Capitolo 1
Interazioni neutroniche e dosimetria
1.1 Interazione dei neutroni con la materia.
Il neutrone, particella nucleare priva di carica con massa pari a 1.00866 amu1, è stato ufficialmente scoperto nel 1932 da James Chadwick.
Esso, pur essendo annoverato tra le particelle ionizzanti, lo è in maniera indiretta poiché interagisce con la materia attraverso forze nucleari e non è dunque in grado di mutarne lo stato di carica direttamente. Tuttavia, protoni, fotoni e particelle alfa sono i prodotti di reazione tra i neutroni e la materia, che invece, cedendo la propria energia, inducono processi di ionizzazione atomica o molecolare. Risulta dunque necessario analizzare i tipi di reazione che possono verificarsi a livello microscopico nell’interazione tra i neutroni e i nuclei bersaglio, al fine di comprendere i principi fisici caratterizzanti le diverse tecniche di dosimetria.
Si consideri un modello semplificato di interazione, in cui un gran numero di neutroni, costituenti un fascio monoenergetico, sono diretti verso una targhetta sottile di un materiale. Alcuni di essi, verosimilmente, la oltrepassano senza interagire, altri, reagendo con i nuclei della lamina, mutano la propria energia e direzione e altri ancora non emergono affatto dal campione. Questa pluralità di eventi è quantificabile mediante la sezione d’urto (σ), quantità che ne esprime singolarmente la probabilità di occorrenza.
La sezione d’urto, misurata in barn (1 b = 10-24 cm2), ha le dimensioni di un’area; può infatti essere intesa in senso geometrico come la superficie bersaglio che il singolo nucleo oppone ad un neutrone incidente, ed è in questo caso calcolabile come π*R2, con R raggio nucleare, e quantificabile al massimo in pochi b; gli atomi pesanti presentano infatti nuclei con raggio di circa 10-12 cm. Tale modello non riesce però a spiegare la forte dipendenza della sezione d’urto dall’energia del neutrone incidente e dal tipo di nucleo bersaglio, si introduce perciò una sezione d’urto efficace. La probabilità di interazione, ovvero la sezione d’urto, può essere intesa, in questo caso, come il rapporto tra il flusso neutronico che ha interagito con il materiale (dφ) e quello incidente in origine (φ). La sezione d’urto, relativa ad un tipo di interazione, risulta dunque il rapporto tra la probabilità di interazione e la densità atomica della targhetta N0 (numero di nuclei per unità di volume). Da tali osservazioni si può ricavare l’espressione per un generico fascio di neutroni, descritto da uno
spettro energetico φ(E), in 1.1, che, integrata, fornisce la legge di attenuazione del flusso neutronico attraverso 1 cm2 di una targhetta di materiale di spessore dx2 (1.2).
( )
( )
( )
0 1 d E E N dx Eϕ
σ
ϕ
− = i i (1.1))
(
( ) 0 0 , E N x x E e σ ϕ = Φ − i i i (1.2)Sebbene per comprendere le interazioni di un neutrone con un singolo nucleo sia necessario considerare la sezione d’urto su scala microscopica, le misure reali sono effettuate con campioni di un certo spessore e non sempre costituiti da un materiale puro; è dunque necessario introdurre la
sezione d’urto macroscopica Σ
( )
E =N0iσ
( )
E , relativa all’interazione con l’intero mezzomateriale ed esprimente la probabilità di interazione per unità di percorso.
L’insieme delle informazioni teoriche e sperimentali raccolte negli anni nel campo delle sezioni d’urto di reazioni da neutroni sono state elaborate e raccolte in librerie3. Tipicamente i dati si trovano suddivisi in gruppi, relativi ad intervalli energetici diversi, e viene fornita la sezione d’urto di gruppo, espressa in 1.3.
( )
1 1 j j E E j j j E dE E Eσ
σ
+ + = −∫
(1.3) Tali dati, utilmente impiegati da tecniche di calcolo che descrivono i fenomeni di trasporto neutronico, permettono di interpretare i risultati di misure sperimentali e prevedere il comportamento di fasci neutronici e così di aiutare nello sviluppo di strumenti dosimetrici appropriati e nel progetto di configurazioni di schermatura efficaci.In particolare, i metodi Monte Carlo (Capitolo 6) sono in grado di predire gli eventi di interazione e i loro esiti. Infatti , si ipotizza preliminarmente che nella reazione di collisione tra il neutrone ed un nucleo possano avvenire due eventi in correlati, come espresso nella 1.4. A ciascuno di tali eventi viene dunque associata una probabilità di accadimento pari al rapporto tra la sezione d’urto per l’evento considerato e quella totale.
