate Riscossione

Quando il debito è già esecutivo, come nel caso della cartella di pagamento, e il contribuente si trova in difficoltà economica a versare il dovuto in un’unica soluzione, è possibile ottenere una rateazione con Agenzia Entrate Riscossione, che è l’articolazione – distinta dall’Agenzia delle Entrate – incaricata del recupero coattivo dei tributi non pagati e già iscritti a ruolo dagli Enti impositori (tra cui la stessa Agenzia delle Entrate per i tributi erariali, come l’Irpef, l’Ires, l’Irap e l’Iva o le imposte di registro e di successione).

La richiesta di rateizzazione comporta la dilazione dei pagamenti, che vengono

“spalmati” fino a 72 rate mensili di importo costante o variabile (crescente per ciascun anno); si può arrivare fino a 120 rate in caso di «grave e comprovata situazione di difficoltà economica» da documentare producendo l’Isee del nucleo familiare e, se si tratta di impresa o società, allegando i bilanci aziendali.

Per i debiti fino a 60mila euro – l’importo è stato elevato a 100mila euro fino al 31 dicembre 2021 dalle norme sull’emergenza Covid – la domanda viene automaticamente accolta, tranne che per le società o ditte già poste in

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liquidazione; quelli di importo superiore vengono valutati dall’Agenzia in base alla documentazione prodotta e tenendo conto dell’eventuale presenza di debiti pregressi, perciò il numero di rate concesse potrà essere inferiore ai massimi stabiliti.

La ripresa della rateazione per i piani già dichiarati decaduti

Si decade dal piano di dilazione con 5 rate non pagate, anche non consecutive;

la tolleranza consentita diventa di 10 rate non versate nel periodo compreso tra l’8 marzo 2021 e il 31 dicembre 2021.

È possibile richiedere la rateizzazione a queste condizioni più favorevoli entro tale termine, sia per i nuovi debiti maturati sia per quelli già esistenti e scaduti, comprese le rateazioni, le rottamazioni delle cartelle ed i saldi e stralci da cui si era stati dichiarati decaduti perché non erano state pagate le quote dovute nei periodi previsti. Non si dovrà neppure versare in un’unica soluzione l’importo scaduto.

Per formulare l’istanza di rateazione è opportuno non attendere la scadenza, in modo da evitare che nel frattempo l’Agenzia Entrate Riscossione avvii le procedure di riscossione coattiva, come i pignoramenti, e delle misure cautelari, come il fermo amministrativo auto: infatti, l’accoglimento del nuovo piano di rateazione, con il pagamento della prima rata, blocca le azioni esecutive.

Per approfondimenti su queste opportunità di recupero dei precedenti piani di dilazione decaduti e che possono essere riformulati in via eccezionale entro il 2021, ti rinviamo agli appositi articoli “Cartelle esattoriali 2021: quando pagarle” e

“Rateazioni e rottamazioni: le nuove regole“.

L’accertamento con adesione

Ogni avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate – che dal 2011 è anche un atto esecutivo, cioè non richiede l’emanazione della successiva cartella esattoriale – deve essere compiutamente motivato, cioè indicare con precisione e chiarezza le ragioni per le quali l’Amministrazione finanziaria ha calcolato una maggiore base imponibile che intende recuperare a tassazione ed ha determinato

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le conseguenti maggiori imposte e sanzioni.

Grazie a questa esposizione, il contribuente può verificare la fondatezza della pretesa tributaria azionata nei suoi confronti. Se esaminando l’atto si riconosce che il Fisco ha almeno parzialmente ragione, si può “scendere a patti” e realizzare l’accertamento con adesione: è un concordato che si raggiunge con l’Agenzia delle Entrate, dove il contribuente rinuncia ad instaurare un contenzioso ed in cambio, accettando i rilievi mossi dall’ufficio, ottiene la riduzione delle sanzioni fino a un terzo del minimo edittale e, nei casi di evasione fiscale più gravi, che realizzano un reato tributario, beneficia di particolari attenuanti.

L’istanza può essere proposta dal contribuente anche prima dell’arrivo dell’avviso di accertamento, se c’è stato un controllo o una verifica fiscale da parte dei funzionari dell’Agenzia o dalla Guardia di Finanza; in questo caso, la base da cui partire per avviare le trattative con l’Amministrazione finanziaria è il processo verbale di constatazione, in breve pvc, redatto dagli ispettori (leggi “Accertamento con adesione: come accordarsi con il Fisco“).

