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I IL RILIEVO

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Academic year: 2021

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I IL RILIEVO

È la forma d’arte che più di ogni altra rivela i rapporti sociali che intercor-rono tra le varie classi, è l’espressione figurata dei concetti fondamentali dell’ordine sociale; questo è basato su ideologie politiche o religiose o su en-trambe. Data la vastità di temi che, volontariamente od involontariamente, trat-ta è ben comprensibile del rilievo nel valutrat-tare l’importrat-tanza e la collocazione della figura del sovrano all’interno di una società. Il rilievo comprende sia le placchette sia le grandi stele. Il termine “stele” deriva dal greco ed originaria-mente designava un blocco o una lastra di pietra verticale, ma è usato in senso ristretto per definire un monumento di pietra intagliato. Il termine sumerico corrispondente al vocabolo greco è NA-RÚ-A, narû in accadico. Come la maggior parte dei monumenti regali esse erano dedicate alla divinità17 e veni-vano poste nei loro templi18. Dai testi si evince che stele venivano prodotte in varie copie, queste venivano poste ai confini o nel luogo della vittoria, quando trattavano vittorie militari, in altre città del regno, quando si trattava di stele di leggi19. Lo scopo della stele è quello di far conoscere ed ammirare le opere del sovrano, non è possibile sapere chi siano i destinatari del messaggio, ma la chi-arezza di questo lo rende fruibile per un gran numero di persone20.

CATALOGO DELLE OPERE

Nome convenzionale Numero di scavo o di museo Dimensioni

Base circolare AO 2350 + 3288 Figure aux plumes AO 221

Placchette di Ur-Nanše AO 2344 + AO 2345 h. 0,4m Stele di Eannatum AO 50 + 2346 + 2348 + 16109 h. 1,82m 17 Braun-Holzinger, 1991. 18 Börker-Klähn, 1982. 19 Suter, 2000, p. 166.

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Stele di Ištar (Sargon) Sb 2 h. 0,547m l. 0,260m Stele della battaglia (Sargon) Sb 1 h. 0,910m l. 0,660 x 0,470m

Stele di Rīmuš AO 2678 h. 0,340m l. 0,0 28m

Stele di Maništūsu Sb 15566 + BM 56630 + BM 56631 h. 0,183m l. 0,061 x 0,061m h. 0,194m l. 0,089 x 0,092m

Stele della vittoria (Narām-Sîn) Sb 4 h. 2m l. 1,050m Stele da Pir Huseïn (Narām-Sîn) EŞ 1027 h. 0,570m l. 0,420 x 0,200m

Stele di Gudea h. oltre 2m

Stele di Ur-Nammu CBS.16676 h. 3,04m L’intaglio ligneo TM.74.G.100

La doppia stele da Gebelet el-Beyda

Il rilievo di Kurangûn

Rilievo rupestre di

Dar-band-i Gawr h. 3m ca.

1. SUMER

1.1 CENNI STORICI

La Mesopotamia Proto-Dinastica è suddivisa in città-stato di dimensione e potenzialità equivalenti, ognuna dedicata ad un dio. Questa moltitudine di dèi è riconosciuta da tutti, ma ogni città tende a considerare il proprio dio superiore agli altri. Questo articolato quadro divino emerge anche dalle iscrizioni dell’epoca, nelle quali troviamo liste di divinità, descrizioni di templi ed inni. La religione permea la vita di tutti i giorni attraverso l’opera del tempio21, ma anche tramite la storia e la cultura: l’origine della città è posta in un tempo mi-tico ed attribuita ad un dio o ad un eroe. Seguendo le varie liste reali si passa da

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questo mitico fondatore ad altri esseri altrettanto divini fino ad arrivare nel tempo “storico” a re umani.

La datazione del Proto-Dinastico è puramente archeologica e stratigrafica per i periodi più antichi (I e II), mentre per l’ultimo periodo si aggiungono le fonti scritte. Queste provengono dagli archivi di Ur, Fara, Abu Salabikh e La-gaš; inoltre una testimonianza di eccezionale interesse cronologico è la “Lista Reale Sumerica22”. I sovrani elencati nelle iscrizioni di questi archivi si fregia-no con titolature differenti per rimarcare la propria preminenza sugli altri re, ma questo argomento sarà discusso in maniera più approfondita all’interno di un capitolo dedicato alla titolatura reale nel presente lavoro23. Da notare come

Kiš Ur Uruk Lagaš

2600 Mebaraggesi K L

2500 Mesilim Ukhub K Lugalšagengur Enkhegal

2450 Lugaltarzi K Meskalamdug U Akalamdug U Ur-Nanše 2400 Enbi-Ištar K L Mesannepadda U K L Aannepadda U Meskiagnunna U L Elili U L Enšakušanna S L Lugalkinišedudu K U L Lugalkisalsi U L Arkugal Eannatum Eannatum I Entemena 2350 Eannatum II Enetarzi Lugalanda Luglazaggesi S L Urukagina

U = re di Ur; K = re di Kiš; S = re di Sumer; L = attestato nella Lista Reale Sumerica

fig. 6: cronologia regale del PD, da Liverani, 1988, p. 192 tav. X.

22 È un documento composto tra il 2100 ed il 1900, una redazione più antica risaliva al 2200.

Vi sono incisi i nomi dei re dal tempo mitico fino ad arrivare al momento della redazione. Ja-cobsen, T., 1939, The Sumerian King List, The Oriental Institute, Chicago. Steinkeller, P., 2003, An Ur III Manuscript of the Sumerian King List, in Sallaberger, in W., Volk, K., Zgoll, A. (edd.), Literatur, Politik und Recht in Mesopotamien. Festschrift fur Claus Wilcke, Harras-sowitz, Wiesbaden, pp. 267-292.

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il termine “sumeri” derivi dal vocabolo usato dagli accadi per designare questo popolo: šumerum; mentre gli stessi abitanti del paese di Sumer designavano la propria terra con il termine Kiengi, già noto dagli archivi di Fara, ma scarsa-mente utilizzato questo permane anche con la terza dinastia di Ur.

Verso la fine del periodo Lugalzzaggesi, re di Umma, la rivale storica di Lagaš, riesce a prendere il potere anche ad Uruk e sottomette Ur, Larsa, e Nip-pur. Ingaggia e vince una guerra con Urukagina di Lagaš, il quale, come sap-piamo dalle fonti scritte, mantiene il controllo sulla città. Lugalzzaggesi riesce così ad avere un controllo egemone su tutta la bassa Mesopotamia.

Le opere riconducibili a questo periodo in cui è possibile scorgere la figura del sovrano sono scarse, ma sono molto interessanti ai fini di questo lavoro. I materiali presi in considerazione sono estremamente eterogenei, si passa da ba-si in pietra a stele di grandi dimenba-sioni a placchette. Purtroppo alcune opere non sono attribuibili a nessun sovrano, ma sono ben collocate cronologicamen-te e questo ci consencronologicamen-te di pocronologicamen-terle usare per notare l’evoluzione della figura re-gale. Provengono tutte dagli scavi condotti tra il 1877 ed il 1933 da Ernest de Sarzec sul Tell K di Tello, l’antica Girsu, e sono ora conservate al Museo del Louvre.

1.2 PRIMO PERIODO TRANSIZIONALE

Questo è il periodo di passaggio tra il Proto-Urbano ed il Proto-Dinastico24. Appartenenti a questo periodo storico sono le opere più antiche qui trattate e che non possono essere ricondotte a nessun sovrano.

24 Secondo la terminologia di Frankfort basata sugli scavi nella regione della Diyala. Frankfort,

H., 1936, Progress of the Work of the Oriental Institute in Iraq, 1934/1935. Fifth Preliminary Report of the Iraq Expedition, The Oriental Institute, Chicago.

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1.2.1 BASE CIRCOLARE

Descrizione. Sembra essere il documento più antico (fig. 7)25. È verosimil-mente una base per stendardi o altri oggetti votivi. Il soggetto regale sembra es-sere un individuo con i capelli lunghi, barbato, che tiene un bastone curvo nella mano destra ed un oggetto di difficile identificazione nell’altra. Sono effigiati altri personaggi che, tranne uno che stringe un bastone, sono sprovvisti di ves-silli e probabilmente rivestono incarichi minori.

1.2.2 FIGURE AUX PLUMES

Descrizione. È un frammento di stele in calcare che prende il nome dall’unico

personaggio raffigurato (fig. 8)26; questi è di rango reale, stante, barbato, con una gonna a rete e con due elementi vegetali27 sulla testa. È effigiato nell’atto

di prendere una di tre mazze monumentali. Sullo sfondo è incisa un’iscrizione recante il nome della divinità cittadina: Ningirsu. Il copricapo del personaggio è probabilmente la testimonianza più antica conosciuta di corona regale, la qua-le doveva essere indossata in occasioni particolarmente soqua-lenni qua-legate al culto di Ningirsu28. Nell’iscrizione è menzionata anche la dimora del dio, questa è stata identificata come il primo Eninnu da Parrot29.

25 Cenni bibliografici: Heuzey, L., 1899, Construction antérieure à Our-Nina, in Revue

d’assyriologie et d’archéologie orientale, 5/2, pp. 41-44. Braun Holzinger, 1991, p. 347. Mar-chetti, 2006, pp. 174-175, 179-180.

