• Non ci sono risultati.

Come la Costituzione dell Ecuador ha forgiato i diritti Fondamentali della Natura

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "Come la Costituzione dell Ecuador ha forgiato i diritti Fondamentali della Natura"

Copied!
17
0
0

Testo completo

(1)

Come la Costituzione dell’Ecuador ha

forgiato i diritti Fondamentali della Natura

Ogni settimana in collaborazione con la casa editrice nottetempo, cheFare pubblica una serie di interventi di filosofi, antropologi sul mondo naturale. Dopo mesi di reclusione forse è il caso di

provare a capire che mondo abitiamo e soprattutto imparare a conoscerlo meglio. Oggi pubblichiamo un estratto da Forest Law / Foresta giuridica di Ursula Biemann e Paulo Tavares. Qui il contributo della scorsa settimana.

Rivolte — Quando, nel 2002, la compagnia petrolifera cgc ha arbitrariamente invaso il territorio di Sarayaku, in Amazzonia la situazione politica era radicalmente diversa rispetto al periodo dei regimi militari negli anni ’60 e ’70. Durante il processo di ridemocratizzazione avviato con l’elezione del presidente Jaime Roldós nel 1979, ha gradualmente cominciato a organizzarsi una potente coalizione di movimenti indigeni, che è culminata nella creazione della Confederazione delle Nazionalità

Indigene dell’Ecuador (conaie) nel 1986. Nel 1990 conaie ha mobilitato una rivolta a livello

nazionale, con la richiesta di una riforma costituzionale e la proclamazione dell’Ecuador come “stato plurinazionale”.

Due anni dopo, mentre la maggior parte dei governi latinoamericani stava sperperando denaro nelle commemorazioni per il quinto centenario della “scoperta delle Americhe”, l’Organizzazione delle Popolazioni Indigene di Pastaza (opip), fondata nel 1978, ha organizzato un’altra imponente marcia su Quito, uscendo questa volta dalle pianure dell’Alta Amazzonia. Questi cortei di protesta hanno costretto lo stato a riconoscere il territorio tradizionale di diverse nazionalità indigene, compresa quella di Sarayaku, e dettato l’agenda politica per i due decenni successivi.

“Se non fosse stato per le mobilitazioni degli anni ’90, forse la gente in Ecuador starebbe ancora dicendo che non ci sono popolazioni indigene in questo paese,” afferma Luis Macas, uno dei

fondatori e degli strateghi intellettuali della conaie. “Queste mobilitazioni e la massiccia presenza di popoli indigeni sono state una forma di ’linguaggio’ per farci ascoltare. Forse perché parliamo un’altra lingua, non ci avevano mai capito, cosí abbiamo dovuto usare un linguaggio diverso, che è appunto l’atto della mobilitazione”.

(2)

Ecologia politica — Quando la devastazione ecologica scatenata dalla corsa militarizzata alle risorse, avvenuta durante la Guerra Fredda, ha travolto il pianeta, di pari passo con la forza crescente delle mobilitazioni indigene che avrebbe portato alle rivolte degli anni ’90, le

preoccupazioni relative alla destabilizzazione dell’ecosistema globale si sono progressivamente trasformate in problemi di politica internazionale.

Tra la pubblicazione di Only One Earth: The Care and Maintenance of a Small Planet nel 1972 e Our Common Future nel 1987/1988 – i due rapporti preparati per la prima (Stoccolma, 1972) e la

seconda (Rio de Janeiro, 1992) conferenza delle Nazioni Unite su ambiente e sviluppo – all’interno dei forum governativi internazionali, dei circoli accademici e dei mass media si moltiplicavano i dibattiti sul degrado ambientale, il sovrappopolamento e la scarsità di risorse. L’ambientalismo ha generato innumerevoli forme di attivismo civile e di organizzazioni in difesa dell’ambiente, mentre nel tempo, per qualificare, svecchiandola, la dottrina dello sviluppo, si è aggiunto il concetto di sostenibilità. L’Amazzonia è stata uno dei territori chiave, dal punto di vista sia simbolico sia materiale, intorno a cui sono state costruite e diffuse queste rivendicazioni emergenti e le loro relative articolazioni politiche.

Sulla base della forte tradizione di scienze biologiche presente in Ecuador, un territorio che ha contribuito ad approfondire e a trasformare la nostra conoscenza delle dinamiche e della storia della natura dai tempi di Alexander von Humboldt e Charles Darwin, le reazioni alla devastazione

provocata dall’industria petrolifera nel nord dell’Amazzonia hanno portato alla formazione di un movimento ambientalista solido e innovativo, rappresentato in particolare dalla creazione, alla fine degli anni ’80, di un’organizzazione dal basso profilo, ma molto attiva e politicamente influente, chiamata Acción Ecológica.

In Ecuador, l’etica e la politica dell’ambientalismo hanno incontrato i movimenti popolari che stavano combattendo strutture socio-economiche estremamente diseguali supportate da governi autoritari e ideologie razziste. La protezione dei fiumi e delle foreste comuni era intimamente correlata alla difesa delle libertà civili e dei diritti socio-economici, culturali e legati alla terra.

Allo stesso modo, il movimento dei raccoglitori di caucciú dell’Amazzonia brasiliana guidati da Chico Mendes, che ha richiesto una “riforma agraria” basata sull’istituzione di riserve forestali di proprietà collettiva, cosí come la rivolta della popolazione Ogoni nel delta del Niger in Nigeria, che fu una battaglia per la sopravvivenza sia contro le terribili pratiche della Royal Dutch Shell sia contro una giunta militare spietata, erano movimenti tanto per l’ambiente quanto per i diritti umani, e

forgiarono strutturalmente una forma di teoria e pratica che fondeva politica ed ecologia in un unico terreno di lotte.

