• Non ci sono risultati.

CAPITOLO 2

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "CAPITOLO 2"

Copied!
36
0
0

Testo completo

(1)

CAPITOLO 2

STUDIO TIPOLOGICO DELLA CASA RURALE

2.1 – Evoluzione storica della casa rurale

La casa mezzadrile si sviluppa negli ultimi secoli del medioevo, quando si diffondono congiuntamente la mezzadria, l’appoderamento e la politica arborea.

La mezzadria con residenza permanente sul podere si generalizza solo più tardi, anche se si trovano dei contratti di tipo parziario prima dell’anno mille.

Documenti anteriori all’era comunale segnalano delle case, ma sempre contrappongono le case “del castello” e le terre coltivata. Gli statuti municipali dei secoli XIII e XIV, raramente citano delle dimore in aperta campagna, anche perché la mancanza di sicurezza a causa delle scorrerie delle compagnie di ventura, scoraggiava il scorgere di abitati sparsi.

I contadini abitano nelle città e nei villaggi fortificati; qua e là può sussistere qualche casa torre, eredità talvolta dell’alto medioevo, ma il primo abitato sparso non può essere che una dimora precaria e temporanea, costituito da capanne di legno o rami e di terra battuta.

D’altra parte nell’era comunale, i signori del contado si trasferirono in città, i monasteri stessi si misero al riparo dei bastioni e la borghesia, arricchitasi con il commercio nelle città marittime e bancarie, iniziò a comprare terreni.

Gli uni e gli altri videro nella mezzadria il modo migliore per assicurare il lavoro delle proprie terre, fissando il contadino sul

(2)

dominio e interessandolo alla produzione. I proprietari cittadini mantenevano così il loro potere sulle fonti di approvvigionamento.

La policoltura arborea permetteva di intensificare la produzione e di accrescere i redditi, ma esigeva una presenza continua, implicava la stabilità di podere e la permanenza della famiglia colonica, necessitando così di notevoli investimenti.

Questa è in breve la logica della mezzadria e della casa sparsa, la cui espansione però era diversa da regione a regione: più precoce e massiccia in Toscana, più lenta in Umbria e nelle Marche.

Le case continuano a disperdersi con estrema prudenza fino a tutto il XIV secolo: l’appoderamento comincia vicino alle città e ai castelli.

La mezzadria, la casa sparsa e l’appoderamento si sviluppa soprattutto a partire dal XVI secolo quando le scorrerie diminuiscono e regna un periodo di pace, anche se una vera e propria politica di costruzioni rurali inizia soltanto verso fine secolo.

Ad esempio in Toscana, nella seconda metà del ‘700, il granduca Leopoldo inizia un’opera di bonifica della Val di Chiana, favorendo l’appoderamento e lo smembramento delle grandi proprietà, mentre una pleiade di agronomi toscani, raggruppati attorno all’Accademia dei Gergofili, porta ad un alto grado di perfezione le tecniche della bonifica collinare che permise di intensificare la coltura o di creare in collina e in montagna nuovi poderi.

Nella seconda metà del XIX secolo le regioni boscose regrediscono diminuiscono davanti ai nuovi dissodamenti sotto l’effetto della pressione demografica, particolarmente nella zona

(3)

appenninica. L’occupazione del suolo avviene spesso in maniera anarchica e individualista.

La casa mezzadrile fa nuove conquiste in alta collina, mentre in pianura i progressi dell’agricoltura intensiva portano allo smembramento di grandi poderi.

La casa mezzadrile è la più fedele espressione materiale degli stretti rapporti che hanno sempre legato la città e la campagna. Pur casa isolata essa ha le sue origini nelle città e nei centri fortificati, e nella struttura e nelle forme porta i segno indelebile della sua nascita.

Prima del sorgere dell’abitato sparso i contadini vivevano nei centri, compressa tra i bastioni e il nucleo centrale popolato di artigiani, commercianti e di proprietari fondiari, la casa rurale era obbligata a svilupparsi in altezza.

Del resto già in epoca comunale, la casa urbana costruita in pietra è una casa in altezza: in basso la bottega o il laboratorio dell’artigiano, in alto la cucina e le camere. Anche nei palazzi borghesi e signorili il piano basso non è mai adibito ad abitazione.

Inoltre i capitali investiti nelle campagne provenivano dalla città. In effetti la proprietà fondiaria nelle regioni a mezzadria è sempre rimasta, per la maggior parte, di proprietà cittadina.

In definitiva, nata in città, costruita con capitali urbani, rimasta sempre proprietà cittadina, la casa rurale porta sempre l’impronta delle sue origini.

L’impronta urbana si traduce alcune volte nella creazione di tipi standardizzati o che presentano almeno una certa uniformità di stile: i grandi proprietari terrieri si sono rivolti ad architetti e artigiani che avevano già costruito dei palazzi o dei monumenti in città. Mecenati degli artisti, non potevano non trasferire anche

(4)

nelle campagne le loro preoccupazioni estetiche, le loro preferenze architettoniche.

La casa colonica a loggia aperta sembra risalir alla fine del XV secolo; l,’influenza del Rinascimento si proietta ovviamente con qualche ritardo nel mondo contadino.

2.2 - Caratteristiche costruttive della casa rurale

La tipologia della casa rurale, nella sua forma più completa e tipica, dovrebbe presumibilmente risalire alla fine del XVIII secolo.

La dimora rurale ha varie tipologie e le peculiarità di ognuna sono dettate soprattutto da fattori socio-economici.

Una prima classificazione permette di individuare principalmente due tipi che si contraddistinguono per la posizione della scala: o esterna o interna. Un’ altra variante può essere data dalla cucina a seconda che questa si trovi o al pian terreno o al primo piano.

Il tipo più comune è l’abitazione con scala esterna e cucina al primo piano, detto “tipo di collina”, mentre quello meno diffuso con scala interna e cucina al primo piano è detto “tipo d’alta collina”. Rari sono gli esempi di abitazione con scala interna e cucina al pian terreno.

Per quanto riguarda l’edificio, il volume è compatto, i muri sono fatti di mattoni intonacati, i solai sono realizzati in legno e il tetto è anch’esso in legno con travi e travicelli a vista con manto di embrici e canali. Rara la presenza della colombaia che può essere sia praticabile che non. Vario è il tipo di tetto: può essere a capanna, a padiglione, a falda unica, a falde indipendenti, misto.

L’edificio può essere monofamiliare, ma può anche racchiudere più abitazioni.

(5)

L’abitazione tipica toscana è disposta tutta al piano superiore poiché al piano terra trovano posto i vani rustici quali stalle, trinciatura dei foraggi, carraia, ciglieri1.

La cucina è essenzialmente il cuore dell’abitazione, l’ambiente principale tanto da esser chiamata essa stessa “casa”. L’accesso avviene direttamente dalle scale e da qui si passa per accedere alle altre stanze della dimora.

Nella cucina troneggia sempre il camino, disposto preferibilmente ad angolo con la cappa che poggia solitamente sul lato libero a mensola o su un piastrino di mattoni.

L’acquaio, di pietra, può trovarsi anch’esso in un angolo in prossimità di una finestra, sostenuto da muretti a mattoni. Frequente è l’usanza di ricavare una vera e propria “zona acquaio” all’interno di una nicchia appartata.

Le scale possono essere esterne, interne o interesterne.

