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1.1 Introduzione 1

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Academic year: 2021

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STADIO DI TRANSIZIONE STADIO DI TRANSIZIONE COMPONENTE ATTIVO ANTENNA COMPONENTE ATTIVO

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1.1 Introduzione

L’espressione wireless, tradizionalmente utilizzata per identificare i sistemi di comunicazione radio, in questi ultimi anni ha assunto un significato molto più ampio. Oggi l’universo wireless comprende una vasta gamma di aree applicative che spaziano dalle comunicazioni mobili alle applicazioni per il controllo remoto.

La telefonia cellulare, le wireless computer LANs, i collision-avoidance radars, la

direct broadcast satellite television sono solo alcune delle possibili applicazioni la cui

richiesta in termini di volumi di produzione e prestazioni è in crescita continua. Uno degli elementi chiave del successo della tecnologia wireless è l’antenna: il trasduttore delle onde elettromagnetiche guidate dai circuiti nelle onde irradiate nello spazio libero.

Nei sistemi a radiofrequenza tradizionali, così come in buona parte dei moderni sistemi wireless, l’antenna è progettata come un’entità completamente separata dal resto del sistema. Nei trasmettitori, ricevitori e transricevitori convenzionali i vari componenti circuitali sono connessi all’antenna tramite una linea di trasmissione, realizzata in cavo coassiale, guida d’onda o linea bifilare, come mostrato in fig. 1.1.a. LINEA DI TRASMISSIONE = ,g (a) ANTENNA (b)

Fig. 1.1 (a) Approccio convenzionale; (b) Approccio ad antenna attiva integrata

In corrispondenza delle giunzioni con la linea degli stadi di transizione, tipicamente costituiti da sonde, loops o aperture garantiscono un cambiamento graduale dei modi di propagazione. I componenti circuitali sono realizzati con circuiti in guida d’onda o cavo coassiale mentre come antenne si utilizzano varianti di horn e di antenne a dipolo. La circuiteria per l’elaborazione del segnale e l’antenna sono trattati come sottosistemi separati.

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Tale distinzione è spesso incoraggiata dalla suddivisione dei compiti in fase di progettazione tra i disegnatori di circuiti e i progettisti di antenne che tendono a ricondurre l’intero transricevitore ad un’impedenza equivalente in modo da semplificare notevolmente il progetto. Tale approccio, caratterizzato da una netta distinzione fisica tra i circuiti e la struttura radiante, permette di ottimizzare disgiuntamente le prestazioni dell’antenna, della linea di trasmissione e degli altri componenti del sistema e di combinarli insieme in un secondo momento. Questa scelta comporta, tuttavia, innumerevoli inconvenienti. Le transizioni presenti tendono inevitabilmente ad incrementare le dimensioni ed il peso dell’intero sistema, nonché ad introdurre discontinuità che limitano la frequenza operativa e possono dare origine a perdite non trascurabili. A tali perdite si aggiungono quelle presenti sulla linea di trasmissione che diventano via via più rilevanti con l’aumento della frequenza. Inoltre la complessità circuitale di questa struttura incrementa notevolmente i costi di produzione e la rende difficilmente riproducibile su vasta scala.

Per frequenze operative inferiori a 3 GHz l’approccio convenzionale garantisce tempi di progettazione relativamente brevi, buone prestazioni e costi limitati. Per frequenze superiori le assunzioni adottate alle basse frequenze perdono la loro validità. Tutto questo si traduce in una degradazione sempre più rilevante delle prestazioni del sistema. La ricerca di tecniche alternative che risolvessero tali inconvenienti ha dato origine allo sviluppo dirompente che ha caratterizzato la teoria dei circuiti a microonde negli ultimi cinquant’anni. L’estensione della tecnologia dei circuiti integrati alla produzione dei componenti alle microonde ha permesso di sostituire i circuiti in guida d’onda e cavo coassiale, così come le interconnessioni, con circuiti integrati MICs e MMICs.

