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3. Metodologie di imaging e stato dell’arte della spettroscopia nell’infrarosso

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Academic year: 2021

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3. Metodologie di imaging

e stato dell’arte della spettroscopia

nell’infrarosso

3.1 Introduzione

Prima di addentrarci nello studio delle varie tecniche di indagine del sistema cardiovascolare è bene precisare alcuni concetti fondamentali che serviranno per caratterizzare e distinguere le varie metodiche.

• Risoluzione molti ritengono che la risoluzione specifichi le potenzialità spaziali di una tecnica. Il termine risoluzione ha tuttavia, un significato tecnico preciso: si riferisce a quanto distanti (nello spazio per la risoluzione spaziale, nel tempo per quella temporale) debbano essere due segnali per poter essere distinti come entità separate da una singola misurazione. La risoluzione della tecnica è influenzata da vari fattori, che comprendono la strumentazione, la natura del segnale misurato e il rumore tipico di quella tecnologia. È bene specificare che uno strumento per avere buona risoluzione temporale deve essere in grado di rilevare i segnali in tempo reale .

• Localizzazione per gli studi che si prefiggono di costruire una mappa dell’organo, il problema di individuare dove avviene un’attivazione è di primaria importanza. La localizzazione è correlata alla capacità di una tecnica di determinare l’origine spaziale di un singolo segnale. L’accuratezza nella localizzazione può superare la risoluzione.

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3.2 Metodi di indagine

Ottenere un’immagine del corpo umano mediante metodi di indagine non invasivi è stato ed è, tutt’ora, uno degli obiettivi principali della medicina , della fisica e dell’ ingegneria . La ricerca è volta soprattutto alla misura , diretta ed indiretta, di due grandezze fondamentali : i potenziali elettrici generati dai tessuti o le variazioni del flusso sanguigno. Alcune tecniche tra cui l’elettroencefalografia EEG, i potenziali evento correlati ERPs, l’elettrocardiogramma ECG, la magnetoencefalografia MEG, sono sensibili alle variazioni di campi elettrici o magnetici provocate spontaneamente, o in risposta a stimolazione, da processi di polarizzazione e depolarizzazione dei tessuti. Altre, tra cui la tomografia ad emissione ECT, di positroni PET, o di singolo fotone SPECT, la risonanza magnetica MRI, l’angiografia a raggi X, misurano tutto ciò che è correlato a processi metabolici e emodinamici .

• Rilevazione dei segnali elettrici e magnetici

L’ECG o elettrocardiogramma tramite elettrodi registra l’attività elettrica del

cuore individuando le fasi di contrazione (sistole) e di dilatazione (diastole) del cuore.

L’EEG o elettroencefalogramma utilizza un apparato di elettrodi localizzati sul

cranio per rilevare le variazioni dei campi elettrici generate dall’attività neuronale. Analogamente la MEG, magnetoencefalografia, rileva le perturbazioni del campo magnetico alla superficie del capo provocate dagli effetti induttivi delle variazioni dei campi elettrici che si verificano nel cervello. Questi ultimi possono essere utilizzati insieme a manipolazioni cognitive per studiare gli aspetti del processo cognitivo,quando usati in tal modo,sono spesso citati come EP potenziali evocati o ERP potenziali correlati ad eventi. I segnali elettrici o magnetici rilevati con queste metodologie forniscono un’immagine in tempo reale dell’attività, in termini di tracciati dinamici dei segnali in vari punti dell’area indagata. Tuttavia

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la localizzazione della fonte è problematica: determinare la collocazione del tessuto attivo è un problema serio , che può dar luogo ad un numero pressoché infinito di soluzioni. Così , mentre la risoluzione temporale di queste tecniche è di gran lunga superiore a quella degli altri metodi di visualizzazione, in molti casi si tratta di tecniche inefficaci per la localizzazione spaziale di segnali multipli.