Le scale interne si presentano con rampa unica perpendicolare alla facciata, oppure ad una rampa e mezzo, due o più.

Le scale interesterne sono soprattutto ad invito esterno, perpendicolari o parallele alla facciata, e rampa interna.

La scala esterna offre una varietà di tipi maggiore per i numerosi elementi che possono essere combinati in modo diverso. Quello decisamente più diffuso è con soggetta architravata a caposala e volume sottostante pieno o aperto ad arco.

La scala esterna è talvolta coperta a tetto non solo in corrispondenza della loggia caposala, ma anche per tutta la lunghezza della rampa. La soluzione con scala esterna, oltre ad essere esteticamente gradevole, risulta essere anche valida

1 se in origine era una semplice cantina scavata nel tufo, da cui il nome, con il tempo è

venuta assumendo una varietà di funzioni che ne fanno l’ambiente in cui si incontrano vita domestica e vita rurale.

(6)

funzionalmente poiché non ruba spazio agli ambienti interni e per di più permette di ricavare un vano interesterno prospiciente la cucina in cui spesso viene collocato un piccolo bagno. Il sottoscala invece viene aperto a portico mediando l’ingresso alla stalla o al locale forno.

E’ difficile stabilire quali siano stati i motivi che abbiano portato a privilegiare un tipo piuttosto che un altro. Da escludere sicuramente l’elemento climatico così come sostenuto dal Biasutti2

e da alcuni geografici; altri vedono nella scala interna il modello più antico; altri ancora, ed è questa la teoria più accreditata, subordinano la scelta del tipo di scala dal numero di nuclei familiari coabitanti all’interno del podere, per cui la scala esterna permetterebbe di avere una stalla più grande e un cogliere più ampio al piano terra e una cucina più vasta al piano superiore.

Il bagno, specie nelle case rurali è l’espressione più moderna di quello che in origine era chiamato “getto” o “tromba”. Questa attrezzatura, posta all’esterno della finestra di una o più camere, consisteva in un condotto di tronchi di cono in cotto disposti l’uno dentro l’altro. La bocca superiore si trovava all’altezza del davanzale ed era chiusa da un coperchio in legno. La condotta terminava in una fossa dove i rifiuti organici venivano raccolti e utilizzati in un secondo momento per la fertilizzazione dei campi.

Ad oggi rarissimi sono i casi in cui è stato possibile rinvenire tale sistema, poiché questo fu, in una trasformazione successiva, sostituito da un vero e proprio locale adibito a servizio igienico.

Il bagno inizialmente era costituito da un piccolo volume aggettante sorretto da mensole in legno o pietra ,accessibile mediante terrazzino o loggetta. Questa soluzione, oltre a

(7)

movimentare la volumetria della facciata, offriva anche la possibilità di rendere più igienico l’impianto. L’apparecchio vero e proprio era un semplice gradone con foro circolare e coperchio in pietra o legno. Il sistema di scarico continuava ad essere costituito da elementi i cotto che finivano nella solita fossa, spesso costituita da un grande orcio in terracotta detto “coppo”, come nel “getto”.

Soltanto in seguito a sviluppi più moderni, a partire dagli anni ’20, il servizio igienico fu inglobato all’interno dell’edificio e posto preferibilmente o in fondo ad un corridoio che disimpegnava le camere, o ricavato nell’angolo di qualche stanza.

Il forno si trova spesso addossato ad un fianco dell’abitazione o sul tetro di questa, coperto da una falda unica che continuando oltre la sagoma dei muri, forma una tettoia protettiva antistante il forno stesso; mentre il forno interno all’edificio è una soluzione relativamente moderna, databile attorno agli anni ’20.

Diffuso è anche il tipo a edicola separata con tetto a capanna; questa soluzione è quasi sempre unita al porcile o ad altri annessi come la legnaia.

L’impianto tipico ha le seguenti caratteristiche: la bocca centrale è ad arco ribassato, su uno o entrambi lati di questa ci sono piccole nicchie per gli accessori ( l’ampolla per l’olio, la saliera…), sotto si trova un vano per il deposito della legna e sopra il seccatoio.

La stalla è sempre incorporata nell’edificio, mentre gli altri annessi quali la carraia, il forno…, possono essere giustapposti all’edificio, ma più spesso sono separati. Anche il fienile è sempre separato e di frequente posto sopra la carraia.

La capanna, sempre coperta con tetto a tegole, ha spesso pilastri di mattoni e pareti di canne.

(8)

E’ possibile trovare gli annessi rustici (carraia, fienile, capanna, forno, legnaia) riuniti in unico blocco.

Il porcile è posto in posizione appartata, riparato dai venti e dal sole.

Il rifornimento idrico avviene mediante la raccolta dell’acqua piovana o in una cisterna installata sotto il cigliere o in un pozzo all’aperto, spesso a pianta circolare, talvolta quadrata, coperto da semplice tavola di legno o in lamiera. Il pozzo non è mai isolato, bensì unito al lavatoio.

Se l’edificio non ha né pozzo né cisterna, il rifornimento d’acqua avviene direttamente da una fonte vicina.

Frequente è anche la presenza della cantina che viene o scavata i una grotta, magari in tufo, o ricavata nei locali interrati della casa o addirittura isolata dal complesso poiché scavata nel luogo in cui il terreno è più consono. Se isolata, l’ingresso viene protetto con tettoia e regolarizzato con interventi murari.

L’aia è in terra battuta di forma irregolare con ai margini il “capanno dell’aia” di canne, scope e tavole di legno.

L’ultimo annesso è l’orto domestico, vero e proprio fazzoletto di terra coltivata, vicino alla casa, affinché la massaia possa accedervi con facilità anche nel corso della preparazione dei pasti; oltre alle verdure di normale consumo vengono coltivati anche i fiori per ornamento della casa. Talvolta la parte dell’orto riservata per i fiori, è così ampia da formare un giardinetto indipendente. L’orto così come il giardino sono sempre recintati con canne che offrono protezione dai polli.

Spesso agli alberi è affidato il compito di segnalare la casa anche a distanza, per cui è possibile trovare o un pino

(9)

“segnalatore” o un filare di cipressi disposti lungo la via di accesso all’abitazione.

Nei pressi della casa invece gli alberi si mescolano con disinvoltura: alberi da frutto si legano ad alberi a foglia caduca.

Sempre presenti sono anche alberi frondosi che assicurano, soprattutto nei mesi estivi, un fresco e ombroso riparo dal sole cocente. Inoltre, data la loro varietà e la loro disposizione, gli alberi segnalano e delimitano gli spazi e per rendere ancora più evidente questa funzione, spesso vengono affiancati da siepi sempre verdi.

2.3 - Dalla mezzadria al sistema di fattoria

La genesi del termine “fattoria”, nel senso di un’organizzazione economica territoriale centralizzata sul piano amministrativo e poi via via su quello gestionale e produttivo, non si può far risalire altre al XVI secolo.

In effetti, prima di quel periodo, non solo non si è rinvenuta una contabilità aziendale riconoscibile come quella tipica della fattoria, ma anche i riferimenti documentari parlano di “casa da signore”, “palagio”, “villa”…., termini che stanno ad indicare non tanto centri amministrativi di possessi suddivisi in unità poderali, quanto semplici residenze di campagna.

