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Progetto Kaitlyn. Samantha K. Jones. Copyright John Q. Smith. All rights reserved. Sinossi. Capitolo 1. Capitolo 2. Capitolo 3. Capitolo 4.

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Progetto Kaitlyn Samantha K. Jones

Copyright © John Q. Smith All rights reserved

Sinossi Capitolo 1 Capitolo 2 Capitolo 3 Capitolo 4 Capitolo 5 Capitolo 6 Capitolo 7 Capitolo 8 Capitolo 9 Capitolo 10 Capitolo 11 Capitolo 12 Capitolo 13 Capitolo 14 Capitolo 15 Capitolo 16 Capitolo 17

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Capitolo 18 Capitolo 19 Capitolo 20 Capitolo 21 Capitolo 22 Capitolo 23 Capitolo 24 Capitolo 25

Sinossi

Kaitlyn Jones è una ragazza dalle curve generose, ma con un pessimo lavoro. Il momento migliore della sua giornata, come assistente amministrativo presso la Carlson Technologies, consiste nel riuscire a vedere di sfuggita il fondatore dell’azienda, il sexy miliardario Donovan Carlson. Quando un incarico speciale costringe Kaitlyn a occuparsi di una commissione personale per il signor Carlson, la situazione si fa un po’ più bollente di quanto si aspettasse.

Volano scintille fra questa bella donna formosa e l’affascinante miliardario che le ha rubato il cuore; Kaitlyn non tarda a capire che nel signor Carlson c’è molto di più di quanto emerga a prima vista. Riuscirà a liberarsi dalle sue insicurezze e ad arrendersi all’uomo appassionato che va pazzo per le sue curve generose?

Capitolo 1

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Quando mi svegliai, quel mattino, non sospettavo affatto che quella giornata sarebbe stata tutto fuorché ordinaria.

Eppure eccomi lì, alle due e trenta del pomeriggio, nell’attico in cui si trovava l’ufficio del signor Carlson, con le mie generose curve soffocate da un corsetto troppo stretto e un paio di mutandine abbinate, completamente trasparenti.

Avrei dovuto completare il suo progetto speciale entro una scadenza ben determinata ma, anche se non era colpa mia, ero in ritardo. Anche se, a essere onesti, "ritardo" era un po’ il mio secondo nome.

Gli occhi del signor Carlson valutarono, affamati, il mio corpo stretto dalla lingerie, poi disse che avrei dovuto essere punita per il mio ritardo. Dopo aver frugato in uno dei sacchetti della spesa che avevo deposto ai suoi piedi, tirò fuori la paletta di pelle, che afferrò con fermezza in una mano, picchiandola contro l’altra.

I miei occhi si spalancarono e la bocca diventò secca. Era così che aveva intenzione di punirmi?

Otto ore prima

La giornata era iniziata come qualunque altra, una doccia, due tazze di caffè e una corsa sfrenata per prendere in tempo l’autobus diretto verso il centro. Ero comunque arrivata alla mia scrivania con quindici minuti di ritardo perché mi ero fermata al bar al pian terreno per prendere al volo un bagel, prima di mettermi in coda davanti all’ascensore.

Avrei dovuto prendere le scale fino al secondo piano; Dio solo sa quanto un po’

di esercizio mi avrebbe fatto bene, ma non avevo proprio voglia di sforzarmi.

Anche se in quel momento non ne avevo ancora la minima idea, quando il

telefono sulla mia scrivania iniziò a squillare appena prima delle dieci, la giornata stava per prendere una piega intrigante.

Lanciando un’occhiata al nome di chi mi chiamava, mi accorsi che si trattava del mio supervisore. Il suo nome era Laura, ma tutti al secondo piano si riferivano a lei chiamandola la Strega Cattiva. Quando Laura telefonava, raramente mi

aspettavo di ricevere buone notizie, soprattutto perché avevo la cattiva abitudine di fare tardi al lavoro.

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"Parla Kaitlyn", risposi, con il tono di voce più servile possibile. Tecnicamente, il mio titolo era di assistente amministrativa. In questa azienda, però, era una parola in codice per fai-quello-che-ti-dico-di-fare-stronza.

"Ti vogliono ai Progetti Speciali", mi disse la Strega Cattiva, con un tono di voce piatto.

