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2 LA CONTABILITÀ ANALITICA NEGLI ENTI LOCALI

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2 LA CONTABILITÀ ANALITICA NEGLI ENTI LOCALI

2.1 Il ruolo del cost accounting e del cost management nel settore pubblico

Dopo aver inquadrato il tema, richiamando le peculiarità delle pubbliche amministrazioni e le leggi di riferimento, consideriamo le potenzialità informative della grandezze economiche. In particolare, il presente lavoro si concentra sui benefici derivanti dall’adozione degli strumenti di analisi e gestione dei costi negli enti locali. Queste pratiche, nonostante si siano sviluppate

prevalentemente in ambito privatistico – basti pensare che il cost accounting

deve le sue origini alla contabilità industriale adottata nelle aziende manifatturiere – possono essere implementate con successo anche nella compagine pubblica. Facendo una riflessione più ampia possiamo capire come l’analisi e, soprattutto, la gestione dei costi (cost management) possono fornire un contributo determinante alla risoluzione delle criticità del settore pubblico.

Le anomalie illustrate nel primo capitolo – commistione fra politica e amministrazione, posizione di monopolio, cultura burocratica e disattenzione alle grandezze economiche – hanno portato gli enti a gestire le risorse collettive in maniera irrazionale, distante da qualsiasi logica economica e insostenibile nel lungo periodo. Questo atteggiamento è stato incentivato anche dal processo di ripartizione dei fondi pubblici, il quale, basato sul meccanismo incrementale, si mostrava totalmente indifferente all’efficacia e all’efficienza dei vari enti. Infatti,

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43 le risorse collettive, raccolte a livello centrale dallo stato, venivano destinate a regioni, province e comuni in base alle spese passate incrementate di una percentuale inflattiva. In tal modo, per assurdo, l’efficienza diventava un elemento penalizzante poiché gli enti più virtuosi finivano per avere disponibilità inferiori rispetto a chi aveva speso di più. Anche Ferrara ricorda che “i meccanismi di definizione dei fabbisogni finanziari – prima basati esclusivamente sui costi sostenuti in passato e sul numero di utenti – [...] hanno innescato un circolo vizioso che ha portato al continuo ripianamento delle

perdite e, di conseguenza, ad una sempre maggiore inefficienza del sistema”88.

Questi aspetti, criticità del settore pubblico e logica incrementale nella distribuzione delle risorse, congiuntamente considerati, hanno contribuito ad accrescere il debito pubblico e, di conseguenza, la pressione fiscale sui cittadini. Per risolvere questa situazione, divenuta insostenibile col passare del tempo, sono state avviate politiche di contenimento della spesa pubblica sovente associate a pesanti rinunce sociali. Questi tagli generali e

indiscriminati, definiti altresì “provvedimenti-tampone”89, producono i loro effetti

nel breve periodo ma non contribuiscono, in alcun modo, a risolvere i problemi tipici delle pubbliche amministrazioni. Lo stesso Mussari a riguardo sottolinea che lo “sforzo innovativo deve essere intrapreso avendo ben presente che il raggiungimento del riequilibrio gestionale non si ottiene necessariamente

88 Ferrara (1997: p. 377). 89 Mussari (1994: p. 30).

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«spendendo meno», ma certamente «gestendo meglio»”90. La scienza che, più

di tutte, può aiutare in maniera determinante alla risoluzione di tali problematiche è, senza dubbio, l’economia aziendale. Essa dispone di

strumenti gestionali – fra i quali il cost accounting e il cost management – in

grado di incidere sul processo decisionale e di mutare profondamente la cultura dell’ente. Quindi, mediante l’introduzione di logiche e strumenti aziendali, piuttosto che attraverso tagli inorganici alla spesa pubblica, si potranno risolvere le criticità che da tempo affliggono le amministrazioni statali e risollevare, così, l’economia nazionale.

Inoltre occorre riflettere sulle motivazioni che dovrebbero spingere gli enti a riservare un’attenzione particolare per i costi d’esercizio (perfino maggiore rispetto a quella da riservare ai ricavi). Le amministrazioni pubbliche, ispirandosi a valori sociali e assistenziali, erogano servizi a un prezzo politico, ossia non rappresentativo del costo sostenuto. Inoltre molte risorse che entrano nelle casse dell’ente vengono reperite coattivamente sul territorio e, pertanto, non consentono di misurare la soddisfazione del cliente-utente-cittadino rispetto ai

prodotti e servizi offerti91. Queste condizioni, congiuntamente considerate,

riescono a spiegare perché i ricavi nel settore pubblico abbiano una minor valenza informativa rispetto ai costi. Con ciò non si vuole affermare che gli enti

