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La Corte di Cassazione fissa l età limite dei bamboccioni a 30 anni

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La Corte di Cassazione fissa l’età limite dei

“bamboccioni” a 30 anni

Autore: Raffaele Gesuele

In: Giurisprudenza commentata

Segnatamente, alla luce del principio di autoresponsabilità che permea l’ordinamento giuridico e scandisce i doveri del soggetto maggiore d’età, costui non può ostinarsi e indugiare nell’attesa di reperire il lavoro reputato consono alle sue aspettative.

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Cosa dice la normativa sul mantenimento dei figli

L'obbligo del mantenimento dei figli, previsto dall’art. 147 del codice vivile, comporta per entrambi i genitori l'obbligo di fornire ai figli il necessario per la vita di relazione; tali obblighi non si riferiscono alla natura alimentare del mantenimento, e quindi al dovere di provvedere ai bisogni essenziali dei figli, e si esplica con riferimento al contesto sociale in cui i figli sono inseriti ed alle disponibilità economico- patrimoniali dei genitori.

Rientrano dunque nei doveri verso i figli, tutte le varie attività utili per lo sviluppo psico-fisico degli stessi (come la "paghetta" per le ordinarie spese quotidiane), nonché gli obblighi di istruzione ed educazione della prole, e tutti i provvedimenti che i genitori ritengano utili per la formazione del senso civico, della coscienza sociale (aspetti affettivi e relazionali), e del grado culturale (aspetti cognitivi e formativi).

Se i genitori non hanno mezzi sufficienti, tali obblighi spettano agli ascendenti più prossimi, e dunque ai nonni, i quali non possono opporsi senza realizzare una condotta inadempiente.

L'art. 30 Cost. Sancisce che «è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli anche se nati fuori dal matrimonio».

Parimenti, l’art. 315-bis del cod. civ. sancisce per i figli, tra gli altri, il diritto di essere mantenuti, educati, istruiti e assistiti moralmente dai genitori, i quali devono rispettarne le capacità, le inclinazioni naturali e le aspirazioni.

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Le sanzioni previste in materia di violazione dei doveri verso i figli, hanno rilevanza penale, e sono previste in seno all’art. 570 del codice penale nella pena della reclusione fino a un anno o nella multa da € 103,00 ad € 1.032,00; si evidenzia che tale norma trova diffusa applicazione con le condotte del coniuge separato/divorziato inadempiente al versamento dell’assegno di mantenimento in favore dell’altro coniuge o del figlio.

La centralità dei figli minorenni nelle cause di separazione coniugale

L’art. 337-sexies del Codice Civile sancisce la centralità dell’interesse dei figli in fase di assegnazione del godimento della casa familiare nelle cause di separazione coniugale; il giudice è infatti tenuto ad attribuire il godimento della stessa al coniuge prevalentemente assegnatario dei figli, spesso ignorando del tutto l'eventuale titolo di proprietà dell’immobile.

Ciò significa che, come comunemente accade, quando Tizio e Terenzia si separano, sebbene avessero vissuto nella casa che Tizio aveva ereditato dai genitori, il Giudice, in fase di assegnazione della casa coniugale, tiene conto esclusivamente dell’affidamento del figlio minore Caio; la presenza del P.M. nel procedimento di separazione giudiziale, farà sì che Caio venga affidato prevalentemente alla madre Terenzia, la quale, in conseguenza di un circolo virtuoso/vizioso, risulterà anche assegnataria della casa.

L’interesse prioritario dell’ordinamento sembra dunque essere quello di «soddisfare l'esigenza di assicurare ai figli la conservazione dell'"habitat" domestico, da intendersi come il centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare, e la casa può perciò essere assegnata al genitore, collocatario del minore, che pur se ne sia allontanato prima della introduzione del giudizio»[1].

Il provvedimento di assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario di figli minori è opponibile - nei limiti del novennio, ove non trascritto, o anche oltre il novennio, ove trascritto - al terzo acquirente dell'immobile.

Quindi Tizio non può neanche provare a vendere l’immobile di sua proprietà, fintanto che Terenzia e Caio mantengano il diritto personale di godimento sul bene.

Il mantenimento in favore dei figli maggiorenni

Ferma restando l’equiparazione tra i figli maggiorenni portatori di handicap ed i figli minorenni, l’art. 337-septies dispone il mantenimento dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente; il pagamento può essere eseguito direttamente in favore dell’avente diritto.