I primi, o Microwave Integrated Circuits, sono costituiti dalla combinazione di elementi attivi e passivi realizzati mediante processi di diffusione successivi su un substrato di materiale semiconduttore. I MMICs, o Microwave Monolithic Integrated Circuits, sono costituiti da un singolo cristallo di semiconduttore sul quale sono costruiti tutti gli elementi, sia attivi che passivi, nonché le relative interconnessioni. Questi ultimi si rivelano particolarmente vantaggiosi per applicazioni alle onde millimetriche. Benché esista ancora un limite ben definito tra le strutture in cui le onde sono guidate e l’antenna, le dimensioni e il peso dell’intero sistema risultano sensibilmente ridotti. Nonostante tale tecnica consenta di miniaturizzare componenti circuitali, linee di trasmissione ed antenna le perdite presenti nel sistema risultano attenuate solo in parte. Le perdite di segnale nei materiali e la riduzione dei guadagni e dei livelli di potenza ottenibili dai dispositivi allo stato solido costituiscono degli ostacoli notevoli per la creazione di sistemi wireless ad elevata frequenza e a basso costo. Gli effetti più drammatici si presentano quando i componenti circuitali vengono ad avere dimensioni pari a frazioni significative della lunghezza d’onda. Per applicazioni alle microonde e alle onde millimetriche, nelle bande comprese tra 1 e 30 GHz e tra 30 e 100 GHz rispettivamente, perché questo si verifichi è sufficiente che i circuiti abbiano dimensioni di qualche centimetro. In queste condizioni i componenti circuitali si comportano in maniera analoga alle antenne, dando luogo a

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radiazioni indesiderate che provocano ingenti perdite di segnale, accoppiamenti spuri tra gli elementi circuitali e interferenze radio con altri sistemi.

Alcune tecniche recenti hanno permesso di realizzare circuiti che sfruttano tali effetti, traendone un inaspettato vantaggio. Tali circuiti, conosciuti con il nome di Antenne Attive Integrate, hanno suscitato un notevole interesse della comunità scientifica internazionale, perché possono offrire valide soluzioni ai problemi connessi con la progettazione dei sistemi wireless di nuova generazione.

A differenza dei trasmettitori tradizionali in tali sistemi non è presente alcuna distinzione fisica tra l’antenna ed il componente attivo. Questo è collocato infatti nel volume normalmente associato alla struttura radiante, come mostrato in fig. 1.1.b. L’antenna ed il dispositivo allo stato solido sono integrati su un unico substrato. Il tipo di combinazione e di elementi utilizzati determina la funzionalità del componente a microonde risultante e la sua classificazione. L’assenza di linee di trasmissione consente di eliminare le perdite e gli inconvenienti dovuti alle transizioni. Tale tecnica può offrire innumerevoli vantaggi anche in termini di guadagno, occupazione spaziale e costi di realizzazione. L’antenna, considerata ora come un elemento di circuito, è in grado di espletare molteplici funzioni come sintonizzazione, filtraggio e duplexing oltre a quella originaria di elemento radiante. Questo apre la strada a nuove architetture di sistema e di circuito che possono utilizzare le più svariate tipologie di radiatori a circuito stampato includendo antenne le cui caratteristiche elettriche erano ritenute poco interessanti se valutate con l’ottica convenzionale.

Benché il principio su cui si basa tale tecnica sia relativamente semplice la sua implementazione pratica presenta non poche difficoltà. La progettazione di antenne attive integrate richiede una conoscenza approfondita di aspetti dell’ingegneria delle microonde molto diversi che comprendono i dispositivi allo stato solido, i circuiti e le antenne. Gli esperti in modellizzazione di circuiti e di oscillatori raramente vantano esperienza nel settore delle antenne e viceversa.

La natura stessa di tali sistemi dà inoltre origine a rilevanti fenomeni di accoppiamento tra i circuiti integrati e la struttura radiante che finiscono inevitabilmente per degradare le prestazioni di entrambi. I circuiti e l’antenna inoltre devono essere ottimizzati simultaneamente sullo stesso substrato. Questo obbliga i progettisti ad effettuare scelte di compromesso dal momento che gli accorgimenti che migliorano le prestazioni dei componenti attivi spesso degradano le caratteristiche radiative dell’antenna. A causa di tali difficoltà la maggior parte delle configurazioni esistenti, nate come prototipi, rimane relegata nell’ambito della ricerca.