debbano disinteressarsi alla customer satisfaction, bensì che tale valutazione

non possa basarsi esclusivamente sull’analisi dei profitti e debba pertanto

90 Mussari (1994: p. 29). 91 Cfr. Miolo Vitali (2009: p. 48).

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45 essere integrata con altri parametri di natura quali-quantitativa. D’altra parte i

costi esprimono il “valore delle risorse usate per produrre l’output”92

indipendentemente dal contesto di riferimento e, perciò, devono essere il principale oggetto d’analisi delle amministrazioni private e, soprattutto, pubbliche. Tale opinione è condivisa anche da Ferrara, il quale sottolinea come “gli sforzi devono essere tesi a risolvere le difficoltà relative all’analisi, misurazione e gestione del valore generato dall’attività aziendale, principale parametro di misurazione dell’efficienza, specie per quelle aziende prive del

riferimento “privatistico” del prezzo”93. Infatti, mediante l’analisi e la gestione dei

costi i dirigenti possono individuare sprechi e inefficienze, ottimizzare la

gestione nell’ottica del continuous improvement e, di conseguenza, offrire un

servizio migliore ai cittadini. Pertanto “una gestione efficiente, che massimizza, cioè, la differenza tra valore offerto e risorse collettive, utilizzandole in modo razionale e responsabile, è spontaneamente indirizzata al raggiungimento dell’efficacia, in quanto fornisce un servizio di elevato valore per l’utenza

soddisfacendone pienamente le aspettative”94. In ragione di ciò si può

sostenere che il disinteresse verso i costi dell’attività pubblica, oltre ad essere un handicap informativo per il management, si rivela un atteggiamento

92 Ibidem.

93 Ferrara (1997: p. 378). Una tesi simile viene esposta anche da Farneti (1997: p. 362): “Nelle

aziende pubbliche i processi di burocratizzazione sono particolarmente incidenti e, per contro, l’esigenza di controllare l’efficienza prima, e l’efficacia poi, si pone come determinante, proprio per verificare i risultati economici, a motivo della mancanza del profitto”.

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46 eticamente scorretto nei confronti della collettività per conto della quale le risorse vengono gestite.

Tuttavia gli strumenti tradizionalmente utilizzati dalle pubbliche amministrazioni, di natura esclusivamente finanziaria, non sono in grado di

cogliere i riflessi economici della gestione. Pertanto è necessario che il cost

management, col quale s’intendono quelle “iniziative e decisioni che tendono non solo a minimizzare i costi, ma contemporaneamente a incrementare

l’efficacia dell’uso delle risorse di una organizzazione”95, venga introdotto nelle

realtà pubbliche in maniera graduale, evitando fughe in avanti96 che si

rivelerebbero inutili. Infatti, affinché gli strumenti di cost accounting siano

efficacemente implementati e possano, quindi, essere realmente d’ausilio all’organizzazione, occorre radicare all’interno della stessa quella cultura economica e manageriale che attualmente appare molto distante dalle pubbliche amministrazioni. L’inserimento delle tecniche di costing deve avvenire in maniera graduale e, soprattutto, non basta che venga imposto dal legislatore

(logica top down), bensì è necessario che sia richiesto, o quantomeno

condiviso, dal personale (logica bottom up). Affinché ciò avvenga occorre che i soggetti operanti nel pubblico settore siano informati sulle potenzialità degli

strumenti di costing e, quindi, siano realmente convinti dei benefici derivanti

dalla loro implementazione.

95 Miolo Vitali (1997: p. 371). 96 Cfr. Farneti (1995: p. 158).

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Le tecniche di cost accounting in grado di fornire al management utili

suggerimenti gestionali sono molteplici e devono essere ricercate nelle

esperienze delle imprese private; fra le più diffuse abbiamo il direct e il full

costing, l’activity based costing (ABC), il time driven ABC, l’activity based management (ABM), i costi della qualità, i costi ambientali, il target costing, il life cycle costing, ecc.

Tuttavia, il trasferimento acritico di logiche e strumenti privatistici nel contesto pubblico oltre a non sortire i benefici sperati, porterebbe gli enti a utilizzare tali tecniche in maniera distorta. Infatti, la profonda e inevitabile diversità fra pubblico e privato non può essere sottovalutata nel momento in cui si procede ad avvicinare i due settori. A titolo esemplificativo si riportano i risultati di alcune ricerche, partendo da un presupposto ovvio, ma non scontato nel contesto pubblico: per analizzare e gestire i costi occorre rilevarli. Infatti, per

implementare il cost management è necessario misurare i costi sostenuti

dall’azienda (grazie alla contabilità generale), imputarli a specifici oggetti di analisi (mediante la contabilità analitica) e, se possibile, gestirli al fine di accrescere l’efficienza e l’efficacia dell’attività.