"Progetti Speciali?", chiesi. Era strano. Che cosa avrebbero mai potuto volere da un amministratore di basso rango come me?

"Sì, e devi sbrigarti. L’email con la richiesta è arrivata stamattina, ma io non ero in ufficio. Avresti dovuto trovarti di sopra già da un’ora".

Perfetto. Grazie a Laura, ero già in ritardo.

"Vado subito", risposi con un po’ troppa allegria, felice di poter prendere una pausa dalle noiose scartoffie. Non ero nemmeno infastidita dal fatto che

probabilmente mi sarei persa la pausa pranzo.

La divisione Progetti Speciali della Carlson Technologies aveva un piano tutto per sé e una receptionist dedicata. Anche se nessuno esterno alla divisione sapeva davvero che cosa vi succedesse, il team rispondeva direttamente al Grande Capo in persona, il miliardario Donovan Carlson.

Si ipotizzava che i Progetti Speciali gestissero ogni dettaglio della vita personale e professionale del signor Carlson, dal far lavare tutti i suoi migliaia completi e pianificare i suoi appuntamenti personali, fino a prenotare le cene e coordinare le videoconferenze internazionali.

Donovan Carlson non aveva ereditato la sua fortuna, se l’era guadagnata. Dopo aver costruito la Carlson Technologies partendo da zero, era finito a soli

trentacinque anni nella lista delle cento persone più ricche al mondo secondo Forbes e aveva passato gli ultimi sette arrampicandosi con costanza sempre più verso il successo.

A quarantadue anni, Carlson era nel pieno delle forze. Mentre molti uomini davano il meglio di sé verso i trent’anni, prima di perdere inesorabilmente la forma muscolare o i capelli, il signor Carlson era diventato sempre più bello con il passare del tempo.

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Era alto quasi un metro e novanta, con una corporatura forte e slanciata e una testa piena di capelli corvini, con un semplice tocco di grigio sulle tempie che gli conferiva un’aria distinta. Se si era così fortunati da poterlo scorgere di sfuggita alla fine della giornata, sul suo volto era possibile intravedere appena un’ombra di barba.

Non avevo una vita sociale molto attiva e non avevo propriamente stretto amicizia con nessuno dei miei colleghi, anche perché non erano soliti chiedere a una ragazza in carne come me di unirsi a loro per un aperitivo. La maggior parte delle giornate, quindi, mi offrivo volontaria per rimanere anche dopo l’orario di ufficio e presidiavo la reception della società, sperando che lui se ne andasse prima di me. Con la giusta dose di tempismo, riuscivo a vederlo uscire dal suo ascensore privato con in mano una ventiquattrore in pelle firmata, per poi

sfrecciare con aria sicura fra le porte automatiche fino a raggiungere sua auto che lo aspettava davanti all’entrata dell’edificio.

Un paio di volte aveva guardato nella mia direzione ma, quando io gli avevo sorriso, non aveva ricambiato. Immagino che guardasse attraverso di me e non me.

In ogni caso, non riesco nemmeno a tenere conto delle notti insonni in cui ho sognato quella barba appena accennata che si strusciava contro la pelle morbida del mio interno coscia, con il signor Carlson che affondava il suo bel viso fra le mie gambe…

"Come posso aiutarla?", mi chiese la receptionist dei Progetti Speciali, interrompendo i miei momentanei sogni ad occhi aperti.

"Sono Kaitlyn Jones", dissi.

"Oh, lei è davvero in ritardo", mi disse la receptionist, lanciando un’occhiata all’orologio del suo computer.

"Lo so, ma il mio supervisore mi ha appena comunicato la richiesta".

"Si sieda, per favore". Mi fece cenno col capo in direzione di una piccola sala d’attesa e io mi sedetti imbarazzata sul bordo del divano in pelle, maledicendomi per non aver indossato qualcosa di più grazioso di un semplice paio di pantaloni neri aderenti con un’ampia camicetta bianca.

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Non era facile vestire un corpo piccolo, rotondo e abbondante come il mio, soprattutto con lo stipendio da assistente amministrativa. Con il mio seno ampio, le mie cosce grosse e il mio sedere rotondo, qualcosa di elastico e morbido era per lo meno una soluzione economica e comoda, anche se non molto elegante.