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1.2 Cenni storici

Le antenne attive integrate presentano caratteristiche che le rendono particolarmente interessanti sia per applicazioni militari che commerciali. La costruzione di dispositivi che le utilizzano costituisce un settore attualmente in pieno sviluppo. Tuttavia l’intuizione che è alla base di queste nuove tecniche risale alle origini dell’elettromagnetismo. Lo stesso Hertz, infatti, introdusse il concetto di antenna attiva ideando il trasmettitore a dipolo e il ricevitore a spira risonante quadrata [6]. Né la prima configurazione né la seconda utilizzavano reti di adattamento per collegare il circuito ai terminali dell’antenna. Il dipolo aveva la funzione di circuito capacitivo per il trasmettitore, mentre la spira risonante costituiva l’unico filtro spettrale per il ricevitore. Questa soluzione presentava numerosi inconvenienti quali il limitato controllo della stabilità, la generazione di armoniche indesiderate e originava disturbi spettralmente molto estesi. A causa di tali limiti i trasmettitori a dipolo hertziano furono banditi dalle applicazioni commerciali nel 1934 dalla Federal Communications Commition (FCC).

Si osservò che il controllo delle armoniche e l’immunità alle interferenze potevano essere ottenuti facilmente intervenendo sui circuiti esterni alla struttura radiante. I circuiti iniziarono ad essere sviluppati autonomamente rispetto all’antenna, al fine di svolgere le funzioni di oscillatori, amplificatori, mixers e filtri. Tale tendenza dette vita a quello che ancor oggi è conosciuto come l’approccio convenzionale ai sistemi di trasmissione e ricezione. L’approccio convenzionale rimase l’unico accettato per circa trenta anni, finché, agli inizi del 1960, il concetto di antenna integrata apparve nuovamente. Dei ricercatori dell’Ohio State University, con il sostegno dell’aereonautica militare americana, dimostrarono la possibilità di integrare antenne con diodi e transistors. Successivamente Copeland e Robertson, utilizzando un diodo tunnel ed un’antenna a spira, integrarono un mixer ed un’antenna per dare vita ad un dispositivo che battezzarono “antennaverter”. I loro studi sulle antenne attive non terminarono, si ebbero ulteriori sviluppi che culminarono con la realizzazione della “antennafier”, un elemento radiante ottenuto dalla combinazione di un’antenna ad onda viaggiante con un diodo tunnel. Nel 1961 Pedinoff realizzò l’integrazione tra un’amplificatore e un’antenna a slot. Una descrizione dettagliata di un amplificatore ottenuto integrando un diodo tunnel con un’antenna a dipolo fu in seguito fornita nuovamente da Fujimoto. Un singolo antennafier, operante ad una frequenza di 420 Mhz, presentava un guadagno di 10 dB ed una cifra di rumore pari a 6 dB. Nel 1968 Meinke e Landstorfer presentarono alla comunità scientifica un amplificatore VHF, per la ricezione a 700 Mhz, che venne realizzato mediante l’unione di un transistore FET e di un dipolo [7]. L’anno seguente, alla European Microwave Conference, lo stesso Landstorfer presentò una relazione intitolata “Applicazioni e limiti delle antenne attive alle frequenze delle microonde” [8]. Nei commenti all’elaborato il Prof. E. A. Killick affermò: “Con il termine antenna attiva si può definire qualunque antenna in cui il generatore o l’amplificatore sono strettamente connessi all’elemento radiante. Il termine risulta ancora più appropriato quando il componente attivo è

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accoppiato direttamente all’elemento radiante senza collegamenti mediante alcuna sorta di linea di trasmissione” [9]. Ancora oggi questa risulta, indubbiamente, la definizione più appropriata per descrivere il concetto di antenna attiva. In letteratura si preferisce tuttavia utilizzare la definizione più generale di “antenna integrata”. Tale termine include l’integrazione dell’elemento radiante con qualunque tipo di dispositivo allo stato solido. In tale ottica si distinguono due configurazioni: le antenne integrate passive e le antenne integrate attive. Le prime incorporano uno o più dispositivi passivi allo stato solido e circuiti che possono svolgere funzioni di commutazione, modulazione, mixaggio ecc. Le antenne attive integrate sono antenne combinate con uno o più dispositivi attivi allo stato solido e circuiti progettati per generare o amplificare segnali a radiofrequenza. In alcuni casi non è possibile individuare una distinzione netta, dal momento che entrambi le tipologie di dispositivi allo stato solido sono coinvolte nell’integrazione. Un transricevitore, ad esempio, può essere realizzato combinando con l’antenna sia un oscillatore a transistor che un mixer. Prendendo spunto dai risultati ottenuti da Meinke e Landstorfer, Ramsdale e Maclean, nel 1971, utilizzarono transistori BJT e dipoli per implementare siatemi di trasmissione [10]. La loro configurazione è mostrata in fig.1.2.

