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RECUPERO VEGETAZIONALE E RIASSETTO PAESAGGISTICO

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IMPIANTO DI DISSOCIAZIONE MOLECOLARE E RELATIVA DISCARICA

(COMUNE DI PONTEDERA,PI)

RECUPERO VEGETAZIONALE E RIASSETTO PAESAGGISTICO

R

ELAZIONE SPECIALISTICA AL PROGETTO DEFINITIVO gennaio 2010

Progettista: dott. Forestale Michele Giunti

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SOMMARIO

1. PREMESSA ... 3

2. DEFINIZIONE DELL’AMBITO TERRITORIALE INTERESSATO DAL PROGETTO ... 4

2.1 INDICAZIONE E ANALISI DEI LIVELLI DI TUTELA... 7

2.2 CENNI SUGLI ASPETTI CLIMATICI E GEOLOGICI... 8

2.3 VEGETAZIONE REALE E POTENZIALE... 13

3. IL PROGETTO DELL’IMPIANTO DI DISSOCIAZIONE MOLECOLARE E RELATIVA DISCARICA... 18

3.1 IL PROGETTO DELLIMPIANTO DI DISSOCIAZIONE MOLECOLARE... 18

3.2 IL PROGETTO DI DISCARICA... 19

4. IL RECUPERO VEGETAZIONALE DEI SITI DI DISCARICA ... 21

4.1 PROBLEMATICHE GENERALI... 21

4.2 FATTORI LIMITANTI LINSEDIAMENTO E LO SVILUPPO DELLA VEGETAZIONE IN AREE DI DISCARICA.... 22

4.3 SCELTA DELLE SPECIE DA IMPIANTARE... 24

5. IL PROGETTO DI RECUPERO VEGETAZIONALE ... 26

5.1 DESCRIZIONE DELLO STATO DI PROGETTO... 28

5.2 INTERVENTI SULLE AREE DI CONFERIMENTO DEI RIFIUTI... 29

5.2.1 Preparazione del suolo ... 29

5.2.2 Impianto di irrigazione ... 32

5.2.3 Impianto delle specie vegetali ... 33

5.2.3.1 Impianto di dissociazione molecolare ... 33

5.2.3.2 Discarica... 33

5.2.3.3 Selezione del materiale vegetale ... 34

5.2.4 Moduli e settori di impianto ... 35

5.2.5 Idrosemina di specie erbacee... 38

5.3 INTERVENTI DI MANUTENZIONE ORDINARIA... 39

6. ANALISI DELLE PRINCIPALI VISUALI E RENDER GRAFICO ... 41

6.1 IL DISSOCIATORE MOLECOLARE... 41

6.2 IL RECUPERO PAESAGGISTICO DELLAMPLIAMENTO... 43

6.3 VISTERENDER ... 45

7. BIBLIOGRAFIA ... 46

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1. PREMESSA

Il presente progetto di recupero vegetazionale e paesaggistico riguarda il nuovo impianto di dissociazione molecolare e la creazione di una nuova vasca per la messa a dimora di rifiuti non pericolosi, come ampliamento della discarica già esistente (comparto ECOFOR), entrambi in adiacenza al lato sud-orientale della discarica denominata esaurita, in località Gello nel Comune di Pontedera (PI).

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2. DEFINIZIONE DELL’AMBITO TERRITORIALE INTERESSATO DAL PROGETTO

L’area interessata dal progetto è costituita da un lotto di terreno, situato ad ovest del territorio comunale di Pontedera in Località Gello - e ricompresa all’interno del comparto Ecofor s.p.a. destinato a discarica rifiuti.

Il nuovo impianto di dissociazione molecolare e la nuova discarica si svilupperanno in continuità con le discariche esistenti occupando nuovi spazi nella parte sud/est.

I due impianti sono collocati in una zona, che dal punto di vista territoriale, è tipica della pianura pisana. L’estesa pianura che si sviluppa ad Ovest – Sud/Ovest è caratterizzata da terreni di origine alluvionale e sono adibite a coltivazioni estensive.

Praticamente scomparse sono le coltivazioni promiscue e gli arborati da frutto.

A modificare ancora in modo più spinto il sistema paesaggistico/territoriale di pianura, ha contribuito una intensa urbanizzazione sia ad uso civile che produttivo, sviluppata sia nella parte nord che nella parte est rispetto agli impianti che verranno realizzati.

Attorno al comparto Ecofor Service, considerando un intorno significativo, sono presenti una serie di centri maggiori e minori fra i quali vanno ricordati:

Gello 1.4 km

Lavaiano 1.0 km Latignano 2.1 km Fornacette 3.0 km S. Lucia 2.5 km Melorie 2.4 km Cascina 3.7 km Pontedera 3.7 km Ponsacco 4.2 km

In figura 1 è evidenziata la posizione del sito di localizzazione degli impianti, e la distanza dai maggiori centri abitati.

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Il Piano Strutturale del Comune di Pontedera è stato adottato con Delibera del C.C. n.

72 del 22/06/2000 e approvato definitivamente con Delibera del C.C. n. 64 del 30/05/2001.

Il Piano Strutturale del Comune definisce, ai sensi del primo comma dell’art. 24 della L.R. 16 Gennaio 1995 n. 5, gli elementi fondamentali per il governo del territorio comunale in coerenza con le scelte di politica territoriale della Regione Toscana e della Provincia di Pisa.

In particolare, come espresso nel Documento di Conformità al Piano di Indirizzo Territoriale (ai sensi dell’Art. 1 comma 6), il contenuto del P.S. si articola per dare attuazione agli orientamenti del P.I.T Regionale e del P.T.C Provinciale.

Con riferimento ai sistemi territoriali di programma identificati dal P.I.T. Regionale, il territorio del Comune di Pontedera ricade all’interno del sistema denominato “La Toscana dell’Arno” e, all’interno di questo, nell’ambito dell’Area vasta Pisa - Livorno - Lucca e del Sistema Territoriale Locale della Valdera.

Sulla base di quanto riportato nella Relazione al Piano Strutturale comunale, le Norme d’Attuazione al P.S., nonché al P.I.T. Regionale, il territorio del Comune di Pontedera è suddiviso in sistemi territoriali, della pianura e della collina.

Vengono così definiti e individuati due principali Sistemi Territoriali suddivisi a loro volta in subsistemi, U.T.O.E. (Titolo I – Art. 8 del P.S.):

Sistema Territoriale della Pianura, suddiviso nei seguenti subsistemi - Subsistema agricolo di pianura.

- Subsistema insediativo di pianura.

- Subsistema insediativo delle aree agricole periurbane.

Sistema Territoriale della Collina, suddiviso nei seguenti subsistemi -) Subsistema agricolo della Collina.

- Subsistema insediativo della Collina.

L’area in esame ricade completamente nel Sistema Territoriale della pianura, nel subsistema insediativo di pianura.(Tavola P6 – sud del P.S.), normato dall’Art. 14 del P.S.

Il Subsistema Insediativo di Pianura è articolato in dodici UTOE, comprese le relative aree di pertinenza, di cui otto a prevalente carattere residenziale, una a prevalente carattere

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produttivo, due a prevalente carattere commerciale ed infine quella di nostro interesse a prevalente carattere ecologico.

In particolare, (CAPO I Art. 14n) “il P.S. intende dare una delimitazione a tali aree prevedendone anche un ampliamento al fine di prefigurare un Polo produttivo destinato al recupero di materiali da riciclare o solo da stoccare, normalmente dispersi nell’ambito dei territori agricoli o all’interno degli insediamenti con notevoli effetti impattanti”.

2.1 INDICAZIONE E ANALISI DEI LIVELLI DI TUTELA

Per la redazione di questo paragrafo si è fatto riferimento a tutta la normativa di tipo vincolistico vigente e la cartografia ad essa correlata. Particolare attenzione è stata attribuita ad i seguenti documenti:

- Piano territoriale di Coordinamento Provinciale - Aree protette categoria A (L.R. 52/82 - D.crt 296/88) - Aree protette categoria B, C e D (L.R. 52/82 - D.crt 296/88) - Parchi riserve e aree protette con ex L.R. 52/82 di cui alla 49/95

-Aree protette Aree soggette a vincolo archeologico, paleontologico, storico o artistico L. 1089/39

- Aree definite “invarianti strutturali” a valenza ambientale L.R 5/95 - Vincolo paesaggistico L. 1497/39 e D.L. 490/99

- Vincolo paesaggistico L. 431/85 legge Galasso - Edifici tutelati dalle L.R. 10/79 e 59/80

- Biotipi

-Piano Strutturale Comunale:

• Tavola dei Vincoli ambientali e Paesaggistici (Tavola QC6)

• Tavola delle Invarianti Strutturali (Tavola 13a e 13b)

Dall’esame del materiale consultato si evidenzia che nell’area di ampliamento degli impianti non esistono vincoli di carattere urbanistico, naturalistico architettonico o archeologico.