• Rilevazione di segnali correlati a processi emodinamici e

metabolici

La tomografia ad emissione localizza gli eventi di decadimento dei traccianti radiattivi somministrati al paziente per endovena o tramite inalazione. Nel momento in cui i traccianti decadono emettono positroni che si annichilano quando collidono con gli elettroni, da questo processo vengono generati fotoni che vengono messi in evidenza da appositi rivelatori. La risoluzione spaziale nella PET dipende dall’ampiezza e dalla spaziatura degli elementi rivelatori, dall’energia dell’emissione e dal grado di diffusione dei fotoni, che contribuiscono ad offuscare l’immagine acquisita. La risoluzione intrinseca per gli apparecchi attualmente disponibili in commercio è approssimativamente di 4/5 mm. La localizzazione della fonte di un segnale non è strettamente limitata dalla risoluzione dell’immagine. Scansioni distinte possono rilevare spostamenti delle regioni attivate sulla scala di pochi millimetri.

Per quanto riguarda le caratteristiche temporali della PET, i macchinari PET sono estremamente sensibili a differenze temporali nell’ordine dei nanosecondi. Le ragioni della bassa risoluzione temporale delle scansioni PET sull’attivazione sono di due tipi: sebbene l’informazione sul decadimento dei positroni sia raccolta in tempo reale, essa è di tipo probabilistico, è quindi necessario accumulare un gran numero di coincidenze perché possa riflettere con precisione lo schema del flusso sanguigno; la nostra capacità di interpretare i dati dipende dai modelli cinetici del tracciante nel flusso sanguigno e dalla sua distribuzione. L’accumulo di dati nel corso di decine di secondi è organizzato per produrre stime quantitative del flusso sanguigno .

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La risonanza magnetica nucleare sfrutta le proprietà nucleari di certi atomi in presenza di campi magnetici , il segnale nel normale uso clinico deriva quasi interamente dai protoni dell’acqua contenuta nei tessuti. L’intensità dell’immagine dipende in primo luogo dalla densità dei protoni ma può essere profondamente influenzata dall’ambiente locale delle molecole d’acqua. Dopo l’eccitazione con un impulso a radiofrequenza che modifica l’allineamento dei momenti magnetici dei protoni allontanandoli dalla direzione parallela al campo magnetico principale statico, i protoni recuperano il loro allineamento originale assai lentamente in un range temporale che va da alcuni decimi di secondo fino ad alcuni secondi. Durante questo tempo la magnetizzazione che è stata creata in direzione trasversale al campo magnetico statico induce un segnale in tensione nell’antenna che circonda il corpo oggetto di indagine. Se i protoni dell’acqua vengono nuovamente eccitati prima del totale recupero si ottiene un segnale di minore intensità. Il tasso di recupero definito tempo di rilassamento longitudinale dipende dal tipo di tessuto. In teoria non c’è un limite inferiore alle capacità della NMR di risolvere l’informazione spaziale poiché con l’aumento dell’intensità dei gradienti di campo magnetico e del tempo di visualizzazione si possono distinguere strutture sempre più piccole. Il rapporto segnale rumore inoltre è proporzionale al segnale intrinseco (comprendente l’intensità del campo), al volume del voxel ed alla radice quadrata del tempo di visualizzazione . per migliorare l’ SNR i dati vengono spesso mediati su diverse sequenze condotte su di uno stesso soggetto. La risoluzione temporale della MRI può essere manipolata modificando il protocollo di sperimentazione , poiché la MRI non è invasiva e non utilizza sostanze radioattive non vi è alcun limite al numero di volte in cui il soggetto può essere sottoposto alle scansioni e per scopi pratici oscilla tra un secondo ed alcune decine di secondi. Come avviene con la risoluzione spaziale la capacità di risolvere gli eventi nella dimensione temporale dipende da numerosi fattori collegati alla strumentazione , all’ SNR ed a fattori biologici.

Altra metodologia è costituita dall’angiografia a raggi X spesso utilizzata per mettere in evidenza la presenza di vasi coronarici dilatati durante interventi di bypass coronarici e durante interventi a cuore aperto.

I limiti dell’angiografia a raggi X sono dovuti al fatto che la radiazione sia ionizzante e che, data l’elevata profondità di penetrazione dei raggi X, non si possano ottenere informazioni a livello capillare.

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Ciascuna di queste metodiche, presentando potenzialità spaziali e temporali nonché limiti di costo , realizzabilità , ingombro , diverso dalle altre ,costituisce un importante tassello per studiare le basi dei processi fisiologici , quindi fornire importanti informazioni per la realizzazione di imaging funzionale del corpo umano.