Del resto ancora nel quattrocento la mezzadria era scarsamente diffusa e il “contratto alla fiorentina”, come veniva chiamato agli inizi del XV secolo, era addensato soprattutto nel contado fiorentino e intorno ad alcuni centri urbani ma era ben lontano dal caratterizzare l’economia agricola regionale.

Probabilmente quando fra Cinquecento e Seicento, mercanti e banchieri, nobiltà imborghesita e nuovi ceti arricchiti investirono parte dei loro profitti accumulati con le attività commerciali e di

(10)

scambio nelle campagne, portarono nelle loro proprietà metodi di amministrazione nuovi: acquistarono dalla nobiltà feudale , dai piccoli produttori indipendenti, da enti di natura ecclesiastica e feudale, dei terreni che in un processo secolare organizzarono in corpi compatti suddivisi in unità produttive gestite a mezzadria.

Questo processo favorì la diffusione dell’appoderamento e la crescente produzione dei beni di consumo per i vicini mercati cittadini. Nel corso del Seicento, fino alla prima metà del Settecento, i capitali affluirono più lentamente nelle campagne e non ci furono investimenti rilevanti nella costruzione di nuovi poderi e piantagioni.

I grandi proprietari terrieri, quasi tutte di origine cittadina, una volta acquistate le terre si atteggiarono sempre più a percettori delle rendite che il semplice sfruttamento del lavoro mezzadrie poteva alimentare.

Nella seconda metà del Settecento, anche in forza delle riforme leopoldine e di una tendenza alla crescita dei prezzi agricoli sul mercato internazionale, si manifestò un nuovo impulso all’appoderamento e all’espansione delle colture sia cerealicole che arboree.

Sorse e si manifestò in concomitanza con le idee fisiocratiche, di cui lo stesso Pietro Leopoldo era un seguace, un crescente interesse teorico e pratico per l’agricoltura. L’Accademia dei Georgofili, formata nel 1753 e poi aiutata e incoraggiata dal nuovo sovrano, venne a rappresentare un centro di propulsione per l’agricoltura toscana e l’espressione organica degli interessi di quella aristocrazia agraria fiorentina che stendeva il suo dominio su gran parte del Granducato. Non vi è dubbio che questo risveglio per l’agricoltura è da ricollegare alla circolazione di idee e di

(11)

stimoli che risentono della più generale rivoluzione agraria che investì le campagne dell’Europa occidentale e l’area più direttamente toccata dalla rivoluzione industriale inglese.

Lo sviluppo demografico, l’espansione del mercato su scala sempre più ampia e il processo dell’industrializzazione furono tra gli stimoli principali all’ammodernamento dell’agricoltura.

La Toscana non conobbe nei fatti un processo di trasformazione intenso nelle campagne, né dal punto di vista dei modi di produzione, né da quello delle tecniche, ma non vi è dubbio che l’agricoltura toscana risentì di tutti quei fenomeni esterni ed interni e proprio allora prese avvio u lento processo di ammodernamento della mezzadria e di estensione e razionalizzazione dello sfruttamento agricolo del suolo.

Con tutta probabilità non si è riflettuto abbastanza sul fatto che una rivoluzione agricola, per quanto sui generis, era in atto in Toscana da secoli proprio grazie alla diffusione della mezzadria e all’aggancio che essa aveva con i mercati cittadini.

Tuttavia ancora nel Settecento esistevano terre da bonificare e da ridurre allo sfruttamento agricolo.

Il dato nuovo che accompagna la congiuntura che si apre nella seconda metà del settecento consiste proprio nella organizzazione ulteriore del sistema mezzadrie attraverso la fattoria e l’importanza crescente che, in questa azienda signorile, vengono assumendo gli investimenti di capitali fissi (costruzioni rurali, piantagioni, bonifiche…) e circolante (scorte vive e morte, anticipazioni in capitali e in natura). La riorganizzazione della mezzadria sulla base del sistema di fattoria rappresenta la risposta ad una congiuntura davanti alla quale l’economia poderale mostrava tutti i suoi limiti.

(12)

In questo senso i dati della contabilità aziendale anticipano quelli della pubblicistica e danno un’idea ancora più tangibile della profondità e dello spessore della riorganizzazione della mezzadria secondo il sistema di fattoria.

Dietro la nuova gestione della fattoria, più ordinata e razionale, compare la figura del fattore o dell’agente. Tutto ciò presuppone un proprietario, sia esso un nobile o lo stesso Granduca, non più assenteista e ignorante delle cose agrarie, bensì sempre più attento alla conduzione delle sue proprietà sia dal punto di vista produttivo che commerciale.

Nel sistema mezzadrile è proprio la fattoria che rappresenta lo strumento di intervento nelle scelte produttive. Accanto alla villa signorile o al castello feudale compaiono ormai, secondo moduli architettonici variabili, locali ristrutturati ad uso di magazzini, orciaie, vinaie, frantoi, oppure nuovi immobili sorti ex-novo come veri e propri complessi centrali dell’azienda per la residenza dei fattori, per la registrazione e la contabilità, per l’immagazzinamento, la trasformazione e la conservazione dei prodotti.

I nuovi investimenti e le iniziative di riorganizzazione tecnico-produttiva, l’estensione delle piantagioni, la regolarità e il perfezionamento delle opere di sistemazione del terreno in piano e in poggio, e infine il completamento della maglia poderale, partono dal centro di sistema di fattoria, cioè dalla proprietà e dai fattori e investono i contadini e i poderi, che subiscono il complesso dell’operazione. Da struttura di semplice coordinamento amministrativo dei poderi, che i mezzadri, contrattualmente autonomi, lavorano in rapporto alla disponibilità della loro forza lavorativa, la fattoria diviene non solo centro di raccolta della

(13)

produzione di parte padronale per la trasformazione, la conservazione e la vendita, ma vero e proprio centro di intervento nel processo produttivo.

La fattoria svolge quindi, a partire dalla metà del Settecento, un ruolo sempre più importante e complesso grazie all’opera di agenti dotati di notevoli capacità e di una proprietà sempre più disposta all’investimento fondiario.

2.4 - La fattoria toscana

E’ caratteristica della Toscana la fattoria, con la quale espressione si intende tanto la proprietà costituita da più poderi dipendenti da un unico agente, quanto l’insieme dei fabbricati adibiti ai servizi centrali, come la cantina, i magazzini padronali, l’oleificio, l’abitazione dell’agente a sotto-agenti, dei salariati fissi, delle guardie campestri.

Nell’organizzazione della tipica fattoria toscana la figura principale è quella del fattore a cui sono devolute le funzioni di direzione, amministrazione e sorveglianza dell’azienda da lui dipendente.

Il fattore risiede quasi sempre nei locali di fattoria. A suo lato, ma in linea subordinata, è la fattoressa che ha le mansioni di condurre e di dirigere la casa nella quale vivono familiarmente il fattore, se non è ammogliato, e i sotto-agenti che sono sempre celibi. Per tradizione fattore e fattoressa non possono essere coniugi: si riscontra tuttavia qualche deroga.

I sotto-agenti coadiuvano il fattore nelle sue funzioni e specialmente sorvegliano i lavori colturali.

La fattoria toscana è un sistema tecnicamente perfetto come organizzazione. Purtroppo ha l’inconveniente di pesare fortemente

(14)

nel bilancio dell’azienda, per quanto le retribuzioni del personale siano in genere modeste.

Questo sistema di amministrazione comporta l’esistenza di numerosi fabbricati centrali aventi caratteristiche ben diverse dal fabbricato colonico.