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L’esame delle Tav. 13a e 13b – Invarianti strutturali - posta a corredo del Piano Strutturale, evidenzia che l’area su cui si prevede di realizzare l’impianto di dissociazione molecolare e la relativa discarica è priva di qualsiasi elemento naturalistico, storico ed archeologico di pregio, fatta eccezione, come si può individuare nella Tav. 13a, per un corso d’acqua minore a sud del corpo discarica denominato “Fossa Nuova”.

Gli elementi di tipo storico ed archeologico, come si può individuare nella Tav. 13b, sono ubicati in aree poste a debita distanza dal sito. In particolare, a est dell’area, sono presenti tre edifici di rilevanza storica costituiti dalla Fattoria di Gello, chiesa di Gello e il Podere Casanova, a nord invece sono presenti siti di interesse archeologico.

Nella Tav. P-D-30-101 allegata al presente progetto è illustrato un inquadramento territoriale dove sono riportati tutti i vincoli presenti nell’intorno dell’area che ospiterà i nuovi impianti, oltre a tre panoramiche del territorio riprese dalle principali visuali circostanti il comparto Ecofor al fine di percepire i caratteri distintivi del paesaggio (Panoramica 1 – cavalcavia della S.G.C. FI-PI-LI diramazione PISA su Via Piccina;

Panoramica 2 – Strada Provinciale n°23 di Gello; Panoramica 3 - cavalcavia della S.G.C.

FI-PI-LI su Via di Lavaiano).

2.2 CENNI SUGLI ASPETTI CLIMATICI E GEOLOGICI

Per maggiori informazioni relative agli aspetti climatici e geologici si rimanda alle relazioni specialistiche relative ai progetti; qui si riportano soltanto brevi cenni utili ad un inquadramento.

Il territorio di Pontedera, per la sua posizione geografica si caratterizza per un clima di transizione tra quello mediterraneo e quello delle regioni settentrionali e si distingue dal primo soprattutto per il regime delle precipitazioni. La posizione della pianura di Pisa, affacciata sul mare e delimitata verso Nord e Sud dai rilievi collinari, condiziona il movimento delle perturbazioni provenienti dai quadranti occidentali (le più diffuse a queste latitudini) favorendone l’ingresso nella valle dell’Arno.

Il clima dell’area in cui è situata la discarica viene desunto dall’analisi de dati registrati dalla stazione di rilevamento di Pontedera, i cui dati sono pubblicati sugli Annali Idrologici e che coprono il periodo 1957 – 1987, integrati per il periodo 1988 – 1995 dai dati relativi alla stazione di S. Giovanni alla Vena.

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Dal punto di vista termico l’area è caratterizzata da una temperatura media annuale di 14,7 °C, con una escursione massima pari a 18.3 °C tra i valori di Luglio (24,4 °C) e Gennaio (6,1 °C). Per quanto riguarda gli estremi termici, la stazione di Pontedera ha registrato il valore minimo assoluto di temperatura in corrispondenza dell’anno 1985 (- 17

°C) ed il massimo estivo di 39 °C nel 1983.

Le precipitazioni (Figura 2), concentrate prevalentemente nei mesi autunnali, sono mediamente elevate con una media annuale di 963 mm.

Figura 2 – Precipitazioni medie mensili nel periodo

Il mese più piovoso è novembre con oltre 140 mm, quello più siccitoso è luglio con appena 20 mm di precipitazioni. Si noti la presenza di un secondo picco primaverile (aprile con oltre 80 mm).

Sebbene la media delle precipitazioni estive risulti superiore a quella considerata come limite al di sotto del quale l’estate è considerata siccitosa, le oscillazioni interannuali risultano piuttosto marcate come di consueto avviene in tutto il bacino del Mediterraneo.

Preme evidenziare la tendenza, almeno a livello nazionale, ad una diminuzione delle precipitazioni annuali valutabile complessivamente nell’ordine del 10% negli ultimi 70- 100 anni, a cui corrisponde una diminuzione del 30-70% della portata media dei corsi d’acqua, anche per effetto della variazione della distribuzione temporale pluviometrica che vede un aumento significativo degli eventi meteorici di breve durata e grande intensità.

La collocazione di pianura alluvionale, inoltre, comporta un certa frequenza di gelate

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La caratterizzazione anemologica del sito in esame è stata analizzata a partire dai dati registrati negli anni 2006, 2007 e 2008 presso la stazione meteorologica di Gello – Ecofor.

Le rose dei venti nel periodo analizzato risultano molto simili: infatti tutte presentano una netta prevalenza di venti provenienti da Nord Est ed Est – Nord Est. Mostrano una frequenza di accadimento significativa anche i quadranti occidentali con particolare riguardo per le direzioni Ovest e Sud – Sud Ovest.

In sintesi il clima dell'area in esame può essere considerato anche secondo alcune classificazioni: secondo Koppen siamo in presenza di un clima temperato caldo mediterraneo (almeno otto mesi con temperatura media maggiore di 10°C); secondo De Philippis l'area è interessata da un clima temperato (almeno otto mesi con temperatura media superiore ai 10°C), caratterizzato da estate calda (temperatura media del mese più caldo 23°C) e siccitosa. Da un punto di vista fitoclimatico, secondo la classificazione Pavari – De Philippis, l'area rientra nella zona fitoclimatica del Lauretum, secondo tipo, sottozona media, con temperatura media del mese più freddo superiore a 5°C (6,1°); una temperatura media annua compresa tra 14° e 18°C (14,4°), e la media delle temperature minime assolute è superiore a -7°C (-4,6°).

Per quanto riguarda gli aspetti geologici e geomorfologici viene fatto riferimento alla ricostruzione delle serie stratigrafiche nel territorio del Comune di Pontedera è stata eseguita a seguito di studi geologici, idrogeologici e morfometrici condotti su incarico dell’Amministrazione Comunale nel 2002 ed estrapolata dalla “Relazione Tecnica Illustrativa” allegata a supporto del vigente Piano Strutturale comunale. Un estratto della

“Carta Geologica e Geomorfologica” è riportata in Figura 3.

Fino al Miocene inferiore (12 milioni di anni fa) il territorio della Valdera è stato caratterizzato dalla presenza di un mare nel quale avviene la deposizione di una serie di sedimenti carbonatici di mare aperto fino ai sedimenti silicei in corrispondenza del massimo grado di approfondimento del mare, per tornare poi a sedimenti carbonatici di mare sempre più basso. Risale quindi al Miocene medio, una prima fase di compressione e conseguente corrugamento della crosta terrestre, che solleva tre dorsali: Livornesi ad Ovest, complesso di Chianti / Casciana Terme al centro, e complesso di Iano / Montaione ad Est. Nel Miocene superiore (7 milioni di anni fa), una successiva fase di distensione, e quindi di abbassamento del livello marino, dà origine a due fosse tettoniche (Era, Sterza,

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Cascina ad Ovest e Fine, Tora ad Est) nelle quali cominciano a delinearsi le strutture delle valli dei fiumi di cui sopra.

Nel Pliocene inferiore e medio si ha un innalzamento del livello del mare e conseguente allagamento delle valli; in tale fase avviene la deposizione di notevoli spessori di argille, sabbie argillose e sabbie; restano emerse soltanto le isole di Iano, Montecatini Val di Cecina, Orciatico e Rosignano. Nel Pliocene medio, una nuova fase di sollevamento determina il ritiro del mare verso Sud e verso Ovest e quindi dal fondo delle valli emergono le argille e le sabbie marine che vengono in parte sottoposte ad erosione. Nel Pleistocene inferiore una nuova fase distensiva con conseguente avanzamento marino, che per effetto del sollevamento precedente interessa un’area meno vasta rispetto a quella del Pliocene, dando origine nell’area in esame alla deposizione di sabbie argillose e sabbie.