26 Cenni bibliografici: Heuzey, L., 1897, La costruction du roi Our-Nina. Notes

complémentai-res d’aprés les découvertes de M. de Sarzec, in Revue d’assyriologie et d’archéologie orien-tale, 4/4, pp. 110-111. Wilcke, 1995, 669-675. Marchetti, 2006, p. 60.

27 Moortgat, 1969, p.26; Invernizzi, 1992, vol. I, p. 263; Dolce, 1997; nello specifico si tratta di

spighe per Marchetti, 2006, p. 173.

28 Dolce, 1997.

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1.3 UR-NANŠE

Re di Lagaš subito dopo la metà del III millennio è ricordato per l’amministrazione del regno e per il commercio con l’estero; nei testi compare anche come privato impegnato in transazioni di compravendita di terre. Il re ci restituisce le prime testimonianze del trasporto del legname, per mezzo di navi, dal porto di Dilmun (Barhein).

1.3.1 PLACCHETTE DI UR-NANŠE

Descrizione. Una produzione tipica del periodo è quella delle placchette voti-ve: delle lastre di pietra di 30-40 cm per lato con un foro al centro30. L’interpretazione comune le colloca come oggetti da appendere al muro tramite chiodi piantati nel foro centrale, ma mai ritrovati in connessione. Due lastre vo-tive sono ascrivibili ad Ur-Nanše. La prima di esse (AO 2344, fig. 9) è divisa in due registri, in entrambi appare il re di dimensioni molto maggiori rispetto alle altre figure, con testa rasata, privo di barba e che indossa una gonna a ciocche. Nel registro superiore porta una cesta sulla testa di fronte ad una teoria di oran-ti, mentre nel registro inferiore è seduto davanti alla solita processione. La placchetta AO 2345 (fig. 10) illustra il sovrano con le stesse caratteristiche fisi-che di quella sopra citata, ma qui assume la posizione dell’orante, con le mani giunte. Il re è seguito da quattro personaggi di dimensioni inferiori alle sue, ma scolpiti nella stessa posizione; vi è anche un altro personaggio posto immedia-tamente alle spalle del re che sembra portare un oggetto di difficile interpreta-zione.

30 Cenni bibliografici: Heuzey, L., 1897, La costruction du roi Our-Nina. Notes

complémentai-res d’aprés les découvertes de M. de Sarzec, in Revue d’assyriologie et d’archéologie orien-tale, 4/4,pp. 103-104. Boese, J., 1971, Altmesopotamische Weihplatten. Eine sumerische Denk-malsgattung des 3. Jahrtausends v. Chr., de Gtuyter, Berlino-New York. Marchetti, 2006, pp. 61-62.

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fig. 7: base circolare, part., fig. 8: Figure aux plumes, da Marchetti, 2006, pl. XLIX, fig. 3. da Moortgat, 1969, pl. 30.

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fig. 10: placchetta AO 2345 di Ur-Nanše, da Moortgat, 1969, pl. 112.

1.4 EANNATUM

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Il re di Lagaš erige questa stele per celebrare la vittoria sulla rivale Umma. Al termine di una delle tante battaglie per il controllo di campi fertili (il

gu-edinna) Meilism di Kiš viene chiamato come arbitro della contesa, questi

stabi-lisce i confini ed erige una stele per rimarcarli. Questo monumento viene però abbattuto una volta riprese le ostilità da Uš re di Umma, che viene sconfitto da Eannatum. Il re di Lagaš commemora la pace restaurando la stele di Mesilim ed innalzandone un’altra propria ai confini del regno, di cui quella in nostro possesso è una copia poiché rinvenuta a Tello.

31 Si mantiene qui la lettura convenzionale del nome, letto da Marchesi come En’annâbtum:

Marchesi, G., 2004, Who Was Buried in the Royal Tombs of Ur? The Epigraphic and Textual Data, in Orientalia, 73, pp. 153-197; Marchesi, op. cit. (a n. 10).

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1.4.1 STELE DEGLI AVVOLTOI

Descrizione. I resti di questo monumento provengono da Tello, l’antica Girsu, il luogo originario di erezione. Entrambe le facce sono decorate con rilievi sul cui sfondo è incisa un’epigrafe.

Il lato anteriore (fig. 11)32 è diviso in due registri; quello superiore ha la maggiore altezza, così da evidenziare la preminenza di questo lato e del suo soggetto. Il rilievo è lacunoso, ma si distingue un personaggio di dimensioni molto maggiori rispetto alle figure che seguono, di cui restano solo piccoli frammenti. Il protagonista della scena ha prerogative regali, come la veste a ciocche che lascia scoperta una spalla e la lunga barba. Nella mano sinistra stringe l’Imdugud, l’aquila leontocefala simbolo del dio Ningirsu, divinità pro-tettrice di Girsu, al di sotto del quale è una rete contenente dei nemici catturati; nella destra tiene una mazza, simbolo del potere, con cui colpisce la testa di un prigioniero che sporge dalla rete. La figura rappresentata in questa scena è stata interpretata come il dio Ningirsu.

La raffigurazione inizia sulla ridotta parte laterale posta sulla destra del lato an-teriore per poi continuare sul lato posan-teriore. Questo è incompleto e diviso in quattro registri (fig. 12). I primi due dall’alto ospitano la riproduzione di una battaglia, di cui resta prevalentemente la parte sinistra. Il rilievo rappresenta una falange compatta di soldati che segue il re Eannatum; l’esercito nel primo registro è reso come un tutt’uno composto da una sequenza di teste allineate sopra una serie di scudi e di lance disposte orizzontalmente. Ai piedi dei soldati sono i corpi dei nemici uccisi. La scena di battaglia si svolge sotto il volo di uno stormo di avvoltoi che si librano nella lunetta tenendo in bocca alcune membra dei morti, scena che dà il nome alla stele. Nel secondo registro l’esercito è reso con la medesima iconografia, con l’aggiunta di una seconda

32 Cenni bibliografici: Heuzey, L., 1897, La costruction du roi Our-Nina. Notes

complémentai-res d’aprés les découvertes de M. de Sarzec, in Revue d’assyriologie et d’archéologie orien-tale, 4/4, pp. 106-107. Caubet, A., Bernus Taylor, M., 1991, Le Louvre: les antiquités orienta-les et islamiques, Scala, Parigi, p. 25. Marchetti, 2006, pp. 177-178.

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fila di soldati tenenti le lance in posizione verticale. Nel registro sottostante, te-stimoniato solamente da un piccolo frammento, è raffigurato il seppellimento dei caduti in battaglia al di sopra di un’ennesima scena di battaglia.

2. AKKAD

2.1 CENNI STORICI

Come già detto il periodo accadico ha inizio con Sargon (2335-227933), il quale dopo aver preso il potere a Kiš dà il via ad una politica espansionistica che si può ridurre in tre fasi fondamentali34. Nella prima si dirige verso sud, sconfigge Lugalzaggesi, re di Uruk, arrivando fino al Golfo Persico. Questa fa-se si conclude con la fondazione della capitale del futuro impero, Akkad, il quale luogo di edificazione è tuttora sconosciuto.

Nella seconda fase della sua politica, Sargon si dirige verso nord dove riceve l’assoggettamento del “paese alto” fino alla “foresta dei cedri” e alle “monta-gne d’argento”35. Questa seconda fase è caratterizzata anche da un assestamen-to commerciale del regno. Al porassestamen-to fluviale di Akkad attraccano navi prove-nienti da regioni lontane: Dilmun (Barhein), Magan (Oman), e Melu²²a (Valle dell’Indo).

L’ultima fase politica è caratterizzata dall’inevitabile scontro con l’Elam, che è egemone su tutta la zona sud-occidentale dell’altopiano iranico. Quest’ultimo ne esce vittorioso, ma la situazione geo-politica non cambia.

La scomparsa di Sargon provoca l’insurrezione delle città sumeriche ed è il primogenito nonché nuovo re, Rīmuš (2279-2270), che deve sedare le rivolte. Tra queste una prima, di Ur, Lagaš e Umma; ed una seconda, dietro la quale si

33 Le datazioni riferite agli anni di regno, per tutta la dinastia, provengono dalla Lista reale

su-merica.

34 Liverani, 1988, pp. 232-236.

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intuisce l’appoggio elamita. Una volta domate le rivolte, Rīmuš attacca diret-tamente la coalizione Elam-Barakhshi-Zakhara uscendone vincitore, ma senza cogliere un successo rilevante. Alla morte di Rīmuš sale al trono il fratello Ma-ništūsu (2270-2255). Questi si impegna in una spedizione oltre il “mare inferio-re” (il Golfo Persico) fino ad arrivare alle miniere d’argento e alla montagna della “pietra nera”36 questa spedizione aveva lo scopo di impossessarsi di Ma-gan.