1
tot a s
σ
=σ
+σ
= (1.4)La 1.4 individua solo le modalità principali di interazione: assorbimento (σa) e scattering (σs); in realtà, al variare dell’energia del neutrone incidente (Tabella 1) e del materiale bersaglio, le interazioni si differenziano ulteriormente, come illustrato in Figura 1.
2 La 1.1 vale sotto l’ipotesi ‘foglia sottile’: si ipotizza che i neutroni non trovino nuclei allineati sulla loro traiettoria. 3 Tra le librerie di sezioni d’urto più complete: ENDF B-IV (Evaluated Nuclear Data File) ed EAF-4 European
Tabella 1. Classificazione dei neutroni in base alla loro Energia (eV).
E (eV) dei neutroni
Denominazione
10-3 Freddi
0.025 Termici
1 Lenti
104 Epitermici
106 Veloci
Figura 1. Categorie di interazioni neutroniche. Le lettere separate da virgole indicano rispettivamente le particelle reagenti con il nucleo e quelle prodotte.
I meccanismi di interazione sono approfonditi nel seguito.
1.1.1 Scattering o diffusione.
Le reazioni neutroniche di diffusione sono modellizzabili come reazioni a due corpi, in cui sia la particella incidente che quella prodotta dalla reazione è un neutrone. Più in dettaglio, il nucleo, in accordo al modello di nucleo composto, [4], distribuisce il proprio surplus di energia, apportato dal neutrone incidente, tra i nucleoni e successivamente decade riemettendo il neutrone catturato.
Gli eventi di scattering si dividono in due categorie: elastica e anelastica. Nello scattering elastico l’energia cinetica e la quantità di moto totali del sistema neutrone - nucleo restano invariate dopo l’interazione. La Figura 2 schematizza tale reazione considerando un sistema di riferimento solidale con il centro di massa: neutrone incidente e nucleo si muovono a velocità diverse verso il
centro di massa fermo. A cattura avvenuta, il nucleo composto rimane fermo e le energie cinetiche dei due elementi reagenti si trasformano in energia di eccitazione del nucleo composto.
Figura 2. Scattering elastico.
La sezione d’urto del processo di scattering elastico ha valore di qualche barn e si mantiene costante sulla quasi totalità dello spettro energetico (in Figura 3 quella relativa al 12C; i picchi a circa 106 107 eV sono i livelli energetici del nucleo composto, in corrispondenza dei quali lo scattering elastico è altamente probabile ed è detto scattering di risonanza, [5, 6]).
Figura 3. Andamento della sezione d'urto del 12C in funzione dell'energia.
Lo scattering di tipo anelastico (Figura 4) si differenzia da quello elastico poiché il nucleo, una volta eccitato, perde parte della sua energia emettendo una raggio γ; si tratta di un processo a soglia in quanto il neutrone incidente deve possedere energia necessaria per far transire il nucleo in uno dei suoi stati eccitati. Evidentemente l’energia cinetica totale, del neutrone uscente e del nucleo, è inferiore a quella posseduta dai due corpi prima dell’impatto.
Figura 4. Scattering anelastico.
1.1.2 Assorbimento.
Il fenomeno dell’assorbimento, sfruttato dalla maggior parte delle tecniche di rivelazione neutronica, comprende tutte le reazioni nelle quali il neutrone incidente impatta nel nucleo e ivi rimane. L’energia, resa disponibile dall’avvenuto legame con il neutrone, può essere rilasciata in modalità differenti: cattura radiativa, con produzione di raggi γ; oppure emissione di particelle cariche. Il nucleo può anche liberarsi direttamente dell’eccesso di neutroni; con emissione multipla o singola (caso equivalente allo scattering) degli stessi. Infine può anche verificarsi un evento di fissione, con conseguente generazione di due o più frammenti di fissione e neutroni.
Nella cattura radiativa, si assiste all’emissione finale di un raggio γ, come visibile in Figura 5 e alla conseguente generazione di un isotopo dell’elemento bersaglio, con numero di massa A incrementato di uno.
Figura 5. Cattura radiativa - idrogeno.