Al contrario, gli enti utilizzano la tradizionale contabilità finanziaria per registrare i fatti gestionali e, come vedremo, spesso pretendono di attivare

meccanismi di cost management senza essere in grado di rilevare i costi di

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riscontrate nel personale pubblico97, il quale confonde sovente il concetto di

costo con quello di spesa e, conseguentemente, l’aspetto economico della gestione con quello finanziario. Lo stesso Farneti evidenzia che “troppo spesso [...] si è portati a confondere fra i limiti dello strumento contabile ed i limiti

(professionali) di chi lo applica e/o utilizza (erroneamente)”98.

Recentemente, per superare tale criticità, molti enti si sono dotati di sistemi contabili integrati, in grado di rilevare, mantenendole distinte, tanto le grandezze finanziarie (entrate e spese) quanto quelle economiche (ricavi e

costi). In questo modo si sono poste le basi per attivare positivamente il cost

management nelle amministrazioni pubbliche.

Conclusa questa breve premessa, indispensabile per sottolineare l’importanza dell’analisi e della gestione anche alla luce della situazione attuale in cui versa l’economia nazionale, si esaminano gli strumenti di costing utilizzati per determinare le grandezze economiche.

Il metodo di cost accounting più diffuso negli enti nazionali, e

ampiamente utilizzato anche nelle realtà private, è la contabilità analitica per

centri di costo, altrimenti nota come full costing a base multipla con centri di

costo. Le fasi in cui si articola tale tecnica sono:

1. codificazione della struttura aziendale in centri di costo, ciascuno dei quali si caratterizza per l’omogeneità delle operazioni compiute e della

97 Cfr. Farneti (1997). 98 Farneti (1997: p. 364).

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49 dotazione di fattori produttivi, la significatività dei risultati economici e la riconducibilità a un responsabile;

2. allocazione dei costi sostenuti per i vari fattori produttivi nei rispettivi centri intermedi e finali (fase eseguita in automatico dal sistema contabile integrato);

3. ribaltamento dei costi dei centri intermedi (ausiliari e funzionali) su quelli finali mediante l’utilizzo di basi di riparto il più possibile evocative del nesso causale esistente fra i centri interessati;

4. imputazione dei costi dei centri finali ai vari prodotti/servizi in base ad opportuni criteri di riparto.

La tecnica richiamata, non essendo priva di difetti, viene sovente criticata

nella letteratura economico-aziendale99 poiché ritenuta meno attendibile della

più evoluta contabilità analitica per attività (ABC). Quest’ultima nasce per accrescere l’accuratezza del processo di riparto che, nella contabilità per centri di costo avviene, mediante l’utilizzo di parametri collegati al volume di produzione. L’imputazione dei costi indiretti con basi volumetriche genera il fenomeno del sovvenzionamento incrociato, attraverso il quale si sottovaluta il costo dei prodotti a basso volume – generalmente di nicchia e di complessa produzione – e si sopravvaluta quello di prodotti standardizzati e realizzati in serie.

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50 Nonostante questo limite – che deve comunque essere considerato da qualsiasi organizzazione si doti dello strumento – una corretta implementazione della contabilità per centri di costo sarebbe un’importante punto di partenza per l’analisi e la gestione dei costi nel settore pubblico.

Anche Pozzoli a riguardo sottolinea che “un sistema di contabilità per centri di costo di tipo full cost sia più che adeguato allo stato di sviluppo dei nostri enti locali e che possa rispondere perfettamente alle esigenze di controllo

organizzativo di un comune anche di grandi dimenisioni”100.

Le difficoltà incontrate dagli enti nell’adozione delle tecniche di costing

dimostrano l’impossibilità di introdurre gli altri strumenti richiamati in

precedenza101. L’ABC e l’ABM, solo per citarne alcuni, sebbene siano più

evoluti della tradizionale contabilità analitica, attualmente si rivelano inutilizzabili nelle amministrazioni locali poiché presuppongono una lunga esperienza in

ambito di cost analysis, nonché una dettagliata mappatura delle attività e dei

processi produttivi (approccio orizzontale). Al contrario, la contabilità per centri di costo si basa, in buona parte, sulla struttura dell’organizzazione (approccio verticale) dalla quale consente di derivare i centri di responsabilità in cui allocare le risorse.