Dopo Maništūsu prende il potere l’altro grande esponente della dinastia ac-cadica dopo Sargon, suo nipote Narām-Sîn (2255-2218) con cui l’impero tocca l’apice. Il nuovo re dirige le sue mire espansionistiche verso nord così da rea-lizzare quel dominio da “mare a mare” tanto voluto dal nonno. In un primo momento della sua espansione, Narām-Sîn, arriva nella città di Tal²at, in alta Mesopotamia. In un secondo tempo distrugge la città di Ebla, evento che gli dà il controllo completo fino al mar Mediterraneo. Redige un trattato con l’Elam, dopodiché Susa accetta un governatore accadico. Durante il regno di Narām-Sîn vi è una rivolta (detta convenzionalmente la “Grande Rivolta”) di una coa-lizione costituita, fra gli altri, dai re di Kiš e di Uruk, e dall’ensi di Nippur37. Il

re placa questa rivolta con “nove battaglie in un anno”. Douglas Frayne38

asse-risce che proprio dopo aver sedato questa rivolta il re sia stato deificato. Questa teoria è supportata dall’iscrizione sulla statua ritrovata a Bāsetkī39, nella quale è scritto, per la prima volta, il nome del re con l’attributo divino ed anche la co-struzione di un tempio in suo onore ad Akkad. Non è chiaro se la divinizzazio-ne del re fosse parte di una ricostruziodivinizzazio-ne della figura regale o fosse un gesto per rafforzare il potere centrale in seguito alla crisi del regno40.

36 La diorite è la pietra che nel periodo accadico connota le sculture reali e che verrà usata

an-che in seguito, soprattutto da Gudea di Lagaš.

37 Questo evento ci è noto dalle tavolette degli scribi della prima dinastia di Babilonia. Mario

Liverani sostiene che questa “grande ribellione” sia un anacronismo creato dagli stessi scribi: Liverani, 1993.

38 Frayne, 1993, p. 84.

39 Frayne, 1993, p. 113. Si veda anche Invernizzi, 1992, vol. I pp. 336-344 e tavv. 59-61. 40 Michalowski, op. cit. (a n. 8).

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Dopo Narām-Sîn l’impero inizia a ridimensionarsi, il nuovo re è Šar-kali-šarrī (2218-2193), il quale non aspire allo status di divinità. Purtroppo non ab-biamo iscrizioni storiche, ma le formule di datazione lo mostrano attivo contro l’Elam e contro Martu. Dopo Šar-kali-šarrī non abbiamo più notizie dirette, le uniche che abbiamo sono desunte dalla Lista Reale Sumerica, che pone dopo l’ultimo re, un periodo di confusione di circa due anni, durante il quale regnano quattro re. Al termine vi è il regno di Dudu (2190-2169) del quale non abbiamo notizie. L’ultimo nome che ci fornisce la Lista Reale è quello del figlio di Du-du, Šū-Turul, che regna fino alla fine del regno avvenuta nel 2154 a.C. a causa delle invasioni di una popolazione proveniente dai monti Zagros, i Gutei.

Le opere più eloquenti, riguardanti la regalità, di questo periodo storico so-no le stele. Queste soso-no solamente sei ed incomplete, ascritte unicamente a quattro sovrani: Sargon, Rīmuš, Maništūsu e Narām-Sîn.

Le stele avevano un grande valore ideologico nell’antichità, non solo per gli accadi ma per tutti gli altri popoli, basti pensare che le stele di Sargon, di Ma-ništūsu e di Narām-Sîn nel XII secolo a.C. furono trasportate, come bottino di guerra, a Susa dove furono poi portate alla luce da scavi francesi. Per meglio comprendere l’importanza che avevano basti pensare che le iscrizioni delle ste-le venivano copiate su tavoste-lette d’argilla dagli allievi della scuola per scribi al tempo della prima dinastia di Babilonia. Queste copie ci hanno permesso di conoscere anche le opere perdute.

2.2 SARGON

È l’uomo nuovo, il fondatore e primo re della dinastia. A Sargon sono state attribuite due stele-cippo che erano probabilmente esposte nel cortile del tem-pio di Enlil a Nippur. Riportate alla luce sull’acropoli di Susa dagli scavi di

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Jacques De Morgan41 all’inizio del ’900 celebrano le gesta del sovrano. At-tualmente sono entrambe conservate al museo del Louvre.

2.2.1 LA STELE DI IŠTAR

Descrizione. È la più antica testimonianza del rilievo reale accadico (fig. 13)42. È un frammento in diorite riconducibile ad una stele ogivale a sezione ellittica di cui manca la maggior parte. La forma della stele la rende quasi bi-fronte. Questa è stata inizialmente ed erroneamente identificata come una parte della stele Sb1.

Vi è raffigurato un personaggio che tiene con la mano sinistra una rete con set-te nemici catturati e con la mano destra colpisce, con una mazza, la set-testa di uno di essi che sporge dalla rete. Il personaggio in questione è mutilo, mancano in-fatti la testa e gran parte del busto; indossa una veste a ciocche, che copre una sola spalla. La stessa veste si ritrova nella stele Sb1 dove è effigiato Sargon. È stato possibile, coadiuvati dall’iscrizione incisa sulla stele stessa, riconoscere, nel soggetto che tiene la rete con i nemici e colpisce il capo di questi, proprio Sargon. Questo tipo di iconografia è propria del periodo protodinastico, come si vedrà più avanti.

Rispetto questo periodo viene abbandonata l’immagine del vincitore che cam-peggia sugli avversari morti: i nemici assumono un atteggiamento del tutto nuovo nei confronti del trionfatore, essi sono ordinatamente seduti l’uno accan-to all’altro con le braccia protese. In quesaccan-to modo il sovrano fornisce due chia-vi di lettura a seconda dell’osservatore. Nel caso si tratti di un nemico, Sargon promette di salvare la vita a chi si sottometterà, il gesto delle braccia protese

41 Fondatore della Délégation en Perse che‚ a partire dal 1897‚ ha condotto l’esplorazione

si-stematica di Susa: Amiet, 1971-1994.

42 Cenni bibliografici: Hansen, D. P., 1975, Frühsumerische und früdynastische Flachbildkunst,

in Orthmann, W., (ed.), Der Alte Orient, Propyläen, Berlino, pp. 179-183. Börker-Klähn, op. cit. (a n. 18), p. 18. Nigro, 1998.

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dei nemici rappresenta questa sottomissione. Nigro43 ipotizza che nel caso in cui gli osservatori siano accadi, il sovrano sembra affermare che sarà in grado di provvedere alla forza lavoro per i suoi sudditi, grazie alle sue vittorie, poiché gli sconfitti venivano utilizzati come schiavi nei campi.

Prendiamo ora in esame il sovrano nemico: questi sporge la testa dalla rete e viene colpito da Sargon. Sono molti gli elementi che fanno ricondurre questa figura a quella di un sovrano: le sue dimensioni sono molto maggiori rispetto agli altri vinti, porta i capelli lunghi e una fluente barba a riccioli. Entrambi so-no segni distintivi della regalità, come si evince dal confronto con la stele di Rīmuš44. Nell’iscrizione dedicatoria è menzionato Ilaba45, è con la mazza di questo dio che il sovrano sconfigge i cinquanta ensi. Le iscrizioni nelle quali compare il dio Ilaba hanno come oggetto principale la vittoria su Lugalzagesi, re di Uruk. A fronte di tutto ciò si può affermare che la stele risalga alla prima fase del regno, che celebri la vittoria su Uruk e che il personaggio colpito sia Lugalzagesi46.

La presenza di un registro scolpito al di sotto della scena conservata è testimo-niata sia dalla conformazione del bordo inferiore che delimita la rappresenta-zione, sia dai resti della testa di un personaggio, presumibilmente un nemico, a giudicare dalla capigliatura simile agli uomini all’interno della rete.

La suddivisione in registri è, di solito, riconducibile ad un intento narrativo, in questo caso, culminante con la scena rimasta.

Dalla parte opposta della stele vi è una divinità assisa, della quale rimangono solo il piedistallo del trono, parte delle gambe, la mano destra protesa e, in prossimità della frattura, tre raggi ondulati, il più basso dei quali terminante con una testa di mazza. Grazie a quest’ultimo particolare Anton Moortgat47 ha

43 Nigro, 1997, p. 351-392.

44 Si veda il paragrafo 3 del presente capitolo relativo alle opere di questo sovrano. 45 Per un approfondimento a proposito del nome si veda il paragrafo successivo relativo

all’iscrizione.

46 Nigro, op. cit. (a n. 43). 47 Moortgat, 1969.

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identificato questa figura con Ištar, la dea guerriera protettrice della dinastia accadica, rappresentata secondo un’iconografia attestata nella glittica48.

Iscrizione. L’iscrizione inerente a questa stele è poco conservata e posta sopra la spalla di Sargon. La trascrizione successiva è di Ignace Gelb e Burkhart Kie-nast49. lacuna 1') œùŸ œdŸA-ba4 3') SU³UŠ-¿u lacuna Note:

œdŸA-ba4 è una delle divinità patrone della dinastia accadica, rappresen-ta la divinità personale di Sargon, ma, a giudicare dalle iscrizioni solo per la prima parte del regno, poi sostituito da Ištar. Roberts50 suggerisce la traslittera-zione Ilaba, mentre Gelb e Kienast51 forniscono la traduzione Abā intendendo il suffisso DINGIR predeterminativo divino.

2.2.2 LA STELE SB1

Descrizione. È detta anche stele della battaglia52, è la seconda stele attribuita a Sargon e proviene dallo stesso contesto archeologico della prima53. è un

48 Boehmer, R.M., 1965, Die Entwicklung der Glyptik während der Akkad Zeit, tavv. XXVI:

299-300; XXIX: 352; XXXI: 376; XXXII: 377, 382, 384. Berlin.