Nella generalità si tratta di costruzioni non recenti, spesso antiche, talora con notevoli pregi artistici e storici.

L’esistenza della fattoria non ha invero nessuna influenza sostanziale sulla costituzione del fabbricato colonico, salvo la riduzione delle dimensioni della cantina e l’assenza di qualsiasi locale per l’elaborazione delle olive, anche dove si hanno forti produzioni di vino e olio, per il fatto che la fermentazione delle vino e la spremitura delle olive viene fatta di regola negli appositi locali padronali.

Caratteri comuni dei nuovi fabbricati poderali in Toscana sono, salvo pochissime eccezioni, la pianta rettangolare o quadrata del corpo principale, la disposizione su due piani e l’unione dell’abitazione alla stalla; per il resto non si può a rigore generalizzare.

Nei grandi poderi di pianura o di bassa collina dove è possibile, in relazione alla produzione foraggiera del fondo, il mantenimento di un cospicuo numero di capi di bestiame bovino, la stalla occupa tutto il pianterreno e talvolta si estende anche al di fuori di esso o addirittura, per maggior libertà di espansione, va a formare un corpo di fabbrica a sé semplicemente appoggiato a quello dell’abitazione. In qualche caso quest’ultima disposizione è stata adottata unicamente per ottenere una maggiore separazione tra casa e stalla a scopo igienico.

(15)

Man mano che il podere si riduce di superficie, o comunque diminuisce la produzione foraggiera per la maggior coltura di piante legnose o industriali, o per la minor fertilità del suolo, e con essa anche il quantitativo del bestiame, vediamo la stalla ridursi per gradi e con svariate disposizioni, ad una parte sempre più piccola del pianterreno, fino ad occupare non più spazio di quanto ne occorra per tre o quattro animali.

Dove si richiede una stalla grande, la cucina è sempre al primo piano. Nei fabbricati con stalle medie o piccole è più frequente la cucina al pianterreno.

La scala di accesso al primo piano è sempre interna quando la cucina è al pianterreno; è posta all’esterno invece nel caso contrario.

Le stanze da letto si trovano sempre al primo piano e la disposizione più adottata per esse è quella con un corridoio centrale di disimpegno. Tuttavia non è rara anche la disposizione in cui le stanze sono disposte attorno alla cucina che funge così anche da disimpegno.

Il magazzino per il grano e per altri prodotti alimentari per la famiglia colonica si trova più frequentemente al piano primo. In alcuni fabbricati si trovano per l’immagazzinamento del grano ingegnose utilizzazioni di spazio che altrimenti sarebbe risultato di poca utilità.

La cantina, dove esiste, è raramente interrata, occupa generalmente un ambiente al piano terreno.

Le latrine sono solitamente al piano primo vicino alle camere d letto.

Il fienile o si trova in un locale a parte o viene collocato sopra la stalla.

(16)

Le concimaie sono quasi tutte con platee in muratura.

Per gli altri locali nominati e per i fabbricati di corredo al fabbricato principale è impossibile dare delle indicazioni generali di orientamento a causa della variabilità dl loro numero e della loro disposizione.

Riguardo alla tecnica costruttiva sono da notarsi il largo impiego di solai con travi in ferro e l’adozione di muri di piccolo spessore specialmente nelle strutture interne. Il solaio in ferro è quasi sempre adottato per gli ambienti posti sopra i locali di ricovero degli animali; spesso si estende a tutto il fabbricato. Esso consente una maggiore libertà nella suddivisione dello spazio al primo piano e agevola la riduzione dei muri, specie quelli interni.

Il cemento non è ancora entrato nella pratica corrente: si trova impiegato prevalentemente nei telai di collegamento, negli architravi, nelle scale, nelle mangiatoie.

E’ da notarsi che la Toscana non difetta davvero di materiali pietrosi e agglomerati da costruzione, sia per la diffusione delle rocce adatte, sia per il numero delle fornaci e delle cementerei.

La progettazione dei fabbricati è fatta molto spesso dai proprietari e dai loro agenti; i proprietari e le amministrazioni che affidano la progettazione a tecnici professionisti sono pochissimi e ancora meno quelli che si avvalgono di un tecnico per l’esecuzione.

2.5 - Il rinnovamento dell’edilizia rurale in Toscana

La casa colonica toscana è divenuta per eccellenza l’immagine della dimora contadina della nostra regione e, in un certo senso trova le sue origini nell’edilizia signorile del medioevo.

Furono infatti le ville signorili due-trecentesche, successivamente declassate ad abitazioni mezzadrili, a fungere da

(17)

modello quando, a partire dai primi anni del XVI secolo, l’attività edilizia nelle nostre campagne conobbe una notevole ripresa.

Per tutti i secoli XVI e XVII l’edilizia rurale in Toscana, accanto a costruzioni più o meno modeste, espresse tutta una gamma di edifici di non rilevante consistenza, che testimoniano come la cultura locale del costruire avesse risentito della presenza dei modelli “signorili” del basso medioevo.

Tuttavia le case coloniche cinque-seicentesche, così come appaiono dalle rappresentazioni pittoriche o grafiche oppure dagli esempi superstiti, si caratterizzano per la loro omogeneità, poiché tutti gli edifici, esclusi quelli evidentemente derivata da una “casa da signore” decaduta, non sembrano attestare l’intervento diretto di esponenti della cultura architettonica “aulica”, denunciando di essere invece l’espressione di quella che gli anglosassoni chiamano “vernacular architecture”.

Sarà soltanto a partire dalla metà del Settecento che la cultura architettonica ufficiale farà il suo ingresso nell’edilizia rurale e appariranno così nelle campagne toscane i primi esempi di case coloniche nate su progetto.

Verrà così ad esistere un nuovo tipo edilizio che, influenzato dall’arte “colta”, rimarrà legato ai modelli ancora imperanti della tradizione tardo-rinascimentale.

Soltanto in seguito, nel corso del XVIII secolo, si arriverà ad un punto di incontro fra i modelli elaborati dagli architetti nel XVIII secolo e le forme espresse spontaneamente dal mondo contadino.

La diffusione della nuova architettura rurale ha avuto però manifestazioni abbastanza limitate nel corso del XVII secolo, affermazione che non possiamo fare parlando del secolo successivo.

(18)

Infatti in quegli anni in Toscana, grazie alla politica economica del granduca Pietro Leopoldo, prese avvio un programma di risanamento delle aree paludose al fine di rilanciare l’agricoltura come principale fonte di reddito dell’economia toscana. Questo fenomeno offrì la spinta propulsiva per il rinnovamento dell’edilizia rurale in Toscana.

Addirittura il sovrano lorenese impartì delle direttive edilizie in materia di costruzioni rurali, promettendo il rimborso di un quarto delle spese sostenute dai proprietari per l’edificazione di nuove case coloniche.

L’opera di propaganda edilizia promossa dal granduca, si scontrò però con un atteggiamento avverso della classe dirigente che al contrario preferì investire in sistemazioni poderali piuttosto che in fabbricati.

Quindi, anche per il corso del Settecento, i nuovi modelli dell’architettura rurale incontrarono difficoltà nell’affermarsi; per cui nella maggior parte dei casi si continuò ad edificare secondo la tradizionale pratica costruttiva che esprimeva edifici modesti, frutto delle empiriche conoscenze di maestranze che ripetevano identici ed elementari schemi ispirati da grande semplicità.

