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CAPITOLO 4: SVILUPPO METODO DI OTTIMIZZAZIONE PROCESSO DI PRODUZIONE DI IDROGENO

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Academic year: 2021

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CAPITOLO 4: SVILUPPO METODO DI OTTIMIZZAZIONE

PROCESSO DI PRODUZIONE DI IDROGENO

4.1 METODO

4.1.1 OPPORTUNITÀ DELL’APPROCCIO MODELLISTICO

I modelli matematici sono fra gli strumenti più frequentemente impiegati nello studio teorico dei fenomeni fisici per varie ragioni.

L’indagine teorica di un fenomeno, infatti, può dirsi conclusa solo quando si riesce a descriverlo compiutamente, attraverso un insieme di formule matematiche il più possibile semplici ed esaurienti. Un modello non è altro che una rappresentazione schematica che mette in evidenza la sequenza con cui avvengono le varie parti di un fenomeno e il rapporto di causa-effetto fra di loro.

Per questo motivo risulta estremamente utile: in primo luogo perché consente di analizzare separatamente dette parti e di trovare per ciascuna una formulazione matematica semplice; riunendo successivamente le equazioni che descrivono ciascuna parte, secondo le relazioni previste dallo schema del modello, si possono analizzare e descrivere fenomeni anche molto complessi in maniera relativamente semplice. Secondariamente, il raffronto fra le predizioni del modello al variare dei parametri e il comportamento effettivamente osservato può concretamente aiutare a migliorare la comprensione del fenomeno stesso. La schematizzazione del fenomeno con un modello, infatti, consente di identificare le componenti che dovrebbero maggiormente influenzarne il comportamento, in base alle equazioni del modello, e di verificare le ipotesi fatte mediante il confronto qualitativo e quantitativo delle predizioni con un numero limitato di risultati sperimentali.

L’indagine sperimentale ne risulta notevolmente alleggerita in quanto il modello dà la possibilità di variare una grande quantità di parametri di varia natura e di conoscere a priori quello che dovrebbe avvenire in certe situazioni, consentendo di progettare e realizzare esperimenti solo per verificare le situazioni interessanti.

4.1.2 APPLICAZIONI TECNICHE DEI MODELLI

Ma l’importanza dei modelli non è limitata allo studio teorico dei fenomeni. I modelli sono largamente impiegati anche nella tecnica.

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Supponiamo, infatti, che si voglia indagare, in un processo di interesse industriale, una variazione di condizioni operative che sembra promettente o i modi di ottenerla. Nella pratica industriale ci si serve di apparecchiature pilota, più piccole ma non per questo poco costose, per testare questo genere di cambiamenti. Disponendo di un modello del processo, di provata affidabilità nelle condizioni operative normali, si può simulare in pratica ogni tipo di cambiamento nelle variabili di processo comprese nel modello e selezionare in questo modo le condizioni operative ideali. Inoltre, se nel modello è implementata la dipendenza delle variabili operative dall’organizzazione del processo o dalla geometria dell’apparecchiatura, si può indagare, sempre attraverso il modello, quali cambiamenti apportare per ottenere le condizioni operative ideali.

Certamente occorre tenere conto dell’incertezza del modello, visto che la comprensione dei fenomeni e la descrizione matematica degli stessi non sono mai perfette.

4.2 MODELLO DI UN PROCESSO

Per una costruzione accurata di un modello di un processo è prima necessario andare a conoscere e assimilare in maniera approfondita i fenomeni che caratterizzano il processo stesso, per capire gli aspetti che sono fondamentali e quelli meno importanti, le fasi che possono essere descritte con minore accuratezza e quelle che invece hanno bisogno di maggiore dettaglio ed infine perché è indispensabile acquisire una sensibilità che permetta di interpretare i risultati che il modello fornisce.