49 Gelb-Kienast, 1990, pp. 125-126.

50 Roberts, J. J., 1972, The earliest semitic pantheon. 51 Gelb-Kienast, 1990, pp. 169.

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lelepipedo in gabbro olivastro che presenta almeno due registri. Le raffigura-zioni rimaste coprono solamente tre facce, di cui una piatta e le altre due leg-germente curve. L’insieme doveva avere la forma di un cilindro irregolare, o forse piramidale54; la conformazione della sommità è ignota. Per una migliore analisi verrà presa in considerazione una faccia alla volta. Verrà utilizzata la divisione in facce operata da Nigro55.

Faccia B: registro inferiore (fig. 14). Il registro più basso mostra alcuni

personaggi che marciano verso la sinistra dell’osservatore. Di fronte alla figura che guida questo corteo notiamo una breve iscrizione che recita: “Sargon, il

re”. Questi indossa una veste a ciocche di lana che copre una sola spalla56, ha i capelli raccolti in uno chignon, una lunga barba e tiene in mano una mazza (simbolo della forza e del rango del sovrano). La persona che segue il re regge un parasole ed è coperto da una larga sciarpa. La sua appartenenza ad un rango sociale più basso rispetto a quello del sovrano è sottolineata dalle sue dimen-sioni minori. Questo provoca, però, una disarmonia del sistema compositivo che viene compensata con il parasole come pure con le armi dei due dignitari57

che seguono. Ognuno di essi porta sulla spalla sinistra una lunga ascia cerimo-niale a lama ricurva58, indossano una gonna a pieghe verticali ed un piccolo mantello che copre la spalla sinistra. I due personaggi sono imberbi, con una pettinatura a “caschetto” terminante con riccioli59.

registro superiore. Il registro sovrastante della faccia B è mancante della

metà superiore, ma vi è distinguibile una sequenza di personaggi incedenti ver-so sinistra. Nelle prime sette figure, per via della loro nudità, ver-sono identificabili 53 Cenni bibliografici: Hansen, D. P., 1975, Frühsumerische und früdynastische Flachbildkunst,

in Orthmann, W., (ed.), Der Alte Orient, Propyläen, Berlino, pp. 179-183. Börker-Klähn, op. cit. (a n. 18), p. 18. Nigro, 1998.

54 Amiet, 1976, pp. 9-10. 55 Nigro, op. cit. (a n. 42).

56 La veste del sovrano è del tutto simile a quella raffigurata nella stele di Ištar. 57 Nigro, op. cit. (a n. 42).

58 Questa tipologia di ascia ci è già nota da rilievi provenienti dal palazzo sumerico di Kiš:

Langdon, S. H., 1924, Excavation at Kiš, tav. XXXVI.

59 Nell’iconografia accadica questa è la pettinatura caratteristica dell’inizio del regno: Amiet,

(20)
(21)

dei prigionieri seguiti da un fante accadico, riconoscibile dagli arti inferiori no-tevolmente più grandi degli altri.

Faccia C: registro inferiore (fig. 15). Qui è rappresentato il secondo tema della

stele, la descrizione della battaglia. Il registro inferiore è più piccolo per lascia-re posto ad un’iscrizione che riporta una maledizione. Vi è riprodotto il luogo di combattimento, al termine della battaglia, con i corpi esanimi ed oltraggiati dei vinti, straziati da avvoltoi e cani domestici intenti a divorarne le carni. Il tema è trattato “realisticamente”60 e minuziosamente possibile con avvoltoi ri-prodotti in varie posizioni di volo e con l’aggiunta di dettagli cruenti, come l’avvoltoio sulla sinistra che strappa pezzi di membra o quello di destra che si invola con una gamba nel becco. Questa era dunque la sorte per chi non si sot-tometteva al re accadico.

registro superiore. Il registro posto sopra viene a mancare della metà

supe-riore. Qui i personaggi procedono verso destra, cioè in senso opposto rispetto alle figure della faccia B. La scena è resa dalle rappresentazioni di coppie com-poste, rispettivamente, di un fante accadico e un vinto. Gli accadi sono ricono-scibili dalle dimensioni degli arti e sono sempre riprodotti nella stessa posizio-ne, al contrario i nemici sono ritratti in attitudini differenti. Nella prima coppia un soldato accadico infilza il nemico con una lancia e questo, caduto a terra, tenta di estrarre l’arma. La seconda figura di vinto, parzialmente abrasa, è se-duta, con le gambe piegate davanti a sé e trattenuto dall’alto probabilmente per le braccia. Nella terza coppia il nemico è schiacciato a terra e trattenuto da un bastone sul collo mentre un soldato lo tira per le braccia. Di questo soldato è visibile la veste, una stola frangiata distintiva degli ufficiali.

Della quarta coppia rimangono solo le gambe del soldato accadico. Il concate-narsi di questi personaggi non sembra avere un intento narrativo, dal momento

60 Il realismo è ottenuto raffigurando gli elementi lontani in dimensioni minori, così da ottenere

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che le varie coppie non sono disposte in una sequenza temporale, vi è invece la volontà di descrivere la battaglia riassunta dalle coppie sopra descritte.

Faccia A: registro inferiore (fig. 16). è posta tra le due facce descritte che si

trovano su lati opposti. Vi è rappresentata la continuazione delle facce viste prima; il registro inferiore mostra tre dignitari con le stesse caratteristiche e le medesime funzioni di quelli raffigurati nel registro inferiore della faccia B.

registro superiore. Il registro superiore presenta due coppie simili a quelle

del registro superiore della faccia C. Nella prima coppia il nemico è inginoc-chiato con le mani legate dietro la schiena e sembra essere trattenuto dalle spal-le. Nella seconda il vinto è stante.

Questa stele rappresenta l’inesorabile avanzata dell’esercito accadico e l’orribile sorte in cui incorrono i nemici che osano opporsi all’impero. Il sovra-no sembra esprimere così un concetto immediato e semplice: “chi mi seguirà avrà parte al mio successo”61.

Iscrizione. L’epigrafe appartenente a questa stele si svolge su due dei tre lati ed è posizionata sotto le immagini appena descritte.

La seguente traslitterazione è di Gelb e Kienast62. Lato A Col. I lacuna 1') [….] œk iŸ 2') [in] KAS.ŠUDUN 3') [SAG.G]IŠ.RAn i 4') [….] (Sargon,) la città …. in battaglia ha conquistato, …. 61 Nigro, op. cit. (a n. 43).

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Col. II lacuna 1') [SU³UŠ-¿u] 2') [li-¿u]-œ²aŸ 3') ù 4') ŠE.NUMUN-sú 5') li-il-qù-tá Lato C 1) šar-ru-GI / Lugal

(I due dèi) le sue radici possano strappare via e il suo seme estirpare. Sargon, il re. Note:

I, 1') l’integrazione fatta si basa su copie63.

2') Francesco Pomponio legge KAS.UŠTIL64 mentre Miguel Civil

inter-preta KAS.ŠUDUN65.

II, 1') i due dèi sono identificabili in Enlil e Šamaš, questa interpretazione è possibile in base ad altre iscrizioni66.

2.3 RĪMUŠ

L’unica testimonianza di rilievo reale che ci è pervenuta, riguardante que-sto sovrano, proviene dagli scavi di Ernest de Sarzec67 a Tello. Al momento questo monumento è custodito al Louvre.

63 Gelb-Kienast, 1990,iscrizioni C3 e C4 p. 284.

64 Pomponio, F., 1983,The Meaning of the Term UŠTIL in the Ebla documents, in ArOr 51. 65 Civil, M., 1984, Bilingualism in Logographically Written Languages: Sumerian in Ebla, in

Cagni, L., ed., Il bilinguismo a Ebla. Atti del convegno internazionale (Napoli, 19-22 aprile 1982). Napoli.

66 Gelb-Kienast, 1990,iscrizioni C4 p. 284, C5 pp. 284-286, C6 pp. 286-291, C7 pp. 291-292. 67 Vice-console della Francia a Bassora nel 1877: Bisi‚ 1966.

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2.3.1 LA STELE DI RĪMUŠ

Descrizione. È un frammento in calcare di forma triangolare scolpito su en-trambi i lati68. La frattura è in corrispondenza dell’inizio della curvatura della sommità; supponendo che questa descrivesse un arco a tutto sesto, si è dedotta la larghezza di 0,9 m per la base della stele. Applicando il rapporto base-altezza delle stele di Eannatum e di Gudea, le più vicine per forma, possiamo immaginare un’altezza corrispondente a 1,20 m69. è il primo esempio di stele piatta con sommità centinata noto per l’arte accadica. Vi è celebrata un’impresa militare ripartita in registri, di cui ne restano soltanto tre, corrispondenti per al-tezza su entrambe le facce. I personaggi descritti si muovono dall’esterno verso l’interno, per una più facile analisi le figure verranno presentate seguendo il senso del loro movimento. Al di sopra del registro superiore doveva esserci un’unica scena occupante tutta la lunetta, forse riservata alla rappresentazione di una divinità o all’esaltazione del sovrano70. Il contrasto tra volume alto dei

personaggi e lo sfondo, perfettamente piatto, conferisce al rilievo un effetto ag-gettante. L’opera è danneggiata in più punti e spesso in corrispondenza dei vol-ti o delle braccia degli accadi. Questa condizione può essere casuale o dovuta ad un danneggiamento volontario come una sorta di damnatio memoriae.