Risulta chiaro che per avere nella Toscana appoderata un diffuso rinnovamento dell’edilizia rurale doveva verificarsi prima un aumento della produttività dei poderi e un accrescimento delle rendite tali da permettere eventuali investimenti anche nei fabbricati.

Ciò si verificò a partire dagli anni ’20 dell’ Ottocento quando la struttura produttiva, pur rimanendo ancorata alla mezzadria, iniziò a far propri alcuni elementi del meccanismo capitalistico,

(19)

che impose una diversa e più razionale organizzazione dell’attività produttiva.

Di conseguenza le fattorie divennero i veri e propri centri direzionali della produzione, della sistemazione del terreno, dell’organizzazione poderale, della scelta delle colture e la contabilità aziendale migliorò notevolmente.

Tutta questa macchina, con lentezza e non senza eccezioni, si mise in moto soprattutto a partire dalla “Restaurazione” lorenese, continuò nei decenni a cavallo dell’Unità d’Italia e si protrasse fino alla fine del secolo.

Conseguentemente alla “rivoluzione agricola”, aumentò la redditività dei poderi, grazie alla quale fu possibile una diffusione più razionale delle costruzioni rurali nelle numerose proprietà che si collocarono nella nuova dimensione economica.

Anche il rinnovamento edilizio dell’Ottocento mosse i primi passi nella direzione dei modelli di quelle costruzioni rurali elaborate nel secolo precedente.

2.6 - Rapporto fra la casa e le strutture economiche e sociali

Se la casa rurale può essere vista come la sintesi delle componenti del paesaggio agrario, e la tipologia riflette direttamente i termini di questo rapporto, proprio nelle componenti formali si ritrovano invece, in modo più evidente, le influenze esterne, i rapporti fra ambiente rurale e ambiente urbano. In altri termini se la tipologia tenderà a fissarsi direttamente in rapporto alla funzione economica, la forma tenderà invece a modellarsi come risultato di resistenze interne o di interventi esterni al mondo contadino, e quindi risentirà sia

(20)

pure in modo indiretto e mediato di una situazione sociale generale.

Il rapporto fra tipo e modello esprime in altri termini il rapporto fra funzioni e forma: cioè il rapporto fra il processo di immediato adattamento dell’edificio alle esigenze tecniche ed economiche della produzione agricola e il complesso di mediazioni che ritardano questo stesso processo di adattamento. Quindi se il tipo è una componente che sta prima della forma e che la costituisce3,

d’altra parte è necessario individuare anche il modello formale per vedere in quale modo ne risulta condizionata la stessa tipologia. Il modello è ricavato come si è già visto, dal passato della casa rurale stessa o dall’ambiente culturale delle classi che dominano l’economia agraria, dal sistema architettonico in senso generale. A questo meccanismo si può far risalire il carattere di “rigidità” dell’architettura rurale, più che ad un generico “conservatorismo” della campagna.

Per procedere alla verifica di queste ipotesi bisogna affrontare due problemi: quello della origine storica delle case rurali in rapporto alla formazione dei sistemi architettonici, e quello della reale diffusione dei modelli all’interno degli stessi sistemi architettonici.

La codificazione dei modelli di organizzazione del paesaggio agrario e la codificazione dell’architettura partono da una matrice comune.

L’architettura rurale del medioevo va ricondotta alla forma di insediamento tipica dal castrum, villaggio agricolo fortificato,

3

Cfr. A. Rossi, l’Architettura della città, Padova 1966. E’ interessante riportare la definizione, riferita da Aldo Rossi, del Dictionnaire historique de l’architecture di Quatremere De Quincy (Parigi 1832): ”la parola tipo non rappresenta tanto l’immagine di una cosa ca copiarsi o da imitarsi perfettamente quanto l’idea di un elemento che deve egli steso servire di regola al modello… Il modello inteso secondo l’esecuzione pratica dell’arte, è un oggetto che si deve ripetere tal qual è; il tipo è per il contrario un

(21)

circondato da un paesaggio rurale a breve raggio, che viene man mano realizzato e ridotto alle forme geometriche dei campi chiusi.

La crescita delle città è strettamente legata al nuovo slancio di colonizzazione agricola per opera della piccola nobiltà inurbata e della borghesia di nuova formazione: effetto dell’inurbamento era di aumentare il numero dei proprietari fondiari cittadini4. Da

questo processo deriva quella origine direttamente urbana di tutte le forme di casa rurale costruita nel periodo fra il sec. XI e il sec. XIV, che è ancora ben riconoscibile in alcuni tipi di dimore del centro Italia.

L’impronta della società urbana è decisamente diretta proprio nel campo della tecnica e dell’estetica.

Per questo troviamo ad un certo punto la casa-torre, nata all’interno del castrum medievale per ragioni di scarsità di spazio, trasferita di peso nella campagna dove non esisteva nessuna limitazione alla superficie coperta. E più in generale al rapporto con l’architettura urbana, o meglio con l’architettura del borgo murato medievale, che si può far risalire la tendenza a realizzare, nella disposizione planimetrica generale della casa o del nucleo rurale, forme “chiuse” inserite in un paesaggio che si va orientando verso i “campi chiusi”.

E’ nel borgo murato che nascono la scala esterna, il portico, la loggia, cioè tutti quegli elementi e quei volumi che, aggiunti al nucleo originario della torre, formano il complesso architettonico della casa rurale. In questa fase che si colloca a grandi linee verso la fine del medioevo, la forma della casa rurale riflette quella urbana, sia come tipologia che come modello formale.

4

(22)

Nel periodo successivo si assiste a un fenomeno molto più complesso : da un lato troviamo “l’inizio di uno svolgimento autonomo dell’edilizia rurale, da ora in avanti meno condizionata da una configurazione da canoni urbani”5; dall’altro troviamo le

definizioni del modello ideale di abitazione del Rinascimento e per la cui realizzazione, secondo Leon Battista Alberti, proprio le abitazioni di campagna sono quelle che hanno minori difficoltà6.

Dunque, a questo punto, l’evoluzione del tipo e del modello divergono: l’uno si affranca all’origine urbana per adattarsi meglio alla funzionalità produttiva, l’altro si presenta come idealizzazione delle forme di architettura che per mancanza di spazio la città non poteva ospitare.

La nuova villa rinascimentale diviene così la mediazione, l’anello di congiungimento, fra la società urbana e quella rurale, e si presenta con forme proprie non più ricavate dal borgo o dal castello, e per le quali ci si richiama al modello della villa romana tramandata attraverso Vitruvio o attraverso i ruderi.

Ma il carattere di questa divisione sociale è tale che le forme che assumono d’ora in poi le residenze della nobiltà agraria, le ville, costituiscono il modello a cui si ispirano anche le classi subalterne, seguendo ad una certa distanza i movimenti culturali dominanti, le “congiunture” artistiche. E’ in questo senso che le abitazioni rurali – edificate per iniziativa di proprietari facoltosi – vengono a riprodurre, in forme ancore più marcate di quelle urbane, le differenze sociali: non solo come disuguaglianze ma come rapporto di subordinazione e di dipendenza del contadino rispetto al padrone.