100 Pozzoli (2001: p. 160).

101 Miolo Vitali (1997: p. 372) sostiene che l’adozione, nel pubblico settore, di strumenti di cost

management più o meno sofisticati dipenda sostanzialmente da: livello di cultura manageriale raggiunto dall’ente, complessità interna ed esterna all’azienda e stadio di evoluzione della normativa vigente.

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51 La diffusione dello strumento è stata incentivata anche dal dettato normativo, il quale impone agli enti di analizzare i costi per singolo servizio e centro di costo (art. 197 TUEL). Quest’ultimo termine, utilizzato dal legislatore in riferimento al piano esecutivo di gestione, ma associato dagli enti ai centri analitici economici, ha indotto molte amministrazioni a dotarsi di un sistema di contabilità per centri di costo.

Integrare il sistema informativo con la contabilità analitica a costi pieni consente di destinare i dati economici rilevati dalla contabilità generale a specifici oggetti d’indagine (ad es. prodotti, servizi, uffici e attività) per arrivare a definirne il costo o, in presenza anche di ricavi, il risultato economico.

Tali informazioni sono utili sia a preventivo, nella fase di programmazione dell’attività, sia a consuntivo, per effettuare il controllo di gestione. Di seguito si illustrano alcuni esempi di utilizzo delle rilevazioni analitiche di costo a supporto del processo decisionale.

2.1.1 Le decisioni economiche: analisi differenziali e politiche tariffarie

Per effettuare valutazioni in merito alla convenienza economica riguardante l’erogazione o la realizzazione di un certo servizio o prodotto occorre conoscerne il costo. Grazie a questo l’ente può decidere se continuare la produzione in economia oppure delegarla a un altro soggetto, ricorrendo

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all’esternalizzazione102. In quest’ultima ipotesi l’ente affiderebbe l’erogazione a

terzi, nelle modalità previste dalla normativa, e assumerebbe il ruolo di controllore in quanto garante del servizio.

Tuttavia per scegliere in maniera consapevole è necessario supportare la decisione con un’analisi differenziale che consenta di stimare i costi

dell’opzione make e di quella buy. Per fare ciò occorre concentrarsi sui costi

rilevanti (o eliminabili), fra i quali rientrano sia quelli che non verranno più sostenuti con l’esternalizzazione (ad es. materie prime, manutenzioni e utenze), sia quelli che potranno essere ricollocati diversamente all’interno del processo produttivo (ad es. personale). Inoltre l’ente dovrà considerare che con l’affidamento a terzi cesseranno i ricavi, ci saranno dei nuovi costi (ad es. per l’attività di controllo e per la copertura degli oneri impropri) e una parte di quelli sostenuti internamente potrebbe manifestarsi ugualmente (ad es.

ammortamento dei macchinari affidati in gestione o personale specializzato)103.

In quest’ultimo caso siamo in presenza dei cosiddetti costi irrilevanti (o ineliminabili), i quali non influenzano il calcolo differenziale poiché si manifestano in entrambe le soluzioni considerate.

102 Occorre precisare che non sarà il costo l’unico elemento considerato per valutazioni del

genere. Come ricorda anche Mussari (2001: p. 327): “aspetti quali la possibilità della perdita di controllo di un certo «servizio», o la presenza all’interno dell’amministrazione di professionalità non rintracciabili all’esterno, potrebbero indurre a tralasciare la possibilità di esternalizzare una determinata attività di produzione, anche se l’acquisto sul mercato dei servizi risultasse economicamente più conveniente della «produzione interna»”.

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53 L’analisi differenziale dei costi, illustrata nell’ambito di decisioni del tipo make or buy, supporta anche le scelte relative alla dismissione di un’attività commerciale (ad es. farmacie comunali) e quelle in cui si valuti l’opportunità di cessare la produzione/erogazione di un prodotto/servizio.

Riuscire a determinare il costo pieno104 dei servizi in maniera accurata

permette di scegliere le tariffe con maggiore consapevolezza. Queste rappresentano una percentuale di copertura del costo inferiore all’unità, in quanto l’ente, ispirando la sua attività a valori sociali e assistenziali, non può

determinare i prezzi dei propri prodotti secondo la logica privatistica del cost

plus pricing105. Nonostante ciò, per comprendere le conseguenze economiche

delle scelte tariffarie è indispensabile conoscere la parte recuperata del costo di produzione e, conseguentemente, quella posta a carico degli utenti.