Passarono meno di cinque minuti prima che una donna vestita in modo

impeccabile, con un tailleur blu scuro, mi accogliesse con un sorriso incoraggiante.

"Mi spiace di averla fatta attendere, signorina Jones", mi disse porgendomi la mano, che le strinsi con fermezza. "Sono Jade Vardan e sono qui per spiegarle il suo incarico".

"Mi dispiace di essere in ritardo", risposi seguendo Jade verso il suo ufficio.

"Sono venuta a sapere della vostra richiesta solo qualche minuto fa".

Jade mi sorrise. "Non si preoccupi, signorina Jones. Le garantisco che il problema verrà fatto notare al suo supervisore".

Presi nota mentale di chiedere in giro, più tardi, per verificare se la Strega Cattiva avesse ricevuto una bella lavata di capo. Chi di spada ferisce, di spada perisce, dopo tutto.

Sulla scrivania di Jade si trovava la mia scheda personale, di cui lei fece passare i contenuti. "Vedo che lei ha ventisette anni, signorina Jones, ed è laureata in

Letteratura".

"Esatto", risposi, maledicendomi in silenzio per non aver ascoltato mio padre quando mi aveva incoraggiato a laurearmi in qualcosa di più utile, come Scienze delle Comunicazioni o Economia. Tutto quello a cui mi aveva portato la mia laurea era una serie di lavori di amministrazione senza speranza e qualche saggio

pubblicato gratuitamente su alcune riviste letterarie.

"Lei ha lavorato alla Carlson Technologies per sei mesi ed è già stata promossa dal livello base di amministrazione ad assistente amministrativa. Ottimo lavoro, signorina Jones".

"Grazie", le risposi, anche se la lode non era ben meritata; ogni amministratore che resisteva sei mesi alla Carlson Technologies veniva promosso

automaticamente ad assistente amministratore.

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Speravo che questo incarico ai Progetti Speciali, di qualsiasi tipo fosse, mi avrebbe offerto un’opportunità di fare carriera all’interno della Carlson Technologies. Ero stufa di saltare da un lavoro all’altro ed ero pronta per una carriera vera e propria.

"Asia non ci ha fornito molti dettagli riguardo al suo incarico", mi disse Jade.

"Tuttavia mi ha detto di averla raccomandata espressamente, il che è davvero un onore".

Asia era l’assistente esecutivo del signor Carlson. Era stata al suo fianco da quando egli aveva creato l’azienda, oltre vent'anni fa. Anche se io sapevo bene chi fosse Asia (tutti lo sapevano, alla Carlson Technologies) non avevo idea che lei mi conoscesse.

"Riceverà ulteriori dettagli al piano superiore, è lì che sto per mandarla", continuò Jade. Il piano superiore era l’attico occupato dal signor Carlson e da Asia. "Per il momento, le chiedo cortesemente di firmare il nostro accordo standard di riservatezza".

I Progetti Speciali prevedevano una severa politica di riservatezza e fui felice di firmare il documento che Jade mi mise davanti. Ne fece una copia usando la fotocopiatrice da tavolo e pinzò l’originale sulla mia scheda personale.

Jade mi porse il documento e un pass per l’ascensore. "Porga questa

autorizzazione all’operatore dell’ascensore e lui la condurrà al piano superiore.

Parli con Asia e le consegni il suo file. Penserà a tutto lei!"

Capitolo 2

L’operatore dell’ascensore era un tizio imperturbabile il cui aspetto non invitava a chiacchierare, quindi restammo in silenzio.

Dopo essere scesa al livello dell’attico del Carlson Palace, mi diressi subito verso l’ufficio di Asia. Le porsi la mia scheda personale, con un respiro profondo. "Sono Kaitlyn Jones, sono stata inviata dai Progetti Speciali".

"Buongiorno, Signorina Jones", disse Asia con tono cordiale, prendendo la scheda e controllandone il contenuto. "Sembra che sia tutto a posto. Il signor

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Carlson ha bisogno che lei svolga una commissione personale. L’incarico è, per così dire, poco convenzionale. Ma le garantisco che sarà più divertente di stare seduti nel suo cubicolo al secondo piano".