Faccia A: registro superiore (fig. 17). La prima figura sulla sinistra è un

arciere probabilmente appartenente ai corpi scelti, che rappresentavano una delle armi più efficaci dell’esercito71. L’arciere brandisce nella mano destra una lunga freccia e porta sulle spalle una faretra altrettanto lunga, dalla quale pende una nappa lanceolata attaccata ad un pomo72. Sebbene la figura sia

68 Cenni bibliografici: Amiet, 1976, pp. 25-26. Börker-Klähn, op. cit. (a n. 18), p. 7. Nigro,

2001-2003.

69 Nigro, 2001-2003, pp. 72-93. 70 Nigro, op. cit. (a n. 69).

71 Questa è la prima volta che l’arco viene rappresentato in battaglia. Le raffigurazioni

prece-denti risalgono al Tardo Uruk in cui appariva quest’arma solo in scene di caccia. La diffusione dall’arco come arma da battaglia si data proprio a questo periodo. Considerando che gli eserciti si scontravano appiedati, quest’arma assumeva un ruolo decisivo in guerra.

(27)

zialmente abrasa è possibile vedere l’arco stretto nella mano sinistra e piegato sul torace, in quella che diverrà la classica iconografia dell’arciere marciante. Anche il secondo personaggio è un arciere, conservato fino alle spalle con no-tevoli abrasioni; porta nella mano destra la coda di una freccia e nella sinistra l’arco, in un atteggiamento che precede l’attacco. La veste è annodata sul fian-co e il lembo fian-copre la gamba incedente. Prima della frattura si distingue un ter-zo personaggio di cui è rimasta solo la parte inferiore della gamba destra, men-tre sullo sfondo è raffigurata un’altra gamba destra, probabilmente di un nemi-co ucciso.

secondo registro. Presenta la raffigurazione della battaglia secondo il

prin-cipio di composizione sviluppato nella stele Sb1 di Sargon: è resa, cioè, dallo scontro di coppie di soldati. Il primo personaggio sulla sinistra è un arciere nell’atto di scoccare una freccia, rovinato nel volto, nelle braccia e nell’arco, che occupa l’intera altezza del registro. Porta un elmo a punta, tipico dei com-battenti accadici, e indossa una veste a ciocche ondulate. Ai suoi piedi c’è un nemico con la tipica capigliatura del periodo sargonico e con la mano davanti al volto, forse nell’atto di chiedere pietà73. Questi elementi hanno spinto Amiet

ad identificare la figura dell’arciere con un dignitario74, mentre esortano Nigro

a ritenerla del sovrano75.

La seconda coppia è costituita da un ufficiale accadico nell’atto di giustiziare un nemico che viene trattenuto per la barba. L’ufficiale indossa un elmo a pun-ta ed è cinto da una lunga stola fermapun-ta in vipun-ta da una cintura; quespun-ta veste è ri-conducibile agli abiti degli uomini del registro superiore della faccia C della stele della battaglia. Nella mano destra brandisce una mazza mentre con la sini-stra trattiene il nemico per la lunga barba. Il braccio sinistro è piegato ad ango-lo retto con il gomito rivolto verso l’alto. Il vinto si erge di fronte all’accade as

73 Amiet, 1976, pp. 25-27.

74 Amiet, op. cit. (a n. 72). 75 Nigro, op. cit. (a n. 69).

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(29)

sumendo i tratti dell’iconografia classica del vinto, come la nudità e la capiglia-tura a “caschetto”. Questi ha le braccia abbassate con i palmi rivolti verso l’alto, forse in segno di resa.

A destra, poco prima della rottura, è possibile riconoscere un terzo ufficiale ac-cadico che incede calpestando un nemico, di cui rimangono le gambe piegate.

terzo registro. Vi è rappresentato un ufficiale che spinge verso il basso una

lancia, con la quale probabilmente trafigge un nemico a terra. L’ufficiale è ri-conoscibile dalla stola e dall’elmo a punta che indossa. Verso il centro si nota un braccio alzato che impugna un’ascia. L’ultimo elemento che si evince è una mano che stringe l’asta di una lancia, riprendendo così lo schema della prima figura del registro.

Faccia B: registro superiore (fig. 18). Mostra la parte inferiore di due

sol-dati. Il primo è armato con un’ascia a lama rettangolare di tipo a banderuola76. Il braccio reggente l’arma è arcuato, caratteristica dei soldati in marcia. Del se-condo soldato è impossibile dire, a causa delle abrasioni, a quale corpo appar-tenga, poiché non è eseguibile un’analisi dell’armamento e del vestiario.

secondo registro. è occupato dalla scena che sembra essere quella più

im-portante della faccia B, se non addirittura della stele stessa77. Il primo

perso-naggio delineato è un soldato, le cui caratteristiche sono simili ai combattenti della faccia A. Questi tiene una lancia in verticale, che irrompe nel registro su-periore tagliando il listello divisorio. Il soldato conduce di fronte a sé un nemi-co nudo nemi-con l’acnemi-conciatura a “caschetto” e la barba triangolare.

La figura che segue è ricondotta a quella di un sovrano. Costui è di dimensioni maggiori rispetto agli altri ed indossa una veste legata in vita ed un elmo a pun-ta con paranuca che scende sulle spalle, un abbigliamento simile a quello adot-tato da Narām-Sîn nella Stele della Vittoria78. Inoltre, dal profilo eroso della figura, si evince una lunga barba appuntita leggermente arcuata, simile alla

76 È il medesimo tipo d’ascia riportato sulla faccia A. 77 Nigro, op. cit. (a n. 69).

(30)

sta regale in rame proveniente da Ninive. Il re tiene un’ascia stretta al petto con la mano sinistra; invece con la destra stringe una mazza piriforme79, con cui colpisce, mentre calpesta, la fronte del capo dei nemici80. Il sovrano vinto ha il volto roso, ma si notano una barba fluente e dei lunghi capelli che scendono fi-no alle spalle. Questo particolare è degfi-no di fi-nota: siccome i capelli raccolti in uno chignon erano distintivi del rango reale, la perdita di questo in battaglia equivaleva alla perdita della regalità. Quindi l’iconografia del vinto con la chioma fluente assume una grande importanza sottolineando, così, che il nemi-co snemi-confitto è un re. Il sovrano in questione rivolge a Rīmuš l’ultimo gesto di supplica, rappresentato dalle braccia levate e parallele. Benjamin Foster ipotiz-za che il sovrano raffigurato sia l’ensi di Lagaš, Kiba-id, sconfitto da Rīmuš nella sua prima campagna militare81. Lorenzo Nigro dissente da questa ipotesi basandosi sul fatto che il vinto è rappresentato come un re e non come un

en-si82 e propone un altro nome, quello di Kakug re di Ur, colui che guidò la rivol-ta alla morte di Sargon.

terzo registro. Vi si distingue solamente una testa di un ufficiale accadico

privo di elmo.

Seguendo l’interpretazione di Nigro83, nella stele di Rīmuš è possibile

distin-guere due diverse figure di capi nemici, da un lato gli ensi o i capi tribù sumeri, con acconciatura a “caschetto” e barba triangolare, dall’altro un vero e proprio re con lunga barba e lunghi capelli sciolti. Il re celebra così una sorta di duplice vittoria.

Iscrizione. L’epigrafe inerente questo monumento è andata perduta. Non sono

note neanche le copie di periodo paleo-babilonese. Tuttavia Benjamin Foster84 79 In ambito protodinastico questa tipologia di arma era utilizzata dagli dèi combattenti. 80 Lo schema del re vittorioso che calpesta il nemico sarà scelto come icona della vittoria

nell’arte mesopotamica. Questo modello viene adottato e rielaborato anche da Narām-Sîn.

81 Foster, 1985, pp. 15-30. 82 Nigro, op. cit. (a n. 69). 83 Nigro, op. cit. (a n. 69). 84 Foster, op. cit. (a n. 81).

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(32)

attribuisce a questa stele un frammento iscritto conservato all’università di Ya-le a New Heaven

.

2.4 NARĀM-SÎN

2.4.1 LA STELE DELLA VITTORIA

Eretta inizialmente a Sippar è stata portata a Susa nel XII secolo insieme al-le steal-le di Sargon; oggi conservata al museo del Louvre. Pierre Amiet ne dà una definizione stilistica ben precisa affermando che questo monumento non marca solamente l’apogeo dell’are di Akkad, ma annuncia lo sviluppo ulteriore dell’arte mesopotamica85.

Descrizione. È una stele a lunetta in calcare rosa alta circa 2 m mancante solo della parte superiore sinistra (fig. 19)86. Ha una forma triangolare i cui lati, ver-so la metà, si inclinano maggiormente terminando in una ver-sommità ad arco ri-bassato. Scolpita su un solo lato è caratterizzata da uno schema sprovvisto di registri. Questa privazione è sopperita da un’accurata gestione dello spazio fi-gurativo che risulta data da un’ordinata disposizione dei personaggi e da uno schema geometrico. Ciò è mirato a sostenere ed indirizzare tutto l’impianto fi-gurativo, e lo sguardo dell’osservatore, verso il re. Il campo figurativo è diviso in vari livelli obliqui evidenziati da una sorta di gradini che gli stessi personag-gi suggeriscono con la loro disposizione. Nigro distingue due categorie di piani di rappresentazione: i piani d’appoggio delle figure che coincidono con i piano-ri in cui è suddiviso il cpiano-rinale della montagna, che chiama piani e le figure

85 Amiet, 1976, pp. 29-32.

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se, che chiama livelli di rappresentazione87; per facilitare l’analisi verrà adotta-ta quesadotta-ta divisione.