Fig. 1.2 Antenna trasmittente combinata con un transistore BJT a base comune e alimentazione sull’emettitore, Rif. [10].

Negli stessi anni si affermò la tecnica dell’ “injection locking” per variare l’orientazione del fascio prodotto dalle schiere di antenne attive [11]. La sincronizzazione dei diversi oscillatori era ottenuta mediante l’impiego di un segnale esterno, come mostrato in fig.1.3.

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Tale tecnica fu utilizzata solo dopo la metà degli anni ’80 quando la combinazione spaziale di potenza cominciò ad essere impiegata per sopperire alla diminuizione di potenza presentata dai dispositivi allo stato solido nelle bande millimetriche.

A tali frequenze le antenne attive integrate permettevano di avere netti miglioramenti delle prestazioni e dettero nuovo slancio alla ricerca. Nei primi anni ’80 la combinazione di elementi attivi ed antenne stampate contribuì ad inaugurare un nuovo settore di applicazione: la realizzazione di sensori.

Armstrong impiegò infatti singole antenne attive per applicazioni di rivelazione Doppler [12]. Comportandosi come un oscillatore radiante accoppiato con lo spazio libero, un’antenna attiva è molto sensibile ai cambiamenti che avvengono nelle sue immediate vicinanze. Mutamenti delle condizioni al contorno, come temperatura e moto relativo, si traducono in variazioni della frequenza operativa che rendono l’antenna attiva uno strumento ideale per la rivelazione Doppler.

Successivamente un diodo Baritt fu integrato con un’antenna a patch per realizzare un mixer auto-oscillante. Questa fu la prima realizzazione di un’antenna attiva ad impiegare un elemento radiante a circuito stampato. Tale mixer, compatto ed economico, viene utilizzato come sensore e trova ancora oggi largo impiego nei sistemi antifurto, nelle porte ad apertura automatica ed in molte altre applicazioni commerciali.

Gli anni ’80 e ’90 fanno registrare un ulteriore sviluppo nel campo delle antenne attive e i progressi raggiunti nella tecnologia dei dispositivi allo stato solido e dei circuiti integrati permettono di operare anche nelle bande millimetriche.

Inoltre il perfezionamento delle tecniche di assemblaggio dei componenti elettronici e la miniaturizzazione dei circuiti hanno permesso di ottenere maggiori livelli di integrazione. Nel 1982 Barthia e Bahl combinarono un’antenna a patch rettangolare con diodi varactor sfruttando questa tecnica [13]. Un’antenna a banda stretta, inferiore al 2%, poteva essere in tal modo trasformata in un elemento con banda molto più ampia, ~30%.

La sintonizzazione rapida che i varactors possono offrire rende tale struttura un preselettore ideale per sistemi riceventi. Inoltre gli effetti di carico sull’impedenza di ingresso dell’antenna contribuiscono ad aumentare i domini di scansione nelle schiere di più elementi. Tuttavia le possibilità offerte da questa integrazione non suscitarono all’epoca molto interesse. La ricerca scientifica era concentrata prevalentemente sull’integrazione a livello di circuito. I dispositivi allo stato solido, pur perfezionati, presentavano bassi livelli di potenza di uscita e non riuscivano a soddisfare i requisiti richiesti dalla maggior parte delle applicazioni, sia civili che militari.

Questo limite si era presentato fin dagli anni ’60 inducendo la comunità scientifica a ricercare nuove tecniche di combinazione di potenza [14], [15].

Nel 1983 venne discussa la possibilità di combinare la potenza impiegando risonatori a cavità aperta [16]. Questa tecnica è anche nota come combinazione quasi-ottica per le sue analogie con le cavità laser. La struttura impiegata è illustrata in fig.1.4: i due oscillatori si accoppiano direttamente ai modi del risonatore aperto associati a due superfici riflettenti.

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Fig. 1.4 Risonatore quasi-ottico , Rif. [16].

Questa configurazione è particolarmente indicata per i radiatori attivi perché richiede l’impiego di oscillatori radianti che, in pratica, sono antenne attive. Tuttavia dovettero passare diversi anni prima che si diffondesse la combinazione di antenne attive e risonatori quasi-ottici.