Per tali motivi le amministrazioni locali dovranno dotarsi di sistemi di cost accounting in grado di definire il costo dei servizi, specialmente di quelli a domanda individuale; difficilmente, infatti, la sola contabilità finanziaria sarà in grado di supportare il management nella risoluzione delle problematiche esposte.

2.1.2 La responsabilizzazione del personale a costi standard

104 Nel costo pieno di prodotto sono compresi sia i costi diretti (materie prime, manodopera,

ecc.) sia i costi indiretti (amministrativi, commerciali, ecc.) imputati tramite riparto.

105 Questo processo, già richiamato nel capitolo precedente, consiste nell’applicare al costo il

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54 La Co.An. può essere utilizzata per definire gli obiettivi di costo e di ricavo rispetto ai quali responsabilizzare i vari dirigenti. Il loro operato sarà, a fine periodo, valutato confrontando i risultati raggiunti agli obiettivi programmati

ed inseriti in appositi budgets di natura economica. Questa è una fase

fondamentale per il controllo di gestione, poiché consente di stabilire gli standards ai quali comparare i dati consuntivi che altrimenti dovrebbero essere

analizzati alla luce dei risultati raggiunti nell’esercizio precedente106.

Quest’ultima ipotesi, che prevede un confronto intertemporale dei costi consuntivi ed è spesso utilizzata nella prassi, viene criticata per i seguenti motivi: non incentiva il miglioramento dell’efficienza, non mette in discussione le modalità operative impiegate (anzi ipotizza che le risorse siano state utilizzate nel migliore dei modi), non considera le mutevoli condizioni dello scenario

economico e non collega le attività richieste al budget107. Per superare questi

limiti occorre definire il costo obiettivo delle attività che ciascun ufficio è chiamato a svolgere attraverso l’ausilio della contabilità analitica. Tali obiettivi saranno poi affidati al responsabile di centro che dovrà cercare di raggiungerli sfruttando le leve gestionali a sua disposizione; è infatti necessario che i costi

106 In tal caso l’obiettivo verrebbe definito seguendo una logica incrementale. Questa consiste

nell’aggiornare il costo sostenuto l’anno precedente al tasso inflattivo stimato e alle eventuali nuove incombenze che gravano sul centro produttivo in questione. Per chiarimenti si rimanda a Mussari (2001: p. 313).

107 I punti evidenziati sono stati ripresi, con adattamento, da Mussari (2001: p. 313) e Barretta

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55 utilizzati per responsabilizzare la dirigenza siano controllabili dalla stessa,

ovvero, rientrino nella sua sfera di competenza108.

La previsione di budgets economici è quasi del tutto assente negli enti

locali che programmano la loro attività utilizzando il bilancio annuale, il piano esecutivo di gestione e il piano dettagliato degli obiettivi. Tuttavia questi strumenti, essendo a base finanziaria, responsabilizzano i soggetti solo sugli stanziamenti di bilancio senza fare alcun riferimento all’efficienza della gestione.

2.1.3 La valutazione del patrimonio pubblico

La contabilità analitica supporta quella generale nella valutazione di talune poste patrimoniali da inserire nel conto del bilancio. Fra queste abbiamo le rimanenze di magazzino, le immobilizzazioni realizzate internamente, i beni culturali e quelli infrastrutturali.

In passato il problema in questione spesso è stato messo da parte per due ordini di motivi, uno logico e uno tecnico. Il primo fa leva sulla scarsa valenza informativa di alcuni elementi patrimoniali come quelli artistici e infrastrutturali; è vero, infatti, che il valore di una strada, di un ponte o di un edificio storico, anche se inseriti fra le attività del bilancio, non possono essere

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56 utilizzati dal fornitore per “rivalersi in caso di insolvenza dell’ente debitore,

chiedendone il pignoramento”109.

La seconda motivazione denuncia una carenza strumentale degli enti pubblici e sottolinea l’impossibilità tecnica di valutare i beni dell’ente avvalendosi della contabilità finanziaria; infatti, solamente con un sistema di rilevazioni in partita doppia, in cui si considerino congiuntamente gli aspetti finanziari, economici e patrimoniali, è possibile superare questa criticità. Sebbene entrambi i motivi siano ineccepibili, preme rilevare come negli ultimi anni la questione patrimoniale abbia preso nuovamente vigore fino ad assumere un ruolo di primaria importanza. Questo per molteplici ragioni, fra le quali110:

 l’introduzione della contabilità economico-patrimoniale negli enti pubblici;

 il graduale processo di privatizzazione del settore pubblico;

 la rivalutazione del patrimonio pubblico come potenziale fonte di ricavi in

caso di vendita, dismissioni o snellimento degli apparati pubblici;

 l’esigenza di determinare adeguati livelli tariffari che non vadano a

erodere il patrimonio pubblico compromettendo la possibilità di erogazione futura degli stessi beni e servizi.