Generalmente per simulare un processo si ha bisogno di una serie di modelli che risolvano le interazioni fondamentali, come ad esempio i bilanci di materia o di energia, la composizione di equilibrio di una miscela, sistemi con reazioni chimiche (o di equilibrio), fenomeni di trasporto e altri ancora. Per fare ciò è indispensabile poter accedere ad un database termodinamico, da cui si possano acquisire tutti i dati indispensabili al modello. Tali “applicazioni” permettono di schematizzare un sistema complesso, in cui vi sono flussi di materia e energia entranti e/o uscenti in “blocchi”, che simulano una determinata operazione (reazioni chimica, miscelazioni, equilibri di fase, ecc.). Ovviamente i calcoli effettuati dovranno basarsi su relazioni affidabili e comprovate, così come la bontà dei dati di termodinamici a cui si fa riferimento. In questo modo è possibile ottenere risultati delle simulazioni che rispecchiano la realtà in modo attendibile.

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Durante il lavoro svolto è stato fatto largo uso di software che permettono la modellazione di processi in maniera veloce e relativamente semplice, in particolare sono stati usati il software di calcolo ASPEN Plus e il modello di devolatilizzazione del carbone CPD (Chemical Percolation Devolatilization) che andremo subito a descrivere nel dettaglio:

4.2.1 ASPEN Plus®

Nella costruzione dei modelli dei processi è stato utilizzato il software ASPEN Plus® nelle versioni 12.1 e 13.1. Tale software è un potente strumento per la modellazione dei processi stazionari, per il monitoraggio delle prestazioni e l’ottimizzazione nel campo dell’industria chimica, petrolchimica e metallurgica.

L’uso di ASPEN Plus permette di risolvere i problemi tipici che si presentano nell’industria di processo, attraverso tutto il lifecycle, come ad esempio la progettazione di un nuovo processo, la risoluzione dei problemi connessi ad un operazione unitaria o l’ottimizzazione delle operazioni che costituiscono un intero processo. Le caratteristiche di simulazione del software, utilizzando le relazioni fondamentali dell’ingegneria chimica, come bilanci di massa e di energia, equilibri termodinamici e cinetiche di reazione, permettono ai progettisti di prevedere il comportamento di un processo. Grazie ad un database completo di dati termodinamici affidabili, condizioni operative realistiche e ai modelli matematici rigorosi di cui ASPEN Plus è fornito, è possibile simulare il reale comportamento del processo modellato.

ASPEN Plus è un programma del pacchetto Aspen Engineering Suite™ (AES™), in cui sono presenti software specifici dedicati al settore dell’ingegneria. E’ possibilie inoltre integrare i modelli dei processi con analisi di tipo economico, ottimizzazione della produzione e altri tipologie di business processes.

ASPEN Plus contiene dati, proprietà fisiche, modelli di operazioni unitarie, operazioni costruite di default, report e altre caratteristiche sviluppate per processi industriali specifici. Alcuni aspetti chiave del software ASPEN Plus sono elencati di seguito:

• Interfaccia user friendly: la finestra grafica principale contiene il flowesheet del processo, un sistema semplice di introduzione di tutte le informazioni necessarie e la presenza del tasto NEXT che guida l’utente nella definizione dei dati necessari per la risoluzione della simulazione.

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• Plot wizard: Permette all’utente, in maniera intuitiva, di creare grafici dei risultati delle simulazioni

• Equation-oriented modeling: Una gestione avanzata per la metodologia di risoluzione del modello permette di raggiungere la convergenza in maniera veloce e affidabile.

• ActiveX (OLE Automation): Interfacce semplici con programmi come Microsoft Excel® and Visual Basic®. Supporta i comandi OLE classici come copia, incolla e taglia.

• Operazioni unitarie: Include modelli di sistemi vapore/liquido, vapore/liquido/liquido con o senza presenza di solidi, con possibilità di sviluppare modelli definiti dall’utente.