Asia mi sorrise e io non potei fare a meno di ricambiare. Tutti quelli che lavoravano al secondo piano sembravano così di buon umore… E così gentili!

"Jade dei Progetti Speciali mi ha detto che è stata lei a raccomandarmi per questo incarico".

"Esattamente", mi rispose Asia. "Il signor Carlson sta progettando un viaggio per San Valentino con un’amica e vorrebbe comprarle qualche regalo e una sorpresa speciale".

"E io che cosa c’entro?", le chiesi.

"Beh, la sua corporatura e le sue dimensioni sono praticamente identiche a quelle della sua amica, anche se devo dire che il suo viso è molto più bello e che i suoi attributi, per così dire, sembrano essere decisamente più naturali".

Credo che si stesse riferendo alla mia quinta!

"Non sono certa di capire", le dissi, ancora confusa.

"Il signor Carlson generalmente compra alle sue amiche gioielli o profumi, tutte cose di cui posso occuparmi tranquillamente", mi spiegò Asia. "Questa volta, invece, vorrebbe acquistare della biancheria intima. Anche nel fiore degli anni, la mia figura non è mai stata piena come la sua. E, di certo, non voglio indovinare una taglia che potrebbe rivelarsi sbagliata".

Asia sembrava essere alta circa un metro e sessanta e non poteva pesare più di cinquantacinque chilogrammi. Con la sua corporatura snella, probabilmente avrebbe potuto entrare in una delle gambe dei miei pantaloni.

"Ricordavo di averla vista alla reception", continuò. "E mi sono accorta che lei è sicuramente più tagliata di me per questa missione di shopping".

L’incarico, finalmente, iniziava ad avere un senso.

"Capisco. Dato che porto la stessa taglia dell’amica del signor Carlson, vuole che vada a fare shopping per lui e provi la biancheria per assicurarmi che calzi bene".

Asia mi sorrise. "Esattamente".

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"Credevo che il signor Carlson uscisse unicamente con modelle e attrici. La mia tipologia corporea non rientra esattamente in questo profilo".

Asia si fece più vicina a me e abbassò il tono di voce. "La maggior parte della gente lo ignora, ma gli sono sempre piaciute le ragazze in carne con un bel viso.

Proprio come lei, signorina Jones".

"Davvero?", risposi, genuinamente sorpresa. "Di certo non si direbbe, a

giudicare dai suoi passatempi che vengono costantemente riportati nella sezione Celebrità delle riviste".

I paparazzi non facevano altro che scattare foto al signor Carlson e alla sua bella del momento e io non l’avevo mai visto con una donna bassa e tonda, anche se con un bel viso.

"Forse le sue donne più procaci preferiscono tenersi fuori dai riflettori".

Ci pensai per un attimo. Se fossi uscita con il signor Carlson anche solo per una notte, ero abbastanza sicura che avrei voluto far sapere al mondo intero che stavamo insieme.

Però, ripensandoci, avrei davvero voluto che mi venisse scattata una foto da un’angolazione poco misericordiosa e che venisse piazzata sulla copertina di una rivista scandalistica con un titolo del tipo, Il miliardario Donovan Carlson esce con un maialino extra large?

Forse no.

Porgendomi una busta sigillata e una carta di credito aziendale, Asia mi spiegò meglio. "Ecco un elenco degli oggetti che il signor Carlson vorrebbe che lei

acquistasse. Non ho visto la lista, ma posso dirle che i soldi non sono un problema. Dovrà concentrarsi sulla qualità, non sul prezzo". Annuii con

approvazione, mentre lei mi infilava in mano un biglietto da visita. "Se ha qualche domanda, mi chiami direttamente. Il numero è riportato sul biglietto".

"Grazie", le dissi. Le ero grata per davvero. Al secondo piano non era mai accaduto nulla di così interessante.

"Sarà meglio che vada, signorina Jones", mi disse Asia, scortandomi verso l’uscita. "Ha già iniziato in ritardo e dovrà essere di ritorno per le due in punto. Il signor Carlson non è il tipo d’uomo a cui piace aspettare".