109 Garlatti-Pezzani (2000: p. 139). La questione sollevata è stata affrontata anche a livello

internazionale da Lapsley-Mussari-Paulsson (2009/4: p. 721-722): “What is the value to be placed on Notre Dame Cathedral, the Duomo in Milan, the Tower of London and Edinburgh Castle? In reality, the acquisition cost of these assets is unknown; the economic value is unlikely to measure their worth to their cities or their nations; the replacement cost is unknown and almost certainly irrelevant, and the realisable value is unobtainable in an orderly market”.

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57 L’utilità della Co.An. è particolarmente evidente per la valutazione delle commesse interne, fra cui rientrano le immobilizzazioni materiali e immateriali

(ad es. software ed opere pubbliche) e gli interventi di manutenzione

straordinaria. In questi casi l’ente utilizza proprie risorse per la costruzione (o incremento del valore in caso di manutenzioni) di beni a fecondità ripetuta che evidentemente non possono essere inseriti nel conto economico. Al contrario sarà necessario creare appositi centri di costo nei quali convogliare l’ammontare di tutte le risorse utilizzate per la costruzione in economia e pervenire, a conclusione dei lavori, all’importo da iscrivere nel conto del patrimonio.

2.1.4 Il controllo di gestione per l’efficienza e l’efficacia

La contabilità economica analitica è uno strumento fondamentale per impostare il controllo di gestione previsto agli articoli 196, 197 e 198 del TUEL.

Esso consiste nel valutare i risultati raggiunti così da stabilire se l’attività dell’ente sia stata efficace ed efficiente. Questo processo, definito analisi degli scostamenti fra obiettivi e dati consuntivi, si articola in tre fasi: ricerca delle differenze, individuazione delle cause e degli eventuali responsabili e adozione di interventi correttivi.

Nella prima fase si confrontano gli obiettivi di costo e di ricavo definiti a inizio periodo con quelli effettivamente sostenuti allo scopo di individuare gli

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scostamenti111, che potranno essere positivi (maggiori ricavi o minori costi) o

negativi (minori ricavi o maggiori costi). La contabilità analitica è utilizzata per definire tanto gli obiettivi quanto i risultati; è indispensabile, infatti, che il tipo di grandezze utilizzate in fase di programmazione sia lo stesso di quelle rilevate a posteriori pena la perdita di significato dell’intero processo di controllo. Questo passaggio non è affatto scontato negli enti locali, nei quali spesso accade che “i dati su cui si fonda il controllo, essenzialmente di natura economica, non trovano corrispondenza nei dati definiti in sede di programmazione, espressi

esclusivamente nel linguaggio finanziario delle entrate ed uscite”112. In questo

caso il confronto avverrà coi dati degli anni precedenti e porterà alle conseguenze negative ricordate prima.

Ai fini del controllo di gestione, quindi, non è rilevante la dimensione finanziaria della contabilità pubblica, poiché non permette di valutare l’economicità della gestione.

Nella seconda fase si cerca di risalire alle cause degli scostamenti per individuare i possibili responsabili. Questo stadio è molto delicato dato che le differenze possono essere imputate tanto ai demeriti dei dirigenti quanto a fattori che non rientrano nelle loro competenze (ad es. aumento del prezzo della materia prima). Similmente non si possono incolpare i dirigenti di non aver conseguito obiettivi troppo ottimistici o divenuti irrealizzabili in corso d’opera a

111 La differenza può essere ulteriormente scomposta in scostamenti elementari di volume,

efficienza (o rendimento) e prezzo. Per approfondimenti si rimanda a Mussari (2001: pp. 324 e ss).

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59 causa delle mutate condizioni ambientali. Talvolta invece il mancato raggiungimento degli obiettivi può essere dovuto a carenze gestionali (ad es. inefficienze produttive o spreco delle risorse) che andranno esaminate e poste all’attenzione del responsabile. Il passaggio successivo è rappresentato dall’ultima fase, nella quale si provvede a intraprendere opportune azioni correttive per riportare la gestione verso l’efficienza e l’efficacia.