Quando un nucleo, dopo aver assorbito un neutrone di elevata energia, emette una particella α, un protone o un deutone, si parla anche di trasmutazione, poiché l’elemento originario cambia sostanzialmente la sua natura. Tali reazioni presentano sezioni d’urto modeste richiedendo una soglia energetica per poter avvenire. Due tipiche reazioni (n, p) ed (n, α) sono le seguenti:
27 27 10 7 4 n Al Mg p n B Li He + → + + → +
Figura 6. Interazione con emissione di particelle cariche: (n, p) ed (n, α).
1.1.3 Sorgenti di neutroni.
Acceleratori di particelle e reattori nucleari sono le sorgenti di neutroni più comuni e sfruttano, rispettivamente, reazioni di tipo (p,n), (d,n) e di fissione. Esistono tuttavia anche sorgenti di minore intensità, ma anche meno costose: si tratta di elementi (i.e. 9Be) che danno luogo ad emissione di neutroni se investiti da particelle α o raggi γ, e sono, per tale ragione, miscelati ad un emettitore α o γ. In Tabella 2 si riportano le combinazioni più frequenti.
Tabella 2. Elementi utilizzati nelle più comuni sorgenti di neutroni.
Emettitore
Reagente
γ
124Sb
241Am
226Ra
210Po
α
239Pu
9Be
Esistono anche elementi transuranici, che vanno incontro, con una discreta probabilità, a fissione spontanea e possono dunque essere utilmente impiegati come sorgenti di neutroni. Si tratta, ad esempio, del 242Cm, 244Cm (Z = 96) e 252Cf (Z = 98). Quest’ultimo è utilizzato frequentemente nei laboratori di fisica nucleare e sanitaria poiché presenta un tempo di dimezzamento di 2,65 anni, che ne permette l’utilizzo come sorgente e non è eccessivamente lungo da richiederne una quantità eccessiva.
1.2 Protezione dalle radiazioni: terminologia e normative.
Gli effetti biologici, legati all’esposizione alle radiazioni, sono determinati dalla quantità di energia assorbita dal mezzo materiale in seguito all’irradiazione; definita genericamente dose. È dunque di fondamentale importanza da un lato stabilire in modo deterministico gli effetti della
radioesposizione e dall’altro monitorare e limitare i livelli di dose assorbita negli ambienti di lavoro. In realtà, nel calcolo della dose mediamente assorbita da una persona in un anno, bisogna includere, oltre alle esposizioni dirette (diagnostica medica o lavoro in zone controllate e sorvegliate4), anche le radiazioni ambientali sia naturali che artificiali. Si riporta, in Figura 7, un grafico con i contributi percentuali delle diverse sorgenti radioattive alla dose media annuale assorbita da un individuo.
Figura 7. Contributi percentuali alla dose media annuale di un individuo.
La quantità totale di energia assorbita per unità di massa definisce globalmente la dose D:
energia totale assorbita D
unità di massa
=
Questa non dipende dal tipo di radiazione che ha depositato l’energia nè dal meccanismo di assorbimento, dallo spessore interessato o dal tempo durante il quale è avvenuto l’assorbimento. Unità di misura della dose nel SI è il Joule/Kilogrammo (J/Kg), che è anche chiamata Gray (Gy). Nel sistema c.g.s. si utilizzava il rad (radiation absorbed dose), unità di misura adottata ancor oggi e corrispondente ad un assorbimento di 0.01 J di energia per unità di massa (1 Gy = 100 rad). Di particolare interesse per la valutazione dei tempi di risposta dei dispositivi dosimetrici, è il rateo di
dose, ovvero la dose assorbita nell’unità di tempo (Gy/s). Per tenere conto delle peculiarità di
ciascuna radiazione e della sua diversa capacità di determinare effetti biologici si introduce un fattore di qualità, detto Efficacia Biologica Relativa (RBE). Viene assunta come radiazione di riferimento quella prodotta da raggi X da 200 keV (per i quali si assume RBE = 1) e l’RBE di una radiazione rappresenta il fattore con cui scalare la dose di riferimento per ottenere gli stessi effetti
4 Il Decreto Legislativo 230/95 classifica come zona controllata ogni area di lavoro dove sussista per i lavoratori ivi
operanti il rischio di superamento in un anno solare dei 3/10 di uno qualsiasi dei limiti di dose consentita per i lavoratori esposti e come zona sorvegliata ogni luogo, alla periferia di una zona controllata.
biologici. La dose equivalente H è data dalla prodotto tra la dose media assorbita D e la RBE del particolare tipo di radiazione considerata QR.