Infine, nel Pleistocene inferiore, una fase “epirogenetica” (lento sollevamento) interessa l’intera area meridionale delle Colline Pisane determinando l’innalzamento delle formazioni plioceniche e pleistoceniche; inoltre dalla dorsale di Casciana Terme si creano due distinti sistemi idrografici, diretti uno verso Est e l’altro verso Ovest, che danno origine rispettivamente ai fiumi Era, Sterza, Cascina (ad Ovest) e Tora, Fine (ad Est). A seguito dell’evoluzione sopra descritta, nelle aree collinari poste immediatamente a Sud dell’area in oggetto si individuano sostanzialmente cinque livelli geologici la cui età aumenta procedendo da Nord verso Sud: 1) sabbie fini di deposito marino suddivise in grossi banchi intercalate da strati a granulometria più grossolana spesso cementati; 2) sabbie e argille ad Arctica; 3) conglomerati, sabbie e limi di Casa Poggio ai Lecci; 4) Sabbie e limi di Vicarello con sedimenti misti eolico – palustri di duna e di retroduna e di piana di esondazione fluviale che, per ampi tratti, affiorano lungo l’orlo meridionale della Pianura Pisana; 5) Alluvioni recenti ricchi sopratutto di limi, argille e argille limose.

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Figura 3 - Estratto della “Carta Geologica e Geomorfologia” allegata al PS del Comune di Pontedera. In rosso è riportata l’area di progetto

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2.3 VEGETAZIONE REALE E POTENZIALE

La pianura pisana, così come altre pianure alluvionali della Toscana, costituisce il luogo di raccolta e di smaltimento delle acque provenienti dalle zone collinari circostanti e del fiume Arno, acque che un tempo, per la difficoltà di deflusso, allagavano vaste aree di pianura soggette a impaludamento, creando le condizioni ecologiche per l’insediamento di un caratteristico mosaico di boschi igrofili, formazioni riparie, laghi e paludi permanenti o temporanee. Ancora oggi, nonostante il notevole condizionamento antropico, l’area è soggetta a fenomeni alluvionali, ma sono ormai quasi ovunque scomparse le caratteristiche formazioni vegetali di pianura. L’originario paesaggio vegetale è stato infatti trasformato, negli ultimi due secoli, da una intensa utilizzazione antropica iniziata con la bonifica di queste aree a fini agricoli (Pedreschi, 1951; Cori e Lombardi, 1994) e, più recentemente da una espansione dei centri abitati, delle aree industriali, delle sedi estrattive e dei sistemi viari. A tali interventi devono essere aggiunte alcune opere idrauliche (Canale Emissario del Padule di Bientina, Canale Scolmatore, ecc.) e numerosi interventi diretti sul corso del fiume Arno (rettificazioni, restringimenti dell’alveo presso i centri abitati, canalizzazioni e formazioni di tratti pensili sulla pianura circostante). Le formazioni ripariali oggi si presentano alterate sia in termini quantitativi che qualitativi con una riduzione dello spessore delle formazioni, ridotte ad una fascia di pochi metri (spesso a causa dello sviluppo delle attività agricole intensive) e con una riduzione della valenza ecologica soprattutto in considerazione della presenza di formazioni vegetali di sostituzione, costituite in parte da specie esotiche. Il paesaggio vegetale della pianura di Pontedera è quindi oggi costituito da una matrice di aree agricole, ove sono ancora evidenti i “segni” di un reticolo agricolo e idraulico derivante dalla centuriazione romana (Carratori et al., 1991). Un reticolo peraltro ridotto, rispetto al passato, per la diffusione della meccanizzazione agricola e per la realizzazione di un’agricoltura intensiva che ha causato anche la riduzione o la scomparsa dei caratteristici elementi del paesaggio agrario toscano, quali siepi alberate, filari di acero campestre o di olmo campestre, ecc. (cfr. Rossi et al., 1994). All’utilizzo agricolo si è quindi sovrapposto un intenso sviluppo urbanistico, con edificato civile e industriale, sviluppatosi soprattutto lungo l’asse Pontedera - Cascina - Pisa, ma che ha interessato anche ampie zone della pianura precedentemente interessate da attività agricole.

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Di seguito vengono descritte le diverse unità di vegetazione raggruppate per tipologie fisionomiche.

Vegetazione elofitica palustre d’acqua dolce

Si tratta di “canneti”, intesi nel senso estensivo del termine, costituiti da Graminacee, Tifacee e Ciperacee a formare praterie di monocotiledoni di elevata statura, spesso caratterizzati dall’assoluta dominanza fisionomica di una sola specie.

Questa tipologia risulta assai localizzata e di limitata estensione, presente in modo continuo, seppur con una formazione quasi lineare, solo lungo gli argini interni del canale Scolmatore. Nell’ambito della fascia di canneto non di rado si localizzano esemplari isolati o piccoli nuclei di specie igrofile arboree o alto arbustive, con Salix alba e Salix purpurea.

Tali presenze non costituiscono comunque unità cartografabili.

Vegetazione igrofila di acque correnti e delle sponde fangose

Nei canali di bonifica la vegetazione è localmente rappresentata da ridotte formazioni di Phragmites australis e Typha latifolia o è assente (Fosso Rotina). In alcuni fossi delle rete idrica minore la vegetazione è meglio strutturata e rappresentati da specie igrofile quali Nasturtium officinale, Veronica anagallis-aquatica, Lythrum salicaria, Alisma plantago- aquatica, Rumex conglomeratus, Poa trivialis.

Alcuni tratti sono interessati dalla graminacea Paspalum paspaloides; questo aspetto della vegetazione di greto, localizzato dove la corrente è più lenta, sembra indicare la presenza di substrati ricchi in sostanze azotate. In questi ambienti si verifica una netta dominanza delle specie igrofile e nitrofile, con una minore presenza di specie ruderali. Tra le specie più comuni troviamo Bidens tripartita, Amaranthus retroflexus, Echinocloa crus- galli e numerose specie del genere Polygonum.

Corsi d’acqua naturali o artificiali

Tale unità comprende il Canale Scolmatore ed i numerosi fossi e canali agricoli presenti nell’area di studio. L’unità in oggetto si riferisce al solo corso d’acqua privo di vegetazione igrofila, ed include anche una piccola depressione, occupata da acqua e, in gran parte, da cannuccia di palude (Phragmites australis).

Formazioni erbacee antropofile

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Le sponde del Canale Scolmatore sono interessate dalla presenza di una fascia di vegetazione erbacea infestante e ruderale, situata parallelamente al canneto a dominanza di cannuccia di palude. Queste aree, assieme agli incolti e alle zone più degradate, rappresentano ambienti antropogeni, cioè “generati dall’uomo”.

In queste aree si localizza una flora infestante, costituita per lo più da specie cosmopolite, che ben si adatta alla successione degli interventi agronomici, alle particolari condizioni edafiche e, in parte, anche ai trattamenti diserbanti.

Tali formazioni si rinvengono anche in zone incolte o marginali, ad esempio lungo le strade e il deposito di terra presso il Pod. del Bientinese, e quale elemento infestante tipico delle aree coltivate (in particolare Secalinetea).

Formazioni lineari di alberi

Filari arborei sono presenti per brevi tratti lungo alcune strade campestri e negli immediati dintorni di alcune case coloniche. Si tratta per lo più di individui arborei di Populus nigra, cui si possono associare esemplari di Populus alba, Salix alba, Ulmus minor, Sambucus nigra; nelle localizzazioni più tradizionalmente rurali sono presenti esemplari di Morus alba. Tali elementi lineari, sempre meno comuni nella pianura pisana, costituiscono importanti strutture nella matrice agricola tradizionale.

Coltivazioni erbacee

Per esigenze di rappresentazione cartografica sono state raggruppate in un’unica unità i seminativi a cereali, rappresentati in gran parte da grano tenero, cui si accompagnano piccole estensioni a mais, avena e orzo, i seminativi a girasole, molto diffusi e i prati di leguminose da sfalcio. Tale unità racchiude ovviamente anche le formazioni vegetali infestanti dei coltivi per la cui descrizione rimandiamo all’unità “ Formazioni erbacee antropofile”.

Coltivazioni arboree (vigneti)

Filari di viti sono presenti in quasi tutti gli orti famigliari. Gli unici vigneti propriamente detti, di limitatissima dimensione, sono presenti al limite meridionale dell’area di studio, presso Case Palmerino. Un unico limitato appezzamento a frutteto è presente in prossimità del Podere del Bientinese.

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In tale unità sono compresi gli orti famigliari, cioè piccoli appezzamenti coltivati a carattere famigliare, caratterizzati dalla disomogeneità delle colture presenti. A queste colture si possono affiancare filari di viti, seminativi (mais, avena, girasole), prati falciati (medicai, prati polifiti). La loro diffusione pare in leggera diminuzione.

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3. IL PROGETTO DELL’IMPIANTO DI DISSOCIAZIONE MOLECOLARE E RELATIVA DISCARICA

In questo capitolo vengono riassunti in estrema sintesi i principali elementi progettuali relativi all’impianto di dissociazione molecolare e la relativa discarica.