Una soluzione al “principio di indeterminazione” spazio-temporale , ai limiti imposti degli alti costi di fabbricazione ed alla difficoltà ad utilizzare strumenti ingombranti in sede chirurgica, è data da una promettente tecnica di visualizzazione funzionale: la spettroscopia nel vicino infrarosso (NIRS)

3.3 La spettroscopia nel vicino infrarosso

La NIRS o spettroscopia nel vicino infrarosso, nata intorno al 1977, è una metodologia di visualizzazione ottica che presenta parecchi vantaggi rispetto alle tecniche radiolologiche esistenti .

Oltre la possibilità di essere implementata a basso costo, con ingombro minimo, l’offrire un compromesso tra buona risoluzione spaziale e temporale, la radiazione infrarossa è non ionizzante quindi possono essere effettuate più analisi ripetute sui pazienti senza recare alcun danno. La profondità di penetrazione relativamente alta della luce nella zona dell’infrarosso,inoltre, fa risultare la spettroscopia una tecnica efficace per lo studio delle proprietà ottiche dei tessuti.

Lo sviluppo di tale tecnica è stato possibile grazie al progresso nello studio del comportamento della luce nei tessuti, attraverso i modelli di migrazione dei fotoni. In particolare, un grosso passo avanti è dovuto allo sviluppo parallelo delle tecniche di spettroscopia e della teoria della diffusione.

I primi impieghi della spettroscopia nel vicino infrarosso sono stati relativi a studi su muscoli scheletrici e sull’ossigenazione cerebrale, solo recentemente si sono volti alla valutazione dell’ossigenazione miocardica.

Le applicazioni sfruttano il fatto che la luce nel vicino infrarosso penetra attraverso i tessuti più in profondità rispetto alla luce nella regione del visibile e

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che gli spettri di assorbimento di emoglobina ossi e deossi sono molto differenti in questa banda spettrale. L’assorbimento della luce è proporzionale alla concentrazione dei cromofori, le concentrazioni relative dunque discendono rapidamente dall’ intensità relativa. Le difficoltà principali sono dovute sia, alla forte dispersione e assorbimento dei fotoni nel tessuto sia, alla sconosciuta lunghezza del loro percorso ottico medio.

I cromofori principali indagati sono quelli contenuti nel sangue: ossiemoglobina , deossiemoglobina e mioglobina.

3.3.a Metodi

Nella misurazione dei segnali ottici l’ampiezza è funzione di assorbimento e scattering. Un aumento in entrambi i fattori provoca una diminuzione del valore dell’intensità rilevata e una corrispettiva diminuzione del segnale.

L’obbiettivo delle metodologie ottiche è rilevare tali variazioni e determinarne la causa.

Esistono diversi approcci per la spettroscopia nel vicino infrarosso e gli strumenti possono essere suddivisi essenzialmente in tre gruppi :

• Strumenti che utilizzano un’onda continua: il fascio luminoso, di ampiezza costante, ha andamento continuo nel tempo oppure può essere modulato a basse frequenze; questi strumenti danno informazioni sulle variazioni di intensità dovute all’assorbimento nel percorso che va da sorgente a rivelatore .

• Strumenti che operano in frequenza: la sorgente di luce, un diodo laser, trasmette luce modulata in ampiezza con frequenze dell’ordine di 100MHz e viene rivelata l’intensità , lo shift di frequenza e fase e la profondità di

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modulazione relativamente al segnale di ingresso. Le informazioni rilevate riguardano assorbimento e scattering.

• Strumenti che effettuano un’analisi temporale o time-resolved: viene misurata la risposta nel tempo ad un impulso di pochi picosecondi e si rivela la distribuzione temporale dei fotoni in ricezione. In questo modo si ottengono informazioni sia sull’assorbimento che sullo scattering.

In base al risultato che si vuole ottenere si può scegliere tra le tre modalità.

La tabella mette in evidenza le principali caratteristiche,vantaggi e svantaggi, delle tre categorie considerate:

Il tipo di risultato ottenuto può poi essere o un grafico “point measurement” o un’immagine. Fondamentalmente la differenza tra i due risiede nel numero e nella disposizione geometrica delle sorgenti e dei rivelatori.