Alle frontiere forestali della cintura equatoriale globale – il rifugio mondiale della biodiversità – il

“mondo comune” dell’ambientalismo era un territorio fratturato e conteso, modellato da una

distribuzione diseguale di ricchezza e potere, strutturato su un violento processo storico di esproprio ecologico e segregazione sociale, economica ed etnica.

Costituzionalismo — L’Ecuador è emerso dal boom del petrolio degli anni ’70 piú urbanizzato e modernizzato, ma piú povero e devastato ecologicamente, con un enorme debito estero,

un’iperinflazione e un livello di disoccupazione vertiginoso. Nel corso degli anni ’80 e ’90, man mano che l’ortodossia neoliberale si è fatta strada, il paese è stato sottoposto dal Fondo Monetario

Internazionale a uno dei piú drastici trattamenti d’urto mai realizzati nel continente. Per un

decennio l’Ecuador è stato scosso da numerose convulsioni politiche guidate dai movimenti indigeni, che hanno infine portato, nel 2007 e nel 2008, alla redazione, da parte dell’Assemblea di

Montecristi, di una nuova costituzione.

(3)

Vero e proprio prodotto di una storica battaglia per riformulare l’apparato dello stato, le cui origini risalgono alle epocali rivolte indigene degli anni ’90, la Costituzione di Montecristi dichiara

l’Ecuador uno “stato plurinazionale e interetnico” e introduce una serie di elementi legali innovativi, come il concetto di sumak kawsay – malamente tradotto come “buon vivere” –, che cerca di

ridimensionare l’idea di sviluppo, e il concetto relativo ai Diritti della Natura, che dichiara soggetti giuridici gli ecosistemi, le foreste viventi, le montagne, i fiumi e i mari.

Ai sensi della legge costituzionale dell’Ecuador, la natura, o Pachamama, è titolare di una serie di diritti inalienabili: “il diritto al rispetto integrale della sua esistenza e al mantenimento e alla

rigenerazione dei suoi cicli vitali, delle sue strutture, delle sue funzioni e dei suoi processi evolutivi”.

Il punto cruciale è che, in difesa di questi diritti, gli individui, le comunità e le nazionalità possono agire legalmente di fronte a istituzioni pubbliche e tribunali. Oltre a essere uno strumento giuridico, il capitolo 7 della costituzione è stato concepito come uno strumento strategico che deriva dalle storiche lotte per i diritti umani e per i diritti terrieri collettivi, a cui si ricollega.

Influenzata dalla filosofia, dalla politica e dall’etica dei movimenti indigeni, la formulazione dei Diritti della Natura è stata anche il prodotto dei dibattiti nati nell’ambito delle moderne scienze ambientali, dell’attivismo e della difesa dei diritti. Alberto Acosta, presidente dell’Assemblea di Montecristi, parla dell’incontro di cosmologie apparentemente dissonanti, eppure sempre piú alleate: “Quando abbiamo parlato di plurinazionalismo, di rispetto per Pachamama, di sumak kawsay, di diritti collettivi, abbiamo cominciato a ripristinare i fondamentali elementi di civiltà di queste culture, che sono state massacrate, colonizzate e sfruttate nei periodi della conquista, delle colonie e della repubblica. Per questo
sembrava cruciale che nella fondazione giuridica dello stato venisse dato alla natura un posto di rilievo, e che le fossero attribuiti propri diritti specifici. Nel mondo indigeno, la natura non ha mai preteso questi diritti, semplicemente perché essa è parte di un tutto piú grande. Secondo la nostra logica, invece, era necessario aggiungerli. Strettamente parlando, i Diritti della Natura sono riconducibili a una cosmologia moderna, perché gli esseri umani cosí facendo garantiscono diritti a tutti gli altri esseri viventi”.

In Ecuador, dove Gaia di James Lovelock incontra Pachamama, dove il sapere indigeno confluisce con l’attivismo ambientalista moderno e con le scienze climatico-ecologiche, è stata gradualmente forgiata la politica dei Diritti della Natura. Tenuto conto che il sistema di governo del paese è un mosaico plurinazionale, con un elettorato formato da diverse visioni cosmologiche, era necessario prendere in considerazione le diverse concezioni della natura e i molti modi di rapportarsi a essa, ovvero era necessario riconoscere, per legge, la coesistenza di mondi naturali differenti all’interno dei confini geografici dello stato ecuadoriano.

“Quando abbiamo approvato i Diritti della Natura nella costituzione, questo processo ha comportato una riflessione su cosa sia esattamente la natura,” spiega l’ecologista Esperanza Martínez, una delle fondatrici di Acción Ecológica. “Decidere di adottare il termine Pachamama è stato soprattutto un atto di riconoscimento della saggezza di coloro che sono cosí profondamente legati alla Terra. È stata anche un’azione critica rispetto alle nozioni classiche di ambiente e di natura. È stato un atto di apertura, un aprirsi alla diversità”.

Nina Pacari: Secondo la logica occidentale, è possibile concepire un contratto naturale. Nella visione del mondo delle popolazioni indigene, invece, non è necessario perché, secondo il pensiero olistico, violando i diritti 
individuali di una persona si violano i diritti della natura. Ne è un esempio lo sfruttamento petrolifero. Ma nel corso dei dibattiti gli ambientalisti hanno detto che era

importante definire la natura come un soggetto dotato di diritti.