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Una volta fuori, presi un cappuccino e un muffin al bar vicino e mi sedetti su una panchina a pianificare la mia strategia di acquisti. Il Carlson Palace si trovava a pochi isolati dal distretto dello shopping, ma pensavo che avrei preso un taxi per risparmiare tempo.

Ero emozionata all’idea di andare ad acquistare della lingerie per taglie forti in negozi d’alta moda e di essere pagata per provare dei negligé di seta o delle camicette ammiccanti. Anche se il signor Carlson avrebbe ammirato quella biancheria su un’altra donna, l’idea di fare shopping non faceva altro che alimentare le mie fantasie.

Quando aprii la busta e vidi la lista stilata dal signor Carlson, però, rimasi a bocca aperta.

È questo il tipo di biancheria che vuole che acquisti?

E voleva inoltre che tornassi in ufficio indossando l’intero completo sotto un cappotto lungo… In modo da potergli mostrare di persona la biancheria in questione.

Sussultai. Asia non scherzava quando aveva definito l’incarico “poco convenzionale”.

Non avrei trovato nessuno degli oggetti sulla lista del signor Carlson (che fosse biancheria o altro) in un negozio come Armani o Gucci. Prendendo il mio cellulare, composi rapidamente il numero di Asia riportato sul biglietto.

"Pronto, sono Asia", mi rispose prontamente.

"Buongiorno Asia, sono Kaitlyn. Ho una domanda".

"Già?", chiese lei. La sua voce sembrava preoccupata e probabilmente stava pensando che avrebbe fatto meglio a sbrigare gli acquisti personalmente.

"Si tratta della lista", le dissi. "Gli oggetti sono un po’ più… Diciamo... Intimi di quanto mi aspettassi".

"È ancora disponibile a completare l’incarico, signorina Jones?", mi chiese Asia, allarmata.

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"Certo", le dissi. Anche se non ne ero completamente sicura, non avrei gettato la spugna così presto. "È solo che non so esattamente dove andare ad acquistare il tipo di lingerie e… Gli altri oggetti di cui ha bisogno il signor Carlson".

"Capisco", mi rispose Asia, di nuovo con il suo solito tono cordiale. "Non c’è bisogno di preoccuparsi. Lungo la 7th Avenue potrà trovare un negozio

specializzato di alta classe. Ha un’entrata molto discreta e difficile da notare, dovrà cercare una porta nera con affisso il numero 307 in caratteri dorati. Prema il citofono e chieda della Signorina Brown. Le dica che la mando io, saprà come aiutarla".

La ringraziai e appesi. Infilando la lista nella mia borsetta, chiamai un taxi e dissi all’autista di portarmi sulla 7th Avenue, al numero indicato.

Capitolo 3

Alle due e venti, il mio telefono squillò. Era Asia.

"Dove si è cacciata?", mi sibilò.

"Sono appena entrata nell’edificio e mi sto dirigendo verso l’ascensore".

"È in ritardo!"

"Ci metto meno di mezz’ora, giuro". Nel mio mondo, era come essere puntuali.

"Le avevo spiegato che al signor Carlson non piace aspettare", mi disse Asia. Il tono cordiale nella sua voce praticamente scomparso.

"Ma ho comprato tutto ciò che era riportato sull’elenco del signor Carlson e ho seguito esattamente le sue indicazioni", cercai di difendermi, con poca

convinzione.

"Spero che sia sufficiente a farlo calmare", mi disse Asia, prima di chiudere la conversazione.

Mentre salivo con l’ascensore privato e silenzioso del signor Carlson, iniziai a sentirmi in ansia. Mi ero appena giocata il mio futuro alla Carlson Technologies facendo tardi al mio primo progetto speciale?

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Sentivo l’ansia crescere mentre i piani scorrevano, uno dopo l’altro. Quando l’ascensore si fermò all’attico, avevo ormai iniziato a tremare. Asia mi fissò senza dire una parola, il suo sguardo severo analizzava il mio cambio di abbigliamento.

La mia camicetta bianca e i miei pantaloni neri erano stati sostituiti da un lungo cappotto nero, abbottonato da cima a fondo.

Se era curiosa di vedere che cosa indossassi sotto, non lo lasciò di certo trapelare.

Mi fece cenno di seguirla lungo il corridoio. In mano reggevo tre sacchetti. Due erano per il signor Carlson e contenevano gli oggetti speciali riportati sulla lista. Il terzo, invece, conteneva i miei vestiti.