Nel caso si voglia ottenere un grafico si disporrà una sola sorgente e più rivelatori, nell’altro caso, invece, per ogni rivelatore si avranno più sorgenti.

Fig. 1: I tre tipi di strumenti per la spettroscopia NIR

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3.1.b Componenti

Ogni dispositivo ottico consta per lo meno di tre componenti: una sorgente di luce, un rivelatore e una parte elettronica di acquisizione e elaborazione dati.

3.1.b.1 EMETTITORI

Le sorgenti ottiche utilizzate per la trasmissione di segnali ottici sono principalmente dispositivi a semiconduttore. Tali dispositivi sono di due tipi: diodi emettitori di luce (LED) e diodi ad amplificazione luminosa per emissione stimolata di radiazione (LASER) e si basano su fenomeni di emissione della radiazione elettromagnetica che è possibile descrivere mediante principi elementari di meccanica quantistica.

Una sorgente di luce ideale dovrebbe poter fornire più lunghezze d’onda in maniera discreta inoltre si dovrebbe avere potenza regolabile; attualmente però non si dispone di sorgenti con queste caratteristiche.

• Led fra i materiali più adatti ad impiegare come emettitori di radiazione luminosa alle lunghezze d’onda dell’infrarosso. Per caratterizzare i LED in commercio si introduce il coefficiente di efficienza quantistica totale funzione del tasso di ricombinazione e del rendimento esterno ηT tramite il quale si può definire la potenza ottica dispersa esternamente:

P

E

=

η

T

V

0

I

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Dove V0 è la tensione applicata al LED stesso e I la corrente che lo attraversa. Ulteriore fattore è la Responsivity R per legare la potenza ottica alla corrente di pilotaggio I :

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P

E

=

RI

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Sotto viene riportato il grafico della resonsivity funzione della temperatura e della corrente.

Fig1: Andamento della responsivity

Tra i fattori positivi per i quali i LED vengono impiegati nei sistemi di trasmissione ottica sono

1. Basso costo

2. Semplicità di fabbricazione 3. Alta affidabilità

4. Semplicità nei circuiti di pilotaggio 5. Relativa insensibilità alla temperatura

6. Buona linearità sulla caratteristica potenza corrente

Gli inconvenienti sono dovuti ad una larga banda in emissione e una stretta banda di modulazione 100MHz

• Laser

Il LASER nasce come amplificatore di segnali ottici secondo il fenomeno dell’emissione stimolata. Il LASER viene però prevalentemente usato comme sorgente luminosa in cui viene prodotto autonomamente un segnale ad una lunghezza d’onda fissata.

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Per caratterizzare il laser si utilizzano i medesimi parametri, ma ora in tutte le definizioni compare un fattore 2 a moltiplicare per tenere conto della potenza ottica emessa .

2P

e

T

V

0

I

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.

In Tabella 2 sono riportate le sorgenti di luce maggiormente utilizzate.

3.1.b.2 RIVELATORI

• Per poter rilevare il segnale proveniente dal tessuto i rivelatori possono essere tubi fotomoltiplicatori (PMT) ,fotorivelatori, oppure quando sono richieste più lunghezze d’onda si utilizzano CCD insieme ad una sorgente di luce bianca.

• Fotorivelatori

I fotorivelatori sono dispositivi che producono una corrente elettrica proporzionale all’intensità della radiazione luminosa che incide sull’area attiva dei medesimi. Il funzionamento dei rivelatori di segnali ottici si basa sul meccanismo di assorbimento da parte della materia.

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Il fotorivelatore è un generatore di corrente costante il cui valore è direttamente proporzionale alla potenza ottica incidente sulla superficie. Se assumiamo che l’intera radiazione incidente venga assorbita all’interno della cella possiamo scrivere: q h i t ph ⋅ ⋅ Ρ = η ν (4)

Definita la sensibilità come:

ν η

h q

R= ⋅ ⋅ 1 (5)

si ottiene la legge che caratterizza fenomenologicamente il fotorivelatore

RP

=

Ι

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maggiore è la sensibilità, maggiore le prestazioni come accade nel caso dei fotodiodi a valanga che hanno una sensibilità maggiore quindi maggior efficienza rispetto ai normali fotodiodi che però sono meno costosi e funzionano con bassi voltaggi.