Cosí ci siamo detti: troviamo un punto d’incontro. Il risultato, dunque, è una norma di carattere interculturale, un concetto nuovo che può essere il paradigma per la conservazione della natura. Nel

(4)

caso dell’Ecuador, con la nuova costituzione e le riforme che sono state portate avanti sin dagli anni

’90, diciamo che una persona o un individuo è un soggetto dotato di diritti; che i popoli o le identità collettive come First Nations sono soggetti dotati di diritti; e che anche la natura è un soggetto dotato di diritti.

(5)

Testo estratto da Forest Law / Foresta giuridica di Ursula Biemann e Paulo Tavares

DIRITTI DELLA NATURA, CAPITOLO 7 DELLA COSTITUZIONE DELL’ECUADOR DEL 2008 Art. 71. La natura, o Pachamama, dove si riproduce e si realizza la vita, ha diritto al rispetto integrale della sua esistenza e al mantenimento e alla rigenerazione dei suoi cicli vitali, delle sue strutture, delle sue funzioni e dei suoi processi evolutivi.

Ogni persona, comunità, popolo o nazionalità potrà pretendere dall’autorità pubblica l’osservanza dei diritti della natura. Per applicare e interpretare questi diritti saranno osservati i principi stabiliti dalla Costituzione, secondo le circostanze.

Lo Stato incentiverà le persone fisiche e giuridiche, cosí come le collettività, a proteggere la natura, e promuoverà il rispetto di tutti gli elementi che formano un ecosistema.

Art. 72. La natura ha diritto a interventi di risanamento. Tali interventi saranno indipendenti dall’obbligo che hanno lo Stato e le persone fisiche e giuridiche di risarcire gli individui e le collettività che dipendono dai sistemi naturali danneggiati.

Nei casi di impatto ambientale grave o permanente, inclusi quelli derivanti dallo sfruttamento di risorse naturali non rinnovabili, lo Stato stabilirà i meccanismi piú efficaci per il risanamento e adotterà misure adeguate per mitigare o eliminare le conseguenze ambientali nocive.

Art. 73. Lo Stato adotterà misure precauzionali e restrittive per attività che possano condurre all’estinzione di specie, alla distruzione di ecosistemi o all’alterazione permanente dei cicli naturali.

È proibita l’introduzione di organismi e di materiale organico e inorganico che possano alterare in modo definitivo il patrimonio genetico nazionale.

Art. 74. Le persone, i popoli, le comunità e le nazionalità avranno diritto a godere dell’ambiente e delle ricchezze naturali che rendono possibile il buon vivere. I servizi ambientali non saranno suscettibili di appropriazione; la loro produzione, il loro approvvigionamento, utilizzo e godimento saranno regolati dallo Stato.

C’è un nuovo mondo solidale e collettivo — dobbiamo proteggerlo dall’oblio capitalista

Vivo a Londra solo dallo scorso settembre e l’esplosione di quella che, almeno agli occhi di un americano, ha tutta l’aria di essere una splendida e precoce primavera mi ha colto di sorpresa.

(6)

Gironzolando per il mio quartiere, Maide Vale, sono colpito dall’esultanza dei ciliegi in fiore. Per poche, brevi settimane, i ciliegi conoscono una sensuale esplosione di colori, prima di cadere rapidamente nell’oblio per un altro anno; la loro esuberante fioritura è lì a ricordarci della felicità della vita ma anche della sua fragilità, del suo inevitabile trapasso. Al tempo stesso, come studioso dell’ottocento francese, la stagione dei fiori di ciliegio mi ricorda immancabilmente la canzone che, nel 1871, divenne l’inno non ufficiale della Comune di Parigi, Le temps des cerises.

Ultima di una serie di rivoluzioni (dopo quelle del 1798, del 1830 e del 1848), la Comune di Parigi fu istituita dopo lunghi mesi di assedio da parte dei prussiani, al termine della disastrosa guerra franco- prussiana. Invece di accettare la capitolazione proposta dalla Terza Repubblica recentemente

formata (Repubblica solo di nome…), il popolo di Parigi si ribellò sia contro il governo nazionale sia contro i prussiani, dichiarando la città una Comune autogestita. Tutto ebbe inizio il 18 marzo del 1871 – esattamente 149 anni dopo, il primo ministro francese avrebbe dichiarato la chiusura dei luoghi pubblici per contenere la diffusione del Coronavirus. Per due brevi, straordinari mesi, la Comune si autogovernò nella forma di una democrazia diretta. Per due mesi, il popolo di Parigi cominciò a sognare un mondo migliore e a trasformare questo sogno in realtà (vedi Kristin Ross).

Separazione tra stato e chiesa. Abolizione del lavoro minorile. Abolizione degli interessi sui debiti.

Moratoria sull’affitto. Giornata lavorativa di dieci ore. Divieto del lavoro notturno nei panifici.

Cittadinanza per tutti i residenti stranieri. Fabbriche gestite dagli operai. Parità di salario per le donne e gli impiegati statali a ogni livello. Unioni civili. Abolizione della prostituzione. Questi sogni, queste realtà, furono spazzate via alla fine di maggio, quando l’esercito francese appena ricostituito invase Parigi avanzando da Versailles e massacrando tra le 10.000 e le 20.000 persone in una sola settimana: “J’aimerai toujours le temps des cerises/ C’est de ce temps-là que je garde au cœur/ Une plaie ouverte !” (“Amerò sempre il tempo delle ciliegie / È di quel tempo che serbo nel cuore / Una ferita aperta!”).