Il ciclo della programmazione e del controllo, sinteticamente descritto, non può realizzarsi in un intervallo temporale che coincida con l’intero esercizio. Altrimenti il processo non riuscirebbe ad assolvere il suo compito primario, consistente nell’indirizzare l’ente verso l’economicità, e si limiterebbe a rilevare i risultati soddisfacenti o meno. Al contrario il controllo di gestione deve essere attivato frequentemente, con cadenza infrannuale, così da ottenere informazioni utili per correggere gli errori prima che sia troppo tardi.

Per fare ciò, poiché l’efficacia e l’efficienza devono essere valutate per singolo servizio e centro di costo (art. 197 TUEL), sarà necessario che le rilevazioni economiche analitiche – e quelle generali su cui si basano le prime – vengano continuamente aggiornate e costituiscano una parte integrante del

sistema informativo e contabile dell’ente113.

113 Nonostante tale evidenza Bellesia (2011: p. 554) ricorda che “Purtroppo, la contabilità

analitica, che costituisce il sistema di contabilità economica diretto alla determinazione dei costi e dei proventi dei singoli servizi, non è obbligatoria e nella realtà dei fatti sembra, ancora oggi, più un traguardo da raggiungere, che non uno strumento effettivamente applicato, nonostante le prescrizioni del controllo di gestione”.

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60 2.1.5 La comparazione dei risultati

I dati ottenuti dalla contabilità economica analitica possono essere utilizzati anche per effettuare delle comparazioni interne o esterne alla compagine aziendale. Conoscere i costi sostenuti da un’altra organizzazione per compiere operazioni simili a quelle realizzate dall’ente (ad. es. refezione scolastica) spinge questo a migliorarsi e a interrogarsi sulla bontà dei processi produttivi attivati.

Il benchmarking interno (termine utilizzato per richiamare il processo

sopra descritto) viene realizzato confrontando le performance di unità produttive appartenenti allo stesso ente locale. Ad esempio, dopo aver rilevato – grazie alla contabilità analitica – il costo per bambino sostenuto da ciascun asilo comunale si può indagare sull’attività svolta dai più virtuosi, ossia quegli asili che riescono ad essere più efficienti a parità di servizi erogati. Così facendo si possono condividere, all’interno dell’ente, le migliori prassi operative e gestionali in modo da attivare un processo di formazione e apprendimento continuo che riduca i differenziali (qualitativi e quantitativi) delle prestazioni

erogate alla collettività114.

Questo confronto interno è facilitato dall’omogeneità contabile delle tecniche utilizzate dall’ente per pervenire ai risultati particolari dei servizi e dei prodotti.

114 Ricorda a tal proposito Pozzoli (2001: p. 191): “se ci si confronta con i «primi della classe»

sarà difficile anche per i più restii non riconoscere la necessità di migliorare e di risolvere le inefficienze presenti”.

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Discorso diverso vale per il benchmarking esterno (o competitivo),

processo che mette a confronto le performance dell’ente con quelle di altri soggetti (pubblici o privati). In questo caso, sebbene gli stimoli al miglioramento possano essere maggiori rispetto alla precedente ipotesi, è evidente che ci saranno maggiori difficoltà nel comparare i dati di realtà differenti. Ciò dipende sia dal contesto territoriale nel quale gli enti presi in esame si inseriscono (basti pensare al costo del trasporto pubblico in una località montana o pianeggiante) sia alla “probabile diversità nel trattamento contabile dei costi e la conseguente

disomogeneità delle misure elaborate”115. Tuttavia, una volta superate tali

criticità mediante un opportuno percorso di armonizzazione116, il benchmarking

esterno rappresenta un’alternativa al mercato da cui gli enti possono trarre

quegli incentivi competitivi spesso assenti nel settore pubblico117.

115 Mussari (2001: p. 334). Inoltre Bellesia (2011: p. 558) sostiene che: “Pur rappresentando

indubbiamente un settore di enorme potenzialità [...] permangono sempre notevoli difficoltà a rendere omogenei e significativi i dati che si intendono confrontare; ciò deriva soprattutto dalle modalità di gestione dei servizi [...] talmente eterogenee e diversificate da rendere estremamente problematico il reperimento di dati attendibili e di informazioni effettivamente confrontabili”.

116 Per approfondire il tema dell’uniform cost accounting si rimanda nuovamente a Mussari

(2001: p. 336).

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62 2.2 Lo stato attuale della contabilità analitica negli enti locali: evidenze empiriche

Dal precedente paragrafo emergono i molteplici ambiti decisionali nei

quali può essere utilizzato il cost accounting. Nonostante ciò alcune ricerche

condotte in merito all’effettivo impiego della contabilità dei costi negli enti locali

evidenziano che spesso si fa di tale strumento un uso improprio118.