• Proprietà termodinamiche: Modelli fisici appropriati e dati TD affidabili sono indispensabili per ottenere risultati accurati e affidabili. ASPEN Plus utilizza modelli di comprovata affidabilità e selezionabili di volta in volta, per coprire una

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vasta gamma di processi, dai semplici comportamenti ideali alle miscele fortemente non ideali e elettroliti. Il database contiene dati relativi a più di 8500 componenti, includendo composti organici, inorganici, acquosi e tipologie di Sali; più di 37000 set di parametri diinterazioni binarie per circa 4000 miscele binarie. Le interazione binarie sono determinate utilizzando i dati ottenuti dal database Dortmund Datebank, DECHMA.

• Calculator models: Include interfacce per software come FORTRAN e Microsoft Excel per lo sviluppo di modelli ad-hoc.

• Sensitivity analysis: Generazione di tabelle e grafici che mostrano la variazione delle performance del processo al variare delle condizioni operative.

• Case study feature: Simulazioni multiple con differenti input per confronti e analisi • Design specification: Capacità di calcolare automaticamente condizioni operative o

parametri delle apparecchiature per soddisfare specifiche richieste.

• Determinare condizioni operative: Ottimizzazione di una specifica richiesta, incluso rese di processo, utilizzo di energia, purezza di una corrente e economie di processo.

• Dimensionamento dettagliato scambiatori di calore: Il modulo HeatX permette di dimensionare scambiatori a fascio tubero di varie tipologie e scambiatori raffreddati ad aria

4.2.2 MODELLO CPD (Chemical percolation Devolatilization)

Tuttavia ASPEN, per l’esecuzione di alcune operazioni particolari e poco comuni, ha bisogno di essere implementato con informazioni che possano sopperire alle mancanze di base. Un esempio di operazione che ASPEN, per le sue caratteristiche non può simulare, è la devolatilizzazione (pirolisi) del carbone. Per risolvere questo problema si utilizza un modello, esterno ad ASPEN, che riesce a simulare tale fenomeno e si attua l’implementazione dei risultati nel software principale ASPEN Plus®.

In seguito sarà descritto e analizzato un modello di tipo strutturale, il CPD (Chemical Percolation Devolatilization), sviluppato da Fletcher [55]. Tale modello consente la predizione dei prodotti di pirolisi primaria del carbone sulla base dei parametri strutturali del solido ricavati tramite l’analisi NMR (Risonanza Magnetica Nucleare). Infatti, le caratteristiche dello stadio di devolatilizzazione, piuttosto che dalla composizione chimica elementare del carbone, dipendono dalle strutture di base che lo costituiscono. Oltre alla

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distinzione in residuo solido (char), gas leggeri e vapori condensabili a temperatura ambiente sotto forma di tar, il CPD contiene un modello di rilascio dell’azoto e un modello in grado di definire, almeno in maniera parziale, la composizione dei gas leggeri. È presentata anche una correlazione, di carattere puramente empirico, in grado di prevedere in maniera abbastanza accurata i parametri strutturali necessari per lo sviluppo del modello sulla base della sola analisi elementare del carbone.

La conoscenza della struttura elementare del carbone è fondamentale per modellare la sua devolatilizzazione e combustione. Lo studio può essere effettuato con diverse tecniche analitiche, generalmente però di tipo distruttivo. Il modello CPD descritto nella presente relazione fa invece riferimento alla risonanza magnetica nucleare (NMR), una tecnica di tipo non distruttivo in grado di fornire i legami principali presenti all’interno della matrice solida carboniosa. Il problema di un’analisi di questo tipo consiste però nella necessità di tempi lunghi di misura, nonché di una apparecchiatura molto costosa. Per questi motivi, l’analisi di tipo NMR difficilmente viene effettuata e i dati a disposizione in letteratura riguardano un numero limitato di carboni.