5

(23)

Il fenomeno della subordinazione si accentua nei secoli XVI e XVII con il processo che viene chiamato di “rifeudalizzazione” e che coincide con la massima diffusione delle ville all’italiana e del sistema architettonico rinascimentale-barocco nella sua versione rurale: “se Cosimo si può considerare il primo committente di case coloniche, il Buontalenti fu sicuramente il primo architetto che abbia progettato, oltre a numerose ville maggiori o minori, anche costruzioni di architettura rurale minore, cioè servizi per le ville come fattorie, paggerie e portinerie, e case coloniche”.

Ma anche qui il vero salto si compie nel secolo XVIII, quando lo sviluppo della grande azienda agricola, nelle regioni più favorite, coinvolge la villa e la trasforma da luogo di svago in complesso produttivo. A questo punto la casa rurale si presenta non come imitazione del modello fornito dalla cultura delle classi dominanti, ma come prodotto diretto e pianificato dell’azienda agraria.

Abbiamo così nello stesso tempo la più stretta integrazione fra i vari aspetti del paesaggio rurale, nel quale la casa trova la sua collocazione precisa e la più stretta dipendenza dell’architettura rurale dai modelli culturali più dominanti.

In definitiva si osserva che le tre ondate principali del popolamento rurale, quella del tardo medioevo, quella del Rinascimento e quella dell’età elle riforme, corrispondono a tre momenti particolari nei rapporti sociali e culturali fra città e campagna: nel primo il modello della casa rurale sta nella città, nel borgo, nel castello; nel secondo è l’ambiente urbano stesso che costruisce il modello nella campagna: la villa; nel terzo si raggiunge l’integrazione della singola casa nel sistema spaziale dell’azienda.

(24)

L’architettura nell’alto medioevo si diffonde nelle campagne fra il XIII ed il XIV secolo; quella del Rinascimento nei secoli XVII e XVIII; quello dell’età illuminista nel secolo XIX.

La rottura dei sistemi stilistici unitari, operata durante l’Ottocento, porta alle estreme conseguenze lo scarto fra tipo e modello, fra funzione e forma.

2.7 - La casa secondo i trattatisti rinascimentali

Un terreno estremamente fertile per ciò che riguarda la concezione e il modo di concepire la casa rurale, lo troviamo anche nella sfera dell’architettura “maggiore”, cioè nei trattati rinascimentali che servivano sia a diffondere le convenzioni formali e le idee degli architetti sia a fornire modelli da cui attingere.

Quasi tutti i trattatisti da Leon Battista Aslberti al Milizia, si occupano della casa rurale e ne danno una descrizione di carattere sia teorico-astratto perché ispirata dalle regole del buon costruire, sia pratico-concreto perché frutto di una diretta esperienza nel campo della costruzione di ville e case coloniche.

Il ciclo dei trattati considerati copre l’arco di tempo compreso tra il XV e XVIII secolo, cioè quella fascia che coincide con la fase centrale dell’evoluzione della casa rurale. Oltre a questa limitazione temporale, c’è ne è anche una geografica limitatamente a quelle regioni dove l’impulso all’elaborazione di nuovi modelli è stato maggiore: Toscana, Veneto e qualche zona della pianura padana.

Prima di tutto, se consideriamo i trattati rinascimentali, troviamo la formulazione di un principio fondamentale che è quello gerarchico, cioè della rigida corrispondenza delle parti fra di

(25)

loro e con il tutto. Da qui l’accento è posto direttamente sulla composizione, sul disegno albertiano, mentre la decorazione viene relegata all’ultimo posto.

La casa rurale trova il suo posto nello schema teorico vitruviano-rinascimentale come anello della catena evolutiva che ha condotto l’architettura dall’imitaziojne della natura alle forme più elaborate.

Nel “De re aedificatoria” l’Alberti dà della casa rurale una esatta definizione funzionale, insistendo sulle migliori esposizione e distribuzione degli ambienti destinati a vari usi. Ma il trattato albertiano fornisce anche gli strumenti per comprendere i disegni, la composizione e quella che in chiave moderna è chiamata tipologia. “Diverse sono le case di campagna abitate dagli uomini liberi e quelle abitate dai contadini. Queste vengono costruite essenzialmente per motivi di interesse, quelle piuttosto per semplice diletto” 7; “[…] le abitazioni della gente meno agiata

saranno ispirate, nei limiti della diversa situazione economica, all’eleganza delle dimore delle classi abbienti; tale imitazione sarà peraltro temperata dall’avvertenza di non sacrificare l’utilità al diletto. Quindi nella costruzione della casa di campagna si provvederà alle esigenze dei bovini e degli ovini non molto meno che a quelle della propria moglie; e appunto per trarne profitto, non per puro piacere, si provvederà a dotare la villa di piccionaia, vivaio, ecc.”.

L’ispirazione alle dimore delle classi abbienti assume un significato particolare se si riferisce all’evolversi della villa come forma ideale di abitazione nella quale la libertà dello spazio consente di “assegnare agli edifici e alle parti che lo compongono

7

(26)

una posizione appropriata, un’esatta proporzione, una disposizione conveniente e un armonioso ordinamento, di modo che tutta la forma della costruzione riposi interamente sul disegno”8. L’eleganza a cui ci si deve ispirare non è dunque un

carattere esteriore,limitato all’abbellimento della casa, ma si riferisce alla struttura formale dell’edificio.

Un altro trattato della seconda metà del secolo XV è quello del senese Francesco di Giorgio Martini che non presenta un programma teorico ma la descrizione precisa di una casa rurale proposta come modello: “el modo e forma d’essi edifizi così son da disporre”9.

Il modello descritto richiama forme padane: si tratta di un complesso a corte con due corpi simmetrici rispetto a questa che a sua volta è divisa in due cortili.

L’estremo opposto è rappresentato dai due trattati emiliani della prima metà del XVI secolo del Serio e del Vignola, testi “scolastici” che interessano solo per la codificazione delle regole ornamentali: ad es. nei numerosi schemi di ville riportati dal Serlio, l’unico riferimento all’ambiente rurale è dato dal rivestimento “rustico” delle fasce murarie, mentre lo schema stesso non va al di la di un’esercitazione astratta.

Il Veneto è la regione dove i contributi teorici sono più ricchi e nello stesso tempo più legati ai problemi concreti dell’ambiente rurale. I trattatisti veneti, dal Palladio fino ai razionalisti alla fine del Settecento, ci forniscono le descrizioni più ampie di complessi rurali, padronali e rustici.

8

(27)

Nel secondo dei “I quattro libri dell’architettura” il Palladio tratta “del compartimento delle case di villa”10.

“Ritrovato il sito lieto, ameno, comodo e sano si attenderà all’elegante e comoda compartizion sua”. Seguono le indicazioni pratiche per combinare in un solo complesso edilizio tanto l’abitazione del padrone che “ i coperti per le cose di villa”, con un sistema di collegamenti tale che “in ogni luogo si possa andare al coperto”: a ciò che nelle piogge né gli ardenti soli della state li siano di noia nell’andare a vedere i negozi suoi: il che sarà anco di grandissima utilità per riporre al coperto i legnami, e infine altre cose della villa, che si guasterebbero per le piogge, e il sole: oltre che questi portici apportano molto ornamento”.

La descrizione comprende tutti gli ambienti del complesso rurale, dalla casa del fattore alle stalle, cantine, granai, fienili, aie. La preoccupazione è sempre quella di conciliare l’utilità con l’unità gerarchica dell’insieme: per esempio l’aia “non sarà troppo vicina alla casa del padrone per la polvere; né tanto lontana, che non possa esser veduta”.