Ci fermammo davanti ad una porta doppia, chiusa. Asia bussò due volte, si fermò per un secondo e poi la spalancò.

"La signorina Jones è tornata", disse, presumibilmente rivolta al signor Carlson, anche se non lo potevo vedere da dove mi trovavo, alle sue spalle.

"Falla entrare e chiudi la porta", rispose bruscamente una voce profonda maschile.

Asia aprì di più la porta, facendomi cenno di entrare nell’ufficio del signor Carlson. Raccogliendo tutto il mio coraggio, attraversai l’ingresso.

"Si ricordi di chiamarlo sempre signor Carlson. Lui vuole che tutti lo chiamino così", mi sussurrò Asia mentre le passavo di fianco. "Buona fortuna, signorina Jones".

Rimasi lì con i sacchetti in mano e aspettai altre direzioni, sussultando lievemente quando la porta si chiuse alle mie spalle con un colpo secco.

L’ufficio del signor Carlson assomigliava ad un piccolo appartamento di alta classe. Ad un’estremità si trovava una scrivania massiccia, rivolta verso una parete a finestra che incorniciava una vista mozzafiato su Chicago.

Dall’altro lato, invece, si trovava una zona munita di posti a sedere molto confortevoli, disposti di fronte a un caminetto di pietra. Lungo la stanza c’erano diversi mobili di ottima fattura e una porta laterale che sembrava aprirsi verso un bagno privato.

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Anche se il signor Carlson era seduto alla sua scrivania con la testa chinata, intento a leggere un documento sullo schermo del computer, la sua presenza autoritaria permeava comunque la stanza.

"Non rimanga lì impalata, signorina Jones. Mi porti gli oggetti che avevo chiesto", mi disse bruscamente senza alzare lo sguardo.

Camminai con esitazione verso la sua scrivania, con il respiro che si faceva sempre più affannoso man mano che mi avvicinavo abbastanza da vedere con più chiarezza il suo profilo. Non lo avevo mai visto così, senza la giacca, con la cravatta allentata e le maniche della camicia bianca arrotolate. Il suo look casual lo faceva sembrare meno spaventoso, ma ancora più attraente del solito.

Mi chinai per appoggiare due dei sacchetti ai suoi piedi. Esitai per un istante, inalando il suo profumo così intenso, così da imprimere bene la sua fragranza inebriante nella mia memoria.

Dopo aver spento il monitor del computer, il signor Carlson si voltò verso di me per la prima volta. "È in ritardo" mi disse, squadrandomi da capo a piedi ed

evitando, in qualche modo, di incrociare il mio sguardo.

"Mi dispiace, signore" gli risposi con voce esitante, sapendo che avrei dovuto guardare in basso, con aria pentita, ma incapace di distogliere i miei occhi dall’ombra sexy che aveva già iniziato a formarsi sul suo viso.

"Ha comprato tutto ciò che c’era sulla lista?"

"Sì, signore. Tutto ciò che aveva richiesto è in questi due sacchetti… A parte quello che sto indossando, come mi aveva detto di fare".

"Sono consapevole delle istruzioni che le ho dato, signorina Jones. Quindi?"

"Quindi cosa, signore?", gli chiesi. Non sapevo che cosa volesse che io facessi.

"Si tolga il cappotto, signorina Jones. Non ho tutto il giorno da perdere e vorrei vedere che cosa ha comprato con i miei soldi", mi ordinò il signor Carlson,

guardandomi finalmente dritto negli occhi.

La sua mascella serrata e le labbra incurvate in una piega minacciosa facevano trapelare la rabbia per il mio ritardo. Ma quando lo guardai negli occhi, intravidi qualcosa che sembrava lussuria.

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Rimasi lì, con la mia sicurezza che iniziava a sgretolarsi. Avrei potuto farlo davvero? Spogliarmi interamente, rimanendo praticamente nuda di fronte al mio capo, un bellissimo miliardario?

"Sto aspettando, signorina Jones", mi disse il signor Carlson, picchiettando con impazienza le dita sulla scrivania.