Quasi un secolo e mezzo dopo, quando è il mondo intero a trovarsi sotto assedio a causa di quello che molti politici descrivono come un nemico virale invisibile, le ragioni che avevano animato la lotta dei comunardi sembrano essere state ampiamente riconosciute. Oggi potrebbe sembrare addirittura incredibile che meno di due secoli fa ci fosse gente disposta ad ammazzare migliaia di connazionali per impedire il riconoscimento di diritti umani così basilari. Siamo abituati a pensare che il

reazionarismo sia un atteggiamento mentale nostalgico del tutto alieno alla sinistra, proiettata senza sentimentalismi verso un futuro utopico. E tuttavia, i libri di storia e la memoria collettiva

continuano a cancellare tanto le battaglie della sinistra quanto le sue vittorie. A ogni primavera politica, si tratti del 1871 o del 1968 – o chissà, forse del 2020 – le più basilari idee di eguaglianza e decenti condizioni di vita per tutti sembrano ogni volta nuove, assolutamente radicali. Fioriscono come i ciliegi a primavera e appassiscono sotto l’opprimente sole estivo.

Questo sole opprimente, che si atteggia a governance illuminata, va sotto il nome di neoliberismo

Questo sole opprimente, che si atteggia a governance illuminata, va sotto il nome di neoliberismo.

Negli ultimi due decenni, nelle democrazie occidentali, ha governato quello che molti chiamano consenso neoliberista. Se è difficile assegnare una coerenza ideologica al miscuglio neoliberale, fatto di liberismo del laissez-faire di matrice ottocentesca, capitalismo del libero mercato, classificazione socio-scientifica delle identità, politicamente corretto e tecnocrazia, ciò che in ogni caso lo

(7)

contraddistingue in modo univoco è la fiducia nella possibilità di estendere la logica del mercato a domini sempre più ampi dell’esistenza umana.

La democrazia, secondo questa visione del mondo, non può che essere rappresentativa; in essa i diversi gruppi sociali sono chiamati a individuare, tra coloro che governano, qualcuno che gli somigli ma abbia, al tempo stesso, l’aria di essere un esperto, un tecnocrate (The Trouble with Diversity). Le decisioni, sia a livello statale sia a livello aziendale, richiedono la massimizzazione del potenziale di mercato e una diseguale distribuzione dei profitti tra i vari “stakeholders” politici ed economici.

Ogni cambiamento avviene in modo incrementale, le politiche mirano a cambiare il comportamento delle persone per mezzo di incentivi piuttosto che attraverso la trasformazione delle strutture politiche ed economiche di fondo. L’uguaglianza e la giustizia sono sempre situate nel futuro, raggiungibili attraverso un percorso fatto di passi sempre più lunghi.

Nonostante il suo appoggio al libero mercato, nel mercato delle idee il neoliberismo ha imposto un monopolio. Sin dai tempi della famosa dichiarazione di Margaret Thatcher, secondo cui “There Is No Alternative” (TINA), i sostenitori del neoliberismo non hanno smesso di affermare che, in ragione delle loro competenze, sono gli unici capaci di comprendere il presente e di leggere il futuro – un futuro che è esattamente identico al presente (Jacques Rancière).

L’uguaglianza e la giustizia sono sempre

situate nel futuro, raggiungibili attraverso un percorso fatto di passi sempre più lunghi

Coloro che propongono visioni alternative per un diverso tipo di politica o di giustizia economica vengono regolarmente etichettati come arretrati, ignoranti, razzisti, omofobi, anti-semiti o sessisti.

Che si tratti dei Gilets jaunes in Francia, del Labour Party di Corbyn in Inghilterra, o dei mitici Bernie Bros negli Stati Uniti, i gruppi populisti o di sinistra sono sempre il bersaglio di infondati attacchi mediatici volti a delegittimare come datate e sciatte, a seconda della mutevole definizione di politicamente corretto, le idee alternative, cancellando così ogni distinzione tra estrema sinistra ed estrema destra. Le idee marginali sono associate alle persone marginali, tenute lontano dal governo per proteggere la democrazia dal demos – un “basket of deplorables”, come lo ha definito Hilary Clinton, la “racaille” nelle parole di Nicolas Sarkozy.

Nell’arco di una sola settimana, il mondo ha scoperto che il neoliberismo non aveva piani per il futuro e nemmeno (forse ancora peggio) una comprensione adeguata del presente che esso stesso ha sostanzialmente creato. All’improvviso, in un battito di ciglia, la salute e il benessere di poche élite hanno cominciato a dipendere fortemente dalla salute e dal benessere del deplorevole demos – cuochi sottopagati, personale delle pulizie, autisti Uber potrebbero infatti trasmettere il virus ai loro ricchi datori di lavoro.

Gli epidemiologi ci avvertono che senza il confinamento e l’isolamento di ciascuno potrebbero morire milioni di persone. Lo shock iniziale per una solitudine imposta è stato seguito da uno shock ancora più profondo: l’idea che la nostra salvezza dipendesse dal paradosso di una solidale reclusione.

La salvaguardia dei nostri bisogni egoistici ci impone urgentemente di trovare una sistemazione per i senzatetto. Dobbiamo far sì che coloro a cui abbiamo detto ripetutamene di lavarsi le mani

dispongano effettivamente di acqua corrente (a Detroit, migliaia di alloggi non hanno accesso all’acqua, e tuttavia saremo disposti a fare la stessa cosa per i paesi poveri, dove le abitazioni che mancano di acqua pulita sono milioni?). Ai lavoratori a basso costo della cosiddetta gig economy si

(8)

deve garantire un reddito che consenta di non rischiare la salute (la loro e la nostra!) continuando a lavorare. Ospedali che scarseggiano di personale e di risorse hanno ora bisogno di migliaia di posti letto in terapia intensiva – pari a quelli che erano stati eliminati negli ultimi anni in nome

nell’austerità.