Dopo il Palladio, alla fine del Cinquecento, lo Scamozzi in “Idea dell’architettura universale” riprende in termini ancora più ampi il tema della casa rurale e ne offre una documentazione che anticipa le progettazioni integrali della grande azienda del Settecento. Le indicazioni dello Scamozzi si estendono dalla casa più semplice a quella più complessa, nonché a tutti i componenti dell’azienda agraria: corti, portici, barchesse, cantine, granai, stalle, cascine e colombaie.

“Le case sub urbane e in villa possono essere di molte sorti, ma per ora le ridurremo in tre spcie: cioè comuni, onorevoli e

10

(28)

magnifiche; le prime saranno di mediocre grandezza, dove possi capire una convenevol famiglia; le loro forme potrebbono esser quadrate o poco più in faccia in quattro pioveri e possono avere la sala nel mezzo, con qualche loggia dinanzi, o di dietro, e poi le stanza da ambe le parti: e anco con qualcheduna alla destra, e alla sinistra, onde sono d’onesta capacità e di mediocre spesa. Le case molto onorevoli possono essere chiamate dalla grandezza loro, e perché abbino molti appartamenti di stanze, e superati l’un dall’altro, con belle sale, e più loggie, e scale ampie comode, e fatte con belli compartimenti e altezze, che tenghino del grave e del nobile. E finalmente le case magnifiche e alla grande possano vere una corte con appartamento di stanze da tre parti, ovvero da tutte quattro, con portici tutto all’intorno, nè quali riferiscano l’entrate”.

Successivamente vengono date indicazioni su come disporre la casa dominicale e “quella per l’entrate di villa” intorno ad un complesso sistema di corti, giardini, frutteti. “E questa casa, e i coperti, e le corti, e giardini, e tutte le cose sian fatte l’una corrispondente all’altra, alla qualità del padrone, e all’uso delle entrate, perché a questo modo egli abiterà nobilmente, e non sarà impedito da alcuna cosa, poscia che per la vicinità avrà tutte le cose comode, itanto che sarà congiunto il dieletto e piacere de’ giardini, e anco delle fonti, e delle cedrare, con l’utilità di far governar le proprie entrate”11.

In un’altra parte del libro Scamozzi aggiunge: “le casi rurali possono essere situate e compartite in vari modi; come a ire in due braccia a destra e sinistra della casa del padrone; o alquanto più indietro e a’ fianchi del giardino; o finalmente isolato da se sola con la corte nel mezzo, e icoperti da tre o quattro parti. Torna

(29)

molto bene per risparmio della spesa e comodo del padrone il fabbricare le corti, e le case per abitazione degli uomini, e anco per i loro strumenti, e animali, a parte destra e sinistra della casa suburbana e in villa ad uso del padrone, e come braccia aperte di un corpo compiuto e perfetto, […] sì perché l’unione di queste fabbriche fa una bella vista sì anco perché a tutte l’ore il padrone può vedere tutte le cose sue, e resta qualche aspettazione a chi serve, che egli sopravvenghi ad un tratto: onde quelli che maneggiano e governano le entrate operano molto meglio, e anco più fidatamene”12.

Il principio gerarchico rinascimentale si è dunque esteso dall’edificio singolo al complesso degli edifici aziendali, e ricalca fedelmente la struttura del paesaggio agrario di questo periodo. Tutte le parti si corrispondono fra loro e sono subordinate al “principe”, l’elemento spaziale dominante, che alla scala dell’azienda agraria è costituito dalla villa padronale.

Nella concezione unitaria dello Scamozzi tutte le parti possono contribuire a “fare una bella vista”: così le corti con le forme quadrate “che accrescono maestà alle fabbriche”, e i portici “i quali fanno grandissimo ornamento, e devono essere di convenevole larghezza e bell’altezza”, e le barchesse che “devono essere molto grandi, e spaziose, libere e di bellissima altezza, o con colonne o con archi dinanzi”; fino alle colombaie , che possono essere di forma quadrata, o rotonda o a otto facce, “per rendere qualche grazia, e fare accompagnamento”; “queste fabbriche devono essere di mura sode: il primo ordine con quadri a bozze o puliti, e nel

12

(30)

resto alquanto più delicate. Alle volte noi l’abbiamo ornate di nicchie e riquadri con cornici, e somiglianti cose”13.

La casa rurale è integrata nel complesso edilizio padronale come parte di un “corpo perfetto”. Questa concezione resta alla base di tute le considerazioni svolte dai trattatisti, anche dopo la crisi della tradizione vitruviana sotto i colpi della logica razionalista, fautore della quale è Milizia che interessa soprattutto per la più completa definizione del modello della casa rurale: “la più semplice capanna di legname contiene il germe dei più magnifici palazzi.[…] Se il modello che l’architettura ha da imitare non è un prodotto immediato della natura, n’è però il risultato. Se la natura non ha prodotto in verun luogo capanne, le ha però suggerite da per tutto dove l’uomo è nel suo primo stato naturale”14.

Per Milizia l’architettura “è arte del fabbricare secondo le proporzioni e le regole determinate dalla natura e dal gusto”.

L’opera del Milizia esprime non solo una teoria dell’architettura ma in particolare una situazione storica e sociale nella quale si è maturata l’evoluzione della casa rurale.

2.8 - La casa rurale, il clima e il rilievo

Non sempre è facile vedere quali elementi costruttivi sono dovuti esclusivamente o in parte all’influenza del clima e del rilievo. Tale influenza appare con più evidenza laddove i caratteri morfologici e climatici sono più estremi.

Di seguito andremo singolarmente ad analizzare sia i fattori climatici quali l’aridità e il caldo, il freddo, la neve, la pioggia, il

13

(31)

vento, sia quelli morfologici come il rilievo in relazione alle caratteristiche della casa rurale.

Legata al caldo e all’aridità è la necessità di raccogliere e conservare le acque, specie nelle regioni dell’Italia meridionale e insulare dove la stagione asciutta si protrae per molti mesi durante il corso dell’anno. Conseguenza di questo bisogno è la diffusione del tipico tetto a terrazza o a volta che permette di trattenere l’acqua piovana e convogliarla mediante un condotto in terracotta, inserito nella muratura, in una cisterna. Questa soluzione oltre ad essere tipica dell’Italia del sud, è diffusa pure in altre zone della penisola laddove la casa sorge in aree collinare povere di acque sorgive.

Altra caratteristica è dettata dal fatto che nel Mezzogiorno, data la prolungata serenità del cielo, la scarsa umidità e la temperatura relativamente mite anche nei mesi invernali, la vita della famiglia contadina si svolge in gran parte all’aperto. Di conseguenza lo spazio antistante la casa è lastricato e nei centri rurali in cui manca questo spazio la vita si sposta sul marciapiede o sulla strada tanto è che la porta-finestra sulla strada ne è una tipica espressione. Inoltre la dimora della singola famiglia è di modeste dimensioni poiché gli ambienti della cucina e del soggiorno sono stati ridotti al minimo e gli interni si presentano poco curati, muniti dello stretto necessario.

Anche la presenza di numerosi cortili chiusi da muri , probabilmente per salvaguardare la privacy della famiglia, potrebbe essere forse ricollegata all’abitudine di svolgere molte attività all’aperto.