La scena si svolge lungo il crinale di una montagna, dove marciano i sol-dati, e termina con l’apoteosi del re. Attraverso l’analisi delle immagini è pos-sibile dividere i soldati in due corpi. Il primo è quello di coloro che sono in te-sta ad ogni manipolo, con una lunga barba triangolare ed un gonnellino fin so-pra le ginocchia; il secondo gruppo invece è formato da soldati imberbi ed ab-bigliati con una gonna lunga fino alle caviglie88. Gli uni e gli altri portano un elmo a calotta e sono raffigurati nell’atto della marcia, cioè con il braccio ante-riore (in questo caso il sinistro) portato al busto e quello posteante-riore lasciato in-dietro leggermente arcuato. Tutti i combattenti, tranne l’arciere, tengono in mano un’ascia a lama stretta. Per la prima volta gli occhi dei personaggi sono raffigurati perfettamente di profilo.

L’analisi verrà effettuata partendo dal basso, che risulta ampiamente eroso. Sull’estrema destra di un mancante piano 0 appare il busto di un vinto che si porta le braccia alla testa. Al di sopra, da sinistra, si evince una testa barbata, probabilmente di un soldato. Di seguito si nota una figura armata di lancia mancante della parte inferiore delle gambe e ascrivibile ad un guerriero mar-ciante, ricostruibile in relazione con gli altri, ed un albero. All’estremità del monumento, più in alto rispetto alle figure descritte, compare un vinto con lo sguardo e il braccio destro rivolti al sovrano.

Più in alto è scolpito il secondo piano che si sviluppa da un lato all’altro della stele, con andamento obliquo a gradini89. È rappresentata una fila di tre soldati nell’atto di salire gli scalini, il secondo dei quali è armato di una lancia. Sotto il piede del primo si nota un nemico nudo e acefalo disteso supino su un piano inclinato. Dopo viene la figura di un arciere marciante. Segue la rappresenta-zione di un albero simile a quello sopra descritto. L’ultima rappresentarappresenta-zione

87 Nigro, 1992, pp. 61-99. 88 Amiet, op. cit. (a n. 84).

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del piano, più in alto, è quella di un vinto con la lancia spezzata che ha la mano destra davanti alla bocca e gli occhi verso il re. Il piano superiore ha il mede-simo andamento di quello appena descritto. Vi sono due soldati che portano in mano un’asta con un’insegna o una banderuola: la prima formata da cinque di-schi o globi e la seconda sormontata da un leone alato90. Segue un combattente barbuto armato di lancia. Di fronte a loro c’è un vinto che precipita a testa in giù dalla cima della montagna. In corrispondenza di questo è rappresentato un groviglio di due corpi i cui arti sono attratti verso il basso dalla forza di gravità. Sul piano sovrastante la linea del terreno è simile a quella già detta. Vi è posta la figura divinizzata di Narām-Sîn che indossa una stola pieghettata annodata-sulla cintura e un gonnellino il cui lembo cade tra le gambe. Il re porta una col-lana costituita da una striscia abbastanza larga decorata con linee ondulate al quale è appeso un anello ovale e un braccialetto al polso. Il re calza un paio di sandali usati per la marce in montagna, tiene un grande arco stretto al torace con la mano sinistra e con il medesimo avambraccio stringe un’ascia con l’estremità del manico a punta. L’altro braccio è lasciato lungo il corpo leg-germente arcuato, con questo tiene una lunga freccia. Una larga banda sembra corrispondere ad una tracolla destinata a portare una faretra posta dietro il bu-sto91. Il viso è eroso, ma si distinguono una lunga barba triangolare e i capelli

lunghi, che non sono raccolti in uno chignon. Il re porta un elmo conico con paranuca in cuoio92 fregiato di un paio di corna, scolpite frontalmente, distinti-ve delle divinità. Di fronte al sovrano c’è la figura di un nemico a terra colpito al collo da una freccia e che tenta di estrarla. Chiude la rappresentazione un vinto che implora pietà ai piedi di un alto picco. Tutti i nemici portano uno strano copricapo che ha spinto Amiet ad ipotizzare una sorta di berretto aderen-te93.

90 Amiet, op. cit. (a n. 84).

91 Amiet, op. cit. (a n. 84).

92 Questa tipologia di elmo ci è nota dalla stele di Rimuš. 93 Amiet, op. cit. (a n. 84).

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Al di sopra della cima si riconoscono tre simboli divini che interpretano il fa-vore delle divinità, consentendo al sovrano di porsi come garante della legitti-mità religiosa.

Il paesaggio descritto è ascrivibile ai monti Zagros, i due alberi scolpiti evoca-no una foresta posta sul crinale di una montagna.

Iscrizione. L’iscrizione dedicatoria è posizionata sulla parete del picco posto di fronte al re sul lato destro della stele.

Per la traduzione si segue ancora Gelb e Kienast94. Col. I 1) d[na-r]a-am- dEN.ZU 2) da-núm lacuna 12) a-[….] 13) ¿i-DUR-[x] 14) ¿a-dú-ì 15) lu-lu-bi-i[mk i] 16) ip-²u-ru-[nim-ma] Col. II 1) KAS.œšudunŸ 2) im-[x]-œidŸ-[x] 3) œxŸ-na [….] lacuna 13) œ¿aŸ-[….] Col. III 1) œxŸ-[x-U]G 2) [….] œxŸ ŠÈ [….] ZU Nar¡m-Sîn, il potente, …. …. si hanno sulle montagne dei Lullubi radunò e la battaglia …. …. …. …. …. 94Gelb-Kienast, 1990, pp. 90-91.

(37)

4) [a-na] 5) [dGN] 6) A.œMU.RUŸ alla dea ND dedicato.

La maledizione è un elemento ricorrente nelle iscrizioni accadiche, in questo caso è mancante a causa delle abrasioni.

2.4.2 LA STELE DA PIR HUSEÏN

Proviene dall’area su cui è stata originariamente eretta corrispondente al moderno villaggio di Pir Huseïn (a circa 25 km a nord di Diyarbakir), dove è stata innalzata per celebrare una vittoria ottenuta durante l’espansione del re-gno nella regione di Šimānum, poco prima della “Grande Rivolta”. La forma del monumento e la fattezza della parte posteriore suggeriscono che sia stato collocato in un muro di una costruzione eretta dal sovrano stesso95. Attualmen-te è custodita all’Arkeoloji Müzeleri di Istanbul.

Descrizione. È un frammento in basalto di stele centinata elevata per celebrare il sovrano, l’unico personaggio rappresentato, occupante circa la metà della su-perficie (fig. 20)96. Il frammento conservato presenta solamente la parte supe-riore del corpo del re, il quale è raffigurato di profilo ed alle sue spalle ha anco-ra il bordo della stele, da cui è stato possibile fare una ricostruzione. Narām-Sîn porta un copricapo conico a bande orizzontali, di cui fa parte presumibilmente la doppia striscia piatta che cinge la fronte. Al di sotto una treccia di capelli av-volge la testa del sovrano; la parte posteriore della pettinatura è mancante, ma è possibile ipotizzare che i capelli siano raccolti in un alto chignon sopra la nu-ca97. Il re porta una barba lunga fino al petto definita da file di ciocche verticali

95 Bänder, 1995, pp. 156-159.

96 Cenni bibliografici: Amiet, 1976, p. 31. Bänder, 1995, pp. 156-159. 97 Bänder, op. cit. (a n. 94).

(38)

ordinatamente sovrapposte e terminante a punta. L’occhio è rappresentato per-fettamente di profilo, le palpebre sono elaborate e regolari; l’incavo che delinea la palpebra inferiore è più profondo degli altri. Il sovrano indossa una veste a ciocche ondulate divisa in sezioni orizzontali che lascia scoperti la spalla ed il braccio di destra. Quest’ultimo è disteso davanti al busto mentre il sinistro è piegato vicino al petto. Al polso destro porta un braccialetto di forma circolare, a quello sinistro un braccialetto di perle. Il re ha in mano due armi, di cui ri-mangono solamente le impugnature, queste sono riconducibili a due asce98.

Moortgat99 ha notato delle analogie confrontando le teste del sovrano nelle due stele di Narām-Sîn e la testa da Ninive ed ha ipotizzato che si tratterebbe di un’iconografia standardizzata della testa di un sovrano metaforicamente simile ad un dio.

La tipologia di veste raffigurata in questo monumento è distintiva degli dèi, mentre il tipo di copricapo è attestato nella glittica; questi attributi contrasse-gnano Narām-Sîn come simile ad un dio, non uguale.