Il modello CPD (Chemical Percolation Devolatilization), sviluppato inizialmente da Fletcher [55] rappresenta la struttura del carbone come un reticolo di tipo bidimensionale i cui nodi sono costituiti da isole aromatiche, collegate tra loro tramite ponti di tipo alifatico. I prodotti di devolatilizzazione vengono distinti in char, tar e gas leggeri, che a loro volta vengono identificati nelle specie principali quali CO, COB2B, HB2BO e CHB4B. Per descrivere il processo di decomposizione del network di partenza vengono usate statistiche di percolazione.

Il modello CPD si compone di 5 elementi chiave:

1. descrizione della struttura chimica del carbone di partenza sulla base di analisi quantitative effettuate con la NMR

2. meccanismo di reazione dei ponti, con relativa cinetica associata

3. metodi statistici di percolazione del reticolo per determinare le relazioni tra la rottura dei ponti e la formazione di frammenti che sono precursori del tar

4. meccanismo di equilibrio liquido-vapore per determinare la frazione di liquido che vaporizza

5. meccanismo di cross-linking dei frammenti ad alto peso molecolare, che si riattaccano alla matrice formando il char

Come già detto, il modello CPD visualizza il carbone come un network di macromolecole, i cui componenti elementari (monomeri) sono costituti da isole aromatiche

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(cluster) di vario tipo e dimensione, costituite oltre che da carbonio anche da ossigeno e azoto. Un singolo cluster è composto da policicli condensati e da catene laterali. I cluster aromatici sono poi connessi tra loro tramite ponti di varia composizione, in genere alifatica. Alcuni di questi ponti sono labili, e possono quindi rompersi quando il carbone viene sottoposto a pirolisi, mentre altri sono stabili e non sono in grado di rompersi alle temperature tipiche di lavoro. Questo secondo tipo di ponti, che rimane inalterato durante il processo di pirolisi, viene definito di tipo char. Oltre ai ponti che collegano i cluster aromatici, sono presenti anche delle catene laterali, che includono sia gruppi alifatici (-CHBnB-) che carbonilici (-COB2B), che sono precursori dei gas leggeri. I frammenti che si separano dalla matrice carboniosa sottoponendo il carbone a temperature elevate saranno quindi costituiti da uno o più cluster aromatici, connessi tra loro da ponti labili o di tipo char, con le relative catene laterali.

4.3 DEFINIZIONE DEGLI SCENARI

La modellazione dei processi di produzione di idrogeno deve essere inserita in scenari che permettano l’individuazione delle potenzialità necessarie e del processo ottimale per tali produzioni richieste.

L’impiego dell’idrogeno al posto dei combustibili tradizionali, come detto più volte, ha lo scopo di ridurre e il controllare la formazione degli inquinanti tipici dei processi di combustione, specialmente per le fonti distribuite sul territorio che sono difficilmente gestibili.

Proprio in quest’ottica, andando ad analizzare le tipiche esigenze energetiche di aree urbane per vari settori, come ad esempio il riscaldamento domestico, l’autotrazione o il trasporto pubblico, si sono calcolate le potenzialità necessarie ad adempiere a tali richieste energetiche. In questo modo è stato definito lo schema di processo che meglio soddisfa le necessità di idrogeno richieste dallo scenario.

La base di partenza è l’accoppiamento del processo con una centrale termica a carbone di grandi potenzialità (circa 700-800 MW). Grazie all’integrazione non si rende necessario effettuare analisi su alcune operazioni; si ipotizza che esse siano già presenti perché utilizzate dalla centrale. Per cui, fasi come lo stoccaggio e la polverizzazione del carbone vengono lasciate fuori dal dominio di interesse, come pure il trattamento degli effluenti liquidi o i fumi esausti generati dal processo.

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4.3.1 SCENARIO N° 1: Utilizzo dell’idrogeno per alimentazione trasporti pubblici città di Pisa

Viste le grandi difficoltà relative alla realizzazione di una distribuzione capillare dell’idrogeno e i costi importanti delle tecnologie legate al suo utilizzo, uno scenario plausibile di utilizzo è quello in cui l’amministrazione pubblica decida di convertire/rinnovare parte del parco autobus disponibile con mezzi pubblici a basso impatto ambientale alimentati ad idrogeno. Inoltre sarebbe possibile realizzare un punto di rifornimento centralizzato per poter ridurre fortemente i costi di distribuzione. Come ipotesi iniziale si sceglie una quota di autobus alimentati a idrogeno pari al 40% del totale. La valutazione è stata fatta considerando studi precedenti che riportano tale valore come la scelta più plausibile nel breve termine [56].