Nel 1985 fu sviluppata quella che viene unanimemente ritenuta la prima antenna attiva moderna. Ideata per operare in banda X, tra 8 e 12 GHz, tale struttura si fondava sull’integrazione di un’antenna stampata a patch rettangolare ed un diodo Gunn [17]. Questa configurazione, illustrata in fig.1.5, origina una sorgente alle microonde compatta ed economica ed è particolarmente indicata per applicazioni di rivelazione Doppler e di combinazione spaziale di potenza. Costituiva, infatti, uno strumento molto utile sia per la tecnica dell’ “injection locking” con segnale di controllo esterno sia per la stabilizzazione dei sistemi. Tuttavia, a causa dei disturbi da interferenza elettromagnetica che l’elemento attivo arrecava all’antenna, questo componente presentava caratteristiche radiative decisamente insoddisfacenti: la componente di cross-polarizzazione era pari a 2 dB.

Fig. 1.5 Antenna stampata a patch rettangolare integrata con un diodo Gunn, Rif. [17].

L’anno successivo Perkins presentò una struttura che utilizzava un’antenna stampata a patch circolare ed un diodo Impatt. L’architettura ideata da Perkins era caratterizzata da un livello di cross-polarizzazione molto più basso, pari a –8dB, e da buone caratteristiche radiative.

Le due configurazioni appena descritte fornirono le basi per realizzare sorgenti a radiofrequenza a basso costo da destinare ad innumerevoli ambiti di applicazione. I risultati raggiunti aprirono la strada a quello che sarebbe diventato in breve tempo un ambito di ricerca molto affascinante e competitivo.

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Mink fornì un apporto determinante alla ricerca nel settore dei combinatori di potenza quasi-ottici, descrivendo il comportamento di una schiera di oscillatori posizionati all’interno di una cavità quasi-ottica [18]. Le rilevanti dimensioni di questo risonatore permettono di ottenere un array di sorgenti dotato di un fattore Q molto elevato con conseguente aumento della stabilità. Il numero di oscillatori distribuiti e le relative distanze determinano l’efficienza di accoppiamento con il modo di risonanza fondamentale. Questa tecnica rappresenta una valida soluzione per la combinazione di potenza alle frequenze millimetriche superiori. La facilità di integrazione la rende più economica dei tradizionali combinatori a cavità e non risulta altrettanto limitata dagli effetti multimodali, dalle tolleranze meccaniche e dalle perdite nei conduttori. Nel 1986 Stephan effettuò delle nuove ricerche sulla tecnica dell’ “injection locking” per la combinazione spaziale di potenza e propose un nuovo metodo per controllare l’orientazione dei fasci di irradiazione [19]. Ne seguì la realizzazione di un modello sperimentale per una schiera di oscillatori agganciati in fase da impiegare in banda X [20]. Le figure 1.6.(a) e 1.6.(b) mostrano, rispettivamente, i diagrammi a blocchi di un array fasato tradizionale e di un array implementato con il nuovo metodo proposto. Nella fig. 1.6.(c) è illustrata invece la configurazione impiegata negli attuali sistemi. (a) (b) (c)

Fig. 1.6 (a) Array fasato monodimensionale con rete di controllo della fase tradizionale. (b) Array fasato pilotato da oscillatori mutuamente sincronizzati con la tecnica dell’ “inter-injection locking”. (c) Diagramma a blocchi di un sistema ad array fasato, Rif. [20].

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Successivamente l’approccio a risonatore aperto evidenziò buoni risultati nella stabilizzazione dei generatori free-running a microonde. Questi importanti risultati segnarono l’inizio dell’impiego delle tecniche di combinazione di potenza spaziale e quasi-ottica per la progettazione delle shiere di antenne attive.

Dai primi anni ’90 ad oggi le antenne attive integrate e le applicazioni che ne fanno uso hanno conosciuto uno sviluppo rapido e continuo in concomitanza con l’innalzamento della frequenza massima di utilizzo dei transistors e con i progressi raggiunti nelle tecniche di integrazione monolitica degli elementi. La semplicità di costruzione, l’elevata riproducibilità in grandi volumi e la possibilità di disporre di schiere di numerosi elementi ha fatto sì che l’impiego di queste strutture, ideate originariamente per sopperire alle carenze di potenza presentate dai dispositivi allo stato solido nelle bande millimetriche, sia stato esteso a molte altre aree applicative,anche a frequenze inferiori. Le innumerevoli configurazioni oggi esistenti, in grado di coprire ampie regioni spettrali, saranno ampiamente trattate nei capitoli successivi.

Figura

Fig. 1.5  Antenna stampata a patch rettangolare integrata con un diodo Gunn, Rif.  [17]

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