Iscrizione. È posta di fronte al viso del re, a causa della frattura manca della

parte superiore. Per la traslitterazione ci si attiene a Gelb e Kienast100. Col. I 1) [ dna-r]a-am-[ dEN].ZU 2) [da-nú]m lacuna Col. II 1)dEN.KI 2) in ki-ib-ra-tim 3) ar-ba-im Nar¡m-Sîn, il potente, Enki ha

2-3) nelle quattro regioni del mondo

98 Bänder, op. cit. (a n. 94).

99 Moortgat, 1969.

(39)

4) na-e 5) [i]r-tim 6) [ul i-d]ì-[¿um] lacuna Col. III 1) œi¿-ku-unŸ 2) ù 3) KI.GAL 4) i¿-pu-uk 5) ša DUB 6) ¿ú-a 7) [u]-¿a-sa-ku-ni 8) [dINAN]NA lacuna Col. IV 1) li-sú-[²]u 2) ù 3) ŠE.NUMUN-¿uŸ 4) œli-il-qùŸ-t[u] 5) œNÍTAŸ 6) ù 7) œMUŸ 8) [a i-d]ì-[nu-¿um] lacuna

4-5) a una parte avversa lui non ha dato.

…. lui è seduto e

un tumulo funerario ha innalzato.

5-6) chi questa iscrizione

rimuove, possa Ištar

(le sue radici) strappare e il suo seme estirpare; un figlio e un discendente

(40)

2.4.3 IL RILIEVO RUPESTRE DI DARBAND-I GAWR

Attribuito al sovrano accadico è un rilievo situato nel sud del Kurdistan, in particolare a Darband-i Gawr. Quest’opera è strettamente connessa con la stele della vittoria per via dell’iconografia adottata dal sovrano.

Descrizione. Il rilievo rappresenta il re che calpesta due nemici, notevolmente inferiori di dimensioni (fig. 21)101. Nar¡m-Sîn porta un gonnellino liscio, nella mano destra tiene, stretto al corpo, un arco, mentre nella sinistra regge un ogget-to che, a causa dell’erosione, è di difficile interpretazione, forse è una mazza. Il sovrano ha una lunga barba ed è ornato con un bracciale ed un pettorale; a diffe-renza della Stele della Vittoria il re non porta un copricapo con corna, ma ne ha indosso uno a calotta, con falda rigonfia, simile a quello del re-sacerdote di U-ruk.

101 Cenni bibliografici: Edmonds, C. J., 1925, Two Ancient Monuments in Southern Kurdistan,

(41)
(42)
(43)

3. NEO-SUMERI

3.1 CENNI STORICI

Dopo la caduta di Akkad si crea un vuoto nel potere centrale. L’effimero dominio guteo non cerca di rafforzare il proprio potere, questo favorisce le città della Mesopotamia del sud; queste hanno un grande rilancio economico e cul-turale. Queste sono sotto il controllo delle dinastie degli ensi locali.

Attorno al 2150 a Lagaš prende il potere Ur-Bau, il quale regna per circa 14 anni, dando vita alla dinastia locale. Il successore, nonché il sovrano più cono-sciuto della discendenza, è Gudea, questi governa per 16 anni operando all’interno della regione, tranne uno scontro diretto con Elam e Anšan. Ur-Ningirsu è figlio e successore di Gudea; questi regna per almeno 5 anni sulla città di Lagaš.

Il dominio guteo si sfalda dopo circa un secolo, a causa della battaglia con-tro il re di Uruk Utu-Khegal, il quale ottiene la supremazia sulla Mesopotamia. Il re di Uruk pone a capo delle varie città dei governatori, tra i quali spicca Ur-Nammu, a cui viene affidata Ur. Ben prestò però questo governatore si ribella al re soppiantandolo e prendendo il potere. La politica adottata dal re è basata su quella accadica, annette al suo regno le varie città ponendo a capo un gover-natore, mantiene anche la divinizzazione del sovrano con l’intento di superare i vari dèi cittadini. Tuttavia dalle iscrizioni, a differenza del periodo precedente, emerge che Ur-Nammu si impegna nelle infrastrutture e nella costruzione di templi e ziqqurat, appare come un re pacifico, occupato nell’amministrazione e nell’organizzazione del regno, difatti è legato a questo periodo l’emanazione di un codice di leggi, il primo che si conosca. L’opera di Ur-Nammu arriva ad u-nificare il sistema di pesi e di misure ed a redigere un vero e proprio catasto di tutto il regno. Il termine del regno, ed anche della vita, del re avviene in batta-glia, la morte violenta di Ur-Nammu viene interpretata come il completo

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ab-bandono delle divinità. Il figlio Šulgi deve ricostruire la figura regale, questi, difatti, esalta nelle iscrizioni le sue capacità di pacificatore, di scriba, di ammi-nistratore, di giudice e costruttore, allo stesso tempo celebra la sua forza con la quale difende il paese da attacchi esterni. Per questo fine erige un muro che at-traversa l’alluvio, poca a nord di Akkad, questa costruzione ha lo scopo di fronteggiare i Martu, per questo motivo prende il nome di “muro dei Martu”. Šulgi nella seconda metà del suo regno dà vita ad una serie di campagne milita-ri nel nord, ma dato il numero elevato di spedizioni effettuate, possiamo desu-mere che non riesce a sottomettere completamente l’alta Mesopotamia. A livel-lo amministrativo il regno di Šulgi non ha eguali, nella sfera economica le ri-forme più importanti riguardano il settore pubblico, tutto quello che era di pro-prietà del tempio passa sotto il controllo statale, tutti i beni di un tempio passa-no sotto la giurisdizione del governatore della provincia in cui si trova. Crea una nuova categoria di terre a disposizione del re, queste vengono distribuite ai militari in cambio dei loro servizi. Divide il regno in venti province a capo del-le quali pone dei governatori scelti tra del-le famiglie locali, invece i generali del suo esercito sono homine novi, ma entrambe queste cariche sono subordinate ad un cancelliere (SUKAL-MAH). Steinkeller ipotizza che il codice di leggi sia da attribuire allo stesso Šulgi piuttosto che al padre102. Dopo il ventesimo anno

di regno il sovrano vuole dare una nuova identità al re di Ur, fa così risalire la propria discendenza direttamente a Gilgameš; essendo stato generato da un re ed una dea questi incarna la soluzione al problema della mortalità del dio-re. La deificazione in vita del re di Ur non è quindi una ripresa dell’ideologia di Nar¡m-Sîn di Akkad103. I successori e figli di Šulgi sono Amar-Sin e Šu-Sin, i quali, come si evince dalle iscrizioni, seguono le orme del padre per la propria celebrazione.

All’inizio del regno di Ibbi-Sin coincide con l’inizio della crisi, man mano le città riacquistano la loro indipendenza, nelle iscrizioni si accennano delle

102 Steinkeller, 1991.

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cursioni da parte dei Gutei e dei Sua. Il re nomina un funzionario nella zona di Isin, Išbi-Erra; questi però si ribella divenendo autonomo. Ibbi-Sin continua a regnare per altri 25 anni, finché un attacco Elamita irrompe nella capitale pren-dendo il re e conducendolo a Susa. Ad Ur rimane una guarnigione, fin quando Išbi-Erra riesce a liberarla dal dominio straniero.

3.2 GUDEA

Associate al nome di questo sovrano possediamo molti frammenti di stele, questi sono tanto piccoli che spesso è impossibile capire a quale monumento appartengono; è tuttavia certo che le stele erette da Gudea sono in numero con-siderevole.

3.2.1 LA STELE DI GUDEA

Descrizione. È il monumento meno lacunoso di quelli riconducibili a Gudea (fig. 22), è formata da vari frammenti conservati tra i musei del Louvre e di Berlino provenienti tutti da Girsu (Tello). La stele ha un’altezza di circa 2 me-tri, la superficie è divisa in vari regisme-tri, verrà qui analizzata secondo la rico-struzione proposta da Jutta Börker-Klän104. La lunetta è occupata da una scena d’introduzione sovrastata da un genio sospeso in aria che regge un aryballos dal qual sgorgano fiotti d’acqua. Il re, identificato da un’iscrizione incisa sulla parte inferiore della veste, è raffigurato nella sua iconografia classica: con testa rasata e toga. Gudea tiene nella mano destra una palma, mentre la sinistra è te-nuta dalla propria divinità personale, Ningizzida, che alza la mano nel gesto canonico; questi è contraddistinto da teste di draghi che appaiono dalle spalle. In testa al gruppo è una divinità che tiene le mani unite davanti al petto e tiene un bastone, tipico del dio Alla, probabilmente proveniente da Tello; questi

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da la processione verso un dio seduto in trono, probabilmente Enki/Ea. Questi siede su un trono fiancheggiato da leoni, tuttavia è insolito che il trono abbia la spalliera dato che il seggio comune è uno sgabello.

Il primo registro è caratterizzato da una composizione simmetrica con due di-vinità ai lati; al centro è una figura, verosimilmente il re, che viene introdotto alla divinità sulla destra. Questa è raffigurata su un trono poggiante su un ba-samento decorato da aryballoi zampillanti; di fronte vi è la divinità bifronte Usmu, il quale assiste Ea. Dalla parte opposta c’è una dea con volto frontale e capelli sciolti sulle spalle, questa è interpretata come Nanše, figlia di Ea. Nel secondo registro si può riconoscere solamente un orante rasato, forse nudo, che tiene una statuetta di una divinità, davanti ad un altare con incensiere.