Il numero totale di autobus della provincia di Pisa, nell’anno 2001, era pari a 596 [56]; il numero di mezzi utilizzanti idrogeno risulta essere 240.

La richiesta energetica di tale scenario è valutata essere di 5,1 MW, corrispondente ad una produzione/consumo di idrogeno pari a circa 150 kg/hr, in appendice A è possibile trovare informazioni più dettagliate sulle considerazioni e sulle valutazioni effettuate.

Considerato che la richiesta di idrogeno non è particolarmente elevata, risulta vantaggioso andare a proporre una tipologia di processo che possa essere integrato in una centrale termica di grossa potenzialità, in modo da minimizzare i costi di investimento e massimizzare le rese. La descrizione dettagliata del processo è effettuata nel capitolo 5

4.3.2 SCENARIO N° 2: Utilizzo dell’idrogeno per come combustibile per autotrazione

La scelta di questo scenario è stata effettuata considerando una situazione futura in cui, partendo da una grossa centrale termica a carbone, si utilizzi il 10% dell’alimentazione per produrre idrogeno. Tale idrogeno sarà usato come combustibile per veicoli privati. Considerando una potenza elettrica in uscita della centrale di 800 MW, si sceglie di realizzare una produzione di idrogeno corrispondente ad una potenza di 80 MW.

Si ipotizza, con il supporto di lavori precedenti [56], una futura diffusione di automobili alimentate ad idrogeno corrispondente 2% del totale delle auto circolanti.

Sotto queste condizioni si riscontra una quantità di idrogeno prodotta pari a circa 2400 kg/hr, corrispondente ad una potenza associata di circa 80 MW. Con questa produzione è possibile soddisfare il fabbisogno di idrogeno corrispondente ad un bacino totale di 3.5

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milioni di auto, di cui 70000 alimentate ad idrogeno, in appendice A è possibile trovare informazioni più dettagliate sulle considerazioni e sulle valutazioni effettuate.

La richiesta, fortemente superiore al caso precedente, rende necessario lo sviluppo di un processo con rese di conversione di carbone elevate, in cui la produzione di idrogeno sia lo scopo principale. In questo scenario, si trascurano i problemi relativi alla distribuzione di tale vettore energetico per soddisfare una regione così ampia, tali analisi sono state effettuate in altri lavori [56].

La stessa produzione può essere richiesta da un distretto industriale che, per l’impiego in generazione distribuita, utilizzi idrogeno al posto di combustibili tradizionali e quindi abbia bisogno di un approvvigionamento costante per la produzione dell’energia necessaria. Anche in questo caso si suppone che ci sia bisogno di una portata di idrogeno pari a 2400 kg/hr, corrispondente ad una potenza di circa 80 MW.

La descrizione dettagliata del processo che è stato modellato è effettuata nel capitolo 6

Nelle tabelle seguenti sono riassunte le caratteristiche degli scenari scelti le specifiche necessarie a soddisfare il fabbisogno di idrogeno.

SCENARIO N°1: Alimentazione trasporti pubblici città di Pisa

N° autobus totale (2001) 596 Frazione autobus ad idrogeno 40%

N° autobus a idrogeno 240 Idrogeno necessario 150 kg/hr Taglia impianto (Potenza

associata all’idrogeno)

5.1 MW

Scenario N° 1

SCENARIO N°2: Alimentazione mezzi privati Potenza centrale di riferimento 800 MW

Potenza impianto idrogeno 80 MW Portata idrogeno 2400 kg/hr

Area Distretto industriale

Riferimenti

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