,
R T R
H =
∑
Q Di (1.5)La dose equivalente si misura in Sievert (Sv), dal nome del fisico svedese Rolf Sievert (1898-1966), pioniere nello studio degli effetti biologici delle radiazioni ionizzanti. Nel sistema c.g.s. la dose equivalente era misurata in REM (Roentgen equivalent man), corrispondente alla dose misurata in rad moltiplicata per l'RBE. La Dose Efficace E, introdotta dalla Pubblicazione n°60 dell’ICRP5, [3] e calcolata in 1.6, è infine una somma pesata della dose equivalente su tutti i tessuti e valuta, oltre al RBE del tipo di radiazione considerato (wR – Tabella 3.a), anche un fattore di peso che esprime la radiosensibilità del tessuto radioesposto (wT – Tabella 3.b).
(
)
T R
E=
∑
w i∑
w Di (1.6)Tabelle 3.a,b Fattori di peso per radiazioni e tessuti.
Al fine di rendere di più semplice confronto e consultazione i dati riguardanti il monitoraggio della dose individuale, è stata introdotta la dose personale equivalente o, più brevemente, Equivalente di
Dose: Hp.Questa quantità tiene conto sia dell’equivalente di dose individuale in profondità (Hd), che
di quello superficiale(Hs). L’ Hp(d).è utilizzato per tutte le radiazioni, indipendentemente dalla loro
profondità di penetrazione ed è tipicamente calcolato a 0,07 mm, 3 mm e 10 mm (Hp(10))di
profondità.
1.2.1 Limiti di dose: enti e normative.
Per comprendere le specifiche di misura richieste ai dispositivi dosimetrici, si riportano di seguito i limiti di dose individuale raccomandati dall’ICRP. Questo ente , tenuto conto che nessuna esposizione alle radiazioni ionizzanti, per quanto modesta, può ritenersi completamente sicura, raccomanda un sistema di protezione radiologica basato sui seguenti principi fondamentali:
• giustificazione della pratica; • ottimizzazione della protezione; • limitazione delle dosi individuali.
Tali principi sono stati recepiti nella normativa di legge italiana con il D.Lgs. 230/956; il decreto, in attuazione delle direttive Euratom7 80/836, 84/467, 84/466, 89/618, 90/641, 92/3 e 96/29 in materia di radiazioni ionizzanti, stabilisce anche i seguenti limiti di dose individuali, [7]:
Limiti per i lavoratori esposti
• 100 mSv in 5 anni per l'equivalente di dose per esposizione globale e per l'equivalente di dose efficace, ma non più di 50 mSv in un anno solare;
• 13 mSv in un trimestre solare per l'equivalente di dose all'addome nel caso delle lavoratrici in età fertile;
• 150 mSv/anno di dose equivalente al cristallino; • 500 mSv/anno di dose equivalente alla pelle;
• 500 mSv/anno per l'equivalente di dose a mani, avambracci, piedi, caviglie.
Limiti i lavoratori non esposti e per il pubblico
• 1 mSv/anno per l'equivalente di dose per esposizione globale e per l'equivalente di dose efficace;
• 15 mSv/anno per l'equivalente di dose al cristallino; • 50 mSv/anno per l'equivalente di dose alla pelle;
• 50 mSv/anno per l'equivalente di dose a mani, avambracci, piedi, caviglie.
Nel caso dell'esposizione interna8, la legge prevede anche limiti annuali di introduzione (ALI) dei vari radionuclidi nell'organismo umano, il cui rispetto garantisce quello dei precedenti limiti di dose efficace.
6 La normativa vigente comprende anche il Decreto del Presidente della Repubblica n°185 del 13/02/1964 ed il Decreto
Ministeriale n°449 del 13/071990.
7 Euratom o Comunità Europea dell'Energia Atomica (CEEA) è un'organizzazione internazionale istituita,
contemporaneamente alla CEE, allo scopo di coordinare i programmi di ricerca degli stati membri relativi all'energia nucleare ed assicurarne un uso pacifico.
1.3 Dosimetri personali per neutroni..
Nel caso dell'irradiazione esterna, la valutazione della dose individuale ricevuta dai lavoratori è di norma effettuata mediante dosimetri individuali, le cui letture vengono integrate con i risultati della dosimetria ambientale. La conoscenza dei dati dosimetrici permette la programmazione opportuna del ciclo di esposizioni, al fine di mantenere la dose ricevuta da ciascun lavoratore quanto più bassa possibile e in ogni caso inferiore ai limiti stabiliti dalle leggi vigenti. I dispositivi preposti al monitoraggio della dose individuale sono diversi: dosimetri a termoluminescenza (cards, chips, bulbi); a film; rivelatori a tracce; a semiconduttore; elettronici; etc.
Tutti i dosimetri possono essere classificati in due sole categorie: passivi ed attivi. Mentre i dosimetri attivi necessitano di una fonte energetica esterna, tipicamente una pila, per mostrare all’utente, istante per istante, la dose assorbita; quelli passivi non richiedono alimentazione, ma non forniscono la lettura in tempo reale. A fronte della buona risposta energetica e immunità alle interferenze esterne (campi magnetici, onde a radiofrequenza, etc.) dei dosimetri passivi e delle loro dimensioni molto contenute; i dosimetri attivi risultano comunque una scelta accreditata per la dosimetria personale, grazie alla lettura incrementale ed istantanea di rateo di dose e dose integrata e ai recenti incrementi di affidabilità, sensibilità, precisione e selettività.
Le specifiche di riferimento per i dosimetri neutronici personali, sia attivi che passivi, coincidono con le linee guida della Pubblicazione n°60 dell’ICRP, [3]. In particolare sono raccomandati i seguenti requisiti:
• Livello minimo di rivelazione minore o eguale a 10 µSv; • Risoluzione nella lettura della dose di decimi di µSv;
• Incertezza sulla lettura dell’equivalente di dose di un fattore inferiore a 2, indipendentemente dallo spettro neutronico, [8];
• Risposta indipendente dall’angolo di incidenza della radiazione.
• Risposta in dose efficace al variare dell’energia coerente con il fattore di peso wR, introdotto nella Pubblicazione n°60 dell’ICRP, [3] (Tabella 3.a).
Lo sviluppo di dispositivi rispondenti a queste caratteristiche è un arduo compito soprattutto per la necessità di adeguare la risposta del dosimetro alla natura intrinsecamente variabile delle interazioni neutroniche nello spettro energetico. Alcuni approcci per affrontare questo problema sono riportati
1.3.1 Dosimetri passivi.
Dosimetri a termoluminescenza
La dosimetria a termoluminescenza (TLD) si basa sulle proprietà termoluminescenti dei cristalli di fluoruro di litio9 drogati al magnesio, rame, fosforo e titanio (LiF:Mg, Cu, P e LiF:Mg, Ti). Tali materiali sono confezionati in dischetti del diametro di 4,5 mm ed altezza di 0,8 mm (“chips”)10, racchiusi in contenitori di plastica che possono alloggiare fino a quattro elementi, contenuti a loro volta in involucri plastici (Figura 8).
Figura 8. Dosimetro personale a termoluminescenza, [9].
La radiazione ionizzante produce, nel solido cristallino, elettroni liberi, alcuni dei quali possono essere catturati da “trappole” (difetti o atomi di impurezze) presenti nel reticolo. Nella fase di lettura, l’energia accumulata nel reticolo sotto forma di elettroni è ceduta all’esterno attraverso una radiazione luminosa rilevabile. Scaldando infatti il cristallo, gli elettroni “intrappolati” acquistano energia sufficiente a tornare nelle posizioni originarie, emettendo un fotone durante la transizione. Le due fasi sono schematicamente illustrate nella Figura 9.
Figura 9. Schema di funzionamento di dosimetri a termoluminescenza.
9 Sono utilizzati anche altri solidi cristallini, quali Al
2O3, CaF2, CaSO4e Li2B4O7. 10 I dati si riferiscono ai dispositivi commerciali GR-200 A.
La luce emessa dal cristallo viene rilevata da un tubo fotomoltiplicatore e, tenuto conto della sensibilità del lettore e della sensibilità intrinseca relativa del singolo elemento, si ottiene la dose assorbita. Dalla lettura si ottiene una curva (glow curve), che correla l’emissione luminosa al tempo di riscaldamento necessario per ottenerla. Una glow curve presenta una serie di picchi, ciascuno corrispondente ad un livello di intrappolamento e quindi indicativa del tipo e dell’energia della radiazione incidente. I TLD rivelano non solo neutroni, ioni pesanti , raggi γ ed X, ma anche particelle α e β.
La risposta di tali dosimetri è indipendente sia dall’angolo di incidenza della radiazione sia dal rateo di dose ed è lineare in un ampio intervallo di dose assorbita, da pochi mGy a decine di Gy, [8]. Essi sono inoltre riutilizzabili e le variazioni in rivelazione, dovute al tempo e all’usura, sono calcolabili.
Gli svantaggi principali, legati all’utilizzo dei TLD, sono l’irripetibilità di una stessa lettura poiché, in seguito al riscaldamento, il dosimetro si trova reinizializzato (annealing) ed una progressiva perdita d’informazione all’aumentare dell’intervallo di tempo tra irraggiamento e lettura (fading).
Rivelatori a tracce
I rivelatori a tracce (Etched Track Detectors) permettono la rilevazione diretta di particelle cariche o indiretta dei neutroni, sono cioè sensibili ai prodotti di reazione dei neutroni con il materiale costituente il rivelatore oppure impiegano radiatori esterni.
Tali rivelatori sono costituiti da film plastici sovrapposti in cui particelle α o protoni di rinculo ionizzano un gran numero di molecole sul loro percorso, generando ioni e radicali liberi. Tali tracce della particella α e dei protoni costituiscono, nel loro insieme, cavità microscopiche. La fase successiva all’irraggiamento consiste nella lettura tramite immersione in una soluzione chimica aggressiva (tipicamente NaOH e KOH). L’attacco chimico (chimical etching) rende infatti la traccia più marcata e per questo visibile, anche con un comune microscopio ottico.
È inoltre possibile impilare i film plastici e così valutare fasci di particelle, ricostruire traiettorie e distribuzioni tridimensionali di dosi. Gli effetti della ionizzazione sono particolarmente pronunciati in materiali composti da lunghe molecole, come policarbonati e nitrati di cellulosa. Infatti uno dei rivelatori a tracce più utilizzato è il CR-39 (PADC), sviluppato da Cartwright e basato su PolyAllylDiglicol Carbonato e LR115, composto di nitrato di cellulosa.
1.3.2 Dosimetri attivi.
Oltre alle specifiche sopra menzionate, per i dosimetri attivi se ne aggiungono altre, relative all’efficacia e alla praticità d’uso. In particolare si richiede:
• la presenza di un sistema di allarme che avverta l’operatore del raggiungimento di un dato valore della dose;
• la possibilità di lettura diretta;
• la presenza di interfacce informatiche per l’integrazione in un sistema di accesso controllato, [20];
• un peso complessivo di circa 200g;
• un’autonomia sufficiente a coprire in modo affidabile un intero turno di lavoro (almeno 8 ore).
Dosimetri a semiconduttore
I dosimetri a semiconduttore, con principio di funzionamento analogo alle camere a ionizzazione, rilevano gli ioni prodotti dall’interazione neutronica con una giunzione di due o più semiconduttori drogati, correlandola ad una variazione della corrente circolante nella giunzione. Tipicamente si fa uso di una giunzione p-n polarizzata inversamente affinché la zona di svuotamento, area della giunzione in cui la radiazione incidente crea una coppia di portatori di carica, risulti aumentata.
zona di svuotamento Si – tipo n (fosforo) Si – tipo p (boro) Si – tipo n 300 µm max substrato (i.e. vetro)
SiO Elettrodo in Al Capsula protettiva + -+ + + -+ + + ++ + + + -- -- - - -- - - -- - -a) b) zona di svuotamento Si – tipo n (fosforo) Si – tipo p (boro) Si – tipo n 300 µm max substrato (i.e. vetro)
SiO Elettrodo in Al Capsula protettiva + -+ + + -+ + + ++ + + + -- -- - - -- - - -- - -zona di svuotamento Si – tipo n (fosforo) Si – tipo p (boro) Si – tipo n 300 µm max substrato (i.e. vetro)
SiO Elettrodo in Al Capsula protettiva + -+ + + -+ + + ++ + + + -- -- - - -- - - -- - -Si – tipo n (fosforo) Si – tipo p (boro) Si – tipo n 300 µm max substrato (i.e. vetro)
SiO Elettrodo in Al Capsula protettiva + -+ + + -+ + + ++ + + + -- -- - - -- - - -- - -a) b)
Figura 10. Due configurazioni adottate nei dosimetri a semiconduttore. (a –Singola giunzione p-n ; b – struttura tipo MOS )
La corrente che scorre nel dispositivo, a riposo, è dovuta solo all’agitazione termica dei portatori carica ed è dunque bassissima; è così facile osservare il transitorio di corrente dovuto alla raccolta dei portatori di carica radiogenerati. Tale principio fisico è variamente applicato in diverse configurazioni, esistono infatti rivelatori costituiti da una singola giunzione sensibile ai soli neutroni
ed altri composti da più semiconduttori, ciascuno selettivo per neutroni in un intervallo energetico o per fotoni (in Figura 10 sono riportate due possibili configurazioni).
I dosimetri a semiconduttore mostrano una dipendenza energetica della risposta estremamente aderente al coefficiente di conversione da fluenza a equivalente di dose Hp(10).
Tuttavia la loro risposta è variabile nello spettro energetico e sensibile anche a fotoni spuri. Quest’ultimo problema può essere risolto sia impostando una soglia di rivelazione che discrimini i segnali generati dai fotoni sia con tecniche di analisi degli impulsi rilevati in coincidenza da diversi semiconduttori. Una risposta ottimale ai neutroni di tutte le energie di interesse è ricercata usando una combinazione di strati di 6Li o 10B che, attraverso una reazione (n,α), permettono al semiconduttore di rilevare i neutroni lenti; mentre i neutroni con energie fino ad alcuni MeV sono rilevati mediante i protoni di rinculo emessi da radiatori di polietilene. Neutroni di energie superiori scalzano degli ioni pesanti direttamente nel semiconduttore, generando un segnale rivelabile. I dosimetri commerciali adottano soluzioni che permettono una buona risposta in campo termico, ma sottostimano il contributo dei neutroni veloci, oltre a sovrastimare in modo notevole il contributo dei neutroni nello spettro epitermico.
In definitiva, questi dispositivi sono attualmente abbastanza lontani dall’adeguamento al requisito di ridotta incertezza sul valore complessivo dell’equivalente di dose per tutto lo spettro neutronico, richiesta dalle raccomandazioni ICRP, [3]. Altri problemi attestati sono la sensibilità ai disturbi determinati da campi elettromagnetici esterni, sempre presenti negli impianti nucleari di potenza; la difficoltà di ottenere un’accurata stima della dose dovuta all’irraggiamento neutronico in presenza di intensi campi γ, [8] nonché una risposta angolare non perfettamente isotropa, [3].
Dosimetri ad emulsioni surriscaldate
I rivelatori a gocce surriscaldate (SDD Superheated Drop Detectors)o rivelatori a bolle sono costituiti da una fiala contenente una dispersione uniforme di goccioline surriscaldate di idrocarburi (o carburi alogenati) in una matrice geliforme a base acquosa o polimerica (Figura 11).
Figura 11. Fiale con emulsioni surriscaldate non irraggiate (sin) ed irraggiate (dx), [2].
I due componenti dell’emulsione sono immiscibili e non interagiscono chimicamente, in tal modo la stabilità dimensionale delle gocce e le loro proprietà si mantengono inalterate. La radiazione incidente, interagendo con il mezzo interno alla fiala, può innescare una transizione di fase nel liquido surriscaldato e generare bolle di vapore all’interno del gel. Al variare di fattori quali numero, dimensioni e composizione chimica delle gocce, i rivelatori trovano impiego in una vasta gamma di applicazioni.
I dosimetri ad emulsioni surriscaldate presentano una risposta ottimale sia in dosimetria primaria che secondaria, [8]. Le seguenti caratteristiche, intrinseche alla fisica dei rivelatori a bolle, li rendono particolarmente appropriati alla dosimetria personale:
• Selettività: gli SDD per neutroni non sono sensibili ad eventi di ionizzazione dovuti a fotoni ed elettroni, ma sono tuttavia in grado di rivelarli modulando numero, dimensioni, composizione chimica e temperatura la temperatura delle gocce di liquido;
• Risoluzione massima: l’emulsione surriscaldata, sensibilizzata ad un intervallo dello spettro neutronico, presenta una dose minima rilevabile di circa 0,5 µSv, necessaria alla nucleazione di una singola bolla;
• Indipendenza della lettura dal rateo di dose;
•
Risposta nello spettro energetico ottimale per neutroni termici e veloci (Capitolo 2)Problematiche ancora aperte sono però la sottostima di risposta ai neutroni di energie superiori a 10 MeV e la sua variabilità con la temperatura e l’angolo di incidenza.