• C.C.D

Il C.C.D. (Charge Copuled Device, "Dispositivo a scorrimento di carica") e' un componente elettronico composto da materiali semiconduttori , come il silicio, sensibili alla luce. Quando un fotone colpisce la superficie del CCD vengono liberati elettroni che si accumulano nei singoli elementi del CCD (pixel).

Quanto piu' e' brillante l'oggetto su cui viene puntato il ccd tanto piu' saranno i fotoni che lo colpiscono e quindi gli elettroni che si accumulano in ciascun pixel.

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Nella Tabella 3 sono riportati i principali tipi di rivelatori utilizzati.

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• CENNI SULL’ELETTRONICA DI CONTROLLO

Ogni fotorivelatore ha una larga banda di acquisizione e di solito bisogna rilevare la risposta di una sorgente monocromatica. Il driver di acquisizione deve dunque essere in grado di selezionare le varie sorgenti.

3.1.c Strumenti

La ricerca di base e applicata nel campo della spettroscopia NIR è in continua evoluzione tanto da configurarsi come “ forza” del prossimo millennio.

I risultati delle ricerche sono pubblicate sulle riviste di chimica analitica e spettroscopia e una cospicua parte delle pubblicazioni interessa lo sviluppo della nuova strumentazione sperimentale.

Come già citato all’inizio le nuove applicazioni sono destinate ad essere impiegate in sede chirurgica per un monitoraggio cardiaco.

Nell’”Institute for Biodiagnostic” del “National Research Council Canada” sono state effettuate prove su cuori di cavie che hanno fornito dei buoni risultati. Riportiamo qui la descrizione dello strumento, la procedura di sperimentazione e i risultati ottenuti.

• Descrizione dello strumento

Una limitazione alla spettroscopia ad un punto, è data dal fatto che può essere acquisito dal tessuto, attraverso una sonda a fibre ottiche, un solo spettro per volta e che questa informazione spettrale è quella recuperata da una regione limitata di tessuto.

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Per un sistema complesso come il cuore risulta chiara la necessità di un monitoraggio di variazioni su regioni più ampie dato che distinte zone del cuore presentano valori distinti di flusso sanguigno e perfusione. Questo limite può essere superato attraverso l’acquisizione di più immagini sequenzialmente su varie regioni. Questa metodologia utilizza una CCD-array camera come serie di sensori bidimensionali con un filtro ottico a lunghezza d’onda variabile, che permette l’acquisizione dell’immagine per ogni frequenza.

Per illuminare il cuore si utilizza una lampada alogena al quarzo e le immagini vengono acquisite sia dal cuore che da un sistema con indice di riflessione standard con la camera CCD sensibile all’infrarosso.

La camera CCD ha una risoluzione di 512×512 pixel ed è accoppiato a un convertitore analogico digitale da 14-bit. La termocamera CCD è adattata a una lente Nikon Micro AF60 per produrre un’immagine da 256×256 pixel.

Con questo assetto ogni pixel corrisponde a circa 1mm2 di area della superficie del cuore.

Un filtro a cristalli liquidi adattabile viene montato sulla lente della camera e permette di variare la lunghezza d’onda fra 650 e 1050 nm con una banda di circa 7nm.

La selezione della lunghezza d’onda viene controllata via software dal programma Labview.

Un immagine spettrale viene ricostruita da immagini ottenute a 41 lunghezze d’onda distanziate di 1nm fra 650 e 1050nm. L’acquisizione completa impiega circa 5 minuti.

Le immagini vengono poi elaborate tramite Matlab .

Inizialmente la sequenza di valori ottenuta viene confrontata con un campione di riferimento e il rapporto convertito in scala logaritmica secondo la seguente formula:

λ λ

=

log(

I

Is

r

)

Α

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dove Is rapresenta l’intensità rilevata sul pixel in esame e Ir il valore di riferimento per quel pixel alla stessa lunghezza d’onda.

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Da notare che

Α

λ è l’analogo dell’assorbanza per i comuni esperimenti di spettroscopia.

L’immagine spettroscopica definitiva è un array in 3 dimensioni, 256×256×41,che fornisce sia informazioni spaziali che spettrali.