Feci un respiro profondo e, trattenendo il fiato, iniziai a slacciarmi i bottoni uno dopo l’altro, fino a quando il cappotto non si aprì, rivelando un po’ di pelle e del pizzo nero.

Mi fermai, in parte per essere più d’effetto e in parte per raccogliere il coraggio necessario a quanto sarebbe seguito. Feci scivolare il cappotto dalle mie spalle e lo lasciai cadere ai miei piedi, rivelando pienamente il mio corpo formoso, coperto parzialmente dalla biancheria nera.

Il signor Carlson valutò le mie curve con uno sguardo sexy e affamato, iniziando dal corsetto che stringeva la mia ampia vita, spingendo in alto il mio seno

abbondante. Al di sopra del pizzo si intravedevano i capezzoli.

I suoi occhi si abbassarono verso il sottile pezzo di pizzo coordinato che copriva a malapena le mie parti intime. Anche se non riusciva a vederne l’apertura,

sapevamo entrambi, dalla lista, che il pizzo si spalancava più in basso.

Aprii leggermente le gambe, solo di pochi centimetri… Beh, diciamo che nulla al di sotto della vita lasciava spazio all’immaginazione.

Infilando una mano in uno dei sacchetti, il signor Carlson ne estrasse la paletta di pelle, tenendola in una mano e picchiettandola contro l’altra.

"Vedo che lei è molto brava a seguire le istruzioni, signorina Jones", mi disse. Il tono brusco della sua voce era stato sostituto da una maggiore morbidezza. "È un vero peccato doverla punire per il suo ritardo. Forse una bella sculacciata le insegnerà ad arrivare in orario".

Deglutii, sentendo il mio corpo che tremava di paura, ma anche di qualcos’altro:

lussuria sfrenata. Questo incarico si era rivelato estremamente personale e mi trovai improvvisamente bagnata di desiderio per il signor Carlson.

"Si sciolga i capelli", mi ordinò, continuando a sbattere la paletta contro la sua mano.

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Mi sciolsi l’elastico che teneva fermo il mio chignon, lasciando cadere i miei lunghi capelli biondi in una cascata di onde lungo le spalle e la schiena.

Lo osservai, mentre le sue labbra si incurvavano leggermente verso l’alto, come in un sorriso che mi fece fremere completamente.

Appoggiando la paletta sulla scrivania, il signor Carlson si chinò e recuperò una sciarpa nera da uno dei sacchetti. Si rimise in piedi, accorciando la breve distanza fra di noi.

"Si giri", mi disse, la sua voce era tranquilla, ma mi stava dando un ordine.

Gli obbedii, senza conoscere ciò che aveva in serbo per me. Ma non mi importava, del resto.

Avevo adorato a distanza il signor Carlson per sei mesi. In quel momento, col cuore che mi batteva forte per via della sua vicinanza, sarei stata felice di fare tutto quello che mi avrebbe chiesto.

Si sporse verso di me, potevo sentire il suo respiro caldo sul collo.

"Lei è proprio una gran bella ragazza, signorina Jones", mi sussurrò. "Dal primo momento in cui l’ho vista, ho capito che avrei dovuto possederla. Ecco, proprio così. Sotto il mio controllo".

Le sue parole mi fecero fremere. Avevo la pelle d’oca. "Dal primo momento in cui mi ha vista?"

Lui si sporse verso di me e annodò ben stretta la sciarpa intorno ai miei occhi.

"Flirtava con il corriere mentre firmava una consegna. La sua risata riempiva il silenzio dell’ingresso e ha attirato la mia attenzione mentre uscivo dall’edificio.

All’inizio non avevo visto il suo volto, solo il suo profilo che metteva in risalto le sue curve femminili. Quel giorno portava i capelli sciolti".

Appoggiò le labbra contro il mio orecchio, abbassando ancora di più la voce.

"Dovrebbe sempre portare i capelli sciolti, signorina Jones".

Ricordavo quel giorno chiaramente, perché il corriere mi aveva chiesto il numero di telefono. Lavoravo alla Carlson Technologies solo da poche settimane ed era il terzo giorno che facevo l’ultimo turno da receptionist all’ingresso.

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Quel giorno ero così ammaliata dalle attenzioni del corriere che non avevo visto il signor Carlson uscire dall’edificio… E nemmeno ammirare le mie curve.