Volendo anticipare/riassumere i risultati cui gli studiosi sono pervenuti si può affermare che l’utilità degli strumenti di cost accounting attivati nelle realtà esaminate viene in gran parte affievolita dalle modalità di alimentazione degli stessi. Infatti gli enti, nella maggioranza dei casi, non disponendo di un sistema di rilevazione a partita doppia, determinano i valori economici e patrimoniali mediante il prospetto di conciliazione. Tale complessa operazione viene effettuata solamente a gestione conclusa e, pertanto, non consente né di

attivare meccanismi di cost management, né di intraprendere azioni correttive

capaci di garantire il conseguimento dell’efficienza e dell’efficacia. Inoltre ciò impone alle amministrazioni di derivare, in corso d’anno, le rilevazioni analitiche dalle entrate e dalle spese della contabilità tradizionale.

Per confermare questa tendenza si riportano i dati delle ricerche citate sopra. Barretta, indagando sul grado di diffusione della contabilità dei costi negli enti pubblici, esamina 83 amministrazioni (67 comuni e 16 province) – su un

118 Barretta (2001/7), Levy Orelli-Visani (2004/4) e Buccoliero-De Nardi-Nasi-Steccolini

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63 campione di 238 unità – dichiaratesi in possesso di una significativa esperienza

di cost management. Tuttavia l’autore rileva una forte contraddizione nelle

risposte ricevute; infatti, il 42% dei comuni intervistati che sostiene di rilevare analiticamente i costi della gestione in realtà non dispone neppure di una contabilità economica generale. In tal caso, come sottolinea lo stesso Barretta, non si potrà parlare di contabilità dei costi bensì di sistema analitico di rilevazione delle spese. Per quanto riguarda il dettaglio delle elaborazioni effettuate, solamente il 58% delle amministrazioni determina il costo dei prodotti e dei servizi mentre gli altri si fermano ai costi di centro; inoltre quasi la metà non arriva a definire il costo pieno di prodotto poiché non ribalta i costi indiretti sugli output. Infine lo studioso, sottoponendo agli enti quesiti mirati, deduce che la responsabilizzazione della dirigenza avviene sui costi storici piuttosto che su standards predefiniti. Infatti, la sola rilevazione dei costi a fine esercizio, prassi seguita dal 77,8% degli enti inclusi nello studio, pregiudica la possibilità di utilizzare dati economici nella fase della programmazione con le conseguenze negative ricordate nel paragrafo precedente.

Levy Orelli e Visani hanno svolto un’indagine in merito alla diffusione degli strumenti di analisi e gestione dei costi nei comuni italiani. Del campione preso in esame, composto da 226 enti, ben il 63% dichiara di registrare quotidianamente solo gli aspetti finanziari della gestione e di redigere il conto economico e quello del patrimonio tramite il prospetto di conciliazione.

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64 La stessa ricerca evidenzia come le rilevazioni analitiche abbiano prevalentemente una natura finanziaria e si basino sulle spese piuttosto che sui costi di esercizio, ciò avviene nel 66,4% dei casi. Infatti, la maggioranza dei comuni intervistati non ha integrato il proprio sistema informativo con la contabilità economica analitica e, nella migliore delle ipotesi, si limita ad analizzare le spese. Questa sensazione è confermata dall’esigua percentuale dei comuni che dichiarano di possedere strumenti di cost accounting; di questi, solo il 12,5% conferma di effettuare analisi dei costi in via operativa e non sperimentale.

La preoccupante tendenza nazionale anticipata a inizio paragrafo è confermata anche dallo studio effettuato da Buccoliero, De Nardi, Nasi e

Steccolini119. Questi hanno verificato il livello di implementazione della

contabilità economico-patrimoniale negli enti locali prendendo in esame tutte le province e i comuni con una popolazione superiore ai 40.000 abitanti, per un totale di 237 enti. I risultati del lavoro, in linea con quelli delle ricerche sopra esposte, evidenziano che il 42,6% degli intervistati si avvale del prospetto di conciliazione per elaborare i dati economico-patrimoniali e non può, quindi, avvalersi di strumenti di cost accounting in corso d’anno.

Partendo da tali evidenze, il capitolo seguente sposta l’analisi sul Comune di San Miniato, esaminando come l’ente analizzi e gestisca i costi della propria amministrazione, come sia riuscito a superare le difficoltà emerse a

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65 livello nazionale e, infine, valutando se possa essere considerato un modello da seguire in materia di cost accounting o, come direbbe Barretta, un “depositario

delle best practices ricercate”120.

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