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Quindi Tizio dovrà continuare ad assicurare il mantenimento a Caio, anche se maggiorenne, fino a che questi non divenga economicamente indipendente; l’unica differenza è che Tizio è legittimato ad eseguire il pagamento direttamente in favore di Caio, piuttosto che per il tramite di Terenzia.

La Corte di Cassazione[2], puntualizzando la valutazione delle circostanze caso per caso, e dunque la portata concreta della normativa, ha individuato diverse situazioni che costituiscono un limite logico-naturale all’obbligo al mantenimento dei figli maggiorenni, il quale permane in capo al genitore, fino a che non venga a realizzarsi una delle seguenti fattispecie:

1 – termine del percorso formativo ed acquisizione di competenze idonee al reperimento di un lavoro;

2 – possibilità di esercitare un’attività lucrativa, anche in caso di non approfittanza;

3 – inserimento in diverso nucleo familiare o di vita comune (matrimonio o convivenza);

4 - raggiungimento di un’età tale da presumere la capacità di autogestione (individuata in 30 anni).

Dunque Caio perderebbe il diritto al mantenimento da parte dei genitori, non appena finisca gli studi, contragga matrimonio, riceva i finanziamenti per avviare un’attività lucrativa, o compia 30 anni.

Nuovi criteri della Corte di Cassazione e soluzione

Se nemmeno un decennio fa la Corte di Cassazione ribadiva i criteri di «raggiunta capacità del figlio di provvedere a sé con appropriata collocazione in seno al corpo sociale»[3] e di

«percezione di un reddito corrispondente alla professionalità acquisita»[4], in seguito alle mutate condizioni del mercato del lavoro ed alla tendenza alla mancanza di autonomia anche in capo agli stessi genitori, si vuole dare più rilievo all’avanzare dell’età dei figli mantenuti ed al mancato inserimento nel mondo lavorativo.

È infatti sempre più comune il caso in cui Tizio ultracinquantenne perda il lavoro e sia comunque costretto al mantenimento di Caio, trentenne inoccupato, oltre che di Terenzia.

La Corte sottolinea il principio dell’autoresponsabilità in capo al figlio, e la sua disponibilità a sopprimere, anche parzialmente o momentaneamente, le proprie inclinazioni professionali ed aspettative lavorative, in favore di una realizzazione idonea a circoscrivere il diritto al mantenimento.

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Diviene quindi dovere di Caio, al compimento del trentesimo anno di età, quello di cercarsi un lavoro, uno qualsiasi, anche rinunciando momentaneamente ai propri sogni, alle proprie passioni, ai propri interessi ed alle proprie predilezioni, purché si renda economicamente indipendente e liberi il padre Tizio dall’obbligo del mantenimento.

Tuttavia il trentenne Caio, che si veda notificare la fissazione dell’udienza di comparizione per la rideterminazione dell’assegno di mantenimento, deve dare una sbirciatina alle statistiche redatte dall’ISTAT in materia di tempistiche medie di reperimento di un’occupazione per la medesima preparazione professionale, nel momento storico. È infatti su tali statistiche che il Giudice baserà la propria ragionevole valutazione. Inoltre Caio potrà oggettivamente opporsi in caso di sussistenza di una delle seguenti condizioni:

1 – peculiare debolezza o minorazione delle capacità personali (anche se non determinanti allo stato di incapace);

2 – prosecuzione degli studi universitari con diligenza, tali da far presupporre lo svolgimento dell’iter di formazione professionale;

3 – l’essere trascorso un lasso di tempo, dalla fine degli studi, inferiore a quello previsto dalle statistiche;

4 – mancanza di lavoro nonostante tutti i possibili tentativi di reperimento.

Rimane ammissibile la volontaria assunzione dell’obbligo di mantenimento; dunque nulla vieta che il generoso Tizio possa comunque decidere di continuare a versare l’assegno di mantenimento in favore di Caio, anche se questi abbia abbondantemente superato l’età limite dei 30 anni e non sussista nessuna delle condizioni sopra enucleate.

Si precisa inoltre che altro è il perdurare dell’obbligo degli alimenti, la cui disciplina ne individua il presupposto nella mancanza nei mezzi necessari al soddisfacimento dei bisogni primari.

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Note

[1]Cass. Civ. n. 32231/2018 [2]Cass. n. 12477/2004 [3]Cass. n. 2372/1985

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[4]Cass. n. 1830/2011

https://www.diritto.it/la-corte-di-cassazione-fissa-leta-limite-dei-bamboccioni-a-30-anni/

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