La fiducia neoliberista nella saggezza del capitalismo si è spezzata quando la logica del mercato ha cominciato a pesare sulle vite di milioni di persone. Al suo posto sono stati restaurati la logica dello stato sovrano e del keynesianesimo, lo stesso stato che i sostenitori di Reagan avevano voluto

“affogare nella vasca da bagno” ed è ora chiamato a securizzare le vite dei cittadini e a puntellare il potere dei politici.

La fiducia neoliberista nella saggezza del capitalismo si è spezzata

“Ma come pagherete per tutto questo?” La TINA del neoliberismo va a braccetto con una

preoccupazione costante a sostegno dell’austerità e ripete come un mantra che semplicemente, in un mondo con risorse limitate, non ci sono soldi per pagare per i diritti di tutti. Ma ora che molti economisti stanno prevedendo un tasso di disoccupazione pari al 30% (il più alto alto mai registrato negli Stati Uniti nel corso del ventesimo secolo), i governi conservatori, gli stessi che solo poche settimane fa criticavano i paesi spendaccioni come la Grecia, sono ora pronti a buttare circa centinaia di miliardi di euro per consentire ai lavoratori di stare a casa. Miliardi verranno prestati alle banche per mantenere salda l’illusione di un’efficiente economia di mercato e impedire il collasso sociale. I soldi, chiaramente, erano da sempre già là, solo che i tecnocrati non volevano spenderli. E tuttavia un virus che, almeno in termini storici, non è tra i più letali ha rivelato come il nostro sistema economico mondiale costringa fin troppe persone a vivere sull’orlo della rovina finanziaria, medica e sociale.

Bandite per circa una generazione, vecchie idee socialiste – economia solidale, gestione collettiva dei mezzi di produzione, salute pubblica, un semplice stato sociale (in altre parole, la Res publica) – sono state resuscitate e rilegittimate. Ciò che, solo poche settimane fa, non era che un incoerente

balbettio di spregevoli “populisti” ai margini dello spettro politico viene ora adottato dal centro come una saggia politica di governo – tuttavia per solo per poco…

Quest’estate, se nel migliore dei casi avremo messo sotto controllo la diffusione del COVID-19 e trovato un trattamento efficace, ci ricorreremo che praticamente tutti nel mondo occidentale potrebbero smettere di lavorare per due mesi senza compromettere i nostri bisogni essenziali? Ci ricorderemo che la maggioranza dei lavori non sono lavori essenziali ma “bullshit jobs”?

Ci ricorderemo che abbiamo potuto finalmente respirare aria fresca e non inquinata, che non abbiamo bisogno di consumare e comprare continuamente per riempire i vuoti delle nostre vite lavorative? Non lasciamo che questo momento, spaventoso e al tempo stesso carico di promesse per un mondo diverso, venga dimenticato in pochi mesi, spazzato via, come i fiori di ciliegio, dal vento dell’oblio capitalista.

Ringraziamo per la traduzione dall’inglese Alessandra Aloisi

(9)

Possiamo avere più potere: perché quello del cittadino incompetente è un mito

L’immagine del cittadino non educato, disinteressato, disinformato e perfino della “gente politicamente immatura”, guidata dalle sue passioni e da interessi egoistici piuttosto che dalla ragione, ha accompagnato per secoli lo sviluppo della democrazia e ha continuamente ritardato la piena emancipazione dei diversi gruppi di cittadini all’interno della vita politica. L’immagine del cittadino medio, politicamente non competente, è sempre stata strumentalizzata dai governanti:

prima per non estendere il diritto al voto a tutti e tutte, poi per opporsi a richieste di partecipazione diretta da parte dei cittadini.

Tuttora l’argomento dell’incompetenza spunta spesso quando si parla dell’ampliamento dei diritti referendari.

Leggi anche: Democrazia rappresentativa e vita digitale.

Intervista a Luciano Floridi

Tendenzialmente il cittadino comune è ritenuto incapace di farsi un giudizio e di decidere su

“questioni complesse”.

L’argomento ha una lunga storia, essendo stato usato per molti decenni contro il suffragio universale, poi contro il diritto di voto alle donne, più tardi ancora contro il diritto di voto della popolazione nera del Sudafrica. Ogni volta che un gruppo, a suo tempo discriminato, è riuscito a conquistare il diritto al voto, l’argomento è svanito.

Nel Diciannovesimo e Ventesimo Secolo

l’argomento dell’incompetenza veniva

sfoderato contro la democrazia stessa e

contro l’estensione del diritto al voto agli

uomini senza grandi patrimoni e alle donne

(10)

in generale

Oggi non sono più la democrazia e il suffragio universale a essere contestati con questo argomento, ma l’estensione dei diritti di partecipazione diretta di tutti i cittadini. Si nega, cioè, che le persone comuni siano in grado di valutare, elaborare, bloccare, abrogare delle leggi.