3.1 IL PROGETTO DELL’IMPIANTO DI DISSOCIAZIONE MOLECOLARE

L’impianto prevede il trattamento termico dei rifiuti industriali e il conseguente recupero energetico, basato sulla tecnologia della dissociazione molecolare.

Dal punto di vista dello sviluppo temporale, il progetto prevede tre distinte fasi di realizzazione costituite rispettivamente da una linea di trattamento di 4 celle, con capacità di trattamento rifiuti di 30.000 t/anno, una ulteriore linea da 4 celle, con capacità di trattamento di ulteriori 30.000 t/anno, ed infine 2 linee di trattamento di ulteriori 8 celle, con capacità di trattamento di 60.000 t/anno, per un totale complessivo di 16 celle ed una capacità di 120.000 t/anno.

Le opere architettoniche e gli spazi chiusi che ospiteranno l’impianto nelle sue varie componenti verranno costruiti nella prima fase tenendo conto di una capacità di trattamento dell’impianto di 60.000 t/a (prima e seconda fase).

Il passaggio dalla seconda alla terza fase di progetto comporterà quindi la realizzazione di un secondo edificio di processo e l’adeguamento dell’edificio energia e della zona di stoccaggio delle scorie di combustione.

La richiesta di autorizzazione è stata presentata sulla base di una capacità di smaltimento di 60.000 t/a.

Il processo d’impianto prevede che rifiuti solidi siano conferiti mediante portoni di scarico alla zona di deposito che si trova in un padiglione interamente chiuso e mantenuto in depressione per evitare la propagazione di esalazioni maleodoranti nell’ambiente esterno.

L’impianto tecnologico principale è inserito in un unico edificio attiguo alla zona di deposito rifiuti e ospita la totalità delle componenti di processo. Queste ultime assicurano lo smaltimento termico dei rifiuti conferiti all’impianto e il trattamento dei fumi prodotti dalla combustione che vengono quindi rilasciati in atmosfera attraverso il camino.

Completano il progetto l’edificio che ospita la sezione energia e la zona di scarico dei rifiuti ospedalieri.

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La configurazione del trattamento fumi assicura un alto grado di abbattimento degli agenti inquinanti e conseguentemente dei valori di emissione dal camino nel pieno rispetto dei limiti di legge.

L’energia liberata dalla combustione del gas di sintesi prodotto nelle celle di gassificazione è valorizzata grazie a una caldaia a recupero con la produzione di vapore surriscaldato che, tramite un ciclo termico classico acqua-vapore, la trasforma in energia elettrica. Il fabbisogno interno di energia elettrica è totalmente coperto; mentre l’eccesso è ceduto alla rete di distribuzione esterna.

I diagrammi, i piani e le mappe descrittive del progetto sono riportati in dettaglio nel

“Progetto Definitivo dell’impianto di dissociazione molecolare e relativa discarica – Impianto di dissociazione molecolare” – redatto da TBF + Partner AG Ingegneri Consulenti.

3.2 IL PROGETTO DI DISCARICA

Il progetto della discarica si sviluppa all’interno del comparto ECOFOR Service in Loc.

Gello di Pontedera e prevede la realizzazione di una nuova vasca destinata ad accogliere rifiuti non pericolosi oltre alle ceneri provenienti dall’impianto di dissociazione molecolare.

La linea progettuale è stata sviluppata a partire dalle superfici disponibili di proprietà ECOFOR Service, localizzate nella porzione sud-est del comparto, e ripartendo tali superfici secondo le necessità dei due diversi impianti in progetto.

Il nuovo lotto di discarica si sviluppa per un tratto di circa 200 m in addosso al versante est del corpo di discarica denominata esaurita, configurandosi come espansione laterale di quest’ultima, mentre la nuova vasca procede verso sud-est su terreni non ancora interessati da alcuna attività.

La nuova vasca ha una forma rettangolare regolare con dimensioni del lato maggiore pari a circa 300 m e lato minore di circa 210 m, per una superficie complessiva di circa 63.000 m2 tutti compresi all’interno del comparto di smaltimento rifiuti. La quota minima di fondo vasca è posta a 2.6 m slm in corrispondenza dei punti di estrazione del percolato,

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La volumetria lorda dell’ampliamento è di circa 1.550.000 m3 mentre la volumetria netta per i rifiuti speciali non pericolosi è di circa 1.400.000 m3.

L’intero progetto è suddiviso in 14 diversi moduli gestionali in modo da poter organizzare le fasi di costruzione, e quindi l’impegno di nuove superfici, in funzione delle effettive esigenze di smaltimento.

Gli scavi di sbancamento per la realizzazione dell’area di deposito dei rifiuti ammonteranno a circa 365.000 m3.

Il nuovo lotto di discarica è stato dotato di un sistema barriera di fondo e dei lati atto ad isolare i rifiuti speciali non pericolosi da quelli già smaltiti e di un sistema autonomo di drenaggio e raccolta del percolato.

Le scelte progettuali inoltre sono state indirizzate verso tecniche che permettano di minimizzare i livelli emissivi e di limitare i rischi di accumulo di liquido nella discarica attraverso la parzializzazione dei flussi di percolato e biogas: la colmata è stata suddivisa in due livelli principali, attraverso l’inserimento di una barriera intermedia a bassa conducibilità idraulica.

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4. IL RECUPERO VEGETAZIONALE DEI SITI DI DISCARICA

4.1 PROBLEMATICHE GENERALI

L'obiettivo primario del progetto di recupero di una discarica è quello di migliorare le condizioni ecologiche del sito allo scopo di poter realizzare il suo inserimento nel contesto paesaggistico di riferimento (LA MARCA & AL, 1996).

Da ricerche condotte in Germania (SUKOPP, 1990) risulta che, a 20 anni dall'intervento di recupero ambientale, la vegetazione delle discariche non sia identica a quella di aree adiacenti, ma risenta di effetti microambientali specifici e che l'avvicinamento alle situazioni limitrofe sia un processo alquanto lento. D'altronde, l’instabilità di una discarica è ancora evidente per un periodo molto lungo, necessario per la completa stabilizzazione chimico-fisica dei rifiuti. Tale instabilità è dovuta alla presenza di abbondanti quantità di biomasse in fase di digestione anaerobica.

D'altro canto, non si può ignorare che ricerche effettuate su analoghi siti degradati evidenziano che l'abbandono della superficie nuda all'evoluzione naturale, non solo determina problemi di tipo idrogeologico, ma non porta nemmeno a vantaggi qualitativi nella vegetazione (LA MARCA & AL., 1998).

Appare, dunque, utile un tipo d'intervento che possa ovviare a tali fenomeni. Le piante poste a dimora al di sopra di una discarica dismessa svolgono, infatti, molteplici funzioni:

1. limitano l’erosione del suolo;

2. consolidano lo spessore di terreno esplorato dalle radici;

3. aumentano l’evapotraspirazione (riducendo il rischio che l'acqua meteorica possa raggiungere i rifiuti);

4. svolgono funzione di bioindicazione verso difetti di funzionamento degli impianti tecnologici come, ad esempio, le fuoriuscite di biogas (LASSINI P., BALLARDINI P., 1990);

5. contribuiscono alla riqualificazione ecologica e paesaggistica del territorio.

Le modalità d’intervento per ottenere una copertura vegetale in discariche dismesse sono da ricondurre a tre tipologie essenziali:

a) abbandono delle aree: in questo caso, come già detto, si ritiene che la vegetazione che

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per un lungo periodo di tempo, quelle funzioni indicate in precedenza in quanto è composta essenzialmente di specie ruderali annue o bienni, con scarse capacità di miglioramento delle condizioni stazionali;

b) impianti realizzati con tecniche intensive del verde ornamentale (piante di grosse dimensioni a pronto effetto, miglioramento del terreno di coltura; cure colturali intensive);

c) impianti estensivi effettuati con criteri naturalistici e forestali: l'obiettivo è quello di ottenere popolamenti stabili ed a ridotta manutenzione nel breve periodo.

Nel nostro caso, si ritiene utile un recupero vegetazionale estensivo e progressivo, che tenga conto della vegetazione potenziale locale e che preveda l’utilizzo di stadi seriali pionieri conformi alle caratteristiche ecologiche in cui è posto il sito di discarica. A conferma della validità di tale scelta, LA MARCA & AL., (1996) affermano che, nella consapevolezza che il sito di discarica rimane, per un periodo sufficientemente lungo, un ambiente fragile da recuperare mediante interventi progressivi, occorre adottare tecniche e soluzioni da valutare caso per caso, con l'obbiettivo di tendere ad un assetto il più stabile possibile. LASSINI & SALA (1996) sostengono, inoltre, che l'evoluzione dell'ecosistema sull'area della discarica è inversamente proporzionale alla presenza nel tempo di percolato e biogas e direttamente proporzionale alla disponibilità di un substrato vegetativo idoneo.