Massiccia è anche la presenza di porticati e loggiati che assicurano, specie nelle ore più calde, zone d’ombra e di fresco.

(32)

Se manca il loggiato troviamo pur sempre una tettoia di frasche sorretta da filoncini in muratura o da tronchi d’albero, un pergolato, oppure una pianta ornamentale come il gelso e il fico che offrono, anche se piccola, una superficie ombrata agli abitanti della casa.

Per difendersi dal caldo eccessivo dell’estate le finestre sono ovunque piccole e rare, tanto da assumere a volte le dimensioni di feritoie.

Passando dal caldo al freddo dobbiamo premettere che il clima rigido non influisce soltanto sui caratteri strutturali della casa ma, soprattutto in montagna, anche sulla scelta della posizione: è noto come nelle valli alpine la popolazione preferisca insediarsi sul versante più soleggiato a mezzogiorno, mentre quello in ombra è lasciato ai boschi e al pascolo.

Soprattutto in passato era diffuso l’uso del legno, ottimo coibente. Ai nostri giorni il suo impiego è fortemente diminuito a causa degli elevati costi di lavorazione. Tuttavia nelle Alpi il legno trova ancora largo impiego sia come rivestimento interno del soggiorno, sia come rivestimento esterno di tutta o quasi la casa come nel Livignasco. Un altro riparo dal freddo è fornito dal grande spessore dei muri, ma l’elemento più tipico della casa alpina è costituito dai balconi alle cui stanghe di legno si usava stendere a essiccare l’erba che altrimenti il maltempo avrebbe fatto marcire sui prati.

Altra peculiarità della casa di montagna è la struttura unitaria che ha il vantaggio di avere sotto lo stesso tetto il rustico e l’abitazione. Anche qui, come al sud, le finestre sono piccole e poco numerose ma per il motivo opposto.

(33)

Inoltre poiché il prolungarsi della stagione fredda porta gli abitanti della casa a passare la maggior parte del tempo all’interno della dimora, gli interni sono molto più curati e accoglienti. Sempre per quanto riguarda gli interni, si evita sempre che l’entrata nei locali sia diretta per evitare il rapido raffreddamento di questi, pertanto l’accesso avviene tramite corridoi di disimpegno e talora attraverso piccole verande poste davanti alla porta principale.

Circa la scala, essa è quasi sempre incorporata all’interno dell’abitazione per sottrarla al rischio di gelate anche se in molte zone appenniniche la scala esterna resta il tipo dominante.

Passiamo adesso alla neve, parlando della quale il primo elemento costruttivo che ci viene in mente è il tetto. Fino a qualche tempo fa dominavano i tetti di scandole, più resistenti della pietra e dei laterizi all’azione del gelo, nonché più elastiche e capaci di sopportare senza subire alcun danno, il peso di uno strato di neve spesso più di un metro. Massi e stanghe consolidano l’intreccio delle scandole e impediscono alla neve di scivolare lungo i pioventi. Infatti il manto nevoso è un ottimo coibente naturale contro il freddo per l’intera abitazione. Oggi i tetti di scandole sono stati per la maggior parte rimpiazzati dalle tegole e dalle lamiere.

Anche in montagna ritroviamo loggiati e porticati che, oltre per l’essiccazione del fieno e del granturco, servono ad impedire alla neve di accumularsi davanti all’abitazione.

Le precipitazione nevose influenzano anche la disposizione stessa della casa: solitamente le costruzioni allineano il lato lungo perpendicolarmente o quasi alle isoipse, quindi da nord a sud. Tale posizione assicura agli spioventi del tetto condizioni

(34)

d’insolazione pressoché uguali in modo che la neve depositatasi sopra si sciolga in ugual misura. Un allineamento opposto, da est a ovest, favorirebbe invece la rapida scomparsa della neve sullo spiovente meridionale, lasciando innevato l’altro.

L’ultima osservazione da fare riguarda i fienili, costruiti in posizione isolata e sollevati da terra mediante pali per separarli dal terreno freddo e dal manto nevoso.

Dopo la neve segue la pioggia e la casa rurale offre come riparo dalle precipitazioni gronde sporgenti per impedire lo sgrondo delle acque lungo i muri e sul pianerottolo antistante la porta d’ingresso.

La scala, quando è esterna, è coperta in tutto o in parte da una tettoia che permette di passare da un piano all’altro dell’abitazione senza bagnarsi. Se manca la tettoia, ed è abbastanza frequente, la sporgenza della gronda del tetto ripara la scala o almeno il pianerottolo superiore.

Una piccola tettoia è posta spesso anche sopra la finestra della cucina e sopra il portone del cortile.

I pagliai esterni sono per lo più rari perché si preferisce conservare la paglia al riparo dall’acqua. Laddove questi sono presenti vi è posta sopra una copertura conica, in paglia o in lamiera, sorretta da quattro piloni laterali o da uno solo centrale.

I provvedimenti invece presi dall’uomo contro il vento sono molteplici e fra i più evidenti.

Innanzitutto l’esposizione ricopre una parte importante: sulla montagna appenninica ad esempio, la casa quasi sempre volge il lato posteriore a tramontana da dove soffiano i venti più freddi e la facciata verso sud o sud-ovest, mentre nel Tavoliere le abitazioni

(35)

danno le spalle ai rilievi appenninici e pertanto guardano ad oriente.

Il tetto viene protetto con massi e stanghe e in alcune zone viene preferito quello ad unico spiovente inclinato nello stesso senso del pendio, ma dove gli spioventi sono due, spesso questi scendono molto bassi a poca distanza dal suolo.

Il sottotetto è quasi sempre chiuso da tavole poiché un’apertura anteriore, specie nelle zone particolarmente ventose, potrebbe costituire un pericolo per l’intera copertura.

Sul lato della casa esposto ai venti freddi mancano i ballatoi , mentre i muri sottovento sono protetti da graticci di canne e di frasche o da lamiere di zinco e bitume.

L’aia diventa spesso un locale chiuso, tutt’intorno o in parte, da un muro o di pietra o di mattoni.

Anche la disposizione delle camere gioca un ruolo importante nella difesa dell’abitazione dal vento: per le camere si preferisce la posizione controvento, mentre la cucina, la stanza più riscaldata di tutte le altre, viene spesso osta in una posizione sopravento.

Infine rimane da analizzare la dimora in relazione al rilievo.

Dobbiamo premettere che la popolazione rurale, prima delle opere di bonifica delle paludi, preferiva le sedi di collina o di bassa montagna, questo perché zone più lontane dalle pianure malsane e insicure.

In generale però la casa evitava i versanti troppo ripidi e rocciosi così come quelli esposti a nord.

Tipica forma di adattamento alla morfologia è la casa di pendio: essa si presenta a monte con un solo piano a monte e a valle con due piani dei quali quello inferiore adibito a cantina, a locale per

(36)

attrezzi oppure a stalla, e quello superiore con la cucina e le camere.

Se la casa è posta sotto la strada, su questa si apre la cucina sotto la quale, in uno scantinato addossato con una parete al monte, c’è la stalla col suo ingresso separato e senza comunicazione col resto della casa.

La scala per lo più non esiste per salire al primo piana al quale si accede sfruttando il pendio dalla parte posteriore dell’edificio.

Talvolta l’ingresso al primo piano è laterale, allora la scala è esterna e si appoggia sul pendio.

Riferimenti

Documenti correlati