E si obietta che “persone esperte nel governo, i custodi platoniani appunto, sarebbero superiori nella loro conoscenza del bene generale e dei mezzi migliori per realizzarli” (Robert Dahl, Sulla

democrazia, 2000, 75). Anche l’attribuzione generica dell’etichetta “populista” ad un politico o una forza politica parte da un’immagine del cittadino medio non veramente maturo per ragionare e decidere su questioni politiche, vittima di manipolazioni e strumentalizzazioni, se non vota il partito sostenuto dal rispettivo commentatore.

Oggi, tranne in alcuni paesi islamici, il diritto di voto alle donne non viene più messo in

discussione da nessuno. Lo sono invece le capacità del cittadino medio di comprendere e valutare problemi politici

Nel diciannovesimo e ventesimo secolo l’argomento dell’incompetenza veniva sfoderato anche contro la democrazia stessa e soprattutto contro l’estensione del diritto al voto ad altre categorie di uomini, soprattutto quelli senza grandi patrimoni, e alle donne in generale.

Oggi, tranne in alcuni paesi islamici, il diritto di voto alle donne non viene più messo in discussione da nessuno. Lo sono invece le capacità del cittadino medio di comprendere e valutare problemi politici dei tempi odierni, quando si tratta di esercitare i diritti referendari.

Nella prima metà dell’Ottocento venne paventato il pericolo che, a seguito

dell’introduzione degli strumenti referendari, la Svizzera sarebbe stata sommersa da una valanga di leggi mal riuscite

Ma alla luce dei fatti tale argomento non regge. Se fosse stato così la Svizzera, una democrazia dotata della gamma completa degli strumenti referendari, dovrebbe trovarsi sull’orlo

dell’autodistruzione.

Già nella prima metà dell’Ottocento venne paventato il pericolo che, a seguito dell’introduzione degli strumenti referendari, il paese sarebbe stato sommerso da una valanga di leggi mal riuscite, dettate da interessi egoistici e dall’ottica ristretta della gente comune.

(11)

Leggi anche: Tiziano Bonini, Remixing Luciano Floridi: 6 domande per scoprire cosa c’è oltre la filter bubble

Benché i liberali in Svizzera fossero arrivati al potere grazie ad elezioni popolari (con elettori solo maschi), il loro leitmotiv era “governare per il popolo” e non invece governare con il popolo.

Dal loro punto di vista le persone comuni erano politicamente immature e incapaci di partecipare alle decisioni politiche.

Alcuni scienziati pronosticavano che la democrazia svizzera si sarebbe sfracellata sugli scogli dell’incapacità cognitiva della

maggioranza dei suoi cittadini. Sappiamo che è diventata una delle democrazie più vive e stabili del mondo

Questo argomento continuava a giustificare un sistema parlamentare puramente rappresentativo. In Svizzera un tale sistema rimase intatto solo fino al 1869, ma oggi nella maggior parte dei Paesi democratici è ancora in vigore.

Alcuni scienziati pronosticavano che la democrazia svizzera si sarebbe sfracellata sugli scogli dell’incapacità cognitiva della maggioranza dei suoi cittadini. Sappiamo che è avvenuto piuttosto il contrario: è diventata una delle democrazie più vive e stabili del mondo.

All’inizio del ventunesimo secolo in diversi paesi cresce la domanda di maggior partecipazione alle decisioni politiche. La popolazione dei Paesi europei dimostra un livello di istruzione medio che non lascia spazio a valutazioni sulla sua mancanza di capacità intellettuali.

La popolazione dei Paesi europei dimostra un livello di istruzione medio che non lascia

spazio a valutazioni sulla sua mancanza di capacità intellettuali

Eppure nei dibattiti sulla democrazia diretta i difensori della democrazia puramente rappresentativa continuano a proiettare situazioni in cui i risultati di votazioni referendarie segnerebbero gravi contraccolpi allo sviluppo di una società liberale, aperta e solidale.

Da qualche inchiesta demoscopica si desume che attraverso iniziative popolari potrebbe essere reintrodotta la pena capitale, verrebbe reso quasi inapplicabile il diritto all’asilo politico, verrebbero tagliate le imposte sui consumi di oli minerali e le tasse sulle automobili e così via.

(12)

In Svizzera dopo quasi 150 anni di regolare esercizio degli strumenti di democrazia diretta nulla di questo si è verificato. Il dibattito sembra ignorare un secolo e mezzo di sviluppo dei sistemi

democratici e l’accresciuta competenza politica del cittadino medio, legata alla scolarizzazione di massa e al grado di diffusione degli organi di informazione di ogni tipo.

Non c’è motivo per desumere che ci siano élite politiche di per sé più capaci di

giudicare questioni politiche rispetto al cittadino comune

Anche in altri Paesi industrializzati, come mai prima, le condizioni culturali, tecnologiche ed educative sono favorevoli a un approfondimento della democrazia.

Non c’è più motivo per ritenere che ci sia una categoria ristretta di persone che, per formazione o vocazione, sia predestinata a condurre gli affari politici. Non c’è motivo per desumere che ci siano élite politiche di per sé più capaci di giudicare questioni politiche rispetto al cittadino comune.

Le elezioni e le carriere politiche all’interno dei partiti non generano automaticamente

un’”intelligenza politica più avanzata”, che il cittadino normale non è mai in grado di raggiungere.

Eppure, nella nostra società, la classe

politica può costituire un gruppo che coltiva un’immagine di élite sociale, diversa dai

cittadini comuni che non ne fanno parte

Nella democrazia non esiste un esame di maturità politica, requisito per i cittadini comuni per occuparsi di questioni politiche, a differenza dei politici professionisti.

Eppure, nella nostra società, la classe politica può costituire un gruppo che coltiva un’immagine di élite sociale, diversa dai cittadini comuni che non ne fanno parte.