"Ho letto il suo saggio, signorina Jones".

"Che cosa?", chiesi stupita. Il suo commento mi prese completamente alla sprovvista.

"Quello sull’essere una donna sovrappeso in un mondo ossessionato dalla magrezza".

Avevo scritto quel saggio circa un anno prima, dopo che una promozione che mi ero meritata era stata invece assegnata ad una mia collega meno qualificata, ma magra come una modella. Era stato pubblicato in una rivista letteraria

praticamente sconosciuta, specializzata in storie femminili e in racconti che riguardavano da vicino i dolori e i piaceri della vita.

Iniziavo a percepire che in quell’uomo ci fosse molto di più dei soli soldi e del sex appeal. Stavo anche iniziando a pensare che fosse stato proprio il signor Carlson a scegliermi per l’incarico e non Asia.

"Quindi lei legge Dolori e Piaceri privati?", gli chiesi.

"Io leggo molte cose, signorina Jones".

Bendata e senza parole, percepii che il signor Carlson si stava allontanando da me e lo sentii spostare qualcosa sulla sua scrivania.

"Si volti, signorina Jones", mi ordinò, prendendomi per il braccio e guidandomi in avanti. "È arrivata l’ora della sua punizione. Si chini in avanti, sulla mia

scrivania".

"Come, signore?" Avevo sentito le sue parole, ma non ero certa di averle capite correttamente.

Voleva sculacciarmi con quella paletta?

"Metta la parte superiore del suo corpo sulla mia scrivania", mi ripeté con severità, proprio come se fossi una bambina disobbediente.

Feci come mi aveva ordinato. Potevo sentire la sensazione del legno freddo sul mio addome nudo, che mi provocò un brivido sulla pelle.

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Il bordo anteriore della scrivania spingeva contro il mio addome morbido e io afferrai l’estremità più lontana con le mani.

"Non tollero i ritardi. Siamo intesi, signorina Jones?"

Il signor Carlson continuava a sbattere la paletta contro il palmo della mano e io strinsi le dita contro il bordo della scrivania per tenermi ben salda in preparazione a quanto mi attendeva.

"Sì, signore", risposi, con la voce che tremava.

Non venivo sculacciata da quando ero una bambina e non avevo la minima idea di cosa aspettarmi. Quando il signor Carlson colpì con la paletta il mio sedere, coperto solo parzialmente dal pizzo, fu una rivelazione.

Quando la paletta raggiunse il mio posteriore, mi lasciai sfuggire un gridolino di sorpresa. Il lieve pizzicore della pelle, causato dell'urto di quell'oggetto contro la mia carne, generò una sconvolgente sensazione di calore che si propagò in tutto il mio corpo.

"Oh!", esclamai.

Il secondo colpo fu più forte e la mia faccia si fece rossa dall’imbarazzo quando le mie natiche ondeggiarono vistosamente.

La forza del contatto fece sì che la mia pancia si schiacciasse in modo poco confortevole contro la scrivania. Per sorreggermi meglio, spalancai le gambe.

Sapevo che così facendo avrei mostrato la mia passerina, scoperta lì dove le mutandine di pizzo senza cucitura si aprivano, nel centro, ma cercai di non pensarci.

"Ha imparato la lezione, signorina Jones?", chiese lui. La voce del signor Carlson era bassa e inebriante.

Capivo che un sì avrebbe posto fine al nostro incontro, quindi risposi con un

"No, signore".

La paletta raggiunse il mio posteriore di nuovo, a più riprese, trasformando la sensazione di calore in un vero e proprio bruciore.

Cominciai a bagnarmi copiosamente e i miei umori colorano oltre il bordo delle mutandine aperte, per poi ricadere lungo le curve carnose del mio interno coscia.

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Ad un certo punto la mia paura si trasformò in eccitazione: non mi importava più della grandezza del mio culo, ne volevo ancora.

Usando i gomiti per sollevarmi sulla scrivania, spalancai ulteriormente le

gambe, sollevandomi sulla punta dei piedi per offrire al signor Carlson un accesso migliore al mio posteriore rotondo, oltre che una visione panoramica della mia fica, nuda e bagnata.

Fine dell'estratto Kindle.

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