4.2 FATTORI LIMITANTI L’INSEDIAMENTO E LO SVILUPPO DELLA VEGETAZIONE IN AREE DI DISCARICA

Il postime impiantato è soggetto ad una serie di problemi causati dalle avversità ambientali tipiche di tali siti degradati, di cui si dovrà tener di conto:

1. assestamenti della massa di rifiuti: la riduzione di volume (fino al 20%

dell’altezza iniziale) del deposito causa la deformazione della superficie modellata, che può a sua volta indurre fenomeni d'instabilità e di anomalia di sviluppo negli individui arborei in misura proporzionale alle loro dimensioni. E' per questo motivo che, secondo LASSINI & SALA (1996), nei primi tre anni almeno dalla chiusura della discarica non deve essere effettuato l'impianto definitivo con specie arboree, ma un rinverdimento con specie erbacee o arbustive.

2. emissione di biogas: l'elevata presenza di CH4 e CO2 e la conseguente bassa concentrazione di O2 nel terreno può causare fenomeni di asfissia radicale (LASSINI & BALLARDINI , 1990);

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3. temperatura del suolo: la fermentazione della biomassa provoca emissione di calore, determinando un aumento della temperatura del suolo al livello degli apparati radicali; aumenta anche l’evapotraspirazione, che può causare stress idrici alle piante;

4. caratteristiche chimico-fisiche del terreno di coltura: lo strato superiore di copertura dei rifiuti solitamente non ha caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche soddisfacenti; nel caso in cui, esso derivi dagli scavi in situ, di solito non risulta trattato razionalmente, poichè la porzione attiva superficiale non viene previamente separata. Anche l'utilizzo di terreno di coltivo di provenienza esterna (che solitamente non supera i 30 cm di spessore per motivi economici) può, infatti, causare il cosiddetto “effetto vaso” per gli apparati radicali; in questo caso, le radici non riescono a svilupparsi nel terreno sottostante di scarsa qualità. Infine, l'utilizzo di ammendante costituito da materiali scadenti, quali compost da RSU oppure fanghi da depurazione di reflui può causare danni alle piante, che non tollerano alte concentrazioni di metalli pesanti come, ad esempio, lo zinco.

5. caratteristiche morfologiche delle specie legnose: nei primi anni dalla messa a dimora del postime, sono state osservate anomalie di forma e di crescita rispetto a soggetti testimone; gli apparati radicali risultano superficiali e sviluppati in senso plagiotropo (LA MARCA &AL., 1995; SELLERI, 1996) ed è stata, inoltre, notata la presenza di radici profonde e necrotizzate (SELLERI, 1996): entrambi questi fenomeni sono da porre in relazione all'elevato contenuto di biogas presente nel terreno, che risulta essere fitotossico (HOPKINS & PATRICK, 1969;

ARTHUR, LEONE, FLOWER, 1981). In letteratura, sono anche riportati casi d'individui arborei (Acer pseudoplatanus), in cui si è verificata l'emissione di radici avventizie a livello del colletto (SELLERI, 1996). L'apparato epigeo mostra un minor sviluppo in altezza e diametro con minore copertura della chioma e peggiore stato vegetativo. L'alto rapporto fra biomassa epigea ed ipogea facilita, inoltre, lo stress idrico e l'instabilità meccanica. LASSINI & SALA (1996) sostengono che la parte ipogea e quella epigea si sviluppano parallelamente all'assestamento dei rifiuti, alla riattivazione del substrato ed alla diminuzione delle emissioni.

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proposito, in un impianto arboreo su discarica sono state osservate diverse piante, che nel periodo invernale tenevano gran parte delle foglie (SELLERI, 1996).

L'impianto dovrà, dunque, tenere conto di queste problematiche per l'utilizzo delle forme di crescita, delle specie e del materiale di propagazione più adatti alla riuscita dello stesso; al contempo, si dovrà porre attenzione al miglioramento del suolo, alla tecnica di piantumazione ed alle cure colturali successive, specialmente nel breve periodo (5 anni dall’impianto).

4.3 SCELTA DELLE SPECIE DA IMPIANTARE

Come evidenziato da LA MARCA & AL. (1996), l’intervento di recupero naturalistico del sito di discarica deve tenere conto dell'inquadramento vegetazionale, dell'ambiente fisico (geomorfologia, pedologia e clima) circostante e delle attività antropiche. Nel nostro caso, le specie caratteristiche dei diversi syntaxa fitosociologici individuati costituiranno una lista floristica da cui attingere per la scelta delle specie, valutandone opportunamente le relative caratteristiche biotecniche, di temperamento, paesaggistiche e di reperibilità sul mercato.

Occorre anche evidenziare che nella scelta delle specie adatte all'impianto si opta per quelle, che hanno caratteristiche autoecologiche spiccatamente pioniere e colonizzatrici. Si deve, cioè, assimilare il recupero vegetazionale di una discarica dismessa ad una sorta di ricolonizzazione da parte di arbusti pionieri tipica delle successioni secondarie su ex coltivi o ex prati-pascoli. Questi fenomeni relativi alla dinamica vegetazionale sono studiati da tempi relativamente recenti, ma sufficientemente conosciuti nelle linee generali di tendenza evolutiva: in sintesi, si assiste ad una prima fase di ricolonizzazione arbustiva pioniera che può durare alcuni decenni; in seguito all'evoluzione pedologica e floristica causata dall'avvento di questo tipo di vegetazione, s'instaura col tempo un soprassuolo più maturo ed evoluto costituito da specie arboree più esigenti dal punto di vista ecologico. Il processo continua, poi, fino ad arrivare ad una vegetazione "climax" in equilibrio con i fattori ecologici esistenti. Come già espresso, i tempi necessari per la realizzazione di questi processi dinamici in natura sono di medio-lungo periodo, se raffrontati con la vita media umana: a maggior ragione, dobbiamo aspettarci che in siti degradati, quali le discariche dismesse, tali tempi siano dello stesso ordine, se non superiori (cfr. SUKOPP, op.

cit.). E' per questo motivo che al momento della scelta del tipo di postime da utilizzare per

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la realizzazione dell'impianto, si ritiene opportuno orientarsi su specie arbustive ed arboree colonizzatrici presenti anche nell'ambiente circostante la discarica, piuttosto che su specie arboree mesofile o esigenti, la cui scelta in un primo momento potrebbe rivelarsi inutile.

Probabilmente, l'evoluzione della vegetazione impiantata non sarà immediata, nè sembra opportuno forzare i tempi, considerate le problematiche espresse in precedenza sui siti di discarica. A tal proposito, occorre notare che le percentuali di attecchimento e sopravvivenza delle specie impiantate non sono, solitamente, molto alte; anche se i dati in letteratura sono assai scarsi, alcuni lavori specifici forniscono indicazioni in merito: LA

MARCA & AL.(1998),nel caso di una discarica posta nel Comune di Certaldo, riportano percentuali di mortalità per Crataegus monogyna e Spartium junceum, dopo quattro anni dall'impianto, pari rispettivamente a 59.26% e 92.59%; fra le specie arboree, le uniche che mostrano un alto tasso di sopravvivenza sono Fraxinus ornus e Quercus pubescens (mortalità dopo quattro anni pari a 2.22% e 25.41%), mentre Acer campestre e Robinia pseudacacia presentano mortalità del 82.22% e 83.95%. AIRI &GIUNTI (2003), proprio per uno dei lotti adiacenti alla discarica oggetto di questo progetto, già in fase di recupero a partire dal 2000, riportano percentuali di sopravvivenza a tre anni dall'impianto pari a 11%

per Crataegus monogyna e Spartium junceum, 7% per Prunus spinosa, 19% per Rosa canina, 29% per Acer campestre, 53% per Fraxinus ornus e 9% per Sorbus domestica: gli autori affermano che l'alta percentuale di mortalità è da attribuirsi principalmente ai danni apportati alle piante durante le operazioni di sfalcio e al movimento dei mezzi meccanici nel sito d'impianto.