Presentata la domanda, si riceverà un invito a comparire davanti ai funzionari dell’Agenzia; nell’incontro, dove il contribuente può farsi rappresentare ed assistere dal suo commercialista o avvocato, si potrà raggiungere un’intesa e l’accordo verrà formalizzato in un atto di adesione, che indicherà i termini di pagamento della somma concordata.

Anche in questo caso, sono consentiti i versamenti rateali con le seguenti modalità:

fino a un massimo di 8 rate trimestrali per le somme complessive dovute entro i 50mila euro;

fino a 16 rate trimestrali per le somme che superano i 50mila euro.

La prima rata va versata entro 20 giorni dalla data dell’atto di accertamento di adesione. I pagamenti sono compensabili con gli eventuali crediti d’imposta spettanti al contribuente.

Il ricorso tributario: l’annullamento

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dell’atto impositivo

Se invece le posizioni rimangono distanti e l’accordo con l’Agenzia delle Entrate non si realizza, il contribuente potrà proporre ricorso al giudice tributario contro l’atto impositivo emanato nei suoi confronti per chiederne l’annullamento:

se si ottiene questo risultato, il tributo da pagare non sarà più dovuto e il debito fiscale richiesto in pagamento dall’Amministrazione finanziaria verrà cancellato.

La proposizione dell’istanza di accertamento con adesione, proprio per dare tempo alle parti di trovare un accordo, comporta comunque un allungamento dei termini utili per presentare ricorso: vengono sospesi per 90 giorni (che decorrono dalla data di presentazione dell’istanza), che si aggiungono ai normali 60 giorni decorrenti dalla data di notifica dell’atto da impugnare.

Ciò premesso, devi sapere che contro ogni atto impositivo [3] che richiede il pagamento di un tributo o irroga sanzioni è possibile proporre ricorso al giudice competente (per gli avvisi di accertamento o di liquidazione d’imposta emessi dall’Agenzia delle Entrate è la Commissione tributaria del capoluogo di provincia in cui si trova l’ufficio che ha emanato l’atto).

Chiaramente, per opporsi alla pretesa fiscale ed instaurare un processo tributario occorre avere validi motivi, che dovranno essere esposti nel ricorso e il giudice tributario esaminerà la loro fondatezza. In caso positivo, la Commissione tributaria accoglierà la domanda ed annullerà, interamente o parzialmente, l’atto impugnato; nel caso di annullamento parziale, la somma richiesta dall’Agenzia delle Entrate per tributi o sanzioni sarà ridotta nella misura determinata dal giudice.

I ricorsi per controversie fino a 50mila euro di valore devono essere preceduti da una procedura di mediazione tributaria con cui si richiede all’Agenzia di rivedere l’atto emanato o di ridurre la sua pretesa iniziale. Nel giudizio tributario, ci si può difendere da soli, cioè senza la necessaria assistenza tecnica di un difensore abilitato, per le cause di valore inferiore a 3mila euro.

Nel ricorso, si può chiedere anche la sospensione dell’esecutività dell’atto impugnato per evitare gli effetti pregiudizievoli che potrebbero derivare dalla riscossione delle somme, che altrimenti verrebbe intrapresa dall’Amministrazione finanziaria durante la pendenza del giudizio. Per ottenere la sospensione

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cautelare occorre che il ricorso appaia fondato e vi sia la possibilità di un «danno grave e irreparabile» [4] che deriverebbe dall’esecuzione forzata sui beni del contribuente.

Per conoscere in dettaglio le modalità di presentazione del ricorso e gli adempimenti necessari per instaurare e svolgere la causa leggi “Come funziona il nuovo processo tributario telematico” in vigore dal 2019.

La transazione fiscale

Un’ulteriore possibilità di definizione dei debiti maturati verso l’Agenzia delle Entrate è la transazione fiscale, che però riguarda solo le imprese fallibili e che si trovano in crisi, con uno stato di insolvenza conclamato nell’apertura di una procedura pre-fallimentare di concordato preventivo o di un accordo di ristrutturazione dei debiti, fiscali e non solo, come quelli maturati verso privati (banche, creditori, lavoratori dipendenti).