Un immagine 2-D fornisce informazioni sull’assorbimento ad una definita lunghezza d’onda, il profilo di ciascun pixel attraverso le 41 immagini mostra il suo spettro di assorbimento.

Fig. 1: Ciascuna immagine corrisponde al cuore ad λ particolare

• Protocollo di sperimentazione

Data la similarità del cuore dei maiale con quello dell’uomo le sperimentazioni sono state fatte su questi animali.

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Il protocollo di simulazione seguito è servito per provocare una ischemia su una regione del cuore.

I cuori opportunamente isolati, in una soluzione cardioplegica, vengono perfusi con sangue mescolato con una piccola quantità di K+ senza KCl. Prima della perfusione è stato misurato il livello di concentrazione di K+ e quando si è ritenuto opportuno, aggiustato con l’aggiunta di KCl in modo da mantenere la concentrazione di K+ a un livello di 4,4

±

0,6 mM .

La soluzione cardioplegica contiene 16mM di K+ che serve per provocare l’arresto cardiaco.

A seguito di un periodo di stabilizzazione (30-40 min) i cuori vengono arrestati mediante l’immissione di un’ ulteriore quantità di KCl e viene acquisita una prima immagine.

Successivamente l’arteria discendente sinistra viene occlusa provocando un’ischemia sulle pareti del ventricolo sinistro per circa 120 min.

L’acquisizione immagini avviene per 10min consecutivamente e poi successivamente un’ora e mezzo dopo l’occlusione.

L’occlusione viene poi rilasciata per riperfondere nuovamente l’arteria discendente sinistra con una soluzione con la stessa elevata concentrazione di K+ per 20 min ; acquisizione di una prima immagine di riperfusione.

Il flusso di sangue viene poi completamente stoppato per 10min per produrre un’ischemia globale: si ottiene un’immagine del cuore completamente deossigenata.

Successivamente all’acquisizione dell’ultima immagine, il cuore viene irrorato nuovamente, ma questa volta con KHB per 20 min in modo da recuperare la funzione contrattile.

Infine viene nuovamente occlusa l’ arteria sinistra, la perfusione viene cessata e il cuore viene macchiato con una soluzione isotonica contenente lo 0,25% Evans Blue iniettato attraverso l’aorta per 30-40 sec al fine di illuminare l’area a rischio.

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Fig. 2: Variazioni di concentrazione di deossi-(Hb+Mb) del ventricolo e atrio sinistro durante:perfusione normale,occlusione dell’arteria e riperfusione.

Fig. 3:Variazioni di concentrazione di ossi-(Hb+Mb)

• Risultati e obbiettivi futuri

Sia ossi, deossi emoglobina e acqua danno un contributo significativo nella regione del vicino infrarosso. Mioglobina ed emoglobina hanno proprietà spettrali

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simili, o perlomeno 10 nm di risoluzione non sono sufficienti per apprezzarne le differenze, quindi il loro contributo viene sommato.

Quest’ approccio è stato dapprima utilizzato per misurare le proprietà della pelle e si è rivelato efficace nella valutazione dell’ossigenazione e idratazione. L’obbiettivo di questo studio era di rivelare le potenzialità della spettroscopia nella regione del vicino infrarosso per misurare l’ossigenazione miocardia in un operazione a cuore aperto.

Tutta la sperimentazione effettuata ha dimostrato che una regione ischemia può essere individuata con l’applicazione della spettroscopia nel vicino infrarosso. L’obbiettivo futuro sarà quello di riuscire a distinguere fra danni reversibili e irreversibili. Infatti un’ischemia cardiaca irreversibile è di solito accompagnata dal danneggiamento della membrana miocita, immagini acquisite in seguito ad una riperfusione cardiaca mostrano come ciò sia dovuto ad un significativo rilascio di mioglobina.

I risultati ottenuti sono influenzati da una molteplicità di fattori tra cui oltre limiti fisici anche limiti sperimentali come la velocità di acquisizione, la sensitività della camera CCD e le caratteristiche del sistema di trasmissione.

Ci si aspettano ulteriori sviluppi anche per ridurre al minimo l’invasività dell’esperimento con l’utilizzo di camere sempre più piccole.

Riferimenti

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