Oltre a queste informazioni, vengono valutate attentamente le caratteristiche pedologiche del sito di discarica, soprattutto in relazione ai processi di fermentazione anaerobica dei rifiuti e alla potenziale diffusione di gas fitotossici. In tale contesto, viene attentamente esaminata la bibliografia riferita ad esperienze di recuperi di siti di discarica di RSU al fine di scegliere nella lista di attenzione quelle specie che hanno fornito i migliori risultati negli interventi di recupero delle discariche. Altri elementi condizionanti la scelta delle specie sono costituiti dall’attuale quadro vegetazionale circostante il sito di discarica.

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5. IL PROGETTO DI RECUPERO VEGETAZIONALE

Allo stato attuale (gennaio 2010), l’area adiacente la discarica di Gello risulta un terreno ex agricolo con presenza di vegetazione ruderale e sinantropica. Il settore di discarica esaurita posta a nord ovest presenta settori in cui sono già stati avviati interventi di ripristino vegetazionale, con presenza di aree di piantumazione arborea/arbustiva (settore più occidentale) e aree in cui è oggi presente vegetazione erbacea per effetto di colonizzazione spontanea e secondariamente idrosemina.

Le specie attualmente erbacee presenti sui terreni consolidati al margine della discarica appartengono alle specie più comuni: Agropyron repens, Echinochloa crus-galli, Digitaria sanguinalis, Chenopodium album, Amaranthus retroflexus, Sinapis arvensis, Rapistrum rugosum, Calystegia sepium, Erigeron canadensis, Aster tripolium, Soncus asper, Picris echioides, Plantago lanceolata, Portulaca oleracea, Rumex sanguineus, Atriplex patula, Inula viscosa, Trifolium repens, Lolium perenne, Soncus arvensis, Geranium molle,

Le specie più diffuse riscontrate nel campionamento sono:

Agropyron repens Rumex sanguineus Portulaca oleracea Plantago lanceolata

Queste 19 specie sono molto comuni in tutta Europa, sono specie pioniere che abbondano in luoghi aperti come cigli delle strade, radure, campi coltivati, ma molte di queste sono tipiche colonizzatrici di aree antropizzate e ruderali. Alcune di queste specie, come il Rumex sanguineus, Calystegia sepium e la Plantago lanceolata vegetano in luoghi caratterizzati da suoli umidi, quindi si può ipotizzare che la loro permanenza sia dovuta all’irrigazione. Un’altra specie che vegeta nei luoghi umidi è la Aster tripolium ma la sua presenza nel sito di discarica desta curiosità, in quanto questa specie predilige su suoli ad elevata concentrazione salina, come in natura si ritrovano in stagni salmastri, scogliere marine, e rocce; è diffusa su tutte le coste Europee ma è chiaramente rara nell’interno.

Anche la Atriplex patula è una specie alofila, ovvero caratterizzata da forte adattabilità ai suoli salati e quindi molto aridi. L’arrivo di queste 2 specie alofile è probabilmente dovuto all’apporto di terreno e/fanghi proveniente da zone costiere, in cui erano presenti anche semi di alcune delle suddette specie.

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Le uniche specie ancora presenti di quelle seminate al momento dell’idrosemina al momento dell’impianto sono l’Agropyron repens e il Lolium perenne, graminacee molto resistenti alla concorrenza delle altre specie pioniere diffusesi spontaneamente.

Lo strato erbaceo si presenta ormai compatto e ben consolidato grazie all’apporto irriguo costante durante i mesi estivi. Appare inoltre molto confortante l’apporto di specie erbacee spontanee che hanno rapidamente colonizzato i versanti. Inoltre, alcune specie pioniere consentono una buona stabilità del versante, come ad esempio l’Inula viscosa che forma cuscinetti fitti e resistenti. La Plantago lanceolata emette la maggior parte dei suoi nuovi germogli dalla base della pianta, questa caratteristica la rende capace di sopravvivenza allo sfalcio dei prati e così garantisce la copertura anche dopo gli interventi di decespugliamento.

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5.1 DESCRIZIONE DELLO STATO DI PROGETTO

I criteri operativi adottati per l’inserimento di una copertura vegetale efficiente nell’area di discarica tengono conto sia delle condizioni ecologiche del sito “discarica” e dell’area vasta relativa alla Piana pisana, sia delle esperienze di intervento su discariche riportate in letteratura e in particolare di quella adiacente. Principalmente tali criteri si riconducono a:

1. progressività degli interventi nel tempo, con l’inserimento di cenosi via via più complesse in funzione del livello di stabilizzazione dei rifiuti;

2. uso di specie arboree pioniere almeno nei primi anni di post-gestione;

3. utilizzo prevalente di postime forestale e in particolare piantine di piccole dimensioni allevate in contenitore;

4. scelta prevalente di sesti di impianto piuttosto ridotti;

5. diversificazione nello spazio delle specie e delle tipologie d’impianto;

6. utilizzo di specie con le seguenti caratteristiche:

• alta percentuale di attecchimento o di germinazione;

• rapporto biomassa epigea/ipogea ridotto;

• rapidità di accrescimento iniziale e di copertura del suolo;

• capacità di miglioramento del suolo;

• apparato radicale profondo o fittamente fascicolato;

• presenza di stoloni o rizomi; portamento prostrato o cespitoso;

• capacità di propagazione vegetativa;

• resistenza del fusto e delle radici alle sollecitazioni meccaniche;

• resistenza allo scalzamento e all’interramento;

• capacità di consolidamento del terreno;

• reperibilità sul mercato o facilità di approvvigionamento in loco;

• provenienza del materiale di propagazione se acquisito sul mercato;

7. regolare esecuzione delle cure colturali, almeno nei 5 anni successivi all’impianto.

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5.2 INTERVENTI SULLE AREE DI CONFERIMENTO DEI RIFIUTI

5.2.1 Preparazione del suolo

La copertura superficiale finale delle discariche deve rispondere ai seguenti criteri dettati dal D.lgs 36/2003:

• Isolamento dall’ambiente esterno;

• Minimizzazione delle infiltrazioni d’acqua;

• Riduzione al minimo della necessità di manutenzione;

• Minimizzazione dei fenomeni di erosione;

• Resistenza agli assestamenti ed ai fenomeni di subsidenza localizzata.

Al termine della gestione dei singoli lotti è prevista la realizzazione di un sistema di incapsulamento dei rifiuti mediante applicazione di una geomembrana leggera sia sulle scarpate che sulla porzione sommitale del lotto con riporto di un ulteriore strato di argilla dello spessore di 50 cm in sommità. Tale tecnica gestionale, finalizzate a determinare la limitazione della produzione del percolato ed una più efficacie captazione del biogas, permetterà di attendere la prima stabilizzazione dei rifiuti in tutta sicurezza prima di procedere alla copertura finale della discarica.

Così operando si conseguono indubbi vantaggi nei lavori di copertura finale garantendo una migliore stabilità delle forme e quindi una maggiore efficienza della copertura stessa.

La copertura finale verrà realizzata in due fasi distinte.

In una prima fase, terminato il primo assestamento dei rifiuti, si provvederà alla realizzazione di una copertura multistrato atta ad isolare definitivamente i rifiuti dall’ambiente esterno.

Successivamente, verificata l’ulteriore stabilizzazione delle forme, si passerà a completare la copertura con l’avvio delle opere di rinaturalizzazione.

La scelta dei tempi di intervento potrà essere eseguita sulla scorta dei risultati del monitoraggio topografico dei cedimenti della colmata.

Prima fase di copertura

Per assolvere ai criteri precedentemente menzionati, la copertura di progetto sarà realizzata da una successione di strati costituiti sia da materiali geosintetici che da materiali naturali. Di seguito viene presentata la successione di tali strati dal basso verso

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- Strato di regolarizzazione con funzione di permettere la corretta messa in opera degli strati sovrastanti;

- Strato di drenaggio del gas e di rottura capillare;

- Barriera a bassa conducibilità idraulica;

- Elemento di rinforzo;

- Terreno vegetale;

Il terreno vegetale verrà collocato sopra la serie di geosintetici e svolge la funzione di protezione dei sintetici stessi; costituisce inoltre lo strato di supporto per l’inerbimento da eseguire sulla scarpata. Qualora necessario, lo strato potrà venire ammendato con compost verde. Lo strato di terreno vegetale presenta spessore uniforme di 30 cm sulle scarpate; lo spessore viene portato invece a 50 cm sui gradoni e le parti in piano. Sui gradoni intermedi localmente è disposto con spessori leggermente diversi in modo da modellare la superficie con pendenze idonee a favorire lo smaltimento delle acque meteoriche verso le apposite canalette di scolo.

Terminata la messa in opera dello strato vegetale si procederà alla semina. La semina sarà del tipo idrosemina classica o con matrice di fibre legate.

Seconda fase di copertura

Nella prima fase di copertura è previsto di collocare uno strato di terreno dello spessore di soli 30 cm che svolge il ruolo di protezione degli elementi strutturali sottostanti e di substrato per l’impianto di una copertura a prato migliorando i termini del bilancio idrologico della copertura stessa.

Gli spessori modesti di suolo riportati nella prima fase di copertura non garantiscono la costituzione di una adeguata riserva idrica per permettere il sostentamento della vita vegetale senza l’esecuzione di continue irrigazioni, in particolare nel periodo estivo.

Superata quindi la fase di maggiore deformazione della colmata, quando le pendenze delle scarpate si saranno ridotte a valori non superiori a 25° risulterà necessario modificare la struttura della copertura con il potenziamento dello strato di terreno.

Tale intervento costituisce l’elemento di avvio per la realizzazione della fase di recupero paesaggistico.

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In buona sostanza è previsto di portare lo spessore del terreno di modellamento a valori di circa 2 m sulle superfici meno inclinate, ad un valore minimo di 1 m sulle superfici più ripide ricreando così un effettivo substrato per la vita vegetale che possa svilupparsi senza una particolare assistenza dell’uomo.

Sulle scarpate, ai fini di garantire la stabilità del terreno di copertura, risulterà necessario controllare le pressioni interstiziali delle acque di infiltrazione. Tale accorgimento sarà ottenuto disponendo immediatamente sotto lo strato di rinaturalizzazione, uno strato drenante costituito un geocomposito drenante composto da un nucleo costituito da una struttura tridimensionale formata da un filamento aggrovigliato di PEAD e protetto ai lati da due geosintetici filtranti termosaldati in poliestere- poliammide.

Sulla sommità del corpo discarica non è stata prevista la localizzazione dello strato drenante in quanto si ritiene che tale accorgimento possa determinare un eccessivo impoverimento dell’umidità del suolo con conseguente stress per la vegetazione impiantata.

Il terreno ottenuto dalle operazioni di scavo, tenuto conto che non sarà possibile tenere separata la parte superficiale fertile da quella sottostante a scarso contenuto organico, avrà granulometria prevalentemente argillosa e limoso-argillosa, limitata struttura e scarso tenore in sostanza organica. Risulta, pertanto, un substrato non ottimale alla crescita delle piante. D’altronde, come già sottolineato, non è consigliabile riportare semplicemente uno strato di terreno di coltura al di sopra di un substrato semi-sterile a causa dell'effetto “vaso”

che subirebbe l’apparato radicale delle piante messe a dimora.

Sarebbe auspicabile, quindi, effettuare l’ammendamento del terreno di sito mediante miscelazione fine con prodotti a base di sostanza organica. Per determinare con precisione le caratteristiche quali-quantitative dell’ammendante, è necessario tenere conto delle analisi chimico-fisiche del terreno di sito: indicativamente, si consiglia un rapporto di 150 kg di ammendante per m3 di terreno. Tenuto conto degli alti costi di tale operazione, si può procedere in alternativa alla distribuzione di ammendante al momento della lavorazione a buche per la messa a dimora delle piante (circa 10 l di ammendante per buca). Nel nostro caso, ci limitiamo ad indicare nel rispetto di quanto disposto dal D.Lgs 13 gennaio 2003 n.

36, che un materiale molto indicato sarebbe il compost di qualità con le caratteristiche di

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In sede di progettazione esecutiva, sarà indicata con precisione la concimazione di fondo da effettuare, sempre sulla base delle analisi chimico-fisiche del substrato. Per quanto ci riguarda, si ritiene utile la concimazione minerale sull'area interessata dall'impianto di arbusti e alberi, viste le elevate quantità e gli elevati costi di quella organica. La scelta dovrà cadere su un concime minerale complesso N-P- K+Mg+microelementi, contenente almeno il 70% di azoto del tipo a cessione ritardata.

Le caratteristiche a cui dovrebbe rispondere il substrato adatto all'impianto sono le seguenti:

Parametro Un. mis. Valori

Densità kg/m3 1,0-1,7 x 103

Porosità m3/m3 ≈0,5

V macropori/V micropori m3/m3 ≈1

Permeabilità mm/h >4

Acqua utile mm/cm >1

CSC meq/100g >13

PSB % >40

PH 6-8

Sostanza organica % >2

Azoto totale (N) % >0,1

Fosforo assimilabile (P2O5) ppm >20 Potassio scambiabile (K2O) ppm >100

Zolfo totale (S) ppm >100

Magnesio scambiabile ppm >50

Ferro assimilabile ppm ≈2,5

Manganese assimilabile ppm ≈1

Zinco assimilabile ppm ≈0,5

Rame assimilabile ppm ≈0,2

5.2.2 Impianto di irrigazione

La realizzazione di un impianto di irrigazione risulta fondamentale per la riuscita dell'intervento di piantumazione. Considerate le precarie condizioni pedologiche del terreno in cui verranno poste a dimora le piante, si ritiene necessario che nel periodo immediatamente successivo all'impianto si proceda ad un'abbondante irrigazione, che consenta di mantenere umide le radici. Successivamente, sarà sufficiente provvedere alla funzione di soccorso nel periodo più critico (giugno-settembre) per lo sviluppo delle piante. L'impianto di irrigazione non dovrà rimanere in funzione permanentemente, ma soltanto nell’ambito delle cure colturali di breve periodo e cioè entro 5 anni dall’impianto.

E’ preferibile irrigare quantità modeste ma con elevata frequenza, soprattutto in terreni a

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struttura argillosa. Per quanto detto, appare conveniente la scelta di un impianto a pioggia ad azionamento manuale, con tubi in polietilene ad alta densità (PEAD) posti attorno alla colmata e irrigatori dinamici a media e lunga gittata.

5.2.3 Impianto delle specie vegetali

5.2.3.1 Impianto di dissociazione molecolare

Nell’impianto di dissociazione molecolare il recupero vegetazionale proposto si inquadra più come un progetto di mitigazione paesaggistica delle opere industriali in progetto piuttosto che di un intervento di riqualificazione vero e proprio.

All’interno dei due spazi verdi previsti, infatti, sarà realizzata una piantumazione di specie arboree e arbustive che oltre creare un vasto spazio alberato utile anche come futura fonte di disseminazione e colonizzazione spontanea per le adiacenti aree della colmata, assolverà la funzione di schermatura sia dell’impianto che del settore sud occidentale della discarica stessa.

5.2.3.2 Discarica

L’obiettivo che questo progetto di naturalizzazione si propone è quello di creare nel breve e medio termine un mosaico di vegetazione dai contorni meno regolari possibile, che alterni aree inerbite ad aree caratterizzate dalla presenza di specie arbustive. Completa il recupero vegetazionale e paesaggistico la piantumazione di un filare alberato lungo il confine sud-est della discarica.

L’utilizzo delle specie erbacee garantisce una copertura piuttosto rapida, riducendo l’erosione del terreno dovuta allo scorrimento delle acque meteoriche superficiali.

Affinché la colonizzazione erbacea sia efficace, è importante che le sementi siano distribuite mediante idrosemina. Tuttavia, il solo impiego di specie erbacee risulta insufficiente, ai fini di una protezione e di una stabilizzazione dei versanti, poiché gli apparati radicali si mantengono per lo più in superficie. L’impiego di nuclei di specie arbustive, da un lato permette di stabilizzare i versanti per la maggiore profondità raggiunta dall’apparato radicale, dall’altro consente di accelerare il processo dinamico di colonizzazione vegetazionale. Rispetto a questo secondo aspetto, è importante che i nuclei arbustivi e arborei siano collocati soprattutto nelle aree centrali della discarica.

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Per questo motivo si ritiene utile che il nucleo di piantumazione di specie arbustive sia collocato nella fascia centrale oscillante tra le quote di 20 e 33 m slm, sui versanti sud-est e sud-ovest della colmata.

La restante superficie sarà destinata esclusivamente all’idrosemina.

Il viale alberato avrà il compito di costituire un importante effetto di schermatura della colmata grazie anche all’utilizzo di specie (pioppo bianco e tiglio platifillo) a rapida crescita giovanile, grande portamento e notevole pregio estetico e cromatico.

La piantumazione delle specie arbustive ed arboree all’interno della discarica dovrà avvenire secondo un modello che preveda la creazione di gruppi plurispecifici di dimensione variabile. Questo al fine di garantire una maggiore protezione dei singoli individui dalle condizioni critiche stazionali (luce, vento, ecc.) cui sono sottoposti durante i primi anni di vita.

5.2.3.3 Selezione del materiale vegetale

Per quanto riguarda il materiale di propagazione, è preferibile utilizzare postime di vivaio costituito da semenzali di tre anni di età in contenitore (2s + 1). Per il successo dell’impianto è importante che il materiale sia di prima qualità che l’altezza sia di almeno 50 cm per le specie arbustive, così da poter essere protetto con uno shelter. Al momento del trapianto è preferibile che la radice possieda il pane di terra e che l’apertura della buca sia fatta a mano e non con una trivella, per impedire il solito effetto vaso che in un terreno a matrice argillosa impedirebbe alle radice di “esplorare” il terreno circostante per molti anni. Nel caso di utilizzo di piante con radice nuda, si raccomanda di svolgere le operazioni di trapianto in tempi brevi, onde evitare stress idrico alle radici, e di aggiungere ammendante e preferibilmente concime organico direttamente nella buca appena scavata.

All’interno dei nuclei d’impianto è opportuno provvedere alla riduzione della concorrenza delle specie erbacee che in breve tempo colonizzeranno i nuclei. Per fare questo possono essere adottate varie soluzioni:

1. si può provvedere alla pacciamatura del suolo, effettuando ad esempio una posa di materiale vegetale, ricavato dalla biotriturazione del prodotto delle operazioni di taglio e decespugliamento. Questo metodo ha lo svantaggio del costo troppo elevato a meno che non si riesca ad utilizzare il materiale legnoso di scarto dal taglio delle piante presenti nel sito di discarica prima dell’ampliamento.

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2. si può utilizzare un telo drenante in polipropilene da 110 gr/mq ancorato al suolo con picchetti metallici: in tal modo si provvederà a prevenire parzialmente l'erosione del terreno oltre che controllare la concorrenza esercitata dalle specie erbacee ma lo svantaggio risiede nel fatto che su forti pendenze si riduce fortemente la capacità di approvvigionamento idrico del suolo a causa dello scivolamento dell’acqua in superficie.

3. si possono utilizzare bio-dischi in fibra di cocco o cartone da apporre alla base dei fusti. Questa soluzione appare la più indicata sui versanti di pendenza superiore al 10%.

Si ritiene fondamentale l'utilizzo di materiale di protezione tipo "shelter" dell'altezza di 50 cm da porre attorno alle piante esterne dei gruppi monospecifici, al fine di evitare danni causati dall’utilizzo del decespugliatore durante le operazioni di sfalcio della vegetazione erbacea.

Fermo restando le indicazioni generali sopra riportate, l’effettiva collocazione dei gruppi di impianto seguirà uno schema casuale all’interno delle aree indicate nella tavola di progetto P-D-30-102 allegata alla presente relazione.

Per i motivi indicati nei paragrafi precedenti, si è effettuata la scelta delle seguenti specie arbustive: biancospino (Crataegus monogyna), ginestra odorosa (Spartium junceum) e rosa selvatica (Rosa canina).

Le specie arboree ritenute idonee per i motivi già discussi nei precedenti paragrafi sono 5: orniello (Fraxinus ornus), acero campestre (Acer campestris), pioppo nero (Populus nigra), farnia (Quercus robur) e tiglio (Tilia platyphillos)

5.2.4 Moduli e settori di impianto

Per i due settori interni all’impianto di dissociazione molecolare, da intendersi come aree a giardino, con effetto anch’esso schermante, si prevede l’utilizzo di 3 specie arboree (farnia, acero campestre e orniello) e 2 arbustive (ginestra odorosa e rosa canina).

L’impianto dovrà seguire criteri di irregolarità e mosaicatura nella distribuzione delle varie specie. Sono necessari 35 esemplari di farnia, 15 di acero campestre, 15 di orniello e di circa una ventina di esemplari delle due specie arbustive. Per le specie arboree si raccomanda l’utilizzo di piante di almeno 2 metri di altezza con pane di terra.

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Il progetto di ripristino vegetazionale della colmata prevede uno schema semplificato di impianto di esemplari arbustivi, sia come disposizione che come utilizzo delle varie specie e classi dimensionali.

Ogni modulo di impianto segue al proprio interno una disposizione geometrica degli esemplari ma, come regola generale, la loro disposizione nell’area d’impianto dovrà essere più irregolare possibile, tale da profilarsi già come una fase avanzata di evoluzione spontanea della vegetazione naturale.

La struttura vegetazionale del viale alberato e dei due settori interni all’impianto di dissociazione molecolare non seguiranno un preciso modulo, ma si atterranno quanto più possibile alle indicazioni riportate più avanti e a quelle desumibili dalla Tavola di progetto, sia per quanto concerne il numero di esemplari che per la loro disposizione.

Il modello da seguire per l’impianto delle specie arbustive sulla colmata è costituito da un gruppo plurispecifico di 100 m2 (10X10 m di lato) composto da 100 esemplari, con sesto delle piantine in quadro, su file livellari alternativamente sfalsate con distanze d'impianto tra le piante della stessa fila e tra le file alterne di 1 m. Nel gruppo plurispecifico saranno privilegiate le associazioni tra specie più esigenti con specie miglioratrici del terreno, come ad esempio, le leguminose.

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In entrambi i moduli, la messa a dimora del postime sarà effettuata con lavorazione localizzata a buche (previo taglio del materiale pacciamante) di dimensioni appena superiori (cm 40x40x40) al volume dell’apparato radicale, collocando il colletto della pianta a livello della superficie del suolo e non a quello dello strato pacciamante. L’epoca

Esempi di Modulo (base 5x5 m) di gruppi plurispeifici (a due e tre specie) composti da 100 esemplari su 100 mq (10x10 m). La specie segnata in verde è quella miglioratrice del suolo (Spartium junceum).

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più idonea per la piantagione è la fine dell’inverno (febbraio-marzo), immediatamente prima della ripresa vegetativa.

La superficie complessivamente interessata dall’impianto di specie arbustive è di poco inferiore ai 2 ettari. All’interno di questa superficie si può prevedere la messa a dimora di 120 moduli (70 di questi composti da 2 specie e 50 da 3 specie) di 100 mq ciascuno, coprenti circa il 60% dell’area interessata.

Per raggiungere tale obiettivo si rende necessario l’utilizzo di 12.000 esemplari ripartiti secondo la Tabella 1.

Tabella 1 – Numero di esemplari arbustivi da utilizzare nei settori di colmata

Specie arbustive Modulo con 2

specie Modulo con 3 specie Totale %

ginestra odorosa 2.400 1.600 4.000 33%

rosa canina 4.600 1.700 6.300 53%

biancospino 1.700 1.700 14%

TOTALE 7.000 5.000 12.000 100%

Il filare alberato posto al piede della colmata, costituito da due specie alterante singolarmente (pioppo nero e tiglio) prevede la messa a dimora di esemplari relativamente più grandi di quelli impiegati per la colmata, sia perché la disponibilità di suolo nettamente più fertile, sia per velocizzare il processo schermante. Si prevede pertanto l’utilizzo di materiale di almeno 2 metri di altezza con pane di terra.

Complessivamente sono necessari 42 esemplari (21 di pioppo e altrettanti di tiglio) considerando un sesto di impianto di 7 metri circa, lungo i 300 metri di fronte della discarica.

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5.2.5 Idrosemina di specie erbacee

Per la realizzazione delle superfici inerbite, da eseguire su circa 8 ettari di superficie corrispondenti all’intera colmata, è consigliabile l’esecuzione di un intervento di idrosemina che garantisca la semplicità di esecuzione, in particolare nelle aree in pendenza.

Il miscuglio prescelto è riportato in Tabella 2.

Tabella 2 – Specie erbacee da utilizzare nell’idrosemina

Specie %

Hedysarum coronarium 30

Agropyron repens 15

Lotus corniculatus 15

Cynodon dactylon 10

Medicago sativa 10

Trifolium pratense 10

Melilotus officinalis 10

In copertura: g/m2

Lolium perenne 5

La composizione della miscela da seminare è riportata in Tabella 3.

Tabella 3 – Miscela per idrosemina

Prodotto Unità di misura Quantità

Acqua l/m2 20

Sementi g/m2 40

Fertilizzante organico biologicamente attivato g/m2 200

Collante argillo-umico g/m2 200

Ammendante in fibra di cellulosa g/m2 60

L’esecuzione andrà effettuata a spessore e la miscela dovrà avere un’altezza di 2 cm sul suolo. L’epoca più indicata è quella autunnale (settembre-ottobre) o quella primaverile immediatamente prima della ripresa vegetativa (marzo).

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