Per contro, in un sistema democratico integrato dai principali strumenti referendari il rapporto fra il cittadino e il politico è diverso rispetto a un sistema rappresentativo puro.

La mancanza di competenza del cittadino medio è nella sua essenza un argomento contro la democrazia in quanto tale

In questo secondo caso, sia per i politici sia per i cittadini ci sono libertà e possibilità di intervenire sulle decisioni politiche anche se le opportunità di azione sono differenti. Politici e cittadini si

(13)

incontrano con pari dignità.

Monopolizzando le decisioni politiche

La mancanza di competenza del cittadino medio è nella sua essenza un argomento contro la democrazia in quanto tale. Se i cittadini non sono competenti per decidere su singole questioni politiche, come potrebbero essere capaci di valutare bene dei personaggi che si candidano a prendere decisioni per loro?

Nel caso dell’elezione di un candidato, infatti, non si tratta solo di valutare l’integrità morale ed intellettuale di una persona, la sua competenza ed abilità, ma si dovrebbe conoscere e valutare anche tutto il suo programma politico.

L’idea che il governo dovrebbe essere

affidato a persone esperte dedite a governare per il bene comune e superiori agli altri nella conoscenza dei mezzi per raggiungerlo, è

sempre stata la principale avversaria delle idee democratiche

Non è chiaro perché gli elettori da una parte vengano giudicati capaci di scegliere fra partiti e candidati, mentre dall’altra parte sono ritenuti incapaci di giudicare su problemi politici concreti.

Questa critica tacitamente suggerisce anche un’immagine quasi mitica del politico: supremamente intelligente, estremamente ben informato, razionale e moralmente ineccepibile, uno statista saggio, insomma una sintesi perfetta fra il presidente di un consiglio di amministrazione e un professore universitario.

L’idea che il governo dovrebbe essere affidato a persone esperte dedite a governare per il bene comune e superiori agli altri nella conoscenza dei mezzi per raggiungerlo, è sempre stata la principale avversaria delle idee democratiche.

Oggi, all’interno delle democrazie puramente rappresentative, i cittadini eleggono e

delegano, ma solo i politici decidono

Ai tempi delle lotte popolari per il suffragio universale questo atteggiamento soleva legittimarsi in termini non solo conoscitivi, ma anche morali, che Robert Dahl riassume così:

Come voi anche noi crediamo fermamente nell’intrinseca uguaglianza. Ma non ci limitiamo a essere profondamente devoti al bene comune; sappiamo anche meglio di molti altri come realizzarlo. Dunque siamo molto più adatti della maggioranza della gente a governare. Perciò, se ci assicurate un’autorità esclusiva sul governo,

(14)

metteremo la nostra saggezza e i nostri sforzi al servizio del bene comune; e nel fare ciò, terremo in uguale considerazione il bene e gli interessi di ciascuno (Robert Dahl, 2000, 74).

L’argomento serviva ai politici per controllare la selezione del personale politico e per restringere il diritto al voto.

Oggi, all’interno delle democrazie puramente rappresentative, i cittadini eleggono e delegano, ma solo i politici decidono. In presenza di diritti referendari molto limitati e votazioni referendarie assai rare come è il caso in Italia oggi, la situazione è simile.

Non sono solo i politici a coltivare il mito del cittadino medio incompetente confrontato con l’élite politica, ma anche esperti di vario genere

I politici detengono il monopolio su tutta una serie di risorse, tra cui quella di decidere su quasi tutte le questioni di maggior importanza, quella di determinare l’agenda politica e quella di avvalersi delle risorse finanziarie per diffondere le loro posizioni.

Il loro accesso esclusivo a queste risorse è alla base dello squilibrio di potere fra politici e cittadini.

Ancora una volta questo squilibrio viene giustificato con due argomenti principali: l’atto di

legittimazione democratica, cioè le elezioni, e la competenza professionale del personale politico.

Se la natura della legittimazione tramite elezioni democratiche può essere ineccepibile – anche se i sistemi elettorali vigenti oggi per farsi eleggere meriterebbero un discorso a parte – lascia molti dubbi l’automatismo con cui si lega l’acquisizione della competenza politica alla sola attività parlamentare.

La democrazia e l’espertocrazia

Non sono solo i politici a coltivare il mito del cittadino medio incompetente confrontato con l’élite politica, ma anche esperti di vario genere.

Con il progresso tecnologico e l’aumento della complessità delle società industriali, vi sono sempre più élite scientifiche che, in rappresentanza degli interessi dei potenti, sfidano la capacità normativa e legislativa degli organi di rappresentanza democratica.

In una società sempre più complessa come la nostra accade spesso che si ricorra al parere di esperti per prendere decisioni cruciali che influiranno direttamente sul proprio benessere.

Ma delegare certe decisioni agli esperti non equivale a cedere il controllo finale sulle decisioni più importanti. Una cosa è ricorrere all’aiuto di esperti nel governo, altra cosa è dare a un’elite il potere di decidere leggi e politiche che dovremo seguire. Quindi la questione è chi o quale gruppo dovrebbe avere l’ultima parola nelle decisioni prese per governare uno stato o una regione (Robert Dahl, 2000, 76).

Ora il governo di un paese democratico non è una scienza come la fisica, la chimica o, al limite, la

(15)

medicina:

Da una parte, praticamente ogni decisione politica importante, che sia personale o di governo, implica dei giudizi etici, e questi giudizi non sono giudizi “scientifici”

nell’accezione corrente. Poi resta sempre un margine considerevole di incertezza e conflitto sui mezzi: come raggiungere il fine e la desiderabilità, praticabilità, accettabilità dei mezzi e le loro possibili conseguenze (Dahl, 2000, 77).