Non possono, perciò, accedervi coloro che non esercitano attività imprenditoriale o comunque non sono soggetti alle norme sul fallimento: la transazione fiscale è e rimane un’alternativa alla prospettiva di messa in liquidazione e chiusura dell’impresa a causa dei debiti. In ogni caso, la transazione fiscale comprende tutti i tributi di competenza dell’Agenzia delle Entrate, compresa, a partire dal 1°

gennaio 2017, l’Iva.

Per sapere chi può accedere alla procedura e come funziona il meccanismo, che porta all’omologazione dell’accordo o del concordato con un piano personalizzato di riduzione e dilazione del carico debitorio, leggi gli articoli “Come ridurre i debiti fiscali” e “Transazione fiscale: come si fa“.

Saldo e stralcio dei debiti fiscali per i sovraindebitati

Anche il saldo e stralcio dei debiti fiscali realizza una transazione con l’Agenzia delle Entrate e va evidenziato che esso non è circoscritto all’istituto omonimo che fino al 2020 costituiva una delle forme di definizione delle cartelle esattoriali prevista dalle norme sulla pace fiscale: si tratta invece di una soluzione permanente, poiché a causa dell’emergenza Covid si è deciso di anticipare

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l’entrata in vigore definitiva del nuovo “Codice della crisi e dell’insolvenza” che riforma e potenzia notevolmente la vecchia legge “salvasuicidi” del 2012.

Ora, questa via d’uscita per risolvere le pendenze tributarie è molto più estesa rispetto al passato, in quanto comprende la maggior parte delle categorie di soggetti esposti al Fisco: imprenditori, lavoratori autonomi, contribuenti con lavoro dipendente o disoccupati (tutti considerati non isolatamente, bensì insieme alle loro famiglie), se si trovano in difficoltà economica.

Infatti, la differenza di questo saldo e stralcio dei debiti fiscali rispetto alla transazione fiscale è che esso riguarda in generale tutti i contribuenti che risultano sovraindebitati, cioè in grave difficoltà economica e finanziaria che gli preclude la possibilità di saldare le pendenze tributarie accumulate ed anche di rimborsare i creditori privati, come le banche o altri istituti che hanno concesso finanziamenti e prestiti.

L’esdebitazione totale o parziale

I debiti fiscali rientrano nel cumulo dell’esposizione debitoria accumulata, che viene trattata in maniera unitaria e complessiva: così i debitori incapienti – cioè coloro che non hanno e, verosimilmente, non avranno neppure in futuro alcuna possibilità di pagare perché non dispongono di redditi o patrimoni oltre il limite di sussistenza necessario al loro mantenimento personale – possono ottenere l’esdebitazione totale: è la cancellazione integrale del debito, senza dover pagare nulla, a meno che nei successivi quattro anni non sopraggiungano utilità economiche tali da consentire di soddisfare le pretese dei creditori per almeno il 10%.

Negli altri casi, quando cioè il patrimonio disponibile ed i redditi periodici sono sufficienti a soddisfare il Fisco almeno parzialmente, l’ammontare dei debiti fiscali sarà proporzionalmente ridotto e sarà ammesso il pagamento dilazionato, con un piano di rimborso personalizzato.

Si può accedere al saldo e stralcio anche senza il consenso dell’Agenzia delle Entrate: l’ufficio parteciperà alla procedura e verrà interpellato, ma il giudice potrà omologare l’accordo nonostante il suo voto contrario all’approvazione del piano, anche quando l’adesione dell’Agenzia sarebbe stata decisiva per formare la maggioranza del 60% del consenso dei creditori.

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Il saldo e stralcio dei debiti si richiede attraverso un’apposita procedura, che si svolge con l’assistenza di un Occ (organismo di composizione della crisi), al termine della quale il piano del consumatore, o l’accordo di composizione, viene omologato dal tribunale e, da quel momento, assumerà efficacia. Per conoscere più da vicino le modalità di funzionamento di questo istituto, molto utile per i

“sovraindebitati fiscali”, leggi l’articolo “Sovraindebitamento: come uscire dalla crisi“.

Note

[1] Art. 36 bis D.P.R. n.600/1973. [2] Art. 36 ter D.P.R. n.600/1973. [3] Art. 19 D.Lgs. n.546/1992. [4] Art. 47 D.Lgs. n. 546/1992.

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