3.3 UR-NAMMU

Meglio nota, ma anch’essa frammentaria è la stele di Ur-Nammu, fondatore della III dinastia di Ur; proprio dal santuario di questa città, gran parte dall’Edublamakh, provengono tutti i frammenti che vengono ascritti al monu-mento di questo sovrano. La stele di Ur-Nammu venne ricostruita nel 1932 nel-lo University Museum dove è ora conservata. Questa ricostruzione venne criti-cata prima dallo stesso Leon Legrain105 ed in seguito da Jutta Börker-Klän106, che propose la ricostruzione sotto analizzata ed unanimemente accettata. Più di recente Jeanny Vorys Canby ha proposto una nuova ricostruzione per la stele.

105 Legrain, L., 1933, Restauration de la stele d'Ur-Nammu, in Revue d’Assyriologie, 30, pp.

111-115.

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3.3.1 LA STELE DI UR-NAMMU

Descrizione. Incisa su entrambi i lati ha la stessa forma di quella sopra descrit-ta, ma dimensioni maggiori, difatti si erge per circa 3 metri107.

lato A (fig. 23). Al centro della lunetta campeggiano simboli astrali, una

stella con sotto incisa una Luna crescente. Più in basso vi è una scena simme-trica con due geni librati in aria che reggono due aryballoi da cui sgorga acqua; sotto ci sono due divinità in trono, delle quali la destra tiene un bambino in grembo, forse Šulgi. Al centro e rivolte agli dèi vi sono due raffigurazioni del re nell’atto di adorare le divinità.

Nel primo registro è ripetuta la struttura simmetrica della scena: al centro vi sono due dée con le mani levate rivolte verso l’esterno, queste sono precedute da Ur-Nammu che compie fa offerta agli dei irrorando la pianta posta vicino alle divinità. Il dio a destra porge al re un’asta ed una corda arrotolata, che sono gli strumenti di misurazione del costruttore; mentre la divinità femminile a si-nistra si limita a ricevere la libagione. Il registro successivo è di dimensioni doppie rispetto a quello appena descritto, rappresenta la costruzione di un tem-pio. In basso una teoria di operai con delle ceste sulla testa sta per salire una scala così da raggiungere il piano del re, il quale, in veste cerimoniale e prece-duto da un dio, porta in spalla degli attrezzi che un servo aiuta a sorreggere.

lato B (fig. 24). La scena incisa nella lunetta è quasi completamente

man-cante, ma è probabile che ripetesse il soggetto del retro.

Il primo registro reca una scena di sacrificio, forse di epatoscopia dato che un officiante affonda le mani nelle interiora dell’animale. Accanto un altro offi-ciante offre una libagione di sangue che sgorga da un animale ai piedi di una statua di un personaggio nudo, quindi non divino.

Nel secondo registro è rappresentata una cerimonia di lustrazione di due statue in trono poste agli antipodi del registro. Tutti sono rivolti a destra, dove un

107 Cenni bibliografici: Legrain, L., 1927, The Stela of Flying Angels, in Museum Journal, 18,

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cerdote con una lunga veste tende un lenzuolo ad un individuo che piega la schiena, questi porta un’acconciatura a calotta che identifica il personaggio come regale. Più a destra un officiante nudo pulisce la statua del dio che non ha attributi, a differenza del suo opposto che tiene un anello in mano.

Il terzo registro ripresenta la composizione simmetrica della scena, questa rap-presenta dei musicisti al centro con dei tamburelli ed ai lati due musicisti che suonano due enormi tamburi, questi sono noti anche da frammenti di Gudea. Di seguito vi è una fascia iscritta.

Il quarto registro riporta una cerimonia, al centro un uomo abbigliato con una toga e con la stessa acconciatura di quello del secondo registro alza le mani di fronte ad una pianta sacra, dal cui vaso escono fiotti d’acqua. Di seguito due personaggi compiono un rito che vede al centro lo stesso Ur-Nammu, il quale porta un copricapo a calotta, o una fascia ad orlo rigonfio, è abbigliato con una veste liscia che lascia scoperta la spalla destra e porta una fluente barba.

La ricostruzione di Jeanny Vorys Canby108. La studiosa propone una diver-sa collocazione dei frammenti ritrovati (fig. 25). La scena è dividiver-sa in almeno quattro registri, il più basso dei quali riporta una scena di trasporto di ceste su di una scala. La fascia superiore è mancante, si notano solamente dei piedi u-mani. Al di sopra si ripete la scena di trasporto delle ceste su di una scala. Il re-gistro sovrastante riporta un individuo che offre un oggetto non identificato ad un dio in trono, alle spalle di questi vi è Ur-Nammu che porta sulle spalle degli attrezzi da costruttore, aiutato da un attendente che lo segue. La lunetta della stele reca la figura del re che, sulla sinistra, irrora la pianta sacra, coadiuvato da un genio alato con in mano un aryballos. Nella parte opposta della lunetta vi è un genio identico a quello appena descritto, al di sotto del quale vi è una divini-tà maschile in trono che tiene in braccio una dea.

108 Canby, 1987.

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4. ZONE LIMITROFE

4.1 SIRIA

4.1.1 EBLA

4.1.1.1 CENNI STORICI

Durante la seconda urbanizzazione si assiste in Siria alla nascita di città e villaggi che vanno ad occupare tutto il territorio interno. Tra queste si pone E-bla (Tell Mardikh), una città di grandi dimensioni diventata in breve tempo ca-pitale di uno stato che si estende tra Aleppo ed Hama, senza sbocchi sul mare. Dato che la Siria non è stata interessata dalla prima urbanizzazione si ha una società in cui il tempio non ha il valore politico/economico delle città Mesopo-tamiche. Il sovrano della città assume il titolo di en, a questo è affiancato un consiglio di “anziani” (abba) che assumono il tiolo di lugal, ognuno di loro è a capo di uno dei 14 distretti amministrativi in cui è diviso lo stato; lo stesso tito-lo è portato anche dai funzionari a capo di città provinciali e rappresentanti del governo. Un’altra figura fondamentale nello stato è il tesoriere (lugal-sa-za), questi, assieme al re ed al consiglio, vive a palazzo. L’economia agro-pastoralre è gestita direttamente dal re, ma l’attività principale di Ebla è il commercio, anch’esso in mano allo stato, questo riguarda soprattutto i settori dei tessuti e dei metalli. L’importanza del commercio si evince da un trattato tra Ebla ed Assur nel quale vengono elencati i kārū gestiti da Ebla.

Circa 14.000 tavolette e frammenti provengono dalle campagne di scavo riguardanti il Palazzo Reale G, la maggior parte di esse viene dalla cosiddetta Sala dell’Archivio. La presenza sul pavimento e sul muro della sala di fori e-quidistanti suggerisce la presenza di infissi lignei sui quali dovevano essere poggiate le tavolette. L’Archivio è a carattere prettamente economico, scritto in

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sumerico “classico”, ma rivela un’evoluzione del tutto particolare della lingua che viene indicata convenzionalmente con il termine “eblaita”. Gli Archivi co-prono un periodo di tempo di 40 anni circa; durante questo lasso sono attestati cinque sovrani: Igriš-Khalam, Irkab-Damu, Arrulum, Ibrium, Ibbi-Zikir e Du-bukhu-Ada. Tuttavia un esame da parte di Alfonso Archi ha mostrato che Arru-lum, Ibrium, Ibbi-Zikir sono personaggi che hanno avuto un grande ruolo a pa-lazzo, ma non hanno ricoperto la carica di re. Una lista di offerte a sovrani de-funti restituisce i nomi dei re precedenti a quelli sopra citati: Abur-Lim, Agur-Lim, Ibbi-Damu, Ba-Damu, Enar-Damu, Išar-Malik, Kun-Damu, Adub-Damu, Igriš-Khalam.

Dagli archivi di Ebla emerge che, verso la fine della storia della città, que-sta aveva raggiunto un ruolo egemone sulla Siria, surclassando anche la rivale Mari. È probabilmente in questo periodo che si attestano dei rapporti diretti con l’Egitto, attestati dal ritrovamento di coppe in alabastro e diorite lavorate nelle officine faraoniche. Contemporaneamente la città diviene un importante snodo per la distribuzione del lapislazzuli proveniente dalle montagne del Bada-khshan in Afghanistan. La storia di Ebla termina in concomitanza con la na-scente potenza accadica ed in particolare con le spedizioni di Sargon prima e di Narām-Sîn poi, il quale si vanta di aver raso al suolo la città.

4.1.1.2 L’INTAGLIO LIGNEO

Descrizione. Durante le campagne di scavo avvenute tra il ’64 ed il ’73 a Tell Mardikh ed in particolare nel Palazzo Reale G è stato rinvenuto un intaglio carbonizzato con in rilievo una figura regale in posizione frontale (fig. 26)109. Questi è effigiato con una folta barba, indossa una veste a balze caratterizzata da ciocche lanceolate che copre la spalla sinistra, sulla stessa tiene poggiata un’ascia. Questa figura reca un turbante sulla testa, il quale ha uno spesso orlo

109 Cenni bibliografici: Matthiae, 1979. Matthiae, P., Il Palazzo Reale G: struttura e immagine

Figura

fig. 6: cronologia regale del PD, da Liverani, 1988, p. 192 tav. X.
fig. 9: placchetta AO 2344 di Ur-Nanše, da Moortgat, 1969, pl. 109.
fig. 10: placchetta AO 2345 di Ur-Nanše, da Moortgat, 1969, pl. 112.
fig. 11: Stele degli Avvoltoi, lato anteriore
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Riferimenti

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