Il fatto che gli esperti possano essere qualificati per servire come gli agenti dei cittadini, cioè incaricati di compiti specifici, non significa che siano qualificati a servire come governanti, cioè poter imporre le loro scelte, conclude Robert Dahl, uno dei più autorevoli politologi e studiosi della democrazia dei nostri tempi.

Il dibattito sulla “espertocrazia” negli ultimi anni si è intensificato in seguito alle ingenti somme pagate dai governi e dalle giunte

regionali e provinciali per le consultazioni più varie

Ciò significa che gli esperti di ogni genere, screditando argomenti come “scientificamente non fondati” o dilettantistici, non possono negare la legittimità degli organi eletti ed eventualmente gli elettori nel loro insieme nel fissare norme vincolanti per tutti.

Il dibattito sulla “espertocrazia” negli ultimi anni si è intensificato in seguito alle ingenti somme pagate dai governi e dalle giunte regionali e provinciali per le consultazioni più varie.

Senza mettere in dubbio la qualifica e la competenza degli esperti, è necessario sottolineare che le loro scelte, il tipo di consultazione e le condizioni di regola vengono decise dai politici e da gruppi di interesse coinvolti in base a criteri spesso poco trasparenti.

Per evitare l’abuso del ruolo degli esperti da parte delle élite politiche è necessario

migliorare le procedure decisionali

Per evitare l’abuso del ruolo degli esperti da parte delle élite politiche è necessario migliorare le procedure decisionali. Uno degli strumenti più utili per questo scopo può essere la democrazia diretta, con l’iniziativa e il referendum.

L’”espertocrazia” va controbilanciata con un ruolo rafforzato dei cittadini stessi che chiedono trasparenza e rivendicano un ruolo indipendente e neutrale degli esperti stessi.

Per contro, non esiste un antagonismo fra esperti legittimati e i cittadini-elettori nonché cittadini promotori di referendum, tant’è vero che per tantissime iniziative civiche anche i cittadini, pur con mezzi finanziari molto più limitati, si avvalgono delle conoscenze scientifiche e dei pareri di tecnici

(16)

ed esperti.

Le votazioni in Svizzera dimostrano che gli elettori non votano preconcettualmente per o contro l’opinione degli esperti. Generalmente l’elettorato svizzero vota con prudenza

L’importante è che tra democrazia ed “espertocrazia” si stabilisca un giusto rapporto, che tenga separati i ruoli tra chi prende le decisioni politiche e chi, in qualità di esperto legittimato da conoscenze e titoli accademici, esprime consigli e pareri.

In un sistema di diritti referendari ben istituzionalizzati gli esperti hanno più difficoltà a imporre i loro pareri rispetto ad un sistema puramente rappresentativo nel quale è necessario convincere solo le élite politiche.

Le votazioni in Svizzera dimostrano che gli elettori non votano preconcettualmente per o contro l’opinione degli esperti. Generalmente l’elettorato svizzero vota con prudenza, combinando criteri tecnici con valutazioni normative che esulano da un ragionamento puramente scientifico.

Con gli strumenti referendari il monopolio delle decisioni nelle mani di una piccola

minoranza di politici viene sostanzialmente rotto

In Svizzera la popolazione sembra essere più consapevole del fatto che un ruolo troppo forte degli esperti, in ultima analisi, restringerebbe la capacità di autodeterminazione del libero cittadino, concetto molto caro ai cittadini elvetici.

Con gli strumenti referendari il monopolio delle decisioni nelle mani di una piccola minoranza di politici viene sostanzialmente rotto, senza che per questo vengano limitate o modificate le loro generali responsabilità di membri eletti dagli organi politici.

L’immagine del cittadino incompetente svanisce ed è sostituita da quella di un cittadino attivo, interessato, più responsabile, politicamente più competente e consapevole del suo ruolo nella società.

L’immagine del cittadino incompetente

svanisce ed è sostituita da quella di un

(17)

cittadino attivo, interessato, più

responsabile, politicamente più competente

Allo stesso tempo cambia anche l’immagine del politico che, dalle alte sfere delle decisioni condivise solo con pochi altri politici e lobbisti, è costretto più spesso a calarsi in realtà più terrene e a

confrontarsi con i “cittadini normali”.

I politici dovrebbero percepire questo processo non tanto come perdita di potere e status, ma come un’opportunità per aumentare la loro empatia e umanità.

Pubblichiamo un estreatto da Più potere ai cittadini di Thomas Benedikter (Mimesis edizioni) Immagine di copertina: ph. Rawpixel da Unsplash

Riferimenti

Documenti correlati

Seguiamo, rivolgendoci anche ai nostri soci avvocati, la clientela nella gestione dei rapporti contrattuali delle imprese in ambito pubblico e privato. Assistiamo i clienti

* variazione denominazione sociale da Convergent Technologies Partners S.p.A.

* variazione denominazione sociale da Convergent Technologies

Agenzia delle Dogane – area Dogane 12/03/2017 www.agenziadogane.it Agenzia delle Dogane – area Monopoli 30/05/2016 www.agenziadogane.it. Agenzia delle Entrate 11/12/2016

[r]

[r]

[r]

La qualificazione delle soluzioni SaaS è una delle azioni prioritarie di riferimento del layer «Infrastrutture fisiche» previste dal Piano Triennale dell’ICT della PA 2017-2019..