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1.4 Le alghe arborescenti ed i feltri algali

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1. INTRODUZIONE

1.1 La biodiversità e le invasioni biologiche

La diversità è una proprietà inerente ad ogni sistema biologico, dalle molecole agli ecosistemi, per cui questo termine può essere riferito tanto al numero di specie presenti in un determinato ecosistema, quanto alla struttura genetica delle popolazioni (Cognetti et al., 2004).

L’importanza della biodiversità per il funzionamento degli ecosistemi è stata dimostrata da una serie di esperimenti sul campo che hanno generalmente preso in considerazione popolamenti vegetali in ambiente terrestre. Da tali studi è emerso che l’identità ed il numero delle specie di piante in un certo sistema può fortemente influenzare la produttività primaria, l’efficienza nell’uso dei nutrienti, la dinamica di diffusione di agenti patogeni, la resistenza all'invasione da parte di specie esotiche e la resistenza a disturbi sia di origine naturale che antropica (Tilman, 1999; Loreau et al., 2001, 2002).

Attualmente, a causa dell'espansione delle attività umane, la diversità biologica ed il funzionamento degli ecosistemi stanno subendo cambiamenti radicali a diverse scale spaziali (Vitousek et al. 1997); il fenomeno dell'introduzione di nuove specie, identificato con il termine di invasione biologica, è generalmente ritenuto un importante agente di cambiamento.

Il trasferimento globale di specie è un processo che si può far risalire a tempi antichi, dal momento che è legato alla navigazione (Carlton & Hodder, 1995) ed il suo tasso è notevolmente aumentato in tempi recenti a causa degli scambi commerciali tra tutto il mondo (Ruiz et al., 1997).

Gli organismi possono essere trasferiti da una regione all’altra sia intenzionalmente, ad esempio attraverso attività legate all'acquacoltura ed all'acquariofilia, che accidentalmente, come nel caso del fouling degli scafi o del trasporto di spore e larve attraverso le acque di zavorra delle navi (Carlton, 1985; Baldwin, 1992; Gollash et al., 1998). Inoltre, come per i così detti “migranti lessepsiani” arrivati nel Mediterraneo dal Mar Rosso, specie invasive possono passare da una regione ad un'altra mediante canali costruiti dall’uomo (Galil, 1973; Por, 1978).

Mentre le attività umane hanno portato ad una diminuzione della diversità globale, a scale regionali e locali si osserva spesso una tendenza opposta, dal momento che

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l'insediamento di specie esotiche supera frequentemente la perdita delle specie native, così che la diversità locale totale aumenta nel tempo (Sax & Gaines, 2003).

C’è però un aspetto meno riconosciuto in questa tendenza. Infatti, l’aumento della diversità locale porta generalmente ad una maggior similarità nell’identità delle specie tra popolamenti distinti (Whittaker, 1972). Questo processo, chiamato “omogeneizzazione biologica” (McKinney & Lockwood, 1999), descrive la graduale sostituzione di popolamenti regionali distinti con popolamenti cosmopoliti, e sembra avere importanti conseguenze ecologiche ed evolutive (Olden et al., 2004). Recenti lavori suggeriscono che l’omogeneizzazione è un fenomeno diffuso sia in sistemi acquatici che terrestri (Rahel, 2000; Marchetti et al.., 2001; McKinney, 2004a; Rooney et al., 2004; Taylor, 2004).

1.2 Invasioni biologiche e disturbo

In generale, si dice che un popolamento è soggetto ad invasione quando una specie introdotta è in grado di stabilirsi, persistere ed espandersi (Burke & Grime, 1996).

L’invasione di un certo ambiente da parte di nuove specie è influenzata da tre fattori:

1) il numero di larve, spore o propaguli della specie esotica che viene immesso nel nuovo ambiente; 2) i tratti vitali della nuova specie (ad esempio, la modalità di riproduzione, il tasso di crescita, le capacità competitive); 3) la suscettibilità dei popolamenti residenti all’invasione da parte della nuova specie (invasibilità) (Lonsdale, 1999). L’invasibilità è una proprietà emergente di un ambiente e dipende da vari fattori come il clima della regione, il regime di disturbo dell’habitat e l’abilità competitiva delle specie residenti (Lonsdale, 1999).

Dal momento che le invasioni biologiche possono alterare la struttura dei popolamenti e le funzioni di un ecosistema (Carlton & Geller, 1993; Nichols et al., 1990) e causare ingenti danni economici, è di notevole interesse cercare di capire perché alcune invasioni abbiano successo ed altre no (Stachowicz, Whitlatch, Osman, 1999) ed identificare i meccanismi che determinano tale esito.

E’ stato ipotizzato che popolamenti con maggiore diversità siano maggiormente competitivi e resistenti all'insediamento di nuove specie (Elton, 1958; Levine et al., 1999).

Tale ipotesi è supportata anche da studi sperimentali a piccola scala (Tilman, 1999; Dukes, 2001; Robinson et al., 1995; Tilman, 1997; Knops et al., 1999; Levine, 2000; Naeem et al.,

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et al., 2002). Al contrario, studi descrittivi condotti a scale spaziali più ampie, hanno evidenziato una relazione positiva tra la diversità delle specie native e di quelle invasive (Levine et al., 1999; Levine, 2000; Planty-Tabacchi, 1996; Stohlgren, 1999; Pickard, 1984;

Planty-Tabacchi et al., 1996; Stohlgren et al., 1998; Wiser et al., 1998; Levine &

D’Antonio, 1999; Lonsdale, 1999; Smith & Knapp, 1999; Stohlgrenet al., 1999; Levine, 2000; Stohlgren et al., 2003). Sebbene quest’ultima relazione possa derivare anche da fattori come l’eterogeneità delle risorse nello spazio, essa stessa variabile in funzione della diversità delle specie sia autoctone che alloctone (Shea & Chesson 2002), il meccanismo per cui popolamenti con maggior diversità potrebbero essere maggiormente resistenti all’invasione,almeno a scala locale,rimane ignoto.

L’ipotesi di Elton (1958) si basa sulle assunzioni riguardo alla sovrapposizione di nicchia e sulla esclusione competitiva per affermare che, a parità di altri fattori, popolamenti con elevata diversità locale sono meno soggetti ad invasione (Kennedy et al., 2002). Elton non ha esplicitamente suggerito un meccanismo attraverso il quale l’aumento del numero di specie ridurrebbe l’invasione, ma altri hanno ipotizzato che una maggiore diversità possa condurre ad un più efficiente utilizzo delle risorse da parte del popolamento locale, lasciando così meno risorse disponibili per un potenziale invasore (MacArthur, 1970; Tilman, 1982).

In supporto all’ipotesi di Elton, Davis et al. (2000) hanno formulato la “fluctuating resource hypothesis”, la quale sostiene che le specie esotiche siano limitate dalle risorse e, quindi, che i popolamenti “divengano maggiormente suscettibili alle invasioni qualora aumentino le risorse non utilizzate”, come, ad esempio, dopo un evento di disturbo. Tale teoria si basa sulla semplice assunzione che l'insediamento di una specie esotica avrà maggior probabilità di successo qualora non debba sostenere un’intensa competizione con le specie locali per risorse limitanti come luce, nutrienti ed acqua. Un corollario importante della teoria di Davis et al. (2000) è che la suscettibilità di un popolamento all’invasione non è un attributo permanente o statico, ma una condizione che può fluttuare nel tempo, mentre molti studi sull’invasibilità tendono a considerarla come un attributo costante delle comunità. Questo implica che le invasioni che hanno successo sono eventi episodici.

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1.3 La sedimentazione in ambiente marino

In ambiente marino, la deposizione di sedimento rappresenta un'importante forma di disturbo per i popolamenti bentonici (Airoldi 2003). Un elevato tasso di sedimentazione può determinare profonde alterazioni nella struttura dei popolamenti di fondi rocciosi, direttamente, attraverso il soffocamento degli organismi ed indirettamente, attraverso la riduzione della disponibilità di luce, ossigeno e substrato (Daly & Mathieson, 1977;

Devinny & Volse, 1978, Airoldi & Virgilio 1998; Airoldi, 2003).

Negli ultimi tempi, è chiaramente mutato il regime di sedimento terrestre portato al mare (Trush et al., 2004). Le previsioni di cambiamenti climatici indicano, per molte regioni, che il livello del mare aumenterà, le piogge diventeranno più intense e la frequenza delle tempeste sarà maggiore; tutto questo potrebbe contribuire ad aggravare il problema della sedimentazione (Inman & Jenkins, 1999; Burkett et al., 2001).

Il sedimento terrestre è portato nell’ambiente marino attraverso corsi d'acqua ed in conseguenza del dilavamento della costa; una volta in mare, non viene solamente depositato sul fondo, ma contribuisce anche ad aumentare la concentrazione di sedimento sospeso, con importanti effetti sulla torbidità dell’acqua. Tassi di torbidità elevati possono limitare la trasmissione della luce, cosa che, a sua volta, limita l’attività fotosintetica di alghe e fanerogame; questo, unito al fatto che tali organismi sono fissati al fondale marino, li rende particolarmente suscettibili ad un’elevata concentrazione di sedimento sospeso (Duarte, 1991; Markager & Sand-Jensen, 1992).

In diverse aree costiere del Mar Mediterraneo, l’aumento dell'apporto di sedimento di origine terrestre rappresenta un serio problema legato ad attività umane quali incendi, deforestazione, cambiamenti nella portata dei fiumi e dragaggi (Bourcier, 1986; Airoldi et al., 1996). Lungo la costa Toscana, studi sperimentali hanno mostrato che elevati tassi di sedimentazione possono danneggiare i popolamenti algali del Mediterraneo ed aumentare la competitività di specie introdotte (Airoldi et al., 1995; Airoldi & Cinelli, 1997; Piazzi &

Cinelli, 2001).

Caratteristiche che conferiscono maggiore resistenza alle macroalghe in ambienti ricchi di sedimento, possono essere la propagazione per via vegetativa (Norton et al., 1982;

Airoldi, 1998), cicli di riproduzione e/o crescita sincronizzati con le fluttuazioni del tasso di sedimentazione (Stewart, 1983; Kiirikki & Lehvo, 1997) e l’abilità di rigenerasi da parti

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basali del tallo che possono resistere alla copertura ed all’abrasione da parte del sedimento (Daly& Mathiesen, 1977; Stewart, 1983).

1.4 Le alghe arborescenti ed i feltri algali

Le alghe arborescenti (o formanti canopy) sono considerate importanti elementi nella costituzione dell’habitat nella zona infralitorale e mesolitorale di ambienti rocciosi (Bulleri et al., 2002; Reed & Foster, 1984; Santelices & Ojeda, 1984; Dayton, 1985; Duggins &

Dethier, 1985; Benedetti-Cecchi & Cinelli, 1992; Bulleri et al., 2002). Queste macroalghe influenzano i popolamenti sottostanti modificando fattori fisici come l'irraggiamento (Reed

& Foster, 1984), il movimento dell’acqua (Duggins et al., 1990), l’essiccamento (McCook

& Chapman, 1991) ed “abradendo” il substrato attraverso il movimento delle fronde (Velimirov & Griffiths, 1979; Hawkins, 1983). La canopy può anche alterare i tassi di reclutamento e la mortalità post-insediamento di spore algali (Brawley & Johnson, 1991;

Benedetti-Cecchi & Cinelli, 1992).

Un ulteriore ruolo importante svolto dalle alghe arborescenti sembra essere quello di conferire ai popolamenti di cui fanno parte, resistenza all’invasione di specie alloctone.

Andrew e Viejo (1998) hanno dimostrato che la presenza di alghe arborescenti locali inibiva il reclutamento della specie introdotta Sargassum muticum in uno studio sulle coste dell’Asturia. Non è chiaro se questa inibizione fosse dovuta all'incapacità delle spore della specie esotica di raggiungere il substrato, al fatto che il substrato adatto all'insediamento fosse già occupato da altre specie o alla ridotta sopravvivenza sotto le alghe arborescenti.

Un’inibizione simile è stata documentata per questa specie da Deysher & Norton (1982) nella zona infralitorale e da De Wreede (1983) in quella intertidale. Deysher & Norton (1982) hanno suggerito che la canopy delle macrofite più grandi, insieme alle specie più piccole che costituiscono il feltro, possano agire come una barriera fisica nei confronti delle spore di S. muticum, impedendone così il raggiungimento del substrato.

Disturbi fisici e biologici, sia naturali che di natura antropica, possono causare riduzioni nel ricoprimento delle alghe arborescenti, promuovendo l’occupazione dello spazio da parte di specie “opportuniste” e meno competitive, quali i feltri algali (Dayton, 1985; Jenkins et al., 1999). Violente tempeste e l’azione di erbivori come i ricci di mare, sono ritenuti i principali fattori responsabili dell’estesa rimozione delle alghe arborescenti

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e del mantenimento di mosaici di habitat negli ambienti rocciosi subtidali (Dayton, 1985;

Reed & Foster, 1984). In ambienti intertidali, comunque, l’impatto diretto degli erbivori sulle alghe adulte sembra piuttosto debole, sebbene sia stato documentato che gli erbivori possono controllare i popolamenti algali nutrendosi delle alghe nelle prime fasi di sviluppo (Duggins & Deither, 1985; Chapman, 1990; Jenkins et al., 1999). Così, l’eliminazione delle alghe arborescenti dalla zona mesolitorale di ambiente roccioso è attribuita essenzialmente a violente mareggiate, alla degradazione delle condizioni chimico-fisiche locali (come un aumento di nutrienti) o all’inquinamento.

Molti studi hanno dimostrato che la rimozione delle alghe arborescenti possa generare cambiamenti significativi nella struttura dei popolamenti sottostanti (Dayton, 1975, 1985; Schiel & Foster, 1986; Kennelly, 1987; Johnson & Mann, 1988; Chapman, 1990). Bulleri et al.. (2002) hanno dimostrato che la rimozione della canopy formata dall'alga arborescente, Cystoseira spp., promuove il ricoprimento da parte di feltri algali e determina la scomparsa di invertebrati (spugne, idrozoi) che generalmente si trovano in presenza dell'alga, con un netto decremento della ricchezza specifica. Cystoseira spp., è ampiamente diffusa in aree relativamente naturali (ad esempio in aree marine protette), ma risulta assente da aree costiere soggette ad attività umane, ad esempio nelle vicinanze di agglomerati urbani (Benedetti-Cecchi et al., 2001).

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1.5 Scopo dello studio

Di fondamentale importanza è capire se le specie invasive siano l'agente principale di cambiamento per la diversità locale, oppure se cambiamenti generati da attività antropiche determinino condizioni favorevoli al loro insediamento (Didham et al., 2004). Infatti, molte specie alloctone traggono spesso vantaggio dal deterioramento della struttura dei popolamenti naturali (Gurevitch & Padilla, 2004).

In sistemi sottoposti a più fonti di disturbo, non soltanto è difficile distinguere le vere cause dei cambiamenti nelle modalità di distribuzione e di abbondanza degli organismi, ma è altrettanto difficile capire l’importanza relativa di ciascuna di esse (Didham et al., 2004).

Il modello “driver e passenger” genera le seguenti previsioni: se alla base del declino delle specie locali ci sono processi interattivi, la rimozione delle specie invasive dovrebbe portare ad un aumento diretto di ricchezza ed abbondanza relativa delle specie locali negativamente influenzate dalla presenza dell'alga introdotta (modello “driver”); se invece le specie alloctone non sono il fattore limitante per l’espansione delle specie locali, la loro rimozione dovrebbe avere un impatto minimo (modello “passenger”) (MacDougall &

Turkington, 2005).

Secondo il modello “passenger”, le specie native sono limitate da processi non- interattivi, come un’inferiore capacità di dispersione o sensibilità al disturbo dell’habitat.

Il presente studio ha come finalità quella di determinare quale dei due modelli possa meglio descrivere i meccanismi che hanno determinato l'instaurarsi di popolamenti algali dominati da feltri lungo il litorale livornese; in particolare, questo studio ha lo scopo di valutare se la dominanza dei feltri algali sia il risultato dell'invasione della zona da parte di Caulerpa racemosa, oppure se la degradazione dei popolamenti algali, causata da attività antropiche (ad esempio incremento nel tasso di sedimentazione), abbia favorito l'insediamento dell'alga esotica. I seguenti modelli sono stati presi in considerazione:

1) l’alga invasiva C. racemosa è la causa principale della diminuzione in ricchezza ed abbondanza relativa delle specie locali (modello “driver”);

2) gli effetti di C. racemosa sui popolamenti locali sono persistenti e la rimozione dell'alga potrebbe essere necessaria, ma non sufficiente, per indurre cambiamenti nella ricchezza specifica e nell'abbondanza relativa delle specie native;

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3) la capacità di recupero dei popolamenti bentonici nativi varia a seconda della scala spaziale alla quale la rimozione sperimentale di C. racemosa ed eventualmente dei popolamenti che si sono instaurati viene eseguita. ;

4) un elevato tasso di sedimentazione può causare la scomparsa delle alghe arborescenti od impedirne il recupero in seguito alla loro eliminazione causata da disturbo di natura meccanica;

5) La scomparsa delle alghe arborescenti favorisce l’invasione da parte di C. racemosa (modello “passenger”).

Le ipotesi che derivano da tali modelli sono:

1) la rimozione di C. racemosa dovrebbe portare ad un aumento della ricchezza di specie e dell'abbondanza relativa di alcune delle specie locali che sono influenzate negativamente dalla presenza dell'alga esotica;

2) la rimozione totale, sia di C. racemosa che dell’intero popolamento dalle unità sperimentali, indurrà cambiamenti nella ricchezza specifica e nell'abbondanza relativa dei popolamenti bentonici;

3) unità sperimentali di dimensioni diverse (20 x 20 cm e 40 x 40 cm) dovrebbero manifestare una risposta diversa in seguito alla rimozione di C.

racemosa e/o di C. racemosa e dei popolamenti residenti che si sono instaurati;

4) l'aggiunta di sedimento determina la scomparsa e/o il non recupero delle alghe arborescenti;

5) la scomparsa delle alghe arborescenti, portando all'instaurarsi di popolamenti differenti da quelli che si trovano sotto le fronde di tali alghe, favorisce l'invasione da parte di C. racemosa.

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2. MATERIALI E METODI

2.1 Descrizione dell’area di studio

Questo studio è stato condotto sulle coste rocciose di Calafuria (43° 30’ N, 10° 20’

E) e di Antignano, entrambe a sud di Livorno (LI), dal Luglio 2006 al Luglio 2007.

Sono stati scelti tre siti tra i 6 m e gli 8 m di profondità; due di essi sono a Calafuria, l’altro ad Antignano.

La zona di Calafuria è contraddistininta da un tasso di sedimentazione elevato rispetto ad altre regioni costiere (Airoldi et al., 1996) ed è caratterizzato dalla presenza di un popolamento costituito prevalentemente da feltri algali (Acrothamnion preissi, Womersleyella setacea, Cladophora prolifera). Il materiale che si deposita consiste essenzialmente in particelle terrigene erose dalla pioggia e di sedimenti risospesi dalla turbolenza dell’acqua (Airoldi et al., 1996).

Come nella maggior parte delle zone costiere del Mediterraneo, il tasso di sedimentazione è più elevato tra Dicembre e Marzo, quando la velocità del vento è maggiore, fattore collegato alla risospensione del sedimento dal fondale ad opera delle onde (Airoldi et al., 1996).

Il sito di Antignano è caratterizzato dalla presenza di alghe arborescenti tra cui Halopitis incurvus e Spahaerococcus coronopipholius. C. racemosa è presente in questo sito, ma la sua distribuzione è limitata ad aree occupate da feltri o da matte morta di Posidonia oceanica.

2.2 L’alga verde introdotta, Caulerpa racemosa

Caulerpa racemosa (Forsskal) J.Agardh è un’alga verde (Bryopsidales) ampiamente distribuita nei mari tropicali. All’inizio del secolo scorso, ha colonizzato il Mediterraneo orientale (Hamel, 1926); successivamente, si è espansa anche nella parte nord-occidentale del bacino (Piazzi et al., 1994), invadendo velocemente le aree infralitorali lungo le coste italiane e francesi (Bussotti et al., 1996; Piazzi et al., 1997; Gambi & Terlizzi, 1998;

Verlaque et al., 2000). Qui ha invaso tutti i tipi di substrato, da 0 a 40 m di profondità (Piazzi et al., 1997; De Biasi et al., 1999). Sulla base di studi genetici, si è dimostrato che

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Caulerpa racemosa var. cylindracea (Sonder) è il taxon introdotto nel Mar Mediterraneo e proviene dall’Australia sud-occidentale (Verlaque et al., 2000).

Le Caulerpales mostrano un’elevata capacità di riprodursi per via vegetativa (Piazzi

& Cinelli, 1999). Come dimostrato per altre specie invasive (per esempio Polysiphonia setacea), la riproduzione per via vegetativa consente loro di ricostituire popolamenti più velocemente delle specie che si riproducono per via sessuale (Airoldi & Virgilio, 1998;

Airoldi, 2000).

Le Caulerpales sono anche forti competitori e possono facilmente eliminare le altre alghe (Verlaque & Fritaye, 1994; Piazzi et al., 2001); inoltre, non sono consumate da erbivori perché producono sostanze tossiche (Boudouresque et al., 1996; Dumay et al., 2002).

Piazzi et al. (2001), hanno dimostrato che la comunità macroalgale considerata nel loro esperimento, risultava impoverita in seguito all’invasione di C. racemosa. Il numero e la diversità delle macroalghe autoctone erano diminuiti, e l’abbondanza relativa tra gli strati algali era cambiata drasticamente; le specie incrostanti erano quelle maggiormente colpite rispetto a quelle a tallo eretto.

L’abbondanza di C.racemosa ha delle fluttuazioni temporali (Meinesz, 1979;

Meinesz et al., 1995; Komatsu et al., 1997; Ceccherelli & Cinelli, 1998): un periodo di crescita vegetativa tra Giugno e Novembre alternato ad un periodo di riposo vegetativo da Dicembre a Maggio. Durante quest’ultimo periodo, nonostante diminuiscano il ricoprimento e la biomassa, alcuni stoloni rimangono sul substrato, permettendo una rapida invasione all’inizio dell’estate successiva (Piazzi et al., 2001).

2.3 Metodologie utilizzate

Per testare l’ipotesi relativa al modello “driver”, Caulerpa racemosa è stata rimossa da alcune unità sperimentali dei due siti di Calafuria (area con elevati livelli di sedimentazione), lasciandola invece in altre unità utilizzate come controlli. Le unità sperimentali da cui C. racemosa è stata rimossa erano 20; in 10 di queste è stata effettuata una rimozione totale, in altre 10 è stata rimossa solamente l’alga invasiva. I controlli erano 10. In tutto si avevano, quindi, 30 unità sperimentali, di cui 15 erano di dimensioni 20 x 20 cm e le altre 15 erano 40 x 40 cm. Così, ogni trattamento aveva cinque unità sperimentali

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Per l’ipotesi relativa al modello “passenger” abbiamo utilizzato il sito di Antignano che differisce dai due di Calafuria per il minore livello di sedimentazione e per la presenza di alghe arborescenti (soprattutto Halopitis incurvus e Sphaerococcus coronopifolius). Per capire se il sedimento può essere la principale causa di perdita di diversità e favorire così il successivo insediamento di C. racemosa, un totale di 20 unità sperimentali (quadrati 20 cm x 20 cm), individuate all'interno di un 'area occupata da alghe arborescenti, sono state sottoposte a quattro diversi trattamenti: 1) alghe arborescenti presenti ed aggiunta di sedimento; 2) alghe arborescenti presenti e sedimentazione naturale; 3) alghe arborescenti rimosse ed aggiunta di sedimento; 4) alghe arborescenti rimosse e sedimentazione naturale.

Le unità sperimentali a Calafuria sono state campionate sia in inverno che in estate, mentre ad Antignano è stato fatto un unico campionamento il 15 Giugno.

L'abbondanza degli organismi sessili (alghe ed invertebrati) e mobili (patelle) è stata stimata come percentuale di ricoprimento e numero di individui, rispettivamente. Le stime della percentuale di ricoprimento sono state ottenute visivamente, dividendo ogni quadrato in 25 subquadrati di 4x4 ed assegnando ad ognuno di essi un punteggio da 0 (assenza di un certo taxon) a 4 (subquadrato completamente coperto da un certo taxon) e sommando le 25 stime (Dethier et al., 1993).

I quadrati 20 x 20 cm sono stati campionati nella loro interezza, mentre, per i 40 x 40 cm, è stata campionata un’area centrale di 20 x 20 cm, avendo così la stessa superficie campionata per entrambe le taglie.

Per quanto riguarda la quantità di sedimento da aggiungere, ci siamo basati sulla quantità che mediamente si deposita in siti ad elevata sedimentazione, dove non si trovano alghe arborescenti (Airoldi & Virgilio 1998). Sono stati quindi aggiunti 60 g di sedimento per ciascuna unità sperimentale assegnata a questo trattamento ogni 10 giorni, pari ad un incremento giornaliero di 6 g. Questi valori si basano sui tassi di sedimentazione calcolati da Airoldi & Virgilio (1998) per la zona di Calafuria.

2.4 Disegno di campionamento

Il disegno di campionamento dell’esperimento oggetto del presente studio è di tipo ortogonale (o fattoriale) in entrambe le zone. Per la parte svolta a Calafuria, i fattori in esame sono tre: 1) Sito, random, 2 livelli; 2) Taglia, fisso, 2 livelli; 3) Trattamento, fisso, 3 livelli.

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Per quanto riguarda l’area di Antignano, i fattori sono due: 1) Sedimento, fisso, 2 livelli; 2) Canopy, fisso, 2 livelli.

2.5 Analisi statistiche

I dati raccolti sono stati analizzati mediante tecniche multivariate ed univariate, condotte separatamente per ciascuna data di campionamento.

Abbiamo utilizzato la PERMANOVA (Permutational Multivariate Analysis of Variance, Anderson, 2001) per esaminare l’effetto dei trattamenti sperimentali sulla struttura dell’intero popolamento, secondo un disegno ortogonale che, per la parte del modello “driver of change”, comprendeva i seguenti fattori: 1) Sito (2 livelli, random); 2) Taglia (2 livelli, fisso); 3) Trattamento (3 livelli, fisso). Per la parte del modello “passenger of change”, i fattori in esame erano: 1) Canopy (2 livelli, fisso); 2) Sedimento (2 livelli, fisso).

La dissimilarità tra i popolamenti sottoposti a ciascuna combinazione dei tre fattori in esame, è stata calcolata mediante l’indice di Bray-Curtis (Bray & Curtis, 1957), applicato ai dati dopo averli trasformati con radice quarta.

Nel caso in cui l’analisi abbia rilevato effetti interattivi, il test t di Student è stato utilizzato per i confronti a posteriori della struttura dei popolamenti sottoposti a ciascuna combinazione dei trattamenti sperimentali.

Le differenze individuate dalla PERMANOVA, sono state rappresentate graficamente mediante nMDS (non-metric MultiDimensional Scaling), costruiti sulla base di matrici di dissimilarità di Bray-Curtis. Ogni punto del grafico rappresentava una singola unità sperimentale.

Abbiamo poi utilizzato l’analisi della varianza (ANOVA) per esaminare gli effetti dei trattamenti sperimentali sull’abbondanza dei taxa più comuni. Prima di ogni analisi univariata, l’assunzione di omogeneità delle varianze è stata verificata usando il test C di Cochran (Winer, 1971; Underwood, 1997). Nei casi in cui fosse necessario, i dati sono stati sottoposti a trasformazione logaritmica. Nei casi in cui nessuna trasformazione è stata in grado di rendere le varianze omogenee, l’analisi è stata condotta sui dati non trasformati ed i risultati sono stati ugualmente interpretati in assenza di effetti significativi (Underwood, 1997).

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Il test di Student – Newman – Keuls (SNK) è stato impiegato per i confronti multipli a posteriori delle medie.

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