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L’agroforestry è un concetto, nato nel contesto della ricerca scientifica, che fa riferimento ai sistemi d’uso del suolo caratterizzati da un’associazione di piante legnose, colture erbacee e/o produzioni animali.

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LA PROBLEMATICA DELL’AGRO-FORESTERIA NEL VILLAGGIO DI SAMÉNÉ IN MALI

C.1. L’AGROFORESTERIA.

L’agroforestry è un concetto, nato nel contesto della ricerca scientifica, che fa

riferimento ai sistemi d’uso del suolo caratterizzati da un’associazione di piante legnose, colture erbacee e/o produzioni animali. Torquebiau (2000) definisce l’agroforestry come « mise en valeur du sol avec une association simultanée ou séquentielle de ligneux et de cultures ou d’animaux afin d’obtenir des produits ou des services utiles à l’homme ». La nozione di Agroforesteria è stata oggetto di un importante dibattito tra i ricercatori del settore a partire dalla sua prima definizione, che è stata formulata dal Centre de Recherche pour le Développement International (CRDI) canadese nel 1977 :

« L’Agroforesteria è un sistema sostenibile di gestione delle terre che aumenta la produzione totale, associa delle colture agrarie, degli alberi, delle essenze forestali e/o degli animali, simultaneamente o in sequenza, e mette in opera delle pratiche di

gestione che sono compatibili con la cultura delle popolazioni locali » (Bene et al., 1977).

A partire da questa prima formulazione, la maggior parte delle definizioni date

all’Agroforesteria hanno in comune « un partito preso di aumentata efficacia in rapporto a una situazione preesistente » (Torquebiau, 2007). In effetti i sistemi agroforestali erano visti al tempo stesso come necessariamente benefici e nella prospettiva di introdurli nei contesti agrari tropicali.

Dupriez & De Leener (1993) hanno analizzato l’agroforesteria da un punto di vista differente, probabilmente più vicino alla visione contadina, ragionando in termini di « agriculture multiétagée » (agricoltura a strati). Gli autori motivavano la loro scelta come riportato di seguito :

« le terme d’agroforesterie nous apparaît plus comme un tentative de reconstruction sémantique que comme une expression issue des réalités agraires tropicales. [...] Le terme ‘agriculture multiétagée’ reflète une réalité agraire tropicale positive et familière, intégrant dans un seul mode de production la culture des plantes saisonnières,

plurisaisonnières et pérennes, qu’elles soient herbacées ou ligneuses ».

Possiamo riassumere che i sistemi agroforestali possono essere visti al tempo stesso come sistemi di tecniche o sistemi di pratiche:

 l’agroforesteria nella sua dimensione tecnica è soprattutto un tema di ricerca finalizzato al miglioramento della sostenibilità complessiva degli agro-ecosistemi;  l’agroforesteria nella sua dimensione pratica, è l’agricoltura ‘a strati’,

l’organizzazione tradizionale degli agro-ecosistemi contadini, spesso scelta per accrescere la sicurezza nel contesto di una logica di sussistenza.

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La forma apparentemente più semplice, e la più diffusa, di campo a piani, è il parco

arborato, o parco agroforestale. Si tratta di paesaggi agrari caratterizzati da seminativi

e/o pascoli disseminati di piante arboree, tipici in particolare dell’Africa semi-arida. C.1.1. STRUTTURA E FUNZIONI DEL PARCO AGROFORESTALE

I principali sistemi di uso del suolo nella zona Sudano-Saheliana dell’Africa Occidentale sono costituiti da sistemi di agro-silvopastoralismo conosciuti come Parchi Agroforestali (PAF). Questi sistemi si basano sull’integrazione ecologica ed economica di piante

legnose nei sistemi colturali e/o di allevamento, e sono caratterizzati da un complesso di alberi e arbusti dispersi nello spazio agricolo e pastorale. Deygout et al. (1998)

distinguono tre principali situazioni di integrazione dell’albero nel paesaggio agrario:  Degli alberi dispersi nelle parcelle a seminativo, che sarebbe il parco

agroforestale in senso stretto;

 Delle formazioni vegetazionali arboree nelle parcelle a riposo, dette Jachères;  Delle piante legnose impiantate in allineamenti e costituenti delle siepi vive. La presenza delle piante legnose nello spazio agricolo e pastorale è il risultato di

impianto deliberato e di mantenimento da parte degli agricoltori. Più nello specifico, due fenomeni sono alla base della presenza di piante legnose nei seminativi e nei pascoli:

 Degli alberi/arbusti vengono preservati al momento della messa a coltura;  Altre essenze legnose sono introdotte dagli uomini e dagli animali.

LE DIVERSE DIMENSIONI DELL’ALBERO NEL SISTEMA AGRO-SILVOPASTORALE

Le funzioni svolte dagli alberi/arbusti nei parchi agroforestali possono essere suddivise, in linea di massima, tra funzioni economiche o di produzione, e funzioni di servizio. Nell’ambito dei sistemi di produzione locali le piante legnose sono quindi interpretabili in quanto risorsa e in quanto strumento. Si tratta generalmente di alberi a usi multipli (Torquebiau, 1990) che sono oggetto di diversi tipi di pratiche:

 Pratiche finalizzate all’ottenimento di prodotti alimentari (Pimentel &

Wightman, 1999) e medicinali, alla produzione di legna come fonte energetica (Pimentel & Whightman, 1999) e di legname, alla generazione di fonti di reddito;  Pratiche finalizzate alla protezione del suolo, alla gestione della fertilità (Rao et

al., 1998; Nair et al., 1999; Boffa et al., 2000; Kho et al., 2001; Bayala et al., 2002; Diop et al., 2005b), alla protezione delle colture dal vento (Smith et al., 1998) e alla costituzione di siepi vive (Yossi et al., 2006).

In sintesi, possiamo considerare l’albero come “elemento strutturante” del paesaggio e come risorsa da molteplici punti di vista (ROSELT/OSS, 2005):

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razioni in stagione secca;

b. Risorsa nella gestione dei sistemi colturali: “completa le colture” in virtù di proprietà agronomicamente importanti (ad es. le proprietà fertilizzanti di Acacia albida);

c. Risorsa alimentare: foglie, frutti e semi vengono consumati sia come elementi fondanti dell’alimentazione, come la foglia di Baobab (Adansonia digitata) o l’olio estratto dai frutti di Karitè (Vitellaria paradoxa), sia come elemento che

compensi l’insufficienza delle produzioni agricole principali;

d. Risorsa energetica: l’albero rappresenta la principale, quando non l’unica, risorsa energetica per le comunità rurali del Sahel. Questo uso riveste oggi due ruoli: la soddisfazione dei fabbisogni locali e l’alimentazione di circuiti commerciali principalmente diretti verso i centri urbani. Il prelevamento di legna da ardere (trasformata in carbone) è la tipologia d’uso dominante da un punto di vista quantitativo ed una delle più problematiche e conflittuali.

e. Risorsa monetaria: la commercializzazione del legno e dei prodotti non legnosi (foglie, frutti) è un’importante fonte di reddito per le comunità rurali, spesso la principale;

f. Risorsa per la costruzione e l’artigianato; g. Risorsa farmaceutica.

I campi arborati dell’Africa Occidentale dovrebbero esser considerati nella loro totalità come dei campi a diversi strati, il cui rendimento è costituito al tempo stesso dalle produzioni erbacee e dai prodotti legnosi e non legnosi ottenuti dagli alberi come risultato di un ciclo di gestione (Dupriez & De Leener, 1993).

L’ALBERO NEI SISTEMI COLTURALI

Le piante legnose presenti nei seminativi costituiscono un elemento essenziale dei sistemi colturali (Fig. 7):

 La presenza stessa della copertura arborea assicura potenzialmente una maggiore produzione netta delle colture erbacee in quei casi in cui l’acqua costituisce un fattore limitante, garantendo al tempo stesso una protezione del suolo contro l’erosione idrica ed eolica (Breman & Kessler, 1991)

 Le pratiche di fertilizzazione si fondano direttamente o indirettamente sulla gestione della biomassa delle foglie degli alberi.

Il mantenimento e la rigenerazione della fertilità dei suoli a medio e lungo termine sono assicurate essenzialmente dai maggesi arborati (Jachères). Si distinguono a questo riguardo dei maggesi lunghi (di durata pluriennale) legati alla ricostituzione della fertilità, e dei maggesi stagionali o annuali, legati al mantenimento della fertilità.

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In ogni caso, secondo Deygout et al. (1998), “è la ricrescita forestale che assicura per una gran parte la rigenerazione diretta dei suoli, mentre gli animali partecipano ad una redistribuzione orizzontale degli elementi nutritivi”

Oltre ad essere un essenziale mezzo di gestione della fertilità, la pratica del maggese arborato ha innumerevoli risvolti produttivi (Dupriez & De Leener, 1993). In particolare, le jachères costituiscono una essenziale risorsa foraggera in stagione secca e

un’importante fonte di legna e di legname.

Una importantissima funzione ecologica della pratica del maggese arborato è il

mantenimento della biodiversità. Durante la messa a coltura di una parcella solo poche essenze arboree vengono mantenute, le altre vengono necessariamente eliminate e permangono allo stato di propaguli e/o semi nel terreno. Un ciclo di maggese arborato assicura il mantenimento di questa seed bank nel tempo, e quindi il mantenimento di numerose essenze.

Figura 7. il ciclo di gestione del parco agroforestale

La protezione di quelle colture il cui sviluppo sarebbe impedito dalla presenza di animali è assicurata da siepi. Esse possono essere sia “morte”, costituite cioè da rami o altro materiale vegetale e da rinnovare ogni anno, o “vive”, costituite cioè da allineamenti di piante legnose a usi multipli.

LA PLURALITÀ DI OSSERVATORI

Intorno alle piante legnose inserite nei sistemi agro-silvopastorali si articola una grande varità di attori (Fig. 8) legate in vari modi a questo specifico oggetto. De Leener (1989, cit. da Deygout et al., 1998) propone una suddivisione generica in (i) attori del villaggio; (ii) attori istituzionali; (iii) attori non istituzionali esterni al villaggio.

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nel sistema fondiario. Nel secondo gruppo rientrano attori legati alle autorità statali, come i servizi forestali (Yatich et al., 2008), le associazioni, le amministrazioni locali (Ribot, 2000, 2001). Nel terzo gruppo rientra una complessa gamma di “utilizzatori” degli alberi non compresi nelle comunità rurali, come i pastori nomadi (Petit, 2003), i produttori di carbone, gli acquirenti di prodotti arboricoli e forestali.

Un altro punto di vista nell’approccio alla pluralità degli osservatori è quello del sistema di conoscenza, che suddivide gli attori in (i) attori accademici e legati al mondo della ricerca; (ii) attori legati ai servizi di divulgazione; (iii) attori istituzionali; (iv) agricoltori.

Famiglie contadine Uomini Donne Capi Municipalità rurali Poteri tradizionali Poteri statali Agenti di sviluppo Università Pastori nomadi Utilizzatori diversi Acquirenti, Carbonai Capi villaggio Servizi forestali IFAD, ONG

Centri di ricerca nazionali Centri di ricerca

internazionali

Figura 8 Raffigurazione semplificata della pluralità di attori legati alla gestione degli alberi nel Sahel

C.1.2. DINAMICHE DI EVOLUZIONE E VINCOLI ALLA GESTIONE SOSTENIBILE DEI SISTEMI DI PARCO AGROFORESTALE.

Del fattori di ordine demografico, economico, ambientale e sociale hanno innescato nella regione semiarida dell’Africa Occidentale delle importanti dinamiche di evoluzione nei sistemi tradizionali di uso del suolo generando diverse forme di degradazione dei PAF (Boffa, 1999). Queste evoluzioni, secondo Deygout et al. (1998) si verificano in particolare sotto l’influsso di quattro fattori principali:

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a. Le dinamiche demografiche b. I cambiamenti climatici

c. L’integrazione delle attività produttive in filiere commerciali d. Lo sviluppo dell’impiego al di fuori dei villaggi

Le profonde evoluzioni dei sistemi tradizionali risultano in una complessa ed evidente dinamica di degradazione dei PAF, che si manifesta con una diminuzione di densità e con un’erosione genetica dei parchi arborati. Il complesso delle funzioni agro-ecologiche ed economiche legate alle essenze arboree si va quindi indebolendo, il che minaccia la sostenibilità del sistema e la sussistenza stessa degli agricoltori (Boffa, 1999).

Diversi eventi, in particolare le grandi siccità degli anni Settanta e Ottanta, hanno avuto degli impatti molto significativi sui sistemi di produzione. La rigenerazione del complesso di essenze legnose è stata duramente messa alla prova dalla riduzione dei tempi di maggese e dall’introduzione della meccanizzazione. Anche per questa diminuita

rigenerazione, indipendentemente dalle decisioni degli agricoltori finalizzate piuttosto al mantenimento di densità arboree costanti, i parchi arborati invecchiano e la diminuita densità espone maggiormente il suolo all’erosione. La biodiversità si riduce a sua volta privando i sistemi di produzione di risorse importanti (Bremen & Kessler, 1991 ; Dupriez & De Leener, 1993 ; Boffa, 1999).

Risulta evidente che un necessario arresto di queste dinamiche di degradazione deve partire da un miglioramento della gestione dei PAF tramite l’introduzione e

l’implementazione di pratiche migliorate. Meno evidente risulta invece il percorso attraverso il quale si dovrebbe raggiungere una qualche forma di gestione migliorata. A questo proposito, in seguito a studi di valutazione sul campo degli interventi in materia di agro foresteria condotti nell’ambito delle attività dell’International Fund for

Agricultural Development (IFAD) nei Paesi Saheliani, Deygout et al. (1998) argomentano che la gestione sostenibile dei PAF è vincolata da quattro ordini di problematiche:

a. Dei vincoli di natura ecologica, legati in particolare agli effetti svantaggiosi della co-presenza di piante legnose e colture erbacee;

b. Dei vincoli fondiari e di accesso alle risorse: la sovrapposizione di norme consuetudinarie, delle leggi coloniali e delle regolamentazioni contemporanee, spesso repressive nei confronti degli agricoltori (Ribot, 2001), genera una situazione estremamente confusa e contraddittoria in cui il potere decisionale dell’agricoltore sulla gestione delle risorse risulta estremamente ridotto; c. Dei vincoli legati ad aspetti economici e alle logiche contadine: l’imperativo di

minimizzare i rischi si traduce, a livello di farming system, in una diversificazione delle attività ed in un privilegiare le azioni a breve termine minimizzando gli investimenti. La tendenza a privilegiare azioni di breve periodo si accentua nel diventare più precaria la situazione ecologica, economica e socio-politica, e questo entra in netta contraddizione con forme di gestione sostenibile delle risorse.

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Di fronte ad una situazione evolutiva e complessa, è emersa nell’ambito dei programmi dell’IFAD legati all’agroforesteria l’esigenza che Deygout et al., (1998) formulano come segue:

“capire come definire un sostegno esterno ‘moderno’ nel campo dell’agro-foresteria che unisca le evoluzioni dei sistemi di produzione e dei sistemi sociali, e che abbia, in un ambiente dato, delle possibilità di auto-diffusione”.

Si abbandonava quindi la necessità di un’innovazione di primo ordine del capire “come definire modelli di intervento” più efficaci, per portarsi su un percorso di innovazione di

secondo ordine mirata a comprendere le realtà locali nella loro complessità, al fine di

capire “per quale cammino il sostegno può essere determinato e fornito”. L’interesse è quindi spostato sulle pratiche locali, sul loro valore tecnico, sul loro potenziale innovante di fronte a sistemi agro-ecologici in rapida evoluzione.

C.1.3. PRESENTAZIONE DEL VILLAGGIO DI SAMÉNÉ: CONTESTO SOCIO-AGRO-AMBIENTALE.

GENERALITÀ

Il Mali è un Paese molto esteso, con una superficie totale di 1,22106 Km2. La sua popolazione ammontava, nel 2002, a 11,37 milioni di persone, con un tasso di crescita demografica del 2% annuo. È un Paese senza sbocchi su mare; confina a Nord con la Mauritania e l’Algeria, ad Est con il Niger, a Sud con il Burkina Faso e la Costa d’Avorio, ad Ovest con la Guinea ed il Senegal. Coperto dal deserto del Sahara per il 60% della sua superficie nella parte settentrionale, il Mali presenta nelle regioni centrali e meridionali un gradiente pluviometrico crescente verso il sud, che corrisponde ad una successione vegetazionale che parte dalle steppe dei margini del deserto, alle savane sempre meno aride via via che si procede verso sud (Fig. 9). Al gradiente pluviometrico corrisponde anche un gradiente di durata della stagione di crescita delle colture, che varia da meno di un mese nelle regioni centro-settentrionali a sei mesi nelle estreme regioni

meridionali.

Sul piano economico, il Paese è essenzialmente agropastorale e estremamente povero. Figura infatti al 175° posto su 177 secondo la scala dell’Indice di Sviluppo Umano delle Nazioni Unite. La povertà è concentrata nelle zone rurali, spesso molto isolate, dove l’agricoltura deve far fronte a pesanti vincoli agro-ambientali, sociali, economici e tecnici.

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Région de Ségou 365 + 365 365 - 330 - 364 300 - 329 270 - 299 240 - 269 210 - 239 180 - 209 150 - 179 120 - 149 90 - 119 60 - 89 30 - 59 1 - 29 0

Length of Growing Period (Days) Derived from the

Global Agro-Ecological Zones Study, Food and Agriculture Organization of the United Nations (FAO), Land and Water Development Division (AGL) with the collaboration of the International Institute for Applied Systems Analysis (IIASA), 2000.

Figura 9. Carta agro-climatica del Mali.

La regione amministrativa di Ségou costituisce una fascia che collega la frontiera con la Mauritania a Nord con la frontiera burkinabè a Sud-Est. La regione è attraversata nella sua parte centrale da due grandi fiumi, il Niger e il suo affluente Bani, che corrono quasi paralleli in direzione Sud-Ovest – Nord-Est, a circa 5° Km di distanza l’uno dall’altro. All’immediato nord del capoluogo Ségou, situato al centro della regione sulle rive

meridionali del Niger, si sviluppa una vasta area irrigata, conosciuta storicamente sotto il nome di Office du Niger. Una grande diga sul Niger, a Markala (40 Km a valle di Ségou) permette infatti di trattenere l’acqua per riversarla in una fitta rete di canali, che fanno dell’Office du Niger una zona eminentemente risicola.

SAMÉNÉ

Il villaggio di Saméné è situato a 50 Km a Sud-Est di Ségou, in prossimità dal corso del fiume Bani, a 283m d’altitudine. Le coordinate geografiche sono 13° 08’ 35” N e 6° 05’ 11” O. Il sito è situato in piena regione Sudano-Saheliana. Le piogge si attestano su una media annua di 700 mm, ma presentano una estrema variabilità. Il clima è caratterizzato da una corta stagione piovosa di tre-quattro mesi, da Maggio-Giugno a Ottobre, e da una lunga stagione secca di otto-nove mesi, suddivisa in “mezza stagione” (Ottobre-Dicembre), caratterizzata da un clima umido residuo della stagione delle piogge, “stagione fredda” (Dicembre-Febbraio), caratterizzata dalla prevalenza di forti venti

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Saméné è un villaggio molto popolato, la cui popolazione supera i 5000 abitanti, caratterizzato da una notevole crescita demografica e da una forte incidenza dell’emigrazione, soprattutto quella stagionale. L’area abitata è molto estesa e disordinata, essenzialmente caratterizzata da costruizioni in Banco, la tradizionale tecnica costruttiva basata sull’uso del fango prelevato dalle zone inondate più limo-argillose e del legno. Le abitazioni sono organizzate in corti: diverse abitazioni riunite in uno spazio delimitato da un perimetro murato.

Il villaggio è suddiviso in cinque quartieri che, approssimativamente, occupano cinque settori circolari che si sviluppano intorno ad un centro in cui si svolge il mercato e ove sono costruiti degli edifici scolastici. I nomi dei cinque quartieri, procedendo in senso orario partendo da nord, sono Niena; Sokoura; Bougouni; Bogoukoura; Sokoro. Il villaggio è collegato a Ségou da un’ampia strada sterrata e ai villaggi circostanti da varie piste e strade sterrate minori.

Saméné figura come capoluogo della Municipalità Rurale omonima, istituita nel 1999, che comprende altri sei villaggi circostanti.

AGRICOLTURA ED ECONOMIA

L’attività agricola della zona di Saméné è quella tipica delle zone non irrigue della

Regione di Ségou. Le colture erbacee sono concentrate in un periodo utile per la crescita delle colture che varia da 120 a 149 giorni, nella corta stagione umida. Il territorio di Saméné si presenta pressoché pianeggiante con suoli di varie granulometrie, con una certa prevalenza di suoli tendenzialmente argillosi.

Tutte le superfici in un raggio di 5-7 Km dalla zona abitata, ad eccezione degli avvallamenti inondati durante la stagione delle piogge e che presentano una

granulometria marcatamente limo-argillosa, sono seminati ogni anno. Al di là di questi 5-7 Km le superfici coltivate iniziano ad alternarsi a superfici incolte, dove generalmente trovano ricovero gli animali, alla savana e quindi ai territori dei villaggi vicini.

I sistemi colturali di pieno campo sono sistemi cerealicoli a base pluviale. I cereali principali sono il Miglio Candela (Pennisetum glacum), il Miglio Grande (Pennisetum miliaceum), il Fonio (Digitaria exilis). Questi cereali, e le altre principali colture (sesamo, arachide, sporadicamente cotone e riso) sono associate con un complesso di specie legnose a formare un paesaggio tipicamente agro-forestale (Fig. 10).

La specie arborea che domina i campi è il Karité (Vitellaria paradoxa), una delle 11 specie protette dalla legislazione nazionale. L’impianto e la gestione di specie legnose locali nelle parcelle coltivate è una pratica moderatamente diffusa, e interessa in particolare il Baobab (Adansonia digitata) e, in misura crescente, delle specie foraggere come il Balanzan (Acacia albida).

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Figura 10. Un seminativo arborato diversificato a Saméné

L’irrigazione, assicurata da pozzi freatici, interessa numerosi perimetri orticoli,

generalmente situati nell’area abitata, opportunamente recintati da siepi vive o bordure morte a base di rami, gestiti prevalentemente dalle donne.

Le produzioni agricole sono destinate al consumo domestico e al commercio in proporzioni variabili in base alla coltura. I cereali sono essenzialmente destinati

all’autoconsumo, colture come il sesamo hanno invece destinazione prevalentemente commerciale, le produzioni orticole e arboree si dividono tra autoconsumo e vendita in proporzioni variabili.

Molte famiglie possiedono del bestiame in quantità importanti. Tuttavia la prouzione foraggera è pressoché assente. Gli animali (ovini, bovini, caprini) sono infatti alimentati facendo ricorso prevalentemente ai residui colturali e ad erbe raccolte nella savana. Essi trovano ricovero nelle corti stesse e negli spazi incolti all’infuori del perimetro coltivato. I redditi finanziari delle famiglie sono assicurati dall’aggregazione di vari ingressi: (i) la vendita di prodotti agricoli, in alcuni casi anche già trasformati; (ii) attività diverse come artigianato, commercio, piccole riparazioni; (iii) i redditi degli emigrati.

La terra è soggetta ad un regime fondiario consuetudinario secondo cui il Capo del Villaggio, appartenente alla famiglia dei fondatori del villaggio, figura come proprietario delle terre e delle acque. Egli “presta” le superfici alle famiglie che gliene fanno

domanda, senza per questo godere di rendite fondiarie. Quasi tutte le famiglie di Saméné sono quindi degli assegnatari.

Le risorse naturali sono soggette a forme di gestione che poco tengono conto della rigenerazione dei fattori di produzione. L’omosuccessione continua da decenni ha causato un forte abbassamento della fertilità del suolo. Gli spazi naturali sono visibilmente degradati dallo sfruttamento massivo della legna e del foraggio, spesso insufficiente, per la notevole quantità di ruminanti (Fig. 11).

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Figura 11. Zona di savana (brousse) fortemente desertificata a causa del sovra pascolamento, 7 km a nord di Saméné

C.2. IL PROGRAMMA INTER-UNIVERSITARIO IFAD/BIOVERSITY/ICRAF E LE BASI DELL’ESPERIENZA

La problematica agroforestale e quella della gestione delle risorse fitogenetiche costituiscono i due moduli tematici di un programma inter-universitario per la ricerca collaborativa nel Sahel, nell’ambito del quale si è svolta l’esperienza presentata in

questo lavoro. Il programma “Compostante Interuniversitaire des Projets Tag IFAD/IPGRI 696 e Tag IFAD/ICRAF 799” (CIU) hanno riunito, tra il 2005 e il 2008, differenti attori del sistema di conoscenza ruotante intorno all’agricoltura dei Paesi del Sahel:

(i). Atenei africani ed europei, tra i quali l’Università Abdou Momouni di Niamey in

Niger; le Università di Bonbo-DIoulasso e di Ouagadougou in Burkina Faso; l’Institut Polytechnique Rural di Katibougou in Mali; l’Università di Pisa e la Scuola Superiore “Sant’Anna” di Pisa, l’Università di Louvain in Belgio; l’Institut Universitaire d’Etudes sur le Développement di Ginevra in Svizzera;

(ii). I centri di ricerca agraria nazionali dei Paesi di riferimento, in particolare

l’Institut d’économie Rurale in Mali e i suoi equivalenti in Niger, Burkina Faso e Senegal;

(iii). Due centri di ricerca agraria internazionali del Consultative Group of

International Agricultural Research (CGIAR): il World Agroforestry Centre (ICRAF) e Bioversity International (IPGRI), attivi nei Paesi d’intervento con due progetti di ricerca (Technical Assistance Grant) finanziati dall’IFAD;

(iv). I progetti d’investimento IFAD nei Paesi d’Intervento, in particolare il Progetto

Fonds de Développement dela zone Sahélienne (FODESA) in Mali;

(v). L’organizzazione non governativa Environnement et Développement du Tiers Monde (ENDA), specializzata nell’innovazione metodologica;

Obiettivo della CIU era quello di condurre nelle zone d’intervento dell’IFAD nel Sahel delle ricerca collaborative in partenariato tra attori rurali, attori istituzionali e attori accademici. Lo scopo di questo programma era quello di sperimentare delle

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metodologie di ricerca collaborativa innovative e di radicarle nei contesti legati ai differenti partner del sistema di conoscenza: favorire lo sviluppo di una “ricerca contadina”, favorire un cambiamento nelle pratiche di ricerca a livello dei centri di ricerca nazionali e internazionali e favorire una migliore efficacia degli interventi dei progetti di sviluppo, stimolare una trasformazione dei curricula nelle università. In sintesi, lo scopo della CIU era quello di favorire un cambiamento di paradigma, un’innovazione di secondo ordine nelle pratiche di ricerca e di gestione delle risorse naturali nell’area d’intervento.

Le ricerca venivano condotte dagli studenti delle università sulla base di un approccio collaborativo codificato e sperimentato con successo in una precedente esperienza condotta nell’ambito del progetto di sviluppo attivo nella regione di Aguié in Niger. Tale esperienza, il Programme d’Appui aux Initiatives et aux Innovations Paysannes, (PAIIP)dà il nome alla metodologia applicata nella CIU.

C.2.1. LA RICERCA-AZIONE NEI PROGRAMMI IFAD NEL SAHEL: IL METODO PAIIP. L’approccio impiegato per le ricerche nei villaggi è un approccio di ricerca-azione che mira a stimolare un cambiamento politico e sociale nel contesto della ricerca attraverso il processo di ricerca e i risultati.

Questo approccio è stato sviluppato e codificato in Niger negli anni 1990 nell’ambito del Projet de Développement Rural del l’Arrondissement d’Aguié (PDRAA). Il Programme d’Appui aux Initiatives et aux Innovations Paysannes (PAIIP) mirava a invertire la pratica « top-down » del PDRAA favorendo la responsabilizzazione e l’iniziativa degli attori rurali, delle popolazioni beneficiarie. Il PAIIP si basa sui seguenti principi:

 L’istituzione di un partenariato tripartito tra ricercatori, agenti di sviluppo e contadini;

 La promozione e la valorizzazione delle iniziative e delle innovazioni contadine;  La centralità del villaggio per lo svolgimento della procedura partecipativa. Per l’implementazioone di questi tre principi l’approccio PAIIP prevede la condivisione di tutte le azioni di ricerca con gli attori rurali. La metodologia si fonda quindi su un ciclo di lavoro le cui tappe fondamentali sono:

(i). La “condivisione dello spirito dell’approccio”, fase di negoziazione preliminare con tutti gli attori per arrivare ad un punto comune sul senso della pratica metodologica da implementare;

(ii). L’Autodiagnostic appuyé, la fase di auto-diagnosi guidata, un’attività di analisi del contesto profondamente diversa dalle attività diagnostiche convenzionali;

(iii). La costruizione di uno “Schema d’Azione del Villaggio”, che costituisce il quadro per la pianificazione delle azioni di ricerca;

(iv). La realizzazione collaborativa della ricerca; (v). La co-validazione del lavoro;

(vi). La rilettura dell’auto-diagnostic aql fine di mettere in luce le prospettive di ricerca (Guéro et al. 2003; De Leener, 2004)

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Figura 12. Il gruppo della CIU riunito a Ouagadougou (Burkina Faso) per il laboratorio metodologico di Febbraio 2007

C.2.2. IL PERCORSO DEL PROGETTO DI RICERCA E LA COSTITUZIONE DEL PARTENARIATO

La concezione della ricerca è stato un percorso continuo, partito dalle prime riflessioni in ambiente universitario e terminato dopo le prime due settimane dal villaggio, quando l’idea di ricerca è diventata un oggetto di riflessione comune con gli agricoltori. Nei paragrafi seguenti sarà descritta la concezione della ricerca nelle sue due grandi fasi: prima e dopo l’arrivo al villaggio.

PREPARAZIONE DELLO STAGE

La partecipazione al programma CIU è iniziata con un atelier méthodologique, una settimana di formazione e discussione sulla ricerca partecipativa nei villaggi e di definizione dei futuri casi di studio, che ha avuto luogo presso l’Università di Ouagadougou dal 3 al 10 febbraio 2007 (Fig. 12). In questa sede, di concerto con i progetti di ricerca attivi, sono stati definiti temi e luoghi degli stage.

Una proposta di ricerca è stata prodotta in tre versioni successive, che hanno visto un progressivo chiarimento della problematica, degli obiettivi generali e del protocollo di ricerca. Il percorso di preparazione, della durata approssimativa di sei mesi, è stato tortuoso e ricco di riflessioni profonde e spesso, almeno apparentemente, dispersive, sia sulla problematica sia sulla metodologia. Il progetto è stato focalizzato sempre meglio grazie alla continua interazione con i responsabili di campo dello stage: il Dr. John C. Weber, coordinatore regionale del progetto Tag IFAD/ICRAF 799, e il Dr. Joseph Marie Dakouo, ricercatore dell’Institut d’économie rurale del Mali e coordinatore nazionale per il Mali del medesimo progetto.

Il progetto era quindi focalizzato sullo studio delle pratiche degli agricoltori riguardanti la gestione delle specie legnose locali. L’obiettivo generale era quello della ricerca di

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innovazioni locali potenzialmente portatrici di cambiamento in vista di una migliore stabilità e sostenibilità dell’agro-ecosistema locale.

Due ipotesi di lavoro sono state formulate:

i. La gestione dell’agro-ecosistema è il risultato di una combinazione di praticche; ii. Le innovazioni locali sono il prodotto di un processo sociale.

L’obiettivo generale deveva essere realizzato tramite due obiettivi specifici:

i. La caratterizzazione delle pratiche degli agricoltori riguardanti la gestione delle specie locali e l’identificazione di innovazioni locaoli;

ii. La comprensione delle dinamiche di cambiamento legate alle pratiche, per comprendere il processo sociale d’innovazione.

Il lavoro preparatorio ha visto prevalentemente uno studio bibliografico riguardante vari aspetti dall’agro-foresteria, in particolare dei sistemi agro-silvopastoriali del Sahel:

 Aspetti agro-ecologici;  Aspetti socio-economici  Aspetti socio-politici  Aspetti metodologici.

TAPPE PRELIMINARI.

LA COSTITUZIONE DEL PARTENARIATO E LA CONDIVISIONE DELL’APPROCCIO.

Lo stage in Mali è iniziato con dei colloqui informali con dei ricercatori del World Agroforestry Centre di stanza presso la stazione sperimentale di Samanko, presso

Bamako. Si trattava in particolare del dr. Bréhima Koné, specialista in sgro-foresteria, del Dr. Cheick Oumar Traoré, economista, e della dottoressa Mbene Dyeye Faye e il Dr. Antoine Kalinganire, socio economisti. I quattro ricercatori hanno voluto condividere la loro visione della problematica, la loro esperienza, le loro domande e i loro suggerimenti per una migliore riuscita della ricerca. Il risultato di questi primi incontri può essere sintetizzato con alcune linee guida:

 Approfondire temi non sufficientemente conosciuti;

 Arrivare a formulare delle indicazioni di approccio metodologico;

 Capire l’impatto dell’attività dei servizi di extension sulla vita dei contadini;  Prendere in considerazione delle conoscenze locali

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 Identificare delle persone di riferimento stabili per la conduzione della ricerca  Discernere, nell’osservare le pratiche, quelle introdotte da quelle tradizionali e

ancora da quelle introdotte e in seguito adattate.

All’arrivo a Ségou abbiamo preso contatto con i partner locali, a cominciare dagli

operatori del progetto di ricerca ICRAF/IER. Nel primo incontro con l’équipe di ricerca è emersa la necessità di focalizzare lo studio su due o tre pratiche maggiori svolte durante il periodo di presenza al villaggio. In questa sede è stato scelto Saméné come caso di studio in virtù dell’esperienza del villaggio nell’accogliere degli stranieri, della

“dinamicità” del villaggio nel prendere e portare avanti delle iniziative e anche in virtù della sua relativa vicinanza a Ségou.

Nei giorni immediatamente successivi ho incontrato anche il responsabile del progetto di sviluppo IFAD – Fonds de Développement de la zone Sahélienne (FODESA), il sig. Yacouba Diarra, e i responsabili della ONG Programme d’Animation Villageoise

(PROMAVI), incaricata dell’animazione per le attività del progetto IFAD. Abbiamo inoltre

incontrato i responsabili della Direction Régionale de la Conservation de la Nature, il servizio forestale di stato (Fig. 13).

È seguita una fase di produzione e diffusione di documentazione sulla metodologia e sulla procedura che avrei dovuto seguire, su mandato della CIU, durante l’esperienza al villaggio, al fine di renderla adeguatamente condivisa. Contrariamente alle aspettative risultava evidente, infatti, che lo studente era il portatore della nuova metodologia di ricerca-azione, che non era concretamente condivisa “in partenza” con gli altri partner. Sono state prodotte, diffuse e quindi discusse una “scheda metodologica” e una scheda recante una programmazione preventiva delle attività da svolgere.

Ambrogio Costanzo Programma CIU IFAD Villaggio di Saméné Progetto FODESA M. Yacouba DIarra ONG PROMAVI M. Sékouba Sangaré DRCN Municipalità di Saméné Progetto IER-ICRAF Dr. Dakouo

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Sono arrivato al villaggio di Saméné il 30 ottobre 2007. Le condizioni di permanenza sono state prontamente stabilite dalle autorità locali, che hanno identificato una

persona, il Sig. Seydou Diarra, che potesse mettere a disposizione un locale nella corte di famiglia e fare da traduttore Bambara-francese.

Seydou Diarra si è presto rivelato un interlocutore privilegiato. La sua presenza è stata infatti decisiva per un buon avvio dei lavori: egli si è fatto carico di introdurmi presso le autorità del villaggio e presso altre persone, permettendomi di consolidare rapidamente una rete di relazioni in seno alla comunità.

Il rapporto di collaborazione con Seydou Diarra ha vissuto una profonda evoluzione durante i 45 giorni di permanenza al villaggio. Egli ha iniziato ad essere essenzialmente un traduttore, ma la sua partecipazione alla ricerca si è via via approfondita, fino ad essere il protagonista delle principali iniziative delle fasi centrali della ricerca. Nonostante lo scarso tempo a disposizione, considerando che lo scopo della ricerca doveva essere quello di un’utilità tangibile per il villaggio, si rivelava necessario dedicare un tempo adeguato a preparare il terreno per un’interazione efficace tra gli agricoltori e il ricercatore. In questi casi assumono estrema importanza occasioni come la

condivisione del tempo e della dimensione quotidiana con gli attori locali.

L’occasione, imprevista, di creare il miglior quadro per interagire efficacemente con gli attori locali si è presentata già dai primi giorni, durante dei colloqui con le autorità municipali. Si trattava della proposta da parte del Municipio di contribuire

temporaneamente al funzionamento della scuola locale impartendo lezioni di

matematica alle classi scoperte da questo insegnamento. La proposta è stata accolta, e il risultato è stato quello di acquisire “all’istante” la considerazione e la fiducia degli attori locali. Il lavoro presso la scuola mi ha accompagnato nel corso di tutto il soggiorno al villaggio.

LA COSTRUZIONE DELLA DOMANDA DI RICERCA SUL CAMPO E LA CONDIVISIONE DI UN’IPOTESI GENERALE

Le prime due settimane al villaggio sono state ricce di varie attività informali che hanno consentito la costruzione di un primo quadro della situazione agro-ecologica locale, e la formulazione delle prime domande. La discussione con gli attori locali ha messo in risalto dai primi giorni i problema prioritario, cioè il crollo della produttività delle superfici agricole. È stato quindi trovato un primo consenso sul fatto che l’opportunità della ricerca andasse sfruttata per identificare delle soluzioni di breve termine per fronteggiare la degradazione delle terre.

Per trovare delle soluzioni al problema dell’impoverimento dei suoli bisognava trovarne le cause, e per trovarne le cause era necessario analizzare il contesto. Per condurre efficacemente un’analisi del contesto con gli attori locali si rivelava necessaria la formalizzazione di un’ipotesi che potesse fungere da chiave di lettura per l’analisi. La condivisione di un’ipotesi generale è stato quindi il primo momento di co-ricerca, o, se vogliamo, il primo momento di ricerca contadina guidata.

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ricerca si orientava verso un’ipotesi che rispondesse a due caratteristiche fondamentali e complementari:

 L’ipotesi doveva trovare un consenso presso tutti gli attori coinvolti;  L’ipotesi doveva essere solida sul piano scientifico.

Gli attori locali identificavano come causa di ogni problema la sovrappopolazione e il cambiamento climatico. Il sottoscritto controbatteva che, fermo restando l’impatto demografico e climatico, il problema doveva essere a livello delle pratiche, dei “modi di coltivare la terra”, che forse non si adattava a dovere alle esigenze mutevoli della

popolazione e alle trasformazioni dell’ambiente biofisico. Questo non adattamento delle pratiche doveva essere legato a dei vincoli, che andavano quindi ricercati e

caratterizzati.

Questo dibattito contraddittorio e teorico, che ha caratterizzato le prime due settimane di permanenza al villaggio, è stato denso di riflessioni e di momenti di discussione di cui un esempio è riportato nel box [3]. Questo intenso dialogo ci ha condotti ad un accordo sulla seguente ipotesi:

BOX 3.DIO, LA DEMOGRAFIA E LE PRATICHE AGRICOLE

Nelle discussioni collegate alla condivisione dell’ipotesi di lavoro, risolutivo è stato il dialogo sull’importanza o meno della demografia riportato di seguente:

- “non c’è spazio per tutti, siamo molti di più rispetto ad anni fa e non c’è terra sufficiente. Se lasci un campo viene subito qualcun altro a prenderlo […] D’altra parte Dio ci ha mandato tanti bambini, che possiamo farci?”

- “Sì, Dio vi ha mandato tanti bambini, ma mi sembra che non vi abbia mandato tanto da mangiare, o no?”

- [risate]

- “voglio dire, seriamente, Dio non ci manda il cibo, però ci ha dato prima due cose molto più importanti [mostrando la mano e indicando la testa]. Per provvedere ai nostri bambini Dio ci ha dato la testa per capire come coltivare meglio, e la mano per farlo. È più del miglio no?” - [risate e cenni di approvazione]

- “Troppi siamo troppi sulla Terra, è vero. In futuro, e non solo qui a Saméné, dovremo tutti capire che è un casino essere così numerosi. Ma questo è un altro problema, è importante, ma è un altro problema. Ora, qui, subito, che cosa possiamo fare? D’altra parte se non c’è da mangiare per tutti le cose sono due, o troviamo il modo di lavorare meglio, o mandiamo tutti via in città. [ridendo] Ma non credo che siano tutti contenti poi di essere sbattuti via, no? Poi, insomma, questa è la mia opinione, cosa ne pensate? Ne riparliamo? Proviamo a vedere insieme cosa succede a questi campi che non producono più?”

- [risate generali, strette di mano e scioglimento assemblea].

Nei giorni seguenti il dibattito era proseguito ed era ormai opinione comune, tra i partecipanti, che

“abbiamo detto bene l’altro giorno, non possiamo mica buttar fuori la gente. Bisogna cambiare qualcosa”.

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“le attività, i ‘modi di coltivare la terra’, devono adattarsi ai bisogni della popolazione e ai vincoli dell’ambiente per soddisfare le necessità senza esaurire le risorse. Tuttavia le attività non sono libere di trasformarsi in qualsivoglia direzione: sussistono sempre dei vincoli che impediscono di adottare diversi ‘modi di lavorare’”. (Fig. 14)

Attori

Territorio

Attività

Bisogni e obiettivi in continuo mutamento Es. Crescita demografica Ambiente biofisico in evoluzione, dipendente o meno dalle attività umane Es. degradazione dei suoli

Continuo adattamento ai bisogni e all’ambiente in mutazione

Vincoli

Figura 14. L’ipotesi di lavoro condivisa con gli agricoltori, schematizzata nella formulazione proposta da Benoit et al. (2006 modif.)

C.3. L’ESPLORAZIONE DEL PASSATO: “AUTO-DIAGNOSTIC APPUYÉ” E PROBLEMATICHE SPECIFICHE IDENTIFICATE.

C.3.1. METODOLOGIA PER UNA “AUTO-DIAGNOSI”.

L’auto-diagnosi aveva come scopo primario quello di guidare gli attori rurali nella ricostruzione del contesto del loro agro-ecosistema. Centrale era quindi l’importanza della libera discussione, ragione per cui l’autodiagnosi si è svolta seguendo metodologie deliberatamente qualitative e procedure decise dai contadini stessi.

Le azioni di ricerca previste erano (i) un ciclo di osservazione partecipata del paesaggio corredata di gruppi di discussione; (ii) delle interviste non strutturate individuali; (iii) un gruppo di discussione conclusivo in assemblea plenaria.

L’OSSERVAZIONE PARTECIPATA DEL PAESAGGIO E L’ANALISI DELLE PRATICHE

I cinque capi quartiere hanno contattato un certo numero di capi-famiglia disposti a dedicare una mezza giornata a quella che viene chiamata la “passeggiata partecipata nei campi”. (Fig. 15). La strategia concordata era quella di creare un momento di discussione

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Figura 15. Un momento di osservazione partecipata del paesaggio nel quartiere Sokoura (19 novembre 2007)

La procedura seguita per l’osservazione partecipata non era che una delle possibili articolazioni dell’ipotesi attori-attività-territorio enunciata precedentemente. Si sono presi degli (1) elementi visibili del paesaggio come punto di partenza per (2) una discussione con gli attori locali finalizzata a (3) ricostruire le attività, le modalità delle pratiche che producono l’elemento di partenza; una volta le pratiche identificate, conformemente allo schema di Deffontaines (2004), si esplorava, in direzione del territorio, (4) la dimensione dell’efficacia, chiarendo le relazioni causa-effetto, e (5) la dimensione di opportunità, alla ricerca dei vincoli che impedivano un miglioramento (Fig. 16).

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Territorio

Attività

Attori

Siamo partiti dall’osservazione del paesaggio

… per discuterne con

gli agricoltori, … ricostruire le loro attività

… scoprirne gli impatti …

Vincoli

… e i vincoli che impediscono un

miglioramento.

Schema logico dell’osservazione partecipativa

Figura 16. Schema logico dell’osservazione partecipata (Benoit et al., 2006 modif.)

Essendo ancora ai primi incontri, ho avuto cura di mantenere l’interazione sul piano più informale e spontaneo possibile. Occorreva prevenire le difficoltà o le paure degli attori locali nell’affrontare temi che potessero essere conflittuali, e questo richiedeva che essi si sentaissero pienamente a loro agio nella discussione da una parte, e che si

appropriassero appieno dell’attività dall’altra. La soluzione attuata per far fronte a questo problema è stata quella di lasciare agli attori locali, almeno inizialmente, il compito di pilotare la discussione e l’esplorazione.

Le giornate di osservazione partecipativa si articolavano tutte in due momenti: (i) un momento di osservazione partecipativa vera e propria, con identificazione e discussione sommaria degli elementi d’interesse riscontrati, e (ii) un gruppo di discussione finale basato invece sulla riflessione e su tentativi di generalizzazione che permettessero di circoscrivere i problemi identificati e di caratterizzare le pratiche problematiche identificate durante l’osservazione.

I COLLOQUI INFORMALI

Parallelamente ai gruppi di discussione itineranti sono stati condotti tre tipi di colloqui e interviste individuali:

 Dei colloqui occasionali con vari agricoltori;

 Dei colloqui con le autorità consuetudinarie e amministrative del villaggio;  Una costante rielaborazione degli elementi raccolti con Seydou Diarra.

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 La percezione locale della situazione socio-economica;  Le relazioni sociali interne ed esterne alla comunità

Il dialogo con le autorità amministrative e tradizionali si è rivelato una importante fonte di informazioni sulla sfera normativa. La costante rielaborazione delle attività svolte con Seydou Diarra diventava invece sempre più un elemento centrale della dinamica della partecipazione nella ricerca, fornendo al tempo stesso una prima validazione e un notevole arricchimento delle informazioni raccolte.

I GRUPPI DI DISCUSSIONE

L’assemblea generale di chiusura dell’auto-diagnosi ha avuto luogo il venerdì 23 novembre nella piazza centrale del villaggio, con la partecipazione di tutti coloro che hanno preso parte alle giornate di osservazione partecipativa, di una rappresentanza di donne, di una rappresentanza del Municipio, e viene condotta con la collaborazione di Sékouba Sangaré, dell’ONG PROMAVI. Anche in questo caso la nostra attività di

moderazione è stata limitata al resoconto delle evidenze emerse dai giorni precedenti, lasciando poi l’assemblea alla libera discussione.

C.3.2. PROCESSO DI AUTO-DIAGNOSI E RISULTATI.

CARATTERIZZAZIONE DEI SISTEMI COLTURALI E DELLA LORO EVOLUZIONE RECENTE

ORGANIZZAZIONE SPAZIALE DELL’ATTIVITÀ AGRICOLA E CICLI COLTURALI PRINCIPALI

Gli agricoltori spiegavano che ogni « famiglia » divide le proprie superfici in funzione delle caratteristiche delle parcelle, in particolare (i) della fertilità del suolo; (ii) della dimensione della parcella; (iii) della distanza dal luogo di residenza. La parcella più favorevole viene adibita a «campo principale», le altre sono dette «campi secondari». Il campo principale è consacrato alla cerealicoltura. Le colture prevalenti sono il miglio candela (Pennisetum glacum) e il miglio grande (Pennisetum miliaceum), seminate in consociazione con il Niebé (Vigna sp.), generalmente in rotazione con l’arachide (Arachis ipogaea). L’arachide ritorna sulla stessa superficie ogni 3-5 anni. La superficie ritenuta più fertile del campo principale viene comunque lasciata fuori rotazione e consacrata ad un’omosuccessione di miglio. Il campo principale riceve gli input principali, il letame e ove possibile la fertilizzazione minerale.

I campi secondari ricevono pochi input. La gestione della fertilità viene quindi affidata essenzialmente alla rotazione delle colture. Vi si semina generalmente il miglio, il sorgo, il niebé, l’arachide, il fonio (Digitaria exilis), il sesamo (Sesamum orientale).

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IL CICLO COLTURALE DEL MIGLIO

Essendo evidentemente il miglio perno dei sistemi colturali di Saméné, ne riportiamo il ciclo colturale così come descritto dagli agricoltori. Le lavorazioni vengono effettuate annualmente tramite aratri trainati da buoi (charrues). Il miglio viene seminato ogni anno alle prime piogge. La coltura è sottoposta generalmente a tre sarchiature compiute anch’esse con la “charrue”. La raccolta, manuale, prevede il distacco delle spighe con l’aiuto di una lametta tradizionale e il loro accumulo su delle superfici battute dove vengono poi sottoposte alla mietitura e convogliate nei granai presenti in ogni corte. Le spighe migliori vengono conservate per la risemina e sono soggette ad un complesso meccanismo di scambi di sementi tra agricoltori. Le paglie e gli stocchi vengono generalmente raccolti e sistemati su appositi fienili sopraelevati, e vengono destinati all’alimentazione animale nei mesi di stagione secca.

Il campo raccolto, ormai nudo, è soggetto alla ricrescita spontanea della leguminosa Piliostigma reticulatum (NIAMA), che in alcuni casi può rapidamente creare un living mulch naturale e coprire quasi il 100% della superficie. Il NIAMA, grazie al suo

portamento cespuglioso e strisciante, costituisce un’insostituibile protezione del suolo contro l’erosione eolica durante la stagione secca.

Con l’avvicinarsi della stagione umida il campo viene «pulito» dei cespugli di NIAMA, che vengono raccolti e incendiati, non potendo essere interrati a causa del loro potere di «avvelenare il suolo». Seguono le lavorazioni e un nuovo ciclo.

Elemento saliente dei sistemi colturali nell’area studiata è la quasi totale assenza della pratica del maggese arborato. La scomparsa di questa pratica risale a tre decenni addietro. Il suolo è quindi coltivato ogni anno, salvo occasionali interruzioni di massimo due annualità.

CARATTERIZZAZIONE DELLE PRATICHE DI GESTIONE DELLA FERTILITÀ

La gestione della fertilità si basa unicamente su (i) l’impiego di letame e compost di varia natura; (ii) la fertilizzazione minerale; (iii) le pratiche di avvicendamento e consociazione. L’impiego del letame sembra essere una pratica generalizzata, con una certa prevalenza presso le unità produttive dotate di bestiame bovino. Il materiale fertilizzante è

composto dal letame bovino, raccolto nei ricoveri per gli animali, ma anche negli spazi aperti, e da materiali vegetali vari, soprattutto fogliame di alberi ed erbe raccolte sia nell’abitato sia negli spazi fuori dal villaggio. Il materiale viene mescolato in «fosse» di varia foggia, costituite da grandi tronchi, presenti nelle corti, o in analoghe fosse ad uso collettivo presenti negli spazi comuni. Il materiale fertilizzante viene convogliato nelle fosse e accumulato durante la stagione secca, annaffiato periodicamente con acqua di pozzo.

Il compost è destinato alla parcella migliore, al campo principale. Gli agricoltori

affermano che la produzione cerealicola, a causa dell’impoverimento dei suoli, è sempre più dipendente dal compost. Le differenze tra le parcelle fertilizzate e non, a parità di condizioni, sarebbero infatti notevoli, ma questo non è stato verificato. La pratica dello

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L’impiego dei fertilizzanti minerali è stato facilitato dall’intervento dei progetti dell’IFAD, in particolare dal Projet de Fonds de Développement Villageois de Ségou (PFDVS) che negli anni Novanta permetteva l’accesso al concime a prezzi favoriti e per credito. Sembrerebbe essersi verificata, in quel periodo, un’esplosione dell’impiego dei concimi. Tuttavia, denunciano gli intervistati, nell’ultimo decennio il prezzo del concime è

quadruplicato e l’acquisto per credito non è più garantito, il che riduce l’impiego alla fertilizzazione minerale alle unità di produzione agricola (UPA) più prospere.

La logica sottesa all’impiego dei concimi è parallela a quella del compost: il concime è destinato alle parcelle migliori per massimizzare la produzione del miglio. Tuttavia l’efficacia di questa pratica, a dire degli agricoltori, è molto più incostante: abbiamo constatato che campi che avevano ricevuto il concime presentavano produzioni evidentemente basse.

Abbiamo potuto concludere che il letame migliora la produzione soprattutto grazie all’apporto di sostanza organica, che permette di tamponare l’effetto dei cambiamenti climatici. Per la fertilizzazione minerale la situazione è ben diversa. Il caso di un

agricoltore del quartiere di Sokoro è molto esplicativo a questo riguardo. Una parcella di 1,5ha a terreno tendenzialmente sciolto ha ricevuto «abbondante concime» ma la produzione sembra disastrosa. Secondo l’agricoltore «è semplicemente colpa della pioggia». Ricostruendo tuttavia il calendario colturale, si è scoperto che il concime non è stato applicato che sei settimane dopo la semina, dopo una pioggia che sfortunatamente si è rivelata essere l’ultima della stagione! Ne è emerso il sospetto che il concime possa aver danneggiato la coltura creando un aumento della salinità.

EVOLUZIONE TEMPORALE DELLA PRODUTTIVITÀ E ABBANDONO DEL MAGGESE ARBORATO.

L’impoverimento della fertilità del suolo è stato evocato da tutti gli intervistati, ma risultava difficile capire la dinamica della produttività negli ultimi trent’anni a causa di due problemi:

 Gli agricoltori non conservano dati di produzione

 La variabilità legata alle fluttuazioni climatiche maschera ogni altra tendenza di evoluzione della produttività.

In ogni caso la scomparsa della pratica del maggese arborato deve aver avuto un notevole impatto sugli equilibri legati al mantenimento della produttività. La ricerca delle cause di questo abbandono ha quindi assunto un’importanza di primo piano durante le discussioni.

Perché un intero villaggio abbandona simultaneamente, trent’anni fa, una pratica di tale importanza? Al ricorrere di questo interrogativo, gli agricoltori evocano la crescita demografica e l’insufficienza di superfici coltivabili da una parte, e il rischio di perdere il diritto d’uso di una superficie se non seminata dall’altra. Emergono quindi elementi

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contraddittori: «c’è troppa gente, se lasciamo un campo non coltivato qualcun altro può prenderlo». Il legame tra l’aumento della densità di popolazione e la perdita del diritto d’uso del campo non sembrava sufficiente a spiegare la pratica della coltura continua, né il simultaneo generale abbandono del maggese trenta anni fa.

Per capire meglio la situazione, nel corso delle discussioni ho testato l’ipotesi che la decisione non fosse tanto legata al sovrappopolamento quanto al rischio di veder la propria parcella “presa da qualcun altro”. Ho quindi formulata una domanda ipotetica, per suscitare quale sarebbe il comportamento degli agricoltori eliminando il fattore del rischio della perdita del campo: «e se nessuno potesse prendere il vostro campo, allora lo mettereste a maggese?». Le risposte erano per lo più positive, il che sembrava delineare un problema fondiario più che un problema di sovrappopolazione. A questo è stata dedicata un’inchiesta specifica, secondo le modalità dell’intervista singola.

ORGANIZZAZIONE FONDIARIA ED EVOLUZIONI RECENTI

Sembrava, a questo punto, che da circa trent’anni una nuova regola fondiaria ha fatto sì che la semina effettiva di una parcella fosse condizione determinante per mantenerne il diritto d’uso. Questa regola ha causato all’istante l’abbandono generale della pratica del maggese arborato.

Il fatto che l’abbandono del maggese fosse legato a questioni fondiarie è emerso dopo il 19 novembre, il primo giorno di “auto-diagnosi”, in particolare dopo la visita nel

quartiere di Sokoura. La sera stessa, una cena presso il capo del villaggio, Oumar Coulibaly, che, ricordiamo, gestisce la concessione delle terre da coltivare alle famiglie, ha fornito l’occasione per chiarire la questione:

«un tempo se tu non seminavi un campo e qualcun altro veniva a chiedermi il permesso di prenderlo, il capo del villaggio doveva mandarlo a parlare con te. La scelta era tua, e se tu decidevi che un giorno avresti rimesso a coltura il campo, lui non poteva

assolutamente prenderlo. Tuttavia, da un certo punto in poi, è iniziata a succedere una cosa spiacevole, molto spesso. Molte volte infatti, il coltivatore diceva che sarebbe tornato a coltivare il campo, e poi, sai cosa succedeva? Che lo dava a qualcun altro di sua iniziativa, senza chiedere il permesso al proprietario [il capo del villaggio, n.d.a.] che magari aveva già detto no ad altri. Sì, come se fossero loro i proprietari. Trent’anni fa quindi, il capo del villaggio era mio fratello, che poi è morto, abbiamo deciso di cambiare questa regola: chi non semina non ha più la terra».

Il problema non era quindi quello della sovrappopolazione, quanto quello di evitare conflitti sull’assegnazione delle terre. Questo tuttavia ha causato uno stravolgimento dei cicli colturali e dell’organizzazione del lavoro che potrebbe essere alla base del crollo della produttività.

ORGANIZZAZIONE DEI FARMING SYSTEMS E RECENTI EVOLUZIONI LA ROTTURA DELLE “GRANDI FAMIGLIE”

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adottate.

Tabella 2. Raffronto tra gli itinerari tecnici di coltura del miglio candela su due parcelle contigue dai risultati produttivi opposti

Parcella 1 (Malamine Coulibaly)

Parcella 2 (Baba Coulibaly)

Stato della coltura (Miglio) Produttività medio-alta Coltura fallita

Data di semina 15 luglio 15 agosto

Pratiche di fertilizzazione Compost Niente

Vincolo primario Esposizione al passaggio di

animali

Esposizione al passaggio di animali

Soluzioni adottate Sorveglianza della parcella affidata ad alcuni membri della famiglia

Concentrare gli sforzi su altre parcelle

Altri vincoli --- Eccessiva dispersione

spaziale delle parcelle Due grandi differenze sono emerse da questo confronto: il notevole ritardo della semina della parcella (2), seminata il 15 agosto invece che nel mese di luglio, e la diversa

risposta al vincolo primario comune, identificato come l’eccessiva esposizione al passaggio di animali: mentre nel caso della parcella (1) la famiglia si è fatta carico di sorvegliare il campo, nel caso della parcella (2) la famiglia ha deciso di concentrare gli sforzi su parcelle diverse.

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Figura 17. Tracce degli squilibri gestionali: campo molto produttivo accanto ad un campo con produzione nulla. Sokoura, Saméné, 19 novembre 2007.

Perché concentrare gli sforzi di lavoro su parcelle lontane lasciando una parcella ampia e potenzialmente molto produttiva – come mostrava la parcella contigua –

completamente in secondo piano? Questo interrogativo non ha creato che un ridere imbarazzato presso il coltivatore della parcella (2). Un terzo coltivatore è però

intervenuto: «vedi [ridendo], digli che lasci a me questo campo, lo farei produrre più di quello a fianco!». Il gruppo ha preferito non insistere troppo sulla questione e

l’esplorazione è proseguita oltre.

Nel pomeriggio il caso è stato ripreso in esame con Seydou Diarra: «Hai capito allora perché Baba lascia il campo in quello stato? Ti spiego una cosa. Devi sapere che in questo villaggio ci sono tante grandi famiglie, ma si sono quasi tutte separate. Così è per Baba Coulibaly. Il campo che abbiamo visto è il loro grande campo, ma siccome non si

capiscono tra loro, ogni gruppetto coltiva il suo piccolo campo e del grande campo se ne fregano … »

Ho chiesto chiarimenti quindi sui termini “grande campo” e “piccolo campo”, e sul termine “grande famiglia”, e quindi è emerso nella sua evidenza la complessità delle dinamiche dei farming systems a Saméné. Esistono infatti due tipi di UPA: le “grandi famiglie”, UPA multifamiliari che possiedono un “grande campo comune” e dei piccoli campi particolari, e le “piccole famiglie”, UPA pressoché monofamiliari. Il grande campo comune coincide con il “campo principale”, e i piccoli campi con i campi secondari. Il problema è che quasi tutte le grandi famiglie, eccetto quattro, sono andate incontro a dinamiche conflittuali interne che hanno portato alla loro separazione, disperdendo la forza lavoro comune dal grande campo ai campi particolari.

Ci siamo domandati allora quale fosse la causa di una tale dinamica, e vari agricoltori hanno menzionato la “disobbedienza” nei confronti del capofamiglia da parte degli altri membri. Una sera Seydou Diarra ha rammentato che anche la sua famiglia ha vissuto una separazione molto tempo addietro: suo padre infatti aveva abbandonato la corte

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il padre di Seydou Diarra lavorava in Costa d’Avorio e conferiva i suoi risparmi al capofamiglia. La famiglia si è separata in seguito ai ripetuti rifiuti, da parte del capofamiglia, di finanziare i battesimi dei figli del fratello minore.

L’indomani mattina Seydou Diarra ha ripreso il discorso: «non ci ho dormito stanotte, ho ripensato a molte cose, ma forse ho capito qual è il vero problema. La gente ha

cominciato ad andare a lavorare fuori, guadagnando del denaro. Ecco il problema: questo denaro di chi è, del capofamiglia o di lui che ha lavorato?»

Una generalizzata dinamica di scomparsa del lavoro collettivo ha investito il villaggio, e la causa sarebbe il conflitto sulla gestione dei redditi degli emigrati stagionali.

L’INCONTROLLATO INCREMENTO DEL LAVORO AGRICOLO MINORILE

Un’evidenza ricorrente nello spazio esplorato ci ha aperto gli occhi su una triste realtà. Diversi piedi di giovani alberi erano danneggiati (Fig. 19): decorticature prodotte da lame, taglio totale, incendio alla base. I contadini erano tutti unanimi sull’attribuire questa situazione ad atti di vandalismo, che tra l’altro erano percepiti come un serio vincolo all’impianto di nuovi alberi. I colpevoli di questi atti di vandalismo sarebbero dei bambini di età compresa tra 5 e 10 anni «che passano le giornate nei campi a condurre le bestie».

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Figura 18. Baobab abbattuto a seguito di atti vandalici, segno del fenomeno del lavoro minorile

Due sono gli incarichi ricoperti da bambini a partire, secondo gli intervistati, dall’età di cinque anni: (i) la lavorazione del terreno con la charrue durante la stagione delle colture e la conduzione del bestiame durante la stagione secca. Quest’ultima attività è condotta in autonomia, ed è proprio svolgendo questo compito che i bambini danneggiano gli alberi.

Domandando agli intervistati cosa facevano loro da bambini abbiamo appurato che questa incidenza del lavoro minorile è un fenomeno estremamente recente. «Ah guarda, quando eravamo piccoli si iniziava a lavorare tardi … ci cresceva la barba che ancora non si lavorava … ». Quando allora i bambini in così giovane età hanno iniziato a lavorare? I contadini, unanimi e con una certa soddisfazione, additano lo strumento che ha permesso una così efficiente riorganizzazione della forza lavoro: la charrue, l’aratro trainato dai buoi. «Prima i bambini non potevano lavorare, si lavorava tutto con la zappetta, la daba, era troppo pesante e quindi facevano tutto gli uomini, a volte aiutati dalle donne. E poi non c’erano i buoi, non c’erano molti animali […] chi aveva molti animali li faceva guardare ai pastori Peul, e poi si organizzavano dividendosi i prodotti […] poi è arrivato l’IFAD, e ha portato la charrue e i buoi».

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LE ESSENZE DEI PARCHI AGROFORESTALI

La specie arborea dominante nei campi di Saméné è il Karitè (Vitellaria paradoxa). La sua densità è molto variabile, spesso molto elevata, e la copertura è tendenzialmente alta a causa del portamento spontaneo degli alberi. Gli alberi infatti non sono potati né la loro densità viene regolata.

Il Karitè è utilizzato eminentemente per i suoi frutti, raccolti al suolo dalle donne che ne estraggono dell’olio e del burro. Spesso i frutti, integri o trasformati, vengono anche venduti. Non sono stati registrati altri usi. Le foglie non contribuiscono al compost perché «avvelenano il suolo». I contadini fanno probabilmente riferimento a dei fenomeni allelopatici. Alcuni contadini riferiscono che le foglie vengono usate per arricchire la miscela per il banco, il fango usato per le costruzioni, al fine di renderlo più resistente.

La specie più frequente e più diffusa dopo il Karitè è il Baobab (Adansonia digitata). La sua densità sembra essere più regolare di quella del Karitè. La copertura è per contro più bassa a causa del peculiare portamento cilindrico conferito dagli agricoltori a questi alberi: si lascia un tronco eretto dal quale si dipartono delle branche molto corte. Si sfrutta il baobab in maniera intensiva: se ne raccolgono le foglie, per la preparazione di salse essenziali nella cucina locale, i frutti e la corteccia, materia prima per il cordame. Nel quartiere di Sokoura abbiamo approfondito la diversità dei parchi arborati,

ottenendone due constatazioni:

 Il numero di specie per campo varia da 3 a 5;

 Alcuni campi presentano densità e diversificazione del parco arboreo molto elevate, in particolare un campo presentava 12 specie.

Una particolare attenzione è stata rivolta alla ricerca di campi con presenza di BALANZAN (Acacia albida), vero “albero miracoloso” in virtù del suo grande potere fertilizzante e della sua perfetta integrazione con i cicli colturali cerealicoli, dal momento che perde le foglie durante la stagione delle piogge eliminando così i problemi di competizione per la luce. Esemplari adulti sono piuttosto rari, ma diversi sono i giovani BALANZAN piantati e/o mantenuti dagli agricoltori.

IL PROBLEMA DEL KARITÉ

I piedi di Karitè avevano tutti un’età media o medio-alta (40 – 50 anni) e il loro

portamento era spontaneo in tutte le situazioni osservate. Il parco a karitè sembrerebbe destinato quindi ad un invecchiamento e ad una rarefazione, alla luce anche dell’assenza di giovani piedi.

Il karitè non risultava essere oggetto di gestione: la densità non veniva regolata e le potature non venivano effettuate da diversi anni. Questo vuoto gestionale ha portato su alcune parcelle a situazioni limite di copertura vicina al 100%.

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Gli agricoltori lamentano una situazione di profondo squilibrio: le colture «soffrono l’ombra», l’intensa competizione per la luce, e il microclima umido che si genera sotto le chiome dense e basse, e quindi registrano perdite di produzione importanti. La

situazione è ulteriormente aggravata dalle difficoltà logistiche create dalle chiome durante le operazioni colturali. L’albero soffre a sua volta l vuoto di gestione: la

produzione fruttifera è inselvatichita, i frutti sono più piccoli e l’alternanza di produzione è incontrollabile. (Fig. 20). Come l’abbandono del maggese, anche il vuoto gestionale sul jkaritè è un fenomeno molto recente: «al tempo dei padri il karitè era potato ogni anno dopo i raccolti, il miglio cvresceva meglio e l’albero produceva di più».

Figura 19. Seminativo arborato con elevatissima densità di karité non gentito. Bogoukoura, Saméné, 27 novembre 2007.

Qual era l’origine di questo vuoto di gestione così problematico? Le risposte dei

contadini convergevano su un unico fattore: la «paura delle guardie forestali». Il Karitè è infatti una specie protetta a livello nazionale e, a dire degli agricoltori, non si può

toccarlo senza un’autorizzazione da parte del servizio forestale.

«Tutti vogliono potare il karité perché il miglio cresca meglio. Ma come facciamo? Cosa facciamo se gli agenti ci sanzionano?» Il passaggio difficile da capire era l’accesso all’autorizzazione. Alcuni contadini erano convinti ad esempio che l’autorizzazione fosse a pagamento. Il sindaco di Saméné ci ha parlato dell’esistenza di una convenzione tra il Municipio e il servizio forestale che permetterebbe agli agricoltori di potare il karité. Tuttavia nessun agricoltore risultava essere al corrente di questa convenzione. Diversi casi di pesanti sanzioni inflitte ad agricoltori sorpresi nell’atto di tagliare delle branche sono emersi, come Yakouba Keita, pesantemente ripreso anni prima, o un agricoltore del quartiere di Bougouni, che si è visto contestare il “reato” con un’ammenda di 150.000 Franchi CFA (210 euro), ridotti a 30.000 in seguito ad una negoziazione con l’intervento del capo quartiere. Dopo quest’ultimo episodio nessuno ha più osato

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Alcuni agricoltori hanno iniziato a piantare dei Balanzan Acacia albida) nei loro campi. Il primo incontrato è lo stesso Seydou Diarra, che ci ha riferito di aver disperso dei semi quattro anni prima (Fig. 21).

Figura 20. Giovane Acacia albida impiantata da Seydou Diarra

Un caso interessante in materia di impianto di essenza arboree è quello dell’agricoltore Baba Coulibaly, del quartiere Sokoura. Sono stati i partecipanti alla prima giornata di osservazione partecipata a condurci nel suo “giardino”, la sua corte di famiglia, che appare come un vero laboratorio di innovazione agroforestale. Il primo elemento innovativo è la recinzione, non costituita dal classico muro in banco, bensì da una siepe di Euphorbia sp. Baba Coulibaly avrebbe preso l’iniziativa di costruire una siepe viva «a causa della mancanza di mezzi», della povertà che gli impediva di installare altri tipi di recinzioni. Ha quindi reperito del materiale di propagazione dalle euforbie spontanee.

Figura

Figura 7. il ciclo di gestione del parco agroforestale
Figura 8 Raffigurazione semplificata della pluralità di attori legati alla gestione degli alberi nel  Sahel
Figura 9. Carta agro-climatica del Mali.
Figura 10. Un seminativo arborato diversificato a Saméné
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