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LA PREVIDENZA COMPLEMENTARE

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LA PREVIDENZA COMPLEMENTARE

COVIP – ORIENTAMENTI IN MATERIA DI COORDINAMENTO DI FORME PENSIONISTICHE COMPLEMENTARI COLLETTIVE AVENTI AMBITI DI

DESTINATARI PARZIALMENTE O TOTALMENTE SOVRAPPOSTI

La Commissione di vigilanza sui fondi pensione (COVIP), ha approvato, il 12 novembre 2003, alcuni orientamenti in materia di "Coordinamento di forme pensionistiche complementari collettive aventi ambiti di destinatari parzialmente o totalmente sovrapposti".

Con tale intervento, la Covip affronta la questione della sussistenza di una pluralità di forme di previdenza complementare di natura collettiva aventi platee di potenziali aderenti in tutto o in parte coincidenti e fornisce chiarimenti circa le condizioni in presenza delle quali i lavoratori nei confronti dei quali tali forme operino possono esprimere la volontà di aderire contestualmente a più di una di esse.

L'intervento si è reso necessario al fine di dirimere i dubbi circa i rapporti esistenti tra le forme istituite ai diversi livelli di contrattazione, i diritti da ciò derivanti per i lavoratori e correlativamente gli obblighi di contribuzione in capo alle aziende.

Le considerazioni che seguono attengono esclusivamente al caso in cui la pluralità di forme complementari collettive rivolta ad uno stesso lavoratore derivi da un unico rapporto di lavoro.

Esse, pertanto, non si applicano ne lla differente ipotesi in cui la sussistenza di una pluralità di forme collettive trovi invece fondamento nello svolgimento da parte del lavoratore di più attività e dunque attenga ad una pluralità di rapporti di lavoro tra loro distinti.

Ciò premesso, si ricorda che la possibilità che per lavoratori di una medesima azienda sussistano più fondi pensione trova fondamento nelle disposizioni del D.lgs. 21 aprile 1993, n.

124, che riconosce a ciascuna delle fonti istitutive di cui all'art. 3, comma 1, la competenza a definire in autonomia il proprio ambito di destinatari, individuando collettività che possono anche, in tutto o in parte, sovrapporsi.

Il decreto, peraltro, non disciplina espressamente tale eventualità, sicché ben possono porsi – e nei fatti si sono posti – problemi di coordinamento tra le diverse forme, specie in ordine alle regole da applicarsi per quanto riguarda i flussi di contribuzione, tanto delle quote a carico dei lavoratori e delle aziende quanto anche delle somme derivanti dall'utilizzo del TFR (specie laddove le quote di TFR da destinare alle diverse forme non siano compatibili perché complessivamente eccedenti la quota totale annua; circostanza, questa, che si realizza sempre, nel caso in cui il lavoratore potenzialmente interessato sia di prima occupazione successiva al 28 aprile 1993).

Va peraltro rilevato che, sebbene la sovrapposizione di forme complementari di natura collettiva ad oggi si verifichi prevalentemente laddove a fondi pensione ad ambito aziendale (in massima parte preesistenti all'entrata in vigore della normativa speciale) si siano successivamente aggiunti fondi negoziali di settore o, in qualche caso, ad ambito territoriale, è pur vero che tali realtà ben potranno delinearsi anche tra fondi tutti di nuova istituzione.

Nel fornire risposta alla richiesta di chiarimenti, la Covip ha confermato preliminarmente l'assenza, nella normativa di settore, di un preciso criterio ordinatore delle fonti istitutive. I più recenti orientamenti giurisprudenziali peraltro – ricorda anche la Commissione - escludono che l'eventuale contrasto tra contratti collettivi di differente livello possa risolversi facendo ricorso a criteri di gerarchia, di specialità o a criteri temporali o di maggior favore per il lavoratore. Essi tendono per contro a valorizzare "l'effettiva volontà delle parti", quale è

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desumibile intanto dal coordinamento delle diverse disposizioni risultanti dalla contrattazione, tutte di pari dignità, ma anche dalla condotta tenuta dalle organizzazioni sottoscrittrici, sia prima che dopo la stipula dei contratti.

Sulla base di dette premesse, è opportuno che le fonti istitutive delle forme di previdenza complementare pongano attenzione a definire apposite disposizioni di coordinamento, idonee a regolare appunto l'eventualità di una sovrapposizione di forme collettive, con particolare riguardo alle modalità di adesione da parte dei dipendenti da ciò potenzialmente interessati.

La previsione di simili clausole di coordinamento appare infatti essenziale, soprattutto se si considera che assai spesso in sede di istituzione di fondi a livello, ad esempio, settoriale o – anche – territoriale risulta difficile avere piena consapevolezza delle realtà aziendali alle quali il fondo medesimo finisce per sovrapporsi, così che alcune aziende risulterebbero potenzialmente esposte al rischio di dover effettuare per uno stesso lavoratore una pluralità di versamenti contributivi con finalità di previdenza complementare.

Più in generale, si tratta di valutazioni che è bene svolgere all'atto della istituzione di ciascuna forma negoziale, posto che, anche ove al momento non sussistano ambiti di sovrapposizione, nulla esclude che ciò possa di fatto verificarsi in prospettiva.

Ciò nondimeno, deve rilevarsi come la Commissione abbia tuttavia chiarito che la possibilità di una doppia adesione del lavoratore, ancorché astrattamente configurabile, è fenomeno in sé anomalo, dovendosi ritenere che sia in genere volontà delle Organizzazioni che istituiscono nuove forme di previdenza privata quella di garantire una copertura complementare a collettività che ne siano prive e non già quella di cumulare nuove tutele a forme già esistenti.

A tale stregua, ritiene pertanto la Covip che ove non sussistano clausole di coordinamento e non sia altrimenti ricostruibile una diversa volontà delle fonti, deve presumersi che l'intendimento sia quello di escludere la possibilità di una doppia adesione. In tale quadro, la sussistenza di una pluralità di forme collettive potenzialmente indirizzate ad uno stesso lavoratore va dunque apprezzata quale offerta di una gamma di soluzioni previdenziali, tra le quali il lavoratore potrà pertanto scegliere quella che ritenga ad esso più confacente.

Si riproduce il testo dell’orientamento sin qui commentato.

Coordinamento di forme pensionistiche collettive aventi ambiti di destinatari parzialmente o totalmente sovrapposti - Orientamenti

“Sono stati recentemente rappresentati alla Commissione vari casi nei quali risulta operante, per la stessa collettività di lavoratori, una pluralità di forme pensionistiche complementari di carattere collettivo. Si tratta di ipotesi che, allo stato attuale, vedono coinvolti soprattutto i fondi pensione aziendali o interaziendali preesistenti, da un lato, e i fondi pensione negoziali di nuova istituzione che insistono sul medesimo settore, dall’altro.

Situazioni analoghe possono, comunque, verificarsi anche tra fondi di nuova istituzione, specialmente in ambiti interessati da iniziative a livello territoriale.

Le fattispecie qui prese in considerazione sono solo quelle inerenti a forme pensionistiche collettive alle quali il lavoratore possa aderire in funzione della medesima posizione lavorativa, per effetto di una sovrapposizione di fonti istitutive, e non anche quelle, per le quali non si ravvisano profili di particolare problematicità, che riguardano quei lavoratori che, in relazione a due distinte posizioni lavorative (ad esempio, a tempo parziale), si trovino nella condizione di poter aderire a due diverse forme pensionistiche complementari.

Con riferimento alle sopra citate situazioni di sovrapposizione di fondi pensione, si pone la questione dell’eventuale istanza dei lavoratori interessati ad aderire simultaneamente a più forme pensionistiche complementari collettive. Al riguardo, è di tutta evidenza il profilo di

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criticità che scaturirebbe, dal punto di vista dell’aggravio dei costi che deriverebbe per aziende già dotate di forme pensionistiche complementari, laddove le stesse risultassero

“inconsapevolmente” coinvolte in processi istitutivi di nuovi fond i negoziali di settore.

Detta questione trae origine dalla libertà delle fonti istitutive dei fondi pensione negoziali di definire le aree di rispettiva pertinenza, che in misura più o meno ampia possono anche sovrapporsi, e dalla mancanza, nel decreto legislativo n.124 del 1993, di un preciso criterio ordinatore delle fonti istitutive e di norme che esplicitamente escludano la compatibilità di più forme previdenziali complementari collettive destinate ad uno stesso lavoratore.

Si ha, infatti, presente che nel nostro ordinamento di previdenza complementare non esistono specifiche preclusioni all’adesione ad una pluralità di fondi pensione. Tale conclusione è stata, tra l’altro, avvalorata dalle novità recate dal decreto legislativo n.47/2000, per effetto del quale non vi è dubbio che un lavoratore, il quale aderisca ad un fondo negoziale, possa anche aderire ad un fondo aperto o stipulare una polizza di cui all’art.9-ter o aderire a più forme individuali, seppure con taluni vincoli e limitazioni specialmente di carattere fiscale.

Nel contesto di un siffatto quadro normativo, occorre, quindi, tener conto dei principi di carattere generale che si applicano ai rapporti tra contratti collettivi di diverso livello che si succedono nel tempo. Sul punto, la più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione ha, in più occasioni, affermato che il principio dell’autonomia contrattuale comporta il rispetto tra le reciproche posizioni delle negoziazioni collettive qualunque sia il loro ambito territoriale o settoriale, essendo l’autonomia contrattuale assoggettabile a limitazioni o condizioni solo per effetto di norme imperative.

Secondo detto avviso, l’eventuale contrasto tra contratti collettivi di diverso livello non deve essere risolto in base al criterio di gerarchia o di specialità ovvero assegnando prevalenza alla disciplina più favorevole al lavoratore o al criterio temporale, ma alla stregua dell’effettiva volontà delle parti desumibile dal coordinamento delle varie disposizioni, di pari dignità, della contrattazione nazionale e locale.

In particolare, la Corte ha affermato il principio della prevalenza del criterio logico-sistematico nell’interpretazione dei contratti collettivi, rilevando che nella ricostruzione della volontà comune delle parti sociali, cui deve tendere l’attività ermeneutica dell’interprete, non può tralasciarsi di considerare che la contrattazione collettiva viene a regolamentare settori

specifici del mondo occupazionale e a disciplinare rapporti lavorativi di specifiche categorie, le cui caratteristiche e i cui connotati devono essere considerati nell’individuazione dell’ambito applicativo delle clausole che su detti rapporti vengono ad incidere.

L’attuale orientamento giurisprudenziale è, dunque, nel senso di ritenere che il rapporto tra disposizioni di contratti collettivi di diverso livello vada risolto andando a ricercare l’effettiva volontà delle parti, secondo criteri interpretativi meno rigidi rispetto alle tradizionali regole ermeneutiche codicistiche, bensì incentrati su una lettura logico-sistematica che tenga conto anche della condotta delle parti sociali sia prima che dopo la stipula dei contratti.

Stante quanto sopra evidenziato, si ritiene opportuno, innanzitutto, richiamare l’attenzione di tutti i soggetti che pongono in essere fonti istitutive sull’importanza che siano ben definite, già nella contrattazione istitutiva di una nuova forma pensionistica complementare, idonee clausole di coordinamento finalizzate a regolare le eventuali modalità di adesione da parte di coloro che risultano interessati anche da altre forme pensionistiche partecipate dal datore di lavoro (siano esse aziendali, interaziendali su base collettiva, interaziendali promossi da operatori od associazioni di categoria ovvero territoriali).

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E’ utile, cioè, che negli accordi istitutivi di forme pensionistiche collettive sia a priori contenuta una chiara disciplina delle eventuali ipotesi di sovrapposizione di contratti collettivi, in modo da evitare possibili dubbi sulla contrattazione applicabile, sui diritti dei lavoratori e sugli obblighi contributivi gravanti sul datore di lavoro.

Inoltre, in assenza di indicazioni espresse o implicite di coordinamento, non appare plausibile ritenere che l’intenzione delle parti istitutive, in linea generale, sia quella di ammettere una partecipazione plurima dei datori di lavoro a più di un fondo pensione. Ciò in quanto la doppia partecipazione a forme collettive è evento per così dire “anomalo”, attesa la duplicazione degli oneri a carico del datore di lavoro che la stessa comporta e l’esigenza che siano, in tal caso, individuate adeguate modalità di coordinamento anche in riferimento alla destinazione del TFR.

Una diversa interpretazione finirebbe, altresì, con il forzare il senso della volontà delle organizzazioni istitutrici, il cui intento è da ricercare, in generale, nella istituzione di nuove forme pensionistiche in realtà prive di forme di copertura e non già nel sommare nuove forme di tutela a quelle eventualmente già esistenti. L’eventuale cumulo potrebbe, cioè, ritenersi operante solo se espressamente previsto, almeno dalla fonte sopravvenuta.

Nel silenzio delle parti sociali, qualora non vi siano espresse clausole di coordinamento e neanche sia desumibile dal complessivo contesto di contrattazione collettiva un’implicita volontà nella direzione della cumulabilità delle forme, dovrebbe, quindi, “presumersi”

l’alternatività dell’adesione.

Si ritiene che, in tali casi, l’accavallamento delle aree dei destinatari si traduca, in sostanza, in una pluralità di offerte che vengono prospettate al lavoratore, il quale, nell’ambito del principio della libertà di adesione, ha facoltà di esercitare l’opzione di scelta tra i diversi fondi ad ambito definito, tutti riferiti al rapporto di lavoro di cui è parte. Pertanto, salvo che sia rilevabile una diversa volontà delle parti istitutive, risulta oggetto di “presunzione”

l’esclusività della partecipazione ad una sola delle forme pensionistiche collettive “offerte” al lavoratore, la cui individuazione è rimessa alla libera scelta dello stesso”.

COVIP – FACOLTA’ DI TRASFERIMENTO DELLA POSIZIONE INDIVIDUALE DA UN FONDO AD ALTRO FONDO. COMPUTO DEL PERIODO DI

PERMANENZA MINIMA NEL PRIMO DI ESSI

L’articolo 10, coma 3bis, del D.Lgs 21 aprile 1993 n. 124, dispone che le fonti istitutive dei Fondi pensione devono prevedere comunque la facoltà di trasferimento della intera posizione individuale di ciascun iscritto, presso un altro Fondo pensione, contrattuale o “aperto” o presso forme pensionistiche individuali, purchè “non prima di 5 anni di permanenza presso il Fondo da cui si intende trasferire limitatamente ai primi 5 anni di vita del fondo stesso, e successivamente a tale termine, non prima di tre anni”.

Ciò premesso, è stato richiesto alla Commissione di Vigilanza sui Fondi pensione un parere circa il momento dal quale si deve far decorrere il computo dei suddetti “primi cinque anni di vita del Fondo”.

Risponde la Covip, con nota prot. n. 4841 del 26 novembre 2003, che a suo avviso

“l’espressione utilizzata dal legislatore, piuttosto che essere collegata al momento della formale costituzione dell’associazione/fondo pensione (atto costitutivo) debba essere più opportunamente ricondotta al momento in cui il fondo è posto nella concreta possibilità di operare (e di acquisire quindi le adesioni dei destinatari) avendo ricevuta la prescritta autorizzazione all’esercizio.

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Ciò tanto più in quanto la fattispecie in esame comporta la decorrenza di un termine che acquista significato in specifico rapporto al concreto avvio di un programma pensionistico complementare, con la possibilità per i destinatari dell’iniziativa, di cominciare a costruire la propria posizione individuale.

Per quanto sopra, si reputa che l’atto dal quale far decorrere il computo del quinquennio di cui al comma in esame debba individuarsi nell’autorizzazione all’esercizio dell’attività, quale momento cui consegue la possibilità di procedere alla raccolta delle adesioni e dei contributi, estrinsecazione della concreta operatività dell’iniziativa previdenziale